di Luca
Telese *
Alla fine,
per quanto possa sembrare strano, molto più che un turno amministrativo, questo
voto sarà un referendum sulle alleanze, mai così incerte negli ultimi
venti anni. Molto probabilmente sarà l’occasione per stilare un certificato di
decesso del Popolo della libertà così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.
Sicuramente sarà il sismografo che rivela la forza reale del Movimento Cinque
Stelle. Vediamo perché e con quali effetti. Forse non tutti i sette milioni di
italiani chiamati alle urne per le amministrative in 770 diversi comuni
italiani se ne sono ancora resi conto: ma con il voto di domenica prossima
influenzeranno la nuova legge elettorale, il destino del governo, e
disegneranno anche le future coalizioni. Quelli di sinistra – per esempio –
decideranno che ne sarà della tanto discussa “Foto di Vasto”. Ovvero del patto
elettorale tra Pd, Idv e Sinistra e libertà che nei 25 capoluoghi in cui si
vota è stato stilato in ben 19 città (comprese le 3 in cui ingloba persino
l’Udc allargando i suoi confini). È l’alleanza più presente sul territorio
contando sia la destra che la sinistra.
Già questa è
una sorpresa, visto che molto dirigenti dell’ala centrista del Pd l’avevano
precipitosamente dichiarata un progetto politico defunto, anacronistico e poco
attraente. Sarà. Ma intanto il “patto ABC” (Alfano-Bersani-Casini) che regge il
governo, ha trovato incarnazione – come ricordava Il Corriere della Sera
– solo nella periferica Pozzallo. Mentre in tutte le città più importanti, il
nuovo centrosinistra è stato scelto dai partiti sul territorio come la
coalizione con più probabilità di vittoria: dalle regioni rosse al meridione,
dal Piemonte alla Lombardia, dalla Liguria al Lazio.
Infine c’è
una notizia che i sondaggi e le stime di queste ore rivelano in modo pressoché
unanime, ma che i media hanno quasi occultato: lunedì sera il Pdl, potrebbe
essere un partito archiviato dai suoi stessi sostenitori, passando da prima
forza nazionale a terzo polo. Il primo motivo è semplice: dopo la rottura
con la Lega, il Pdl ha perso la sua centralità coalizionale in tutto il nord.
Ma anche in alcune capitali del Sud (vedi Taranto) dove è incalzato dalla
concorrenza della coalizione di estrema destra di Cito (Mario, il figlio) alla
propria destra. E soprattutto nella strategica Sicilia, dove, al centro,
subisce la concorrenza durissima dell’Mpa di Raffaele Lombardo.
Prendiamo
una delle città più importanti di questa tornata, Verona. Un tempo era
considerata un bastione del centrodestra. Oggi tutto è cambiato: qui il sindaco
uscente Flavio Tosi punta a vincere al primo turno e a fare cappotto contro gli
ex alleati: “Il Pdl? Ma a Verona non esiste più – mi dice lui con un sorriso
eloquente – già prima del voto. Le mie liste lo hanno svuotato di tutti i
candidati che hanno credibilità e voti. Penso che arriveranno terzi dopo il
candidato di sinistra”. Possibile? Sì, perché anche a Verona la sinistra è
unita, mentre il Pdl, malgrado un candidati molto grintoso, è sostenuto da una
lista civica.
Prendete
un’altra città decisiva. Per motivi del tutto diversi anche a Genova il Pdl
è ai margini della sfida. All’ombra della lanterna molti sondaggi dicono
che il centrosinistra, anche per effetto della lista Doria, potrebbe vincere
persino al primo turno. Non a caso a Genova venerdì chiuderà Pier Luigi Bersani,
e la destra si è divisa perché il Pdl non poteva mandare giù il nome di Enrico
Musso, ex capolista di Forza Italia, poi ribellatosi a Silvio Berlusconi e
coccolato dal Terzo Polo (che alla fine lo ha considerato “troppo laico”).
Risultato finale: spezzatino elettorale a destra, anche qui.
E se persino
a Genova il Pdl arrivasse terzo? Non è un mistero che prima delle
amministrative, come per prendere atto anticipatamente di una sconfitta
prevista e inevitabile, Silvio Berlusconi avesse lanciato una proposta-choc: “E
se in questa tornata non ci presentassimo con il nostro simbolo?”. I notabili
locali erano insorti, di fronte all’eventualità di essere cancellati sul
territorio, e così la retrocessione sul campo che l’ex premier voleva
mascherare resta possibile, con un dato persino inferiore a quello assegnato
oggi dai sondaggi nazionali.
Ma allora,
se questo fosse il quadro, a cosa servirebbe la riforma elettorale su cui A, B
e C si stanno accordando in Parlamento? A impedire – per esempio – che
l’alleanza di governo cada il giorno dopo il voto. Infatti, se il Pdl andasse
sotto la soglia del 20% non avrebbe nessuna possibilità di essere
competitivo. È vero che molti a destra sperano che ad attenuare il gap con
la sinistra possa esserci il risultato delle liste Cinque Stelle, che l’Swg
indica al 7%, ma in quel possibile dato (se si realizzasse sarebbe
sensazionale) entrano anche, come raccontano quelli del movimento di Beppe
Grillo, candidati delusi del centrodestra (e soprattutto della Lega).
Ecco perché l’ultraporcellum
porterebbe a casa tre modifiche salva-Pdl.
Eliminerebbe
le coalizioni, renderebbe possibile l’indicazione di un candidato premier
fittizio (impossibile che qualsiasi partito ottenga la maggioranza da solo),
gratificherebbe di un premio le prime tre forze (ripescando la destra da una
probabile sconfitta). Infine alzando lo sbarramento al 5% cercherebbe di
realizzare l’ultima truffa: cancellare l’avanzata del Cinque Stelle. Più la
sconfitta elettorale alle amministrative dell’ex centrodestra sarà forte, più
il tentativo di camuffare la proroga del governo Monti sarà difficile, più la
truffa dell’ultraporcellum sarà impresentabile. Ecco perché, anche stavolta, il
voto locale avrà ricadute nazionali.
* da Il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2012
( ndr: la pubblicazione di questo, come di altri interventi collegati alle elezioni comunali, alle alleanze e alla riforma elettorale in discussione, non comporta la condivisione dei contenuti. In questo caso perchè la ipotesi di ultreaporcellum è ancora ottimistica rispetto a quanto si sta discutendo, mentre la convenienza è pari per tutti e tre i partiti che lo stanno definendo negli ultimi particolari).
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