30 settembre 2011

" Il territorio in dote per superare la crisi "


" Il territorio in dote per superare la crisi "

conoscere, difendere e valorizzare il Vercellese, il Biellese, il Canavese

Convegno sabato 8 ottobre 2011

Castello di Moncrivello (VC) dalle 9 alle 23

prima edizione


Con la partecipazione di scrittori, esperti, amministratori, associazioni, comitati di cittadini, sindaci del territorio, esponenti del mondo politico, spazio esposizioni, gente di buona volontà, giovani e bambini.

programma e appello: leggi

Movimento Valledora, Associazione Valledora, Associazione Duchessa Jolanda Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio, AIAB in Piemonte-Associazione italiana agricoltura biologica, Pro Natura Piemonte, Confederazione italiana coltivatori CIA-Novara-Vercelli-VCO, Carp-Coordinamento ambientale rifiuti Piemonte, Gruppo delle Cinque Terre, Comitato “Restiamo sani” di Montanaro, MAC-Movimento ambientalista chivassese, Associazione Attorno alla Ro Verda, Centro Otelli-Chiasso, Turin Gas-Torino, Grenn Cycle-Torino, Eco-design e Moda responsabile per l'Ambiente

Info: Movimento Valledora 327 76452595 www.movimentovalledora.org

28 settembre 2011

Cozze alla diossina a Taranto: Il tribunale assolve Peacelink


Comunicato stampa di Peacelink

Il Tribunale del Riesame di Taranto, composto dal Presidente dott. Michele Petrangelo e dai Giudici Luca Ariola e Maria Christina De Tommasi, ha dissequestrato l'intervista rilasciata da Alessandro Marescotti pubblicata dal sito Affaritaliani.it in data 13 gennaio 2011 e relativa alle analisi realizzate dal Fondo Antidiossina Taranto sui frutti di mare prelevati dai fondali del Mar Piccolo.

In accoglimento della richiesta di riesame proposta da Alessandro Marescotti difeso dall'avv. Sergio Torsella, il Tribunale ha annullato il sequestro ritenendo che quanto dichiarato da Alessandro Marescotti "risulta corrispondente alla verita' oggettiva dei fatti".

Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, era stato querelato penalmente da alcune cooperative di mitilicoltori per diffamazione, diffusione di notizie false ed esagerate, procurato allarme in relazione alla presenza di diossina nei mitili (articoli 110, 595, 656, 658 del Codice penale).

Il Tribunale del riesame ha affermato che Marescotti ha esercitato il suo diritto "sancito dall'art.21 della Costituzione esprimendo la sua personale opinione su un tema di rilevanza sociale nella comunita' tarantina (...) senza la consapevolezza di offendere la reputazione di alcuno (...) fornendo la sua particolare chiave di lettura con toni peraltro adeguati allo scopo (c.d. Limite della continenza), divulgando notizie che non hanno affatto rappresentato la realta' in modo alterato, ma che, al contrario, senza cagionare inutili allarmismi, hanno consentito ai cittadini di avere piena consapevolezza di quanto normativamente previsto, senza alcun danno per la tranquillita' pubblica".
Il Tribunale specifica inoltre: "Tanto basta per escludere quindi oltre al fumus commissis delicti relativo all'art. 595 c.p., anche quello relativo all'art.656 c.p. (...) nonche' all'art.658 c.p.".
Alla luce di tali considerazioni giuridiche il Tribunale del Riesame accoglie il ricorso di Marescotti e annulla il decreto di sequestro preventivo che avrebbe portato all'oscuramento dell'intervista sul web di Affaritaliani.it e dei relativi dati informativi contenuti in una dettagliata dabella con i dati della diossina riscontrati nelle cozze e comparato con altri alimenti.

Associazione PeaceLink www.peacelink.it

Sul tema leggi anche:

http://www.statoquotidiano.it/28/07/2011/riva-le-cozze-tarantine-e-il-pasticcio-vendoliano/53713/

http://www.terranews.it/news/2011/08/cozze-alla-diossina-taranto-ora-e-allarme

27 settembre 2011

Elezioni in Danimarca: I socialdemocratici perdono… ma il centro-sinistra vince

di Massimo Marino

Singolare risultato delle elezioni del 15 settembre in Danimarca dove si sono svolte le elezioni parlamentari che hanno decretato la vittoria del centrosinistra con 89 seggi a fronte degli 86 della coalizione di centrodestra.

Le elezioni hanno visto fronteggiarsi due schieramenti:

La coalizione di centro-sinistra, formata da 4 partiti: Socialdemocratici, Partito Popolare Socialista, Sinistra Radicale, questi ultimi più moderati dei Socialdemocratici e l’ Alleanza Rosso-Verde.

La coalizione di centro-destra costituita da 5 partiti: Partito Liberale Danese (primo partito del paese), Partito Popolare Danese ( di estrema destra) , Alleanza Liberale, Partito Popolare Conservatore, Cristiani Democratici.

Il nuovo primo ministro è per la prima volta una donna, ovvero la socialdemocratica Halle Thorning Schmidt, già membro del Parlamento Europeo e del Parlamento danese uscente. Già nel 2007 aveva tentato, senza riuscirci, la scalata a premier del paese.

Questa volta la campagna elettorale è stata dominata dalla crisi economica. Dopo circa 10 anni una coalizione di centro-sinistra ritorna al potere ma il suo principale partito, quello socialdemocratico, ottiene il peggiore risultato dal 1903. La partecipazione al voto, come sempre in Danimarca, è stata molto alta, oltre l’87 % dei circa 4 milioni di elettori.

La vittoria della coalizione di centro-sinistra è dovuta a due altri partiti della coalizione (guidati entrambi da donne) i radicali di Margrethe Vesteger, partito di centro, e Enhedslisten-De Rød-Grønne, o Partito dell’Unità, nato nel 1989 dall’unione di due partiti comunisti, due socialisti e successivamente dall’apporto di vari ambientalisti, che ha addirittura raddoppiato i propri seggi sotto la guida di Johanne Schmidt Nielsen. Quest’ultima ha unito tutta la sinistra radicale e verde nella Lista Unitaria (chiamata appunto Alleanza Rosso-Verde), facendo numerosi comizi per le strade invocando una riforma importante della politica sull’immigrazione danese, attualmente considerata la più severa in Europa e permettendo, insieme alla Sinistra Radicale di ottenere la vittoria della coalizione.

La destra estrema xenofoba del Partito Popolare Danese ( PPD ), Pia Kjærsgaard, ha perso parecchi punti scendendo al 12,3% ( 22 seggi). Per per 10 anni aveva condizionato il governo del Paese guidato dai Liberali conservatori, che restano il primo partito con il 26,7% (47 seggi, 1 in più) e il cui premier uscente, Loekke Rasmussen, dopo la sconfitta, si è dimesso dai suoi incarichi. Recentemente il PPD, che resta il terzo partito del paese, aveva imposto al governo di sospendere il trattato di Schengen e di reintrodurre i controlli alle frontiere con gli altri paesi europei.

Il Parlamento danese ( Folketinget ) è eletto con il sistema proporzionale, vigente in gran parte del nord Europa ( ad eccezione della Gran Bretagna ) ed è formato da 179 membri eletti ogni quattro anni. L’elezione avviene a due livelli. Dei 179 membri, 135 sono eletti a livello proporzionale in 17 circoscrizioni elettorali, mentre gli altri 40 sono spartiti, sempre in modo proporzionale, in base al numero totale di voti ottenuti da ciascun partito a livello nazionale. Le Isole Fær Øer e la Groenlandia eleggono altri 2 parlamentari ciascuno.

Helle Thorning-Schmidt ha 44 anni, è laureata in scienze politiche ed è sposata con Stephen Kinnock, direttore del Forum Economico Mondiale di Ginevra e figlio del politico britannico Neil Kinnock, il leader dei Laburisti inglesi negli anni Ottanta. Era stata membro del parlamento europeo dal 1994 al 2004, prima di essere eletta nel parlamento danese nel 2005. I giornali l’hanno spesso attaccata durante la campagna elettorale accusandola d’incompetenza per quanto concerne la politica interna e di indossare abiti troppo costosi – alcuni l’hanno per questo chiamata Gucci Helle – e di avere privilegi famigliari poco chiari. Il marito Stephen Kinnock, ex lobbista a Bruxelles, era stato accusato di evasione fiscale in Svizzera per il mancato pagamento delle tasse poiché residente in Danimarca.

L’economia danese non sta andando bene, con un disavanzo che nel 2011 arriverà al 4,6 % del PIL. Un dato comunque inimmaginabile per l’Italia, ma molto rilevante per l’economia danese, abituata a ben altri parametri. Questo deficit corrente si traduce, nelle ricette economiche dei liberal-conservatori, in tagli al welfare che i danesi – nonostante l’alta pressione fiscale – non sembrano affatto pronti a sottoscrivere. Il sistema bancario nazionale ha subito duramente i contraccolpi della crisi iniziata nel 2008 e negli ultimi tre anni nove banche sono state salvate dai fondi pubblici e nazionalizzate.

Con la destra che vuole tagliare il welfare ( presentando agli elettori una scelta secca: debito incontrollato o tagli allo stato sociale) e i socialisti che puntano sulla crescita con proposte incerte, la stampa del paese, che alcuni chiamano popolare altri populista, ma che è in gran parte indipendente, ha attaccato entrambi gli schieramenti accusandoli di non avere idee per affrontare la crisi economica.

Il premier uscente, Loekke Rasmussen, è stato battuto infatti soprattutto per la sua incapacità di proporre un credibile progetto di riforma economica. La Danimarca è in recessione dall’inizio del 2011. Rasmussen aveva proposto un piano di rilancio basato su tagli alla spesa pubblica e innalzamento delle tasse. La Schmidt ha invece proposto un programma basato su interventi pensionistici e un “piano” di crescita, criticato da diversi fronti, che comporta tra l’altro un aumento delle ore lavorative: secondo la Schmidt l’aumento della giornata lavorativa di 12 minuti, aumentando la produttività risolverebbe tutti i problemi. Una proposta che non ha convinto lasciando i socialdemocratici al 24,9% e secondo partito del paese. I socialpopolari, centristi che appoggiavano fortemente la proposta, hanno perso addiritura 7 seggi.

Ma la coalizione aveva anche concordato un impegno a investimenti pubblici, energie rinnovabili, fondi a educazione e sanità ed una riforma sostanziale della legge sull’immigrazione contro la legislazione di centro-destra che aveva infatti adottato una delle leggi anti-immigrazione più restrittive tra i paesi europei.

A distanza di due mesi dalla tragedia norvegese di Oslo e Utøya del 22 luglio in cui persero la vita 100 persone per mano del fanatico razzista Anders Behring Breivik, si prevede quindi una riforma importante della politica sull’immigrazione danese opposta a quanto ispirava Breivik il cui atto sembra invece aver punito le forze xenofobe e di estrema destra nell’ appuntamento elettorale del paese confinante. Anche se la nuova maggioranza avrà vita difficile con il 51,1% e 89 dei 179 seggi totali , con soli 3 seggi di vantaggio e con profonde differenze fra i 4 partiti della coalizione.

Il partito della Schmidt è in posizione molto debole (ha perso 1 seggio) a favore dei rosso-verdi che hanno raddoppiato i propri seggi, ottenendone 12 con il 6,7%. Nel cosiddetto “Blocco rosso”, contrapposto al “Blocco blu” dei liberal-conservatori, ci sarà dunque una competizione interna per il “peso” politico tra le varie formazioni. Rosso-verdi e social-liberali (radicali) divergono sulle politiche economiche (con i primi critici rispetto alla piattaforma socialdemocratica e i secondi favorevoli) mentre concordano su quelle per l’immigrazione, dove però sono in disaccordo con i socialdemocratici e i social-popolari.

I socialdemocratici, rischiano di trovarsi in una situazione paradossale: vincere le elezioni perdendo voti, portare una donna alla guida del governo per la prima volta della storia danese, ma nello stesso tempo avere il peggior risultato della propria storia elettorale ed aver perso di fatto totalmente l’egemonia sulla coalizione.

La Danimarca dal gennaio 2012 sarà il presidente di turno dell’UE, in un momento cruciale per la vita economica e politica dell’Unione. L’importante risultato danese, insieme alla prospettiva altamente probabile di una coalizione rosso-verde vincente in Germania il prossimo anno e all’arresto dell’espansione delle forze xenofobe in alcuni paesi europei potrebbero aprire la strada a un complessivo cambiamento nell’insieme del continente europeo, in particolare a riguardo delle direzioni da prendere per uscire dalla crisi economica e finanziaria generale.

Nella foto: Asmaa Abdol Hamid, 25 anni, candidata alle politiche in Danimarca nella Lista dell'Unita'. E’ una giovane assistente sociale di origine palestinese che portera' il suo hijab, il fazzoletto che copre il capo delle donne musulmane, anche in Parlamento. E’ stata la prima presentatrice televisiva a presentarsi sugli schermi con lo hijab. Ha sollevando una serie di critiche, anche nel suo partito, anche perche', in base alla sua religione, si astiene dal salutare dando la mano alle persone dell'altro sesso. Sostiene di battersi per le rappresentanti di diversa origine etnica, che devono essere lasciate libere di scegliere fra le possibilita' a loro disposizione.

22 settembre 2011

Riduzione dei parlamentari, l’apparenza inganna

La commissione Affari Costituzionali del Senato ha compiuto un primo passo verso l’obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari, obbiettivo sbandierato dal governo e dalla variegata opposizione parlamentare come strumento per limitare i costi della politica.

PDL e PD, come avevamo previsto per tempo, due giorni fà hanno unificato in un solo testo i diversi disegni di legge presentati. L’accorpamento indica una intesa politica, con la firma di Gabriele Boschetto per il PDL ed Enzo Bianco per il PD. Secondo la proposta il numero dei deputati verrebbe fissato in 450 (contro i 630 attuali) e quello dei senatori in 250 (oggi 315 esclusi quelli a vita). Bianco ha annunciato che la legge potrebbe arrivare nell’aula di palazzo Madama entro fine ottobre.

Ma l’apparenza inganna e la vocazione anticasta dei nostri senatori cela meno nobili disegni, sfruttando per di più la comprensibile, diffusa, ma ingenua ostilità verso i partiti.

Tutti sanno che alla fine si troverà un compromesso, se si riuscirà davvero a procedere, che probabilmente porterà ad una riduzione minore, del 10-15 % dei parlamentari. Probabilmente meno di un centinaio di deputati e qualche decina di senatori.

Ottima cosa..se avessimo un sistema elettorale proporzionale magari con un quorum al 4-5%. Sparirebbero tutti i partitini, spinti così a trovare, se del caso, forme serie di aggregazione fra quelli simili o vicini fra loro e che oggi invece contrattano un posticino nelle liste bloccate del porcellum ( detto da alcuni porcata1 ) o nei collegi uninominali delle coalizioni di un eventuale neomattarellum in qualche modo ritoccato dal referendum truffa in corso di Parisi,Veltroni e Segni (detto da altri porcata 2). Con il proporzionale e le preferenze gli elettori sceglierebbero in qualche modo liberamente chi preferiscono. Cosa che con nessuno dei due sistemi, che non prevedono le preferenze, potrebbero fare, se non nella eventuale piccola quota proporzionale che per decenza si potrebbe concedere. Insomma sarebbe una riduzione ragionevole, che verrebbe distribuita fra tutti, o almeno fra tutti quelli che superano il quorum.

Invece i principali partiti, che mai come in questo caso possono essere definiti una vera, efficiente e più che mai unita casta, (Pannella ai tempi della sua maggiore lucidità politica parlava di partitocrazia) vogliono fare ben il contrario. Con il sistema elettorale attuale, ed ancor peggio con un neomattarellum da dove salterebbero via il centinaio o più di parlamentari? Naturalmente da quelli che non si presentano nelle liste o nelle coalizioni con a capo PDL o PD. Cioè il movimento di Grillo (ammesso che sia in grado di presentarsi alle elezioni politiche il prossimo anno), la cosiddetta area di centro, al momento più aleatoria che reale ( che già si stà dividendo sul tema ) e che sarebbe costretta ad allearsi prima del voto ( indovinate con chi?). Infine i partiti di Vendola e Di Pietro. Quattro aree politiche che, al di là dei sondaggi un po’ taroccati, sembrano tutte veleggiare, ma non di molto, al di sopra del 4% e che perderebbero tutti o in parte gli eletti che proporzionalmente invece avrebbero se ci fosse la possibilità di votare liberamente la lista che si preferisce. Insomma dalla riduzione dei parlamentari, con la legislazione vigente, o quella che ispira le proposte di Veltroni, Parisi e Segni ci perderebbero principalmente proprio quelli che non ci si aspetterebbe, i meno graditi ospiti alla bouvette parlamentare. PD e PDL non ci perderebbero quasi nulla e addirittura alla fine quello che potrebbe guadagnarci di più è proprio Berlusconi, ( o l’eventuale successore designato) che ha comunque diverse possibilità di manovra per afferrare o dividere i centristi.

Eccesso di fantasia o di cattiveria la nostra ? Per niente, infatti sebbene pochi se ne siano accorti, il giochino è già stato sperimentato con successo alle recenti elezioni comunali. Con una leggina (naturalmente “anticasta” ) si è ridotto il numero di consiglieri del 20% circa, mantenendo quorum e doppio turno (che ha effetti molto simili ai collegi uninominali). Consiglieri quasi tutti sottratti a grillini, vendoliani, dipietristi e centristi. Con il doppio turno dei comuni sopra i 15.000 abitanti PDL e PD ci hanno pure guadagnato. E guardacaso, mentre tutti ce la spassavamo in vacanza, Bersani e Finocchiaro hanno presentato in Senato (nel pressocchè assoluto silenzio dei media ) una proposta di legge per il doppio turno alle politiche, ventilando anche l’ipotesi di un quorum al 10%. Giusto per andare sul sicuro..

Secondo vari magistrati e costituzionalisti, che in numero crescente esortano a tornare ad un proporzionale con quorum, gli attuali sistemi elettorali e quelli ventilati, senza eliminare la frammentazione, che anzi è aumentata, assegnano ad ognuno dei due partiti principali almeno il 10% dei seggi (e dei contributi elettorali) in più di quelli che otterrebbero in base ai voti ricevuti negli ultimi anni.

(mm)

20 settembre 2011

Identikit dei "pirati" tedeschi


Internettiani e iperdemocratici

La sorpresa alle amministrative di Berlino si chiama Piratenpartei: quasi il 9 per cento dei consensi. Chiedono, tra l'altro, internet e trasporti gratis, reddito minimo per tutti e liberalizzazione delle droghe leggere. Ecco il partito fondato da un gruppo di nerd nel 2006

di Andrea Tarquini *

"La lunga notte del party della vittoria è finita, adesso mostreremo che cosa sappiamo fare, siamo giovani impegnati e competenti in molti temi sociali, non siamo soltanto un partito di protesta". Sebastian Nerz, 28 anni, e Andreas Baum, reggono appena la stanchezza dopo la festa finita alle 4 del mattino. Ma con le elezioni di ieri domenica a Berlino sono diventati l'altro volto nuovo della Germania. Nerz e Baum sono rispettivamente leader nazionale e capolista nella capitale della Piratenpartei 1, il partito dei pirati.

Dodicimila iscritti, strutture sciolte e nessuna vera piramide di potere, campagna elettorale e vita politica svolta molto più sulla rete che non in piazza, giovani, più ragazzi che ragazze, tutti ben istruiti e con buoni titoli, spesso conservatori delusi dalla Cdu. Ecco l'identikit dei leader del piccolo partito, fondato da un gruppo di 'Nerd' (entusiasti delle nuove tecnologie) nel 2006 sull'esempio della Scandinavia, che ieri ha sfondato il muro della soglia di sbarramento del 5 per cento e ha conquistato quasi il 9 per cento dei consensi nella vitale, postmoderna capitale tedesca.

"Adesso dimostreremo che abbiamo persone competenti, gente preparata, non ragazzotti solo buoni a protestare", dice Andreas Baum, appunto il capolista berlinese. "Il punto centrale del nostro programma è la partecipazione, porteremo questo desiderio dei cittadini della capitale di impegnarsi attivamente in politica nell'aula del Parlamento della città-Stato". Libertà totale su internet, libertà dai vincoli del diritto d'autore, due slogan in nome della libertà d'informazione, sono stati i primi valori costitutivi di fondazione della Piratenpartei, come si chiama la nuova formazione in tedesco, o Korsanpartisi in turco, denominazione certo non inutile tra i molti giovani d'origine turca nella capitale.

Esperienza fondata sull'esempio del successo dei "Pirati" nel Nord Europa, in Svezia, dove hanno conquistato due seggi al Riksdag, il Parlamento del regno. Ma nella realtà concreta di Berlino, tra vivacità multiculturale e contrasti sociali e di reddito, i Pirati di Baum e Nerz chiedono trasporti pubblici gratis per tutti, un reddito minimo garantito per tutti, e la liberalizzazione delle droghe leggere. Insistono anche per una vita pubblica "basato sulle molteplicità degli stili di vita". Iperdemocratici, postmoderni a più non posso insomma. A Berlino ha funzionato. La loro sede, quella dove si è festeggiato fino all'alba, manco a dirlo è in uno dei tanti bellissimi cortili di Kreuzberg, il quartiere multietnico e giovanile di Berlino ovest che è un po' la Notting Hill tedesca.

"Sono una realtà nuova, un'espressione politica da prendere sul serio", dicono anche i democristiani (Cdu) cioè il partito della cancelliera Angela Merkel. Sono ribelli, sono eroi del popolo degli hacker, ma hanno alle spalle un solido curriculum accademico. Come appunto il loro leader Sebastian Nerz, appena 28enne, laureato in Bioinformatica alla prestigiosa università di Tubinga, ex simpatizzante proprio della Cdu.

"Siamo anche la spina nella carne dei partiti tradizionali", dicono i Piraten. A Berlino, hanno conquistato secondo alcuni politologi il 46 per cento del voto giovanile. E sottratto almeno 17mila elettori ai Verdi, 14mila alla socialdemocrazia, 13mila alla Linke, la sinistra radicale. Tutti li prendono sul serio, a cominciare dai maggiori media cartacei o internettiani, dallo Spiegel online alla Frankfurter Allgemeine. Per ora hanno sfondato soltanto a Berlino, ma secondo alcuni politologi come Oskar Niedermayer non sono una realtà effimera. Anche in altre grandi città tedesche, prima di tutto Amburgo o Brema, hanno buone chances. "In ogni caso tra cinque anni esisteranno altrove". Guarda caso, hanno vinto puntando molto sul web e sui social forum. Persino il loro più diffuso manifesto cartaceo in vie e piazze di Berlino diceva "non ti fidare degli slogan, cerca come nel surfing", insomma quasi un invito da motore di ricerca.

* da La Repubblica 19 settembre 2011

19 settembre 2011

Elezioni: Berlino entra nella quarta dimensione


di Massimo Marino

Sesta sconfitta consecutiva dei conservatori della CDU, scomparsa dei suoi alleati liberali, nessuno spazio all’estrema destra, grande successo dei Grünen, calano Linke e SPD , emergono clamorosamente i Piraten: Grünen e SPD governeranno la città-stato.

Quasi un cataclisma, sorprendentemente positivo e di grande interesse per tutta l’Europa, il risultato delle elezioni nella città-stato di Berlino. L’ultimo test di quest’anno ( il sesto) che sembra prefigurare con una buona certezza che fra meno di un anno la Germania sarà governata (dopo 10 anni) da SPD e Grünen. Ma il risultato di Berlino, probabilmente uno degli avvenimenti politici più significativi dell’ Europa degli ultimi anni, porta con sè molte riflessioni.

Ich bin ein Berliner, “siamo tutti berlinesi”, verrebbe da dire parafrasando al plurale l’intervento di J.F.Kennedy il 26 giugno 1963 mentre era in visita ufficiale alla città di Berlino Ovest rinchiusa dal muro nell’enclave della Germania Est. L’intervento di Kennedy fù in realtà molto timido nella difesa dei diritti di libertà dei cittadini della capitale divisa dal muro.

I 3,4 milioni di berlinesi di oggi, con 450.000 berlinesi non tedeschi senza passaporto che hanno potuto in parte votare ( quelli dell’area UE) per i 12 quartieri, sono andati molto oltre.

Con la possibilità di votare liberamente con il sistema proporzionale ed il quorum del 5%, che sembra funzionare perfettamente ( senza i ricatti del voto utile dei sistemi maggioritari all’italiana con le “ porcate 1 e 2” del porcellum e del mattarellum ), hanno sciolto di fatto il partito liberale FDP. Sanzionando che, pur avendo nel maggio scorso cambiato leader e scelto un giovane 38enne di origine vietnamita, l'FDP non ha niente da dire di diverso da CDU e SPD. I liberali sono ormai fuori da tutti i parlamentini regionali (meno uno). Restano provvisoriamente nel Bundestag ed al Parlamento europeo nel gruppo liberale dove stanno gli eletti italiani di Di Pietro. La loro scomparsa (1,8%) ben sotto il 5% è di grande rilevanza: sanziona che la CDU ( che con il 23,4% è aumentata di più di due punti ) dal prossimo anno non governerà più la Germania non avendo più alcun alleato, neanche di destra estrema, accanto a sé.


Il successo principale, accuratamente nascosto dai principali media italiani di tutti i fronti, lo hanno avuto i Grünen, saliti al 17,6% (+4,5%) che governeranno la città-stato ( al posto della Linke calata di 1,7 punti con l’11,7%) insieme all’SPD che pur in flessione (- 2,5%) resta il primo partito nella città con il 28,3 %.

Particolarmente clamoroso il risultato del partito ecologista nel distretto (quartiere) di Friedrichshain-Kreuzberg dove diventa il primo partito con il 30,2% dei voti. Il sindaco distrettuale in carica (Bezirksbürgermeister) era già il verde Franz Schulz. Il piccolo distretto ( uno dei 12 della città ) nato dall’unione di due quartieri della vecchia Germania est ed ovest ha una composizione sociale molto differente: Friedrichshain, già appartenente a Berlino Est, ha una popolazione giovane ed etnicamente omogenea; Kreuzberg, al contrario, appartenuto a Berlino Ovest è caratterizzato da un alto numero di anziani e stranieri (soprattutto immigrati turchi). Anche la presenza fra i due vecchi quartieri del fiume Sprea, varcato solo dal ponte Oberbaumbrücke, fù in passato elemento di divisione; che oggi si manifesta solo nella goliardica Wasserschlacht ( "battaglia dell'acqua" ), che vede affrontarsi allegramente proprio sull'Oberbaumbrücke, il ponte di collegamento, i rappresentanti dei due quartieri originari.



Ma le novità non finiscono qui. Superando anche i sondaggi che già li davano in forte salita, il partito dei pirati (Piratenpartei ) ha raggiunto quasi il 9% ed entra alla grande nel parlamento locale con 15 seggi. Software libero, ma anche trasporti pubblici gratuiti e maggiori libertà personali e collettive sono alcuni degli obiettivi del nuovo gruppo, in realtà pochissimo strutturato, che ha evidentemente attratto una parte del potenziale elettorato ecologista, specie fra i giovani ma secondo i pochi commentatori italiani attenti alla realtà tedesca anche settori radicali di diverse generazioni, parte dei quali considerano i Grünen un po’ troppo moderati e imborghesiti e che comunque si sentono “liberi” di votare, magari provvisoriamente, anche un gruppo più radicale. Un segnale di allarme per il gruppo dirigente degli ecologisti che gli impone di valutare quanto rapidamente e radicalmente si muove la Germania e che rende molto più difficile ai verdi tedeschi l’obiettivo di diventare la seconda ( o la prima ) forza politica del paese nelle prossime elezioni politiche.


Il comportamento dei principali media italiani sulle elezioni berlinesi è particolarmente penoso. Nelle versioni online (non leggiamo di norma la versione cartacea ) i titoli di Repubblica ancora dopo 24 ore ignorano i risultati dei Grünen, parlano di successo SPD ( che in realtà ha perso parecchi voti e 5 dei sui 53 seggi) e naturalmente accennano ai Pirati con il solito taglio folkloristico. Un po’ meglio, incredibilmente, Stampa e Corriere che entrambi nei titoli accennano: ”volano i verdi”… ma gli articoli scompaiono dalla prima pagina (dalla bacheca ) fra la notte di domenica ed il mattino del lunedì ( in pratica se non avessimo i nostri siti per riprodurli li avremmo letti in 100, navigatori della sera e della notte… ). Il Corriere aggiorna i commenti sulla Germania con una dichiarazione della Merkel che invita la sua coalizione (che di fatto si è dissolta) a “ moderare i commenti post-elettorali per non innervosire i mercati ..”


Mentre in Italia il sistema politico resta immutato e a destra e a sinistra si inventano porcate, referendum truffa e artifici legislativi per mantenere il paese in quella specie di medioevo in cui si barcamena da quasi 20 anni con l’avvento di quella cosiddetta seconda Repubblica che sembra uguale o peggiore della prima, l’episodio berlinese e l’evoluzione positiva della Germania confermano che se maturano nella società i germi della democrazia e se il sistema elettorale lo consente e non viene taroccato continuamente, c’è anche la possibilità che i cittadini-elettori indichino per quanto possono delle vie di uscita dalla crisi non necessariamente distruttive ed inaccettabili. Un buon compromesso fra le fantasiose pulsioni alla democrazia diretta e il sostegno alle varie porcate elettorali dei nostri alternativi nostrani, soddisfando invece la concreta necessità di darsi strumenti per entrare nelle istituzioni, fare un po’ di pulizia e cacciare fuori gli orchi cattivi, o almeno espellerne un po’..



Non c’è da farsi eccessive illusioni. La Germania ha i gravi problemi economici del resto d’Europa ma li stà affrontando diversamente. Con nuovi protagonisti, nuove idee, nuovi soggetti sociali che si affacciano alla ribaltà e dicono la loro, contribuendo ad una continua modernizzazione, umana e accettabile, del paese. Per fare un solo esempio decine di associazioni si sono mobilitate nel corso della campagna elettorale per sostenere l’ipotesi che progressivamente si possa arrivare ad allargare i diritti elettorali ai milioni di cittadini della Germania che non hanno passaporto tedesco, favorendo ulteriormente l’integrazione e la convivenza degli immigrati dell’area UE ed extracomunitaria. E l’iniziativa, sicuramente non di quelle facili, non ha alimentato nel voto alcuna destra xenofoba.


Berlino: percentuali e seggi delle elezioni di ieri:


SPD 28,3% (-2,5%) 48 seggi (-5)
CDU 23,4% (+2,1%)39 seggi (+2)
GRÜNE 17,6% (+4,5%) 30 seggi (+7)
DIE LINKE 11,7% (-1,7%) 20 seggi (-3)
PIRATEN 8,9% 15 seggi (+15)

I titoli dei 3 principali quotidiani ( online) sul voto berlinese

La Repubblica
Elezioni Berlino, vince la Spd, nuova debacle per il governo. I socialdemocratici conservano il governo della città-Land: la Cdu ferma al 23,5%. L'Fdp, alleato della cancelliera nel governo nazionale, non supera la soglia di sbarramento. Il partito dei pirati vola all'8,5% dal nostro corrispondente Andrea Tarquini

Corriere della sera A Berlino riconferma per il sindaco Spd. La Cdu della Merkel non riesce a sfondare Primi dati: Wowereit resta alla guida della città-Land. Volano i verdi, disastro liberale. Bene i Pirati. Il cancelliere all'indomani della sconfitta elettorale del suo partito a Berlino : La leader tedesca ha consigliato ai membri della sua coalizione di governo di «pesare molto attentamente le parole per non innervosire i mercati»

La Stampa Voto a Berlino, vince la Spd ma Merkel tiene. Boom del "partito dei pirati" che sfiora il 9% Di Alessandro Valiani I socialdemocratici conservano il governo della città-Land: riconfermato Wowereit. Cdu al 23,5%. Volano i Verdi. La sorpresa è il Piraten Partei che punta su trasparenza e web.

18 settembre 2011

Il Bunker

di Beppe Grillo

Quando finisce un'era chi vi è dentro può ritenere di essere alla fine dei tempi e rifiutare l'evento oppure guardare oltre. E' evidente che il modello capitalista basato sul profitto senza limiti, sulla crescita e sul consumo del pianeta è fallito da tempo, anche se i governi non lo vogliono riconoscere.

La guerra del petrolio iniziata almeno con la prima invasione dell'Iraq di Bush padre e proseguita fino ad ad oggi con l'occupazione dell'Afghanistan e l'aggressione alla Libia è solo il più evidente dei sintomi della nostra autodistruzione. Il modello basato sulla mobilità individuale e sui trasporti mondiali delle merci, le pere cilene in Gran Bretagna o i pomodori cinesi in Italia non ha alcuna motivazione logica, né economica. Nessuno si ferma per chiedersi: "Ha senso la crescita? E cosa significa esattamente?". La crescita è un nuovo tabù, un moloch moderno adorato come un tempo Giove o Apollo, con i suoi moderni sacerdoti: il FMI, il WTO, la BCE e i suoi templi: i palazzi delle Borse, le maestose sedi delle banche (le nuove chiese) nei centri delle città. Siamo così permeati dal mito della crescita che lo diamo per scontato, per ineluttabile e lo viviamo come atto di fede. Quando però lo specchio si rompe e la verità non si può più rimandare, allora, come scrive Slavoj Žižek, fliosofo e psicanalista sloveno, nel suo libro "Vivere alla fine dei tempi" vi è l'elaborazione del lutto che avviene in cinque fasi. Per spiegarlo associa la consapevolezza del crollo del nostro modello economico e sociale alla scoperta di una malattia terminale.

Il primo stadio è il rifiuto: non esiste la crisi e neppure il buco nell'ozono, i ghiacciai si sono sempre ritirati ciclicamente, il surriscaldamento del pianeta è un'invenzione dei media, le automobili sono necessarie per lo sviluppo della civiltà, il PIL è l'alfa e l'omega delle nazioni.

Il secondo passo è la collera: i movimenti no global sono i nuovi barbari alle frontiere, chi non consuma è un pessimista e chi consuma invece un patriota, i governi e le multinazionali che vedono franare le basi del loro potere pensano "Non può succedere, non a me"(*).

Il malato cerca quindi di venire a patti per rimandare il triste evento della sua dipartita: nuove manovre economiche, rientro del debito pubblico, tagli ai servizi sociali, aumento di ogni tipo di tassazione, scomparsa delle pensioni. Cobaltoterapia economica.

Viene quindi la fase della depressione nella quale per chi è al potere tutto è lecito, comportamenti da basso impero, alleanze con i poteri criminali, corruzione dilagante, nuove guerre. Pensa a godersi la vita che gli rimane. Après moi, le déluge.

L'ultimo stadio è l'accettazione in cui il potere si rassegna, si rinchiude in un bunker e aspetta la fine. Il mondo, in generale, si trova tra la prima e la seconda fase, tra il rifiuto e la collera. In Italia ci siamo portati avanti e stiamo transitando dalla terza alla quarta fase, tra il venire a patti con la realtà e la depressione. Tra poco ci sarà l'assalto al bunker.


(*)
citazione da Slavoj Žižek

16 settembre 2011

Israele - Indignados: dopo il successo delle manifestazioni di sabato

Non saranno stati un milione, ma 450.000 manifestanti su una popolazione di 7 milioni e mezzo sono la prova che qualcosa di nuovo in Israele c’è. Nella sola Tel Aviv erano più di 250.000, e passeggiavano allegri e festosi lungo i due chilometri che separano Habima Square da Hamedina Square, punto d’arrivo della manifestazione. Giovani, famiglie con bambini e anziani muniti di sedie per riposarsi: sono questi i “nuovi israeliani”, quelli che il governo Netanyahu liquida come mero movimento di estrema sinistra. E sabato sera hanno partecipato tutti insieme alla più grande manifestazione che Israele abbia mai visto.

Il movimento, molto variegato nel suo insieme, abbraccia unioni studentesche, singoli cittadini, ma anche una miriade di gruppi, dagli animalisti agli “anarchici contro il muro”, tutti uniti per chiedere che il governo li ascolti.

Dalle prime tende piantate in boulevard Rotschild quasi due mesi fa, con una manciata di giovani che manifestavano contro il carovita e i prezzi degli alloggi, le proteste accolgono ora le più svariate richieste, dal ritorno al “socialismo” all’aumento delle imposte per le grandi aziende e per le banche. Troppe, secondo una giovane manifestante: “Sono d’accordo con le richieste di giustizia sociale, ma non si può, come vorrebbero alcuni dimostranti, uscire dal capitalismo. La richiesta di tornare a un sistema che Israele ha abbandonato 20 anni fa mi sembra assurda”.

C’era una volta l’edilizia popolare, il welfare state e l’istruzione a portata di tutti. Ma le scelte economiche neoliberiste degli ultimi anni hanno messo in difficoltà una larga fetta della popolazione, rendendo praticamente impossibile per i giovani chiedere un mutuo, o semplicemente affittare un appartamento. Daphni Leef lo sa bene: 25 anni, di professione regista, le era stato presentato un ordine di sfratto dopo 3 anni di locazione. Si è resa conto che i prezzi degli affitti a Tel Aviv erano raddoppiati, se non triplicati, e si è indignata. Con alcuni amici, ha dato il via a una protesta in boulevard Rotschild, piantando una tenda nel posto più chic della città. E molti l’hanno seguita.

E’ lei l’eroina della rivolta, la Marianna di quest’estate 2011. Il momento più atteso di sabato 3 settembre è stato il suo discorso: migliaia di persone aspettavano solo di sentire lei, che assieme a Yitzik Shmuli, dell’Unione studenti universitari, è diventata la leader della protesta. Ha detto di sentirsi “fiera di essere israeliana da 7 settimane a questa parte”. Nel suo discorso ha raccontato quanto la sua vita sia stata segnata solo da eventi tragici: il conflitto con i palestinesi, la guerra in Libano, il rapimento di Gilad Shalit. Ma questo è invece un momento felice, un momento di risveglio. E il governo, che prima li ignorava, ora deve ascoltarli. Una signora di mezza età l’applaude, ride delle sue battute su Netanyahu e la sostiene: “E’ giovane, ma sa quello che vuole. Allegra, ma allo stesso tempo seria, sa andare al nocciolo della questione con grande semplicità. Penso che abbia fatto davvero un bel discorso”.

Il discorso della Leef non ha toccato però alcune questioni che, proprio per la natura sociale della protesta, dovrebbero essere affrontate dai “nuovi israeliani”, come li ha definiti Yitzik Shmuli. L’enorme budget militare, le spese per la sicurezza e le sovvenzioni alle colonie: sono alcuni dei settori reputati intoccabili, ma al contempo il loro ridimensionamento potrebbe giovare all’economia nazionale. La stessa Daphni Leef ha dichiarato di volersi sentire sicura all’interno del suo sistema più che sul piano militare, e il diritto allo studio, all’istruzione e alla sanità costituiscono la sua priorità. E’ mancata inoltre una qualsiasi menzione all’occupazione della Cisgiordania, soprattutto visti i grandi slogan in favore della “giustizia sociale”: proprio lei che nel 2002, in una lettera firmata assieme a molti suoi compagni in età di leva, aveva rifiutato di fare il servizio militare nei Territori occupati. Semplice dimenticanza tra le numerose richieste degli indignados? In realtà sembrerebbe di no: in una recente intervista televisiva la Leef ha dichiarato di non aver prestato servizio militare perché affetta da epilessia. Una scusa per non cadere nella trappola della politicizzazione delle proteste? Forse. Fatto sta che il movimento, e la sua leader, sembrano ora concentrati su una lista di richieste abbastanza concisa. Non si parla in modo approfondito di sicurezza e occupazione e delle loro conseguenze economiche, ma si svia l’argomento forse per non perdere il sostegno di quel 50% di popolazione per la quale la sicurezza è ancora in cima alla lista delle priorità nazionali.

Lo dice chiaro e tondo Uri, un attivista degli “Anarchici contro il muro”, per il quale le richieste avanzate dalla maggior parte dei manifestanti sono superficiali: “La quasi totalità dei dimostranti si interroga poco o niente su questioni che secondo me sono fondamentali, come i costi della colonizzazione e dell’occupazione dei territori palestinesi. In realtà, quello che tutti rivendicano sono alloggio, sanità e istruzione pubbliche. Di equità e giustizia sociale, in realtà, non gliene importa molto”.

Si ha la sensazione che non sia stato detto proprio tutto. E che il vero cambiamento sia ancora lontano. Da’ speranza una turista italiana che, camminando tra un fiume di israeliani festosi, riflette: “Tutti i grandi movimenti non sono nati già grandi, ma c’è voluto del tempo perché diventassero più maturi e strutturati. Aspettiamo e vediamo”.

Nena News (foto Activestill) Gerusalemme 5 settembre 2011 ( da globalproject.info )

13 settembre 2011

Intervento sui referendum elettorali

di MauroVolpi

( costituzionalista e membro del Consiglio Superiore della Magistratura fino al luglio 2010 )*

Nello stato di dissolvimento della fase della Repubblica apertasi nel 1993 e definita impropriamente «Seconda Repubblica» può anche accadere che vengano presentati, su sollecitazione di una componente minoritaria del maggior partito di opposizione, due quesiti referendari, il cui scopo principale è quello di contrastare le tre richieste referendarie, avanzate da Passigli e da vari altri intellettuali, che si propongono di eliminare gli aspetti più negativi dell'attuale legge elettorale: le liste bloccate, il premio di maggioranza, le ridicole soglie di sbarramento previste per le liste che facciano parte di una coalizione.


Gli «argomenti» avanzati per contrastare i referendum Passigli oscillano tra la falsificazione e l'inconsistenza. È del tutto falso che essi produrrebbero il ritorno a un proporzionale puro, analogo a quello esistente prima del 1993. Infatti, in caso di esito referendario abrogativo, la soglia di sbarramento del 4% varrebbe per tutte le liste, mentre l'attuale sistema non solo prevede una soglia del 2% per le liste coalizzate, ma ne salva anche alcune, interne alle coalizioni, che ottengano una percentuale inferiore al 2% (com'è avvenuto nel 2006 per l'Udeur e nel 2008 per l'Mpa). Anche ai tempi del tanto decantato Mattarellum, le liste minori, che avevano ottenuto meno del 4% dei voti nella quota proporzionale, entravano in Parlamento grazie ai propri candidati di coalizione nei collegi uninominali.
Quindi, con buona pace dei maggioritaristi a oltranza, il successo dei referendum Passigli produrrebbe un sistema proporzionale più selettivo rispetto sia al Porcellum che al Mattarellum e molto più simile a quello proporzionale corretto esistente nella grande maggioranza delle democrazie europee. Un secondo argomento sostiene che il primo dei quesiti referendari volto a superare le liste bloccate non riuscirebbe nello scopo e si esporrebbe a un giudizio di inammissibilità della Corte Costituzionale. Non vi è dubbio che, specie in materia elettorale, il referendum abrogativo sia uno strumento imperfetto. Ma il senso dell'iniziativa referendaria è chiaro: restituire agli elettori il potere di scegliere i propri rappresentanti. Quindi il successo nella raccolta delle firme non mancherebbe di incidere su una riforma parlamentare, che resta la via maestra. Ma i referendum pro Mattarellum si espongono molto di più a un giudizio di inammissibilità, in quanto l'idea, disattesa dalla maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, della «reviviscenza» della vecchia legge elettorale in seguito all'abrogazione delle successive norme abrogatici costringe i promotori a presentare dei quesiti il cui esito positivo non produrrebbe affatto un sistema di risulta tale da consentire comunque l'elezione del Parlamento (come richiede la giurisprudenza costituzionale).


Quanto poi all'affermazione che con il Mattarellum gli elettori avrebbero scelto il «loro» deputato, chi ha buona memoria ricorda come, nelle tre elezioni in cui è stato applicato, nella quasi totalità dei collegi uninominali i candidati sono stati imposti dai vertici dei partiti coalizzati senza nessuna voce in capitolo a livello locale né degli iscritti né degli elettori.
Infine, si sostiene che i referendum Passigli tornerebbero ad affidare la formazione del governo ai vertici di partito nella fase postelettorale. In realtà, essi determinerebbero l'ingresso in Parlamento di un numero ridotto di liste (stando ai sondaggi non più di 6) e nulla vieterebbe ai partiti di concordare una futura alleanza di governo sulla base di convergenze programmatiche effettive, e magari anche di scegliere il leader della coalizione con le primarie, mentre non si avrebbero più coalizioni coattive, tenute insieme dall'obbiettivo primario di sconfiggere la coalizione avversaria. È un fatto che nella maggioranza delle democrazie europee l'adozione di sistemi elettorali corretti non esclude affatto le coalizioni né pregiudica la democrazia dell'alternanza.


Ma anche se le coalizioni di governo fossero formate dopo le elezioni, com'è avvenuto perfino nel Regno Unito, patria del maggioritario a turno unico, dove starebbe lo scandalo? Con ogni probabilità avremmo governi più solidi, in quanto formati da un numero ridotto di partiti, e più efficienti, in quanto costituiti sulla base di reali convergenze programmatiche, di quelli che ci ha regalato la «Seconda Repubblica», attraversati da divisioni profonde, instabili (sono stati ben otto tra il 1994 e il 2005 sotto la vigenza del Mattarellum) e dipendenti da maggioranze variabili.
In definitiva è tempo di abbandonare il mito del maggioritario, che ha aperto la strada al leaderismo plebiscitario e all'affossamento di tutti i canali di mediazione tra società e istituzioni; dai partiti politici, ridotti a partiti personali alla ricerca di un leader telegenico, al Parlamento, divenuto organo di mera ratifica e privo di reali poteri di controllo. E allora perché lanciare salvagenti a un sistema agonizzante e sempre più distaccato dalla società, e ad alcuni leader politici sempre meno popolari, anziché staccare la spina e impegnarsi nella costruzione di un nuovo sistema politico-istituzionale più conforme al quadro costituzionale e a quanto avviene nella maggioranza delle democrazie europee?

* Mauro Volpi è stato uno dei 100 firmatari dell’appello contro il Lodo Alfano

12 settembre 2011

Quei film sugli immigrati nel Paese di Terraferma

L'intento è di sfidare la paura dell'altro come tema per conquistare il consenso e l'audience televisiva. Ma il divario tra l'agenda mediatica e le preoccupazioni dei cittadini resta elevatissimo

di Ilvo Diamanti *

Al Festival di Venezia, quest'anno, il Cinema italiano, dopo tanti anni, è stato protagonista. Il Premio della Giuria, assegnato a "Terraferma" di Emanuele Crialese. Migliore Opera prima: "Là-bas", di Guido Lombardi. I due film hanno un soggetto comune: gli immigrati. Il film di Crialese: l'esodo dei disperati in fuga dal Nord Africa, visto con gli occhi dei pescatori siciliani.

Il film di Lombardi: le drammatiche storie degli immigrati in rivolta a Castelvolturno, nel 2008. Ma le opere presentate a Venezia da registi italiani, sull'argomento, sono molto numerose. In tutte le sezioni. Oltre una decina. Ne citiamo solo alcune. "Cose dell'altro mondo" di Francesco Patierno, che ipotizza la (disastrosa) scomparsa degli immigrati in una zona del Nordest. E ancora: "Storie di schiavitù" di Barbara Cupisti, "Io sono Li", di Andrea Segre (fra gli interpreti: Marco Paolini), "Villaggio di Cartone", scritto e diretto da un maestro: Ermanno Olmi. Fino a "L'ultimo terrestre", di Gipi, che narra dell'arrivo degli alieni fra noi. Dove gli alieni sono "gli altri, che evidenziano la nostra vulnerabilità. Il nostro sentimento di perifericità".

Gli inviati di Le Monde (Jacques Mandelbaun e Philippe Ridet), al proposito, hanno osservato che l'immigrazione, per il Cinema italiano, è divenuto "un genere in sé". E hanno realizzato, al proposito, un commento molto ampio, dal titolo, assolutamente esplicito: "L'immigrato, vedette americana della Mostra di Venezia". D'altronde, è difficile, impossibile, trovare, in Europa - e altrove - un'attenzione tanto acuta - quasi ossessiva - come quella espressa verso gli stranieri dal Cinema italiano. Per quanto animato da sentimenti "civili" e solidali, non riesce a dissimulare il disagio diffuso, in un Paese di emigranti dove l'immigrazione è giunta all'improvviso. Ed è cresciuta, in poco più di dieci anni, del 1000%. Oggi si aggira, infatti, intorno al 7% (in valori assoluti: circa 5 milioni, secondo Caritas-Migrantes), ma tocca anche il 20% nelle zone più industrializzate del Centro e del Nord (Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Nordest). Eppure le "misure" reali del fenomeno non bastano a spiegare tanta sensibilità da parte dei registi e degli autori del cinema. Intellettuali e specialisti - talora artisti - della comunicazione. La cui attenzione è dettata, sicuramente, dal "materiale" offerto dal problema. Le biografie e le "storie" degli immigrati, l'incontro con le comunità locali, con gli "italiani".

Ma conta, altrettanto e forse di più, l'intento di "sfidare" il Pensiero Unico veicolato dai media e propagandato dal populismo di destra - influente nella maggioranza di governo. La Paura dell'Altro come tema per conquistare il consenso - e l'audience. Basta scorrere i dati dell'Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (curato da Demos, l'Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis). Nei telegiornali pubblici di prima serata di alcuni importanti Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna), nel corso dei primi quattro mesi del 2011, le notizie relative all'immigrazione hanno occupato il 3% del totale. Più in particolare: su France 2 hanno rappresentato l'1,6%, su ARD (rete pubblica tedesca) lo 0,6%, sulle altre perfino di meno. Nel Tg1, invece, il 13,9%. (La stessa percentuale si ottiene, peraltro, considerando anche gli altri principali tg italiani, pubblici e privati). Naturalmente, l'Italia è il Paese dove le "rivoluzioni" nordafricane e, soprattutto, l'intervento in Libia hanno avuto maggiore impatto. Con la differenza che altrove, in Europa, questi avvenimenti sono stati trattati come fatti ed episodi di guerra. Mentre in Italia sono stati affrontati, in modo specifico, dal punto di vista dell'immigrazione. O meglio (forse: peggio), dell'invasione. Il primo e principale argomento utilizzato dalla Lega a sostegno della propria opposizione all'intervento in Libia.

Tuttavia, nonostante gli sbarchi e le guerre sull'altra sponda mediterranea, il divario fra l'agenda mediatica e le preoccupazione dei cittadini, infatti, resta elevatissimo. Basta consultare, di nuovo, i dati dell'Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, concentrandoci, in questo caso, sulla percezione sociale. L'immigrazione, infatti, è indicata come la preoccupazione principale dal 6% degli italiani (del campione rappresentativo intervistato da Demos nel giugno 2011). Le cui angosce sono, invece, attratte, in larghissima misura, dai temi legati all'economia, l'occupazione, il costo della vita (55%). Lo sguardo mediale sugli immigrati appare, dunque, asimmetrico rispetto a quello della popolazione. Lo stesso avviene riguardo alla criminalità, che resta al centro dell'informazione televisiva (55% delle informazioni di prima serata), mentre preoccupa una quota molto più ridotta della popolazione (10%). Si tratta di una conferma della "costruzione" politica e mediale dell'insicurezza, che induce a enfatizzare la "paura degli altri" e a ridimensionare l'incertezza per motivi economici e (dis)occupazionali. (D'altronde, il pessimismo economico è comunista e anti-italiano, ha ripetuto il Presidente del Consiglio, anche di recente).

Ma in questa fase mi pare che "gli altri" non si risolvano negli immigrati che giungono in Italia, spinti dalla necessità o dall'emergenza. In condizioni difficili, talora drammatiche. Oggi, in Italia, si sta diffondendo una sindrome dell'accerchiamento più estesa e indefinita. Ci sentiamo minacciati dall'esterno, da ogni fronte e da ogni direzione. Dalle rivolte e dalle guerre che avvampano nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Ma anche dall'Europa e, soprattutto, dalla Germania. Che non credono nella nostra economia, ma soprattutto, nel nostro sistema politico. E minacciano di non coprire il nostro debito pubblico, di non acquistare i nostri titoli di Stato. Ci sentiamo minacciati dalle Borse e dai Mercati, dallo Spread e da S&P. Noi, che abbiamo coltivato, a lungo, un'identità nazionale fondata sull'arte di arrangiarsi, sulla capacità di adattarsi e di reagire. Noi che ci siamo considerati una società "vitale" - nonostante il governo, nonostante lo Stato. Oggi ci scopriamo spaesati. Orfani di un governo che sappia governare e di uno Stato in cui aver fiducia. Così ci sentiamo stranieri a casa nostra. Da ciò la ragione, almeno: una ragione importante, di tanti film italiani sugli immigrati quest'anno, a Venezia.
In realtà, parlano di noi. Sperduti e spaesati nel Paese di Terraferma.

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* da La Repubblica 12 settembre 2011