23 dicembre 2011

Svizzera: Al Gottardo il tunnel di 57 km avanza


Con la caduta dell'ultimo diaframma di roccia tra Faido e Sedrun nella galleria ferroviaria del San Gottardo in Svizzera dopo 11 anni di lavoro si è raggiunto un traguardo importante al San Gottardo, che con i suoi 57 km diventa la galleria ferroviaria più lunga del mondo. Un'opera finanziata quasi interamente dalla tassa di transito che i camion pagano sin dal 2001.

La galleria del San Gottardo, che sarà in funzione dal 2017, insieme a quella del Lötschberg (attiva dal 2007) e del Monte Ceneri (2019), fa parte della Nuova Trasversale Ferroviaria Alpina NTFA, il cuore del 'Corridoio 24', il progetto europeo per il trasporto ad alta velocità di merci e passeggeri da Genova a Rotterdam. Grazie al profilo 'di pianura', garantito dalle tre gallerie a pendenza ridotta che tagliano la catena alpina a 550 metri sul livello del mare, la nuova ferrovia permetterà di attraversare le Alpi più velocemente, utilizzando meno energia e con carichi più pesanti.

Una volta completata, nel 2019, la ferrovia transalpina consentirà di viaggiare ad esempio tra Zurigo e Milano su treni da 250 km/h in due ore e quaranta minuti, un'ora in meno rispetto ad oggi. La NFTA è un tassello strategico nella politica dei trasporti svizzera e nella sua volontà – sancita anche dal popolo attraverso tre referendum - di trasferire consistenti volumi di merci dalla strada alla ferrovia, limitando il numero degli autocarri in transito sulle Alpi a 650.000 mila l'anno, e riducendo così l'inquinamento atmosferico e acustico lungo i corridoi di trasporto. La nuova ferrovia, nel cuore della Svizzera, si connette a sud con il sistema ferroviario italiano attraverso la Lombardia e la Liguria, fino a Genova.

Per quanto riguarda il proseguimento dei lavori in alcuni comparti della galleria si stanno già completando i rivestimenti del tunnel e sono state posate le prime infrastrutture ferroviarie. A partire dal 2013 sono previste le prime corse di prova ad alta velocità per verificare il corretto funzionamento dei vari sistemi.

I costi previsti ammontano a 13 miliardi di euro (1% pil svizzero), di cui 7 per la galleria del San Gottardo, 1,5 per il Monte Ceneri, 3,1 per il Lötschberg e 1,7 per ampliamento degli accessi. L'importo è finanziato attraverso il Fondo per i progetti d'infrastruttura dei Trasporti Pubblici (FTP) costituito per due terzi dalla tassa sul traffico pesante e per un terzo dall'imposta sugli oli minerali e l'un per mille dell'iva. Il fondo non finanzia solo la NFTA, ma un pacchetto di opere più ampio, per un totale di quasi 23 miliardi di euro, e che comprende: il progetto Ferrovia 2020 per il miglioramento generale della rete ferroviaria svizzera (collegamenti più rapidi e frequenti e rinnovamento del materiale rotabile), il raccordo alle reti europee ad alta velocità e il risanamento acustico della rete.

da: Tuttotrasporti.it

( sul tema trasporti il 13 gennaio a Biella dibattito su TAV e trasporto locale )

13 dicembre 2011

Monti non è Bruce Willis e non siamo ad Armageddon


di Giovanni Chiambretto (GCT Lombardia)

Per quanto si voglia riproporcelo, il film italiano che si sta svolgendo non è Armageddon, Monti non è Harry (Bruce Willis ), e nessun meteorite sta per distruggere l’Italia. Monti con il suo equipaggio di funzionari non è neanche Ciampi. Quello era un uomo delle istituzioni, nel ’43 ufficiale dell’esercito, poi passato alla Resistenza; preparato, ma con una sensibilità istituzionale ed una cultura che non è quella di Monti.
Monti è uomo dei poteri forti, consulente di Goldman Sachs (come Draghi), membro del gruppo di Bildelberg, di recente collaboratore di Barroso alla Commissione Europea, rettore dell’università della Confindustria e tant’altro.

La sua candidatura è stata preparata fin da prima dell’estate (quando è stato scelto Draghi per la BCE) nei salotti buoni in accordo con la finanza che conta europea ed americana. Tanti interventi preparatori hanno preceduto questa svolta repentina: dichiarazioni della Marcegaglia, la linea del Corriere della Sera e degli interessi che ci sono dietro con Mediobanca, le prese di posizione della CEI, etc. etc….

Tutti adesso si sono accodati, ma il punto di partenza è noto: Berlusconi non era più compatibile con la gestione che costoro intendevano dare alla ristrutturazione finanziaria, economica, sociale dell’Italia e più in generale dell’Europa ( di cui l’Italia è la terza delle quattro colonne portanti ).
La squadra di governo è incentrata su personaggi che hanno a che fare con questi ambienti, qualche accademico, qualche professoressa nordista, qualche funzionario dello stato, qualche generale o ammiraglio, qualche zavorra necessaria come il vecchio nuclearista Clini. In aggiunta, fra i sottosegretari, qualche personaggio non in vista che fa riferimento ad aree di partito, non ultimo uno di Comunione e Liberazione. Età media dei membri del governo: comunque la più alta dal dopoguerra e la più alta fra quelli in carica di tutta Europa.

Il programma di governo è chiaro, sostanzialmente incentrato sullo spostamento delle risorse del paese troppo distribuite in troppi anfratti della società, portandole nelle mani di pochi gruppi economici e finanziari, cambiando i rapporti sociali interni e le relazioni internazionali. I partiti consolidatisi con le riforme istituzionali ed elettorali degli anni ’90 non erano in grado o non disponibili a farlo fino in fondo. Il resto è letteratura, chiacchiericcio da lasciare ai partiti a beccarsi nei talk-show ( non ancora per tanto perché questi, al contrario del Berlusca, la TV dei talk show la vogliono coprire ).

Non bisogna farsi ingannare dalla propaganda: non è un governo “buono”, non ha la vocazione all’equità né appare interessato seriamente ad un rilancio dell’economia quella che sia, ne tanto meno a come potremmo intendere noi ad una conversione dell’economia in senso moderno, cooperativo, democratico, ne tanto meno “ecologico”. Sull’equità grida vendetta che al Ministero dello Sviluppo e dei Trasporti sia andato il presidente di una banca che si è attribuito 31 milioni di bonus in due anni (tassati al 10% oltretutto).
L’obiettivo è appunto quello di riequilibrare e ridistribuire ricchezza e reddito, concentrarne almeno il controllo in un ristretto gruppo di organismi in gran parte anonimi dell’economia e della finanza. Si tratta di una operazione politica complessa e sofisticata che si sta giocando su possibili scenari diversi che si chiariranno questa primavera dopo che si sarà completato il ricambio governativo, oltre che di Grecia, Portogallo e Spagna, dell’ Italia, e soprattutto Francia e Germania. Di Islanda o Ecuador, che si sono autoridotti il debito, ce ne già di troppo.

L’intreccio bancario-industriale italiano (e non solo italiano) ha oggi il suo punto di forza e di debolezza nelle banche. A parte qualche piacevole ed intelligente anglosassone alla Naomi Klein o Noreena Hertz, in Italia dobbiamo accontentarci di Grillo e della Gabanelli ( e meno male che ci sono..) a spiegarci il ruolo delle Banche. Le banche (italiane ma non solo) hanno in mano l’86% del debito pubblico che ormai supera i 1900 miliardi di euro. Mentre i privati (anche vostra zia) hanno in mano il 14%. Viene da ridere quando si parla del “giudizio dei mercati”. Se tre grosse banche muovono coordinate un’unghia, il rendimento dei CCT potrebbe andare al 20% domattina e viceversa.

Le banche sono in situazione di pericolo, ma nello stesso tempo, se si accettano queste regole del gioco, hanno le mani alla gola dello Stato e di tutto il sistema e possono stringere quando e come vogliono. Hanno tempo fino all’inizio del 2013, cogestire la riforma elettorale in modo da impedire sgraditi ospiti nel nuovo Parlamento lasciando prima qualche mese ai partiti ( di destra, di centro e di sinistra) per reinventare qualcosa di non serio che li divida, per ridare “un offerta” al mercato degli elettori.

A prescindere dai Beni dello Stato italiano che sono un bel malloppo, si stima che i risparmi degli italiani superino i 9000 miliardi di euro per cui i debitori in fondo sono solvibili, ma chi ha in mano il debito ha in pugno la situazione. Sempre stanti queste regole del gioco, perché ad esempio si potrebbero anche nazionalizzare le banche, o selezionare, congelare, rinegoziare parte del debito, e nessun meteorite ci cadrebbe sulla testa. Ma ciò comporta una rivoluzione o, diciamo meglio, l’affacciarsi di una alternativa consistente e capace di egemonia.

Si tratta di capire cosa vogliono costoro. Sembrerebbe che ( per ora) abbiano calcolato che per riportare un equilibrio potrebbe essere sufficiente ridurre del 20% il livello di vita medio degli italiani. Questo è lo scenario. Diciamo scenario perché la situazione è intricata ed in movimento. Non c’è un Grande Fratello che ha già deciso tutto. È come in una guerra dove si fa un piano e lo si adatta progressivamente alle evoluzioni delle circostanze. È evidente che si deve superare un ciclo produttivo che è cominciato nella seconda metà degli anni ’90 con le delocalizzazioni all’estero di attività produttive (15.000 imprese italiane oggi solo in Romania) accumulando capitali ciucciati in Italia, reinvestiti in parte all’estero ed in parte trasferiti in lingotti d’oro e altro nelle cassette di sicurezza tipo Svizzera ( cassette non se ne trova più).

segue...

7 dicembre 2011

Noreena Hertz, la teorica del coop-capitalismo

di Massimo Marino

Alcuni l'hanno soprannominata, per le sue posizioni critiche sulla globalizzazione e sul liberismo, la "Naomi Klein inglese". Bono degli U2 la considera la principale artefice del grande successo della campagna di raccolta fondi contro l'AIDS "Red". Noreena Hertz è un caso particolare: dopo anni a stretto contatto con la globalizzazione e le organizzazioni internazionali, ha assunto posizioni di forte critica di questo sistema. Sulla scia del libro di Naomi Klein "No Logo", vicino al movimento new global, anche la Hertz sviluppa la sua accusa all'economia delle multinazionali nel saggio intitolato "La conquista silenziosa: perché le multinazionali minacciano la democrazia".

Cuore dell'analisi è la considerazione che tra le cento maggiori economie del mondo, cinquantuno sono multinazionali e solo quarantanove sono stati nazionali. Successivamente (2005) ha pubblicato il libro Un pianeta in debito che tratta della problematica del debito dei paesi del terzo mondo.

Noreena, nata nel 1967, si è laureata a soli diciannove anni in filosofia ed economia. Nei primi anni novanta è stata consulente del governo russo a Mosca per conto del Fondo Monetario Internazionale ed ha contribuito alla fondazione della Borsa di San Pietroburgo. Come responsabile dell'organizzazione non governativa "Center for Middle East Competitive Strategy" ha collaborato con l'Autorità palestinese, il governo israeliano, giordano ed egiziano per lo sviluppo di programmi finanziari e iniziative economiche finalizzati a sbloccare la crisi nel Mediorente dopo l'omicidio di Yitzhak Rabin. Ad oggi è direttrice associata del Centre for International Business and Management dell'Università di Cambridge.

Un pianeta in debito inizia raccontando la crociata del leader degli U2, Bono Vox, a favore della cancellazione del debito e ripercorre la storia di questo fenomeno a partire dal primo dopoguerra, analizzando le sue origini e le motivazione della crescita esponenziale del debito in rapporto all'evoluzione dell'economia e del mercato mondiali. L'autrice esamina le posizioni assunte dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale, dai governi dei singoli paesi creditori, denunciando che non sono state mantenute le promesse fatte dai paesi creditori nella riunione del G8 di Ginevra del 1999 e come le diverse istituzioni sovranazionali si siano limitati a prescrivere ai paesi debitori aggiustamenti strutturali economici senza tener conto delle specificità delle economie locali. Il libro analizza le responsabilità dei governi dei paesi debitori, considerati spesso corrotti e disonesti, con il peso del debito gravante soprattutto sulle popolazioni locali, che l'autrice ritiene costrette a vivere nell'indigenza. La questione del debito non viene considerata solo una questione etica, ma viene ritenuta importante anche in quanto la disparità sociale e di tenore di vita esistente tra paesi creditori e debitori viene considerata causa dell'aumento del terrorismo e dell'immigrazione clandestina, nonché del ritorno di malattie ritenute debellate. Ne viene influenzata la stessa questione della salvaguardia dell'ambiente naturale, in quanto questa non può essere garantita in mancanza delle condizioni di vita accettabili per la popolazione.
Il libro conclude con la considerazione che molti dei debiti gravanti sui paesi del terzo e quarto mondo siano in realtà inesigibili in quanto illegittimi. I debiti sarebbero infatti stati contratti da regimi non legittimati dal consenso democratico e i fondi ottenuto sarebbero stati utilizzati contro gli interessi delle popolazioni indebitate. Le proposte presuppongono che all'apatia e all' indifferenza di chi crede che questi problemi non lo riguardino, si sostituisca una mobilitazione sociale.

Emerge da qui la teoria del "Coop Capitalism": Noreena Hertz critica duramente il modello liberista che ha dominato il mondo sul piano economico e culturale negli ultimi trenta anni, il "Gucci Capitalism", modellato da Ronald Reagan e Margareth Tatcher. La crisi economica e finanziaria esplosa nel 2007 è stata secondo la Hertz "una carneficina". La Hertz, avanza un nuovo modello sociale, il "Coop Capitalism", fondato non più sulla massimizzazione del profitto per il singolo individuo ma sulla ricerca di soluzioni collaborative, su scelte che si preoccupano delle conseguenze sociali e ambientali di medio-lungo periodo. Con qualche eccesso di ottimismo e di ingenuità, ad esempio sul vero peso e ruolo di Obama, Noreena sostiene che “ il mercato non è più un totem, neppure negli Stati Uniti”. Nel mondo si affermano nuovi Paesi, come il Brasile, che hanno adottato modelli non appiattiti sul libero mercato. Si diffonde una nuova cultura, da cui nasce anche il successo dei social network, fotografia di un mondo che cerca soluzioni condivise. Il successo non va più misurato solo dalla dimensione del conto in banca, come nel "Gucci Capitalism", ma da altri indicatori, come la felicità e il benessere collettivo. Le imprese cooperative sono un modello vincente: ad esempio anche le cooperative emiliano-romagnole, gli istituti di credito cooperativi canadesi, le coop di consumo elvetiche che sono più longevi delle imprese private, e hanno retto meglio delle altre ai colpi della crisi mondiale. "Le cooperative - ha detto la Hertz - sono la traduzione sul piano economico e sociale del Yes, we can di Obama; tutte le parti possono lavorare insieme per raggiungere il bene comune. Se tutti lo vorremo, andremo verso una società dove sempre meno persone faranno la spesa da Gucci e sempre più persone faranno la spesa alla coop".

Uno degli aspetti di questa nuova visione sta nell' attenzione ai valori umani. «I recenti lavori sull' economia comportamentale hanno dimostrato che la benevolenza è intrinseca alla natura umana più dell' individualismo. Stiamo entrando in un' era in cui si uniscono le forze e si tira tutti dalla stessa parte». La Hertz cita come segnali della nuova era i movimenti come il freecycle in cui i membri si regalano o scambiano le cose anziché venderle, il job-sharing che si sta diffondendo in Giappone al posto dei licenziamenti, e «i referendum italiani sull' acqua pubblica». E ancora «i social network e i movimenti dell' open source, con le sue storie simbolo come Linux e Apache, o l' open design dei progettisti norvegesi».. Un ruolo determinante nella visione dell' economista, figlia di un' attivista dei diritti femminili, spetta alle donne. «La crisi finanziaria è stata una crisi maschile - dice - le donne non hanno avuto alcun ruolo. Ma devono averlo. Per esempio in Islanda molti correntisti si sono rivolti a compagnie finanziarie guidate da donne dopo che i loro macho-banchieri hanno spedito il paese sull' orlo del baratro. Ma non è possibile aspettare che questo cambiamento avvenga da solo per vie organiche, bisogna imporlo per legge com' è avvenuto in Spagna o in Norvegia con le quote femminili nei board delle compagnie».

Dal «Capitalismo Gucci» al «capitalismo cooperativo» il passaggio è un po’ azzardato e probabilmente con qualche eccesso di ingenuità, ma considerando da dove arriva Noreena, il percorso è significativo. Noreena Hertz preconizza un cambiamento epocale nel pensiero e nella società innescato dalla crisi finanziaria: l' inizio di una nuova era economico-politica dal volto umano. «Nell' era del Gucci Capitalism - racconta l' economista e attivista, ascoltata da Bill Clinton come da Bono e Bob Geldof - gli azionisti erano i re, i banchieri percepivano stipendi 100 volte superiori ( ma il problema è che li prendono ancora ) a quelli dei normali lavoratori e dominava un credo quasi religioso nella capacità del mercato di essere un efficace meccanismo distributivo e anche dispensatore di libertà. Ogni giorno ci troviamo di fronte a decisioni importanti, e spesso ci affidiamo ai consigli degli esperti. Ma, ci dice l'economista Noreena Hertz, fare troppo affidamento su di loro può diventare limitante e perfino pericoloso. Il suo appello è quello per una democratizzazione delle sedi di valutazione tecnica delle situazioni. Ora ci sono le condizioni per una nuova forma di capitalismo, il "coop capitalism" che ha al centro valori di cooperazione, collaborazione e coordinamento”. Proprio a Reggio Emilia, dove è stata più volte, l’economista inglese ha ricevuto recentemente la tessera onoraria di socio Coop.

“Ci sono alcuni fattori chiave alla base del mio convincimento - spiega -. Il primo è che la vecchia ideologia è stata screditata sul piano intellettuale. Economisti come Paul Krugman, Joseph Stiglitz e la sottoscritta venivano considerati alternativi nello scorso decennio e ora si guarda noi per guidare la ripresa. Le aziende che per prime sarebbero messe nel mirino di questo nuovo atteggiamento paternalista dei governi, secondo Hertz, saranno fast food e società farmaceutiche. «Sarà fatta pressione perché si assumano la responsabilità dell' obesità e dei costi delle medicine”. Un altra ragione è che “sta emergendo una nuova configurazione di forze geopolitiche con la crescita di Cina, Brasile, India e il rafforzamento del G20». “Un mondo interconnesso - dice Hertz - ha bisogno di soluzioni interconnesse”.

Speriamo che, nel suo benedetto ottimismo, che forse sottovaluta il grado di rivoluzione sociale e culturale che presuppone il cambiamento auspicato, un pezzetto almeno della realtà le vada dietro…

Noreena e gli esperti di Finanza:

http://www.ted.com/talks/lang/it/noreena_hertz_how_to_use_experts_and_when_not_to.html

http://www.la7.it/infedele/pvideo-stream?id=i485359



6 dicembre 2011

La barca e Mr. Monti

Riceviamo e pubblichiamo:

Nella sceneggiata che da 3 settimane potete seguire nei talk show, naturalmente di destra (Porta a Porta) e di sinistra (Ballarò), rigidamente in par condicio e rigidamente identici ad uso e consumo degli italiani dal titolo: “Lacrime , sangue, sacrifici ed equità” nella più recente puntata è comparso l’episodio: “ anche i ricchi pagano: la tassa sulle barche

La tassa sulle barche dai 10 agli oltre 64 metri ha (avrà) l’ aliquota più alta di addirittura 703 euro al giorno. Nella foto allegata uno scafo, di cui ovviamente conosciamo nome e specifiche tecniche, una “ barca “ da 75 metri, neanche fra le più grandi esistenti.

E’ appunto lunga 75 metri, varata quasi 10 anni fa. Dispone di 26 uomini di equipaggio, due motori diesel da 3.600 cavalli (poca cosa). Il serbatoio è da 288.600 litri.

Allora facciamo un po’ di conti: La tassa è di 703 euro per 365 giorni, cioè di 256.595 euro/anno

Un pieno di gasolio della “barca” è di circa 288.600 lt. per 1,450 euro cioè 418.470 euro

Conclusione: la “ supertassa” annuale è pari a mezzo pieno di gasolio.

La foto ritrae la “barca” che però attualmente è ormeggiata a Venezia. Per ormeggiare lì il Comune chiede 10.000 euro al giorno. E quella è ormeggiata lì.

5 dicembre 2011

METTI UNA SERA A GENOVA


non so, no so perché continuano a costruire le case
e non lasciano l'erba, non lasciano l'erba, non lasciano l'erba
e se andiamo avanti così chissà come si farà,chissà, chissà come si farà. (A. Celentano 1966)

Il Cep di Genova (Centro Edilizia Popolare) è un quartiere sopra le alture di Pra' e Voltri. Lassù gli ultimi. Operai, extracomunitari, nuovi poveri. Nessun turista viene mai da queste parti. I teatri del centro di Genova con le loro luci sono lontanissimi. In questo luogo, dentro un palazzetto di cemento, mi sono commosso. Belin, può capitare anche a me, ma ieri sera è successo anche a Celentano, a Don Gallo, ad Antonacci e a Paoli che neppure la mamma ha mai visto piangere in vita sua. La differenza l'ha fatta la gente, il pubblico che ha partecipato a una serata di solidarietà per Genova. Nella maggior parte composto da persone che devono contare anche i centesimi quando fanno la spesa e che hanno donato 25 euro, il biglietto di entrata, per Genova.

Gli ultimi in questo caso sono diventati i primi. Tutti gli artisti si sono esibiti per dovere civico. Chi ha contribuito all'organizzazione non ha chiesto nulla. Adriano, il profeta dell'anticemento, del "Ragazzo della via Gluck" e "Un albero di trenta piani", ha cantato su un palco dopo 17 anni. Non ha potuto dire di no a Don Gallo che si è esibito in un rock con l'energia di un ragazzino. Posso dirlo? E' stato bello! Bellissimo! Uno spettacolo, per me indimenticabile, passato sotto silenzio. Non mi risulta che un giornale ne abbia scritto alla vigilia o che una televisione lo abbia promosso. Gli ultimi fanno paura. Le energie che nascono dal basso terrorizzano questo Sistema marcio, responsabile anche dei morti di Genova.


Lo spettacolo è stato trasmesso in streaming, grazie a Google lo hanno visto centinaia di migliaia di persone. Qualunque sito ha potuto ritrasmetterlo. Non c'erano pubblicità, sponsor, messaggi promozionali, esclusive. Chi ha voluto (ma può ancora farlo (*) ) ha dato il suo contributo per Genova. Questo è il futuro. Le nuove parole d'ordine sono solidarietà, partecipazione sociale, informazione e la possibilità di trasmettere in Rete senza pizzi o padroni. ..

(*) Offerta via bonifico a: IBAN IT33 I061 7501 4260 0000 2390 380

(testo e video dal blog di Beppe Grillo )

3 dicembre 2011

REPORT - domenica 4 dicembre, RAI 3 ore 21,30

"MALI CULTURALI" di Stefania Rimini - Da noi c'è il Colosseo, la Villa Reale di Monza, Pompei e poi la Valle dei Templi e tanto, tanto altro. L'Italia è nota per la ricchezza dei suoi beni culturali eppure nel resto d'Europa con un patrimonio di gran lunga inferiore al nostro riescono a dar lavoro a 3 milioni e 600 mila persone, il 2,6% del Pil, mentre in Italia ci fermiamo all'1,1%. Com'è possibile che da noi il bene culturale diventa un male? Intanto perché non abbiamo ancora ben capito cosa farne. Dici "beni culturali" e il ragioniere dello Stato pensa a venderli, mentre il professore pensa a conservarli. Potremmo anche decidere di buttare via tutto, ma oggi ci siamo accorti che l'eredità del passato ha un suo valore, ma non sappiamo se serve al turismo culturale, all'identità nazionale o a vendere più panini con salame. Invece all'estero, con l'operazione Mission Val de Loire i francesi stanno curando alla perfezione il loro paesaggio culturale: ci hanno messo un marchio e ora sono passati all'incasso. Gli Americani pure sono bravissimi a gestire la singola organizzazione e lo vedremo al Paul Getty Museum di Los Angeles. In Italia invece facciamo funzionare bene i maccheroni venduti in pieno centro storico. Tutto il resto, che sia la valorizzazione delle Ville Venete o il coinvolgimento dei privati nel museo Madre di Napoli, è ancora lontano dal fare.

"ENTE D' AZZARDO" di Antonino Monteleone - L'Enpam è la cassa di previdenza dell'ordine dei medici e degli odontoiatri, conta 400 mila iscritti e ha 11 miliardi di patrimonio. E' considerata la più ricca tra gli enti di previdenza privata. Ma negli ultimi tempi qualcosa ha cominciato a scricchiolare, poche settimane fa la Guardia di Finanza, su mandato della Procura di Roma, ha perquisito la sede dell'Enpam, l'ipotesi di reato e truffa ai danni dell'Ente. Tutto nasce dalla denuncia dei presidenti dell' Ordine dei Medici di Bologna, Catania, Ferrara, Latina e Potenza che dopo che una società esterna di revisione ha scoperto perdite tra i 400 e gli 800 milioni di euro, si sono preoccupati delle sorti dell'Ente.

C'E' CHI DICE NO: "PAOLO ZAMBONI" di Bernardo Novene - Nel 2007 il professor Paolo Zamboni, chirurgo vascolare di Ferrara, scopre che i malati di sclerosi multipla sono affetti da una malformazione alle vene giugulari e azygos, con un piccolo intervento endovascolare i pazienti perdono la stanchezza dovuta alla malattia e riacquistano il movimento degli arti. Ma i neurologi sono scettici, e così la sperimentazione, nonostante la disponibilità della regione Emilia Romagna, è ferma. Servono 2 milioni e mezzo di euro. Ma i malati hanno fretta e contro il parere del proprio neurologo si sottopongono a interventi a pagamento nelle cliniche private.

2 dicembre 2011

Il fiume ( d’oro ) se ne va

Capitali in fuga in lingotti d'oro. Non ci sono dubbi sull'origine del vero e proprio boom in corso nelle esportazioni verso la Svizzera di oro greggio non monetario (cioè concretamente di lingotti). E’ iniziato da agosto, aumentato in settembre e confermato in ottobre. E’ evidente l’intenzione di sfuggire ad eventuali decisioni fiscali in Italia portando capitali sotto forma di lingotti nelle discrete banche oltralpe.

Il flusso è così consistente che negli ultimi tre mesi la Svizzera è al primo posto per la crescita delle esportazioni italiane:30 - 40% complessivo ma non si tratta di esportazione di manufatti, ma secondo l’Istat si tratta dell’oro in lingotti: +141,3% ad agosto in valore rispetto ad un anno prima, +157,7% a settembre e il flusso non si è per nulla interrotto in ottobre.

Solo in settembre hanno valicato le Alpi più di 13 tonnellate di lingotti, quasi il doppio rispetto a settembre 2010 e della media dell’ultimo anno. Alcune società finanziarie svizzere, interpellate dal quotidiano di Confindustria, hanno confermato la tendenza, che riguarda anche effetti personali in misura non quantificabile. Si trasferisce in Svizzera i propri risparmi nella legalità, timorosi di una bancarotta dello Stato, ma soprattutto ci si sottrae a un'eventuale tassa patrimoniale che il nuovo governo tecnico italiano potrebbe istituire per la riduzione del debito pubblico. La crescita era iniziata già a metà del 2010 ma ora è letteralmente esplosa e basta sondare gli esperti di Lugano per comprendere che accanto al flusso ufficiale alla luce del sole, anche se molto spesso riguarda il ritorno in Svizzera di capitali che avevano beneficiato dello scudo fiscale, ce n’è un altro, parallelo, ma non registrato dalle statistiche nazionali. Entrambi sono alimentati dall’incertezza sulla tenuta dell’euro e dal tentativo di proteggere il capitale.

C'è un problema, però. Da tempo in tutto il Ticino sono esaurite le cassette di sicurezza e dunque l'oro fisico acquistato attraverso la banca non viene ritirato e resta in deposito presso l'istituto di credito che lo inserisce nel conto patrimoniale del cliente. Se il conto è cifrato, l'oro è protetto da eventuali interventi fiscali da parte italiana, come se fosse in una cassetta di sicurezza. Ciò da cui non è protetto però, è l'eventuale fallimento della banca ne il fondo svizzero di garanzia sui depositi garantisce il deposito in oro in quanto è un bene fisico e si garantisce da solo. In caso di fallimento della banca il recupero dei depositi auriferi da parte del cliente non è così scontato. Cosa accadrebbe se lo scenario apocalittico che molti temono si materializzasse e tutti i clienti si recassero nelle banche a ritirare i loro lingotti ? A differenza dell'argento l'oro non ha alcun uso industriale, esclusa ovviamente la gioelleria. E l’oro comprato esiste davvero? Il rischio è che il risparmiatore sia convinto di acquistare oro fisico mentre non è così. Questo mercato ha alimentato le quotazioni dell'oro, aumentando il sospetto che non ci sia corrispondenza reale tra le quantità nominali di oro nel mondo e quelle effettivamente disponibili. Una “ bolla dell’oro” che prima o poi rischia di scoppiare. Senza dimenticare che capitali più consistenti e in mani forse più “esperte” probabilmente prendono direzioni ben più lontane dei nostri vicini oltralpe.

nella foto distributore di lingottini d'oro all'aereoporto internazionale di Orio al Serio ( BG)

(mm)