27 aprile 2019

Che fare se perdiamo il Palazzo d’Inverno?


di Massimo Marino


1)   Il 23 ottobre del 1917, in realtà la notte del 7 novembre del nostro calendario, i bolscevichi presero il Palazzo d’Inverno, sede storica degli Zar nella capitale della Russia San Pietroburgo ( all’epoca Pietrogrado). La banalizzazione della Storia, che spesso viene raccontata senza ricavarne una memoria rispettosa dei fatti e degli insegnamenti che può regalare indica in quella notte la fine dello zarismo, la vittoria dei Soviet e l’inizio della storia del Comunismo fatto Stato. Parentesi storica che durò in fin dei conti meno di 90 anni, cioè meno di una contadina delle steppe in buona salute. In realtà la dinastia degli Zar era già stata annientata da sei mesi e nel Palazzo d’Inverno era riunito il governo rivoluzionario provvisorio di Kerenskj. Era costituito da radicali liberali e socialisti moderati.  Lo sparuto drappello di bolscevichi aveva però trascinato con sé una consistente frazione di operai, soldati e contadini, ma anche intellettuali stufi dei capricci degli Zar, appellandosi a tre semplici parole d’ordine: uscire dalla guerra, garantire il pane a tutti e dare più riconoscimento al ruolo dei consigli degli operai e dei contadini. 



In realtà quella notte (fig1)  non ci fu nessuno scontro perché nel Palazzo non c’era nulla da conquistare. Un migliaio di cadetti dell’Accademia e un altro migliaio di soldatesse del battaglione femminile non opposero nessuna resistenza e dopo due cannonate a salve da una nave in mano agli insorti sulla Neva si arresero. Due morti in tutto. Il governo provvisorio che era riunito nel palazzo fu mandato a casa ed al suo posto si riunì l’assemblea dei Soviet. Non essendo comodo per le riunioni il Palazzo venne presto abbandonato. Perché lì non c’era motivo di stare.  Per quanto ne so le riunioni dei Soviet si spostarono ben presto in un comodo albergo di Mosca famoso per essere l’unico allora esistente fornito di acqua calda, riscaldamento efficiente e telefoni.

La storia, che trovo divertente ma solo fino ad un certo punto, traslata ai giorni nostri è come se un manipolo di aderenti a Rifondazione Comunista nel 2017 occupasse la sede nazionale del PD in via del Nazareno a Roma, ne espellesse la segreteria nazionale riunita e si dichiarasse legittimo rappresentante della Nazione in nome del popolo. Tranne scoprire ben presto che nei locali i telefoni sono tagliati, le stampanti non hanno più il toner e nei bagni scarseggia la carta igienica.  Insomma, che dal Nazareno si può anche andarsene prima che faccia notte perché lì ormai non c’è più niente e se si vuole conquistare il potere bisogna cercarlo da qualche altra parte.


2)    La notte del 4 marzo 2019 al termine delle elezioni politiche gli exit poll prima, le proiezioni e i primi dati consistenti poi indicavano senza ombra di dubbio il grande successo del M5Stelle, di gran lunga primo partito italiano del momento con il 32,7% e 10,7 milioni di voti alla Camera, con un particolare trionfo in numerosi collegi del centro sud Italia dove superava in molti casi il 40% e in alcuni anche il 50 percento.  Nessun movimento o partito politico italiano aveva raggiunto negli ultimi 70 anni un risultato così straordinario e del tutto insolito considerato che ancora 10 anni prima, esattamente l’8 marzo 2009 le “Liste Civiche Beppe Grillo” non ancora neanche costituite in movimento nazionale definivano sommariamente a Firenze le “5 stelle” su cui agire nei Comuni italiani. Di presenza in Parlamento neppure si parlava ( fig 2 ). 

Qualcuno quella notte dello scorso anno in un comprensibile sfogo di entusiasmo ha parlato di conquista dello Stato (“lo Stato siamo noi!”). In attesa di trovare tre mesi dopo un accordo di governo, abilmente e correttamente definito contratto (su cose da fare) e non alleanza (fra partiti vicini) i leader vincenti ebbero il tempo di trovare e conoscere il loro Palazzo d’Inverno, cioè la dislocazione delle stanze di quei Ministeri da cui dare avvio a quella vera e propria rivoluzione gentile (“il cambiamento”) che, non ho mai avuto dubbi, era ed è ancora l’obiettivo del M5Stelle. Come tanti altri ho provato soddisfazione ma anche preoccupazione per i risultati elettorali. Da quasi dieci anni sono un puntuale elettore dei grillini e lo sarò anche alla prossima puntata anche se neanche per un momento ho pensato di farne parte. La soddisfazione derivava dal vedere decine di personaggi (di destra e di sinistra) fra i principali responsabili del declino italiano degli ultimi 30 anni, restare almeno per un po’ disoccupati e buttati fuori dalle aule del nostro Palazzo d’Inverno. Le ragioni della preoccupazione sono più complesse e vale la pena spiegarle.



3)  Dal 2013 sostengo che con tutti i mezzi non verrà mai permesso al M5Stelle di governare davvero. Per questo siamo nel mezzo di una guerra civile a bassa intensità che non prevede alla fine prigionieri.  Si tratta di un movimento che, scontato un lungo elenco di difetti, ingenuità, infiltrazioni, qualche trasformismo e qualche massimalismo qua e là, ha un codice genetico incline ad un vero cambiamento di sistema, con caratteristiche rivoluzionarie i cui punti di forza sono sostanzialmente tre: una forte inclinazione sociale che contrasta la povertà, una forte sensibilità ambientale consapevole del nostro precario futuro, una radicale ostilità ai fenomeni di clientelismo e corruzione contro la casta vista in prevalenza nei vecchi partiti. Su questi tre punti di forza, non so quanto consapevolmente messi insieme e non so da chi, si è davvero avviato un esperimento rivoluzionario: un movimento politico che si colloca indiscutibilmente al Centro della scena politica ( con una impronta radicale invece che moderata ), che  assume alcuni geni fondanti della sinistra, dell’ambientalismo, ma anche del conservatorismo popolare e di destra e promuove un progetto di reale cambiamento che aspira a diventare maggioranza sociale. Prefigurando una società dove si attua un riequilibrio della distribuzione della ricchezza, una conversione in senso ecologico delle forme disastrose dello sviluppo economico, un rinnovamento radicale della classe politica e indirettamente delle élite sociali che la sostengono. Non ha niente ha che fare con i cosiddetti populisti più o meno di destra che si aggirano per l’Europa che hanno in genere obiettivi che nella loro vaghezza sono lontani e spesso opposti
Dopo una incerta collocazione iniziale anti UE e anti Euro saggiamente il Movimento si è corretto e ha assunto posizioni di forte critica all’ attuale funzionamento dell’Europa politica e di contrarietà alle politiche di austerità, critica ormai diffusa anche in vari altri gruppi di destra e di sinistra. Nel Parlamento europeo sulle tematiche sociali e ambientali i grillini hanno praticato le maggiori convergenze con la Sinistra della GUE e con i Verdi. In Italia il sistema dei media e i vecchi partiti li hanno accusati, ancora fino a ieri, di essere di destra (PD e alleati) o di essere pericolosi comunisti (Berlusconi e la Meloni). 

Le ragioni originarie della mia preoccupazione partono dalla misura dei rapporti di forza, dalla scadente connotazione di possibili alleati che pure sono necessari e poi dall’elenco degli errori, alcuni rilevanti, che compie l’attuale leadership ufficiale del Movimento. 
                                               

4) Il Movimento è totalmente assente dal governo delle Regioni ed è al momento poco probabile che ne conquisti qualcuna. Fallito nei decenni scorsi un vero federalismo ragionevole (sostituito dal miserabile autonomismo dei leghisti ex nordisti) le Regioni sono state occupate da un personale politico scadente con ampi varchi a clientelismo, corruzione e inefficienza e sono in piena crisi.  Nel giro di meno di due anni nelle Regioni probabilmente si completerà il passaggio di mano dalle clientele piddine a quelle di centro-destra quasi dappertutto. Non credo che ci accorgeremo della differenza. Ho la convinzione che non vedremo Regioni pentastellate.


Negli ottomila comuni italiani i 5stelle sono presenti con gruppi organizzati, in genere poco numerosi, in meno di un quinto. Dopo alcuni successi importanti fra il 2013 e il 2018 fra i quali i tre principali sono Roma, Torino, Livorno, meno di una cinquantina di comuni su ottomila hanno un governo a 5Stelle. Alcuni sono già stati persi al secondo giro. Improbabile che ci siano nuovi sindaci grillini nelle due prossime scadenze parziali del 2019 e del 2020, specie nei comuni a doppio turno. 

Le defezioni o le espulsioni dal Movimento riguardano circa il 10 % degli eletti totali che credo siano oggi quasi quattromila. Non trovo dati precisi. Perfino al Parlamento Europeo, abbastanza fuori dalla mischia e con numerosi riconoscimenti positivi del lavoro del semigruppo all’interno dell’EFDD, sono partiti in 17 e arrivati in 11. Se la coesione e l’organizzazione interna è così precaria quanti mesi dureranno le cinque Capolista scelte da Di Maio o chi per lui che nessuno conosce e che poco conoscono del M5S? Preciso che su espulsioni e defezioni non mi sono mai sentito vicino ai “dissidenti” che in genere non hanno mai espresso proposte alternative di comportamento che fossero ragionevoli utilizzando invece forme di contestazione subito usate dai media con il loro neanche velato consenso. Non conosco ex grillini che non abbiano fatto altro che varcare il fiume e accasarsi (in attesa di scomparire) in uno dei vecchi partiti. Solo alcuni sono scomparsi dalla scena, rari quelli che si sono dimessi. Anche questa esperienza mostra, se ce ne era bisogno, che l’art. 67 della Costituzione, che garantisce la totale autonomia degli eletti senza alcun vincolo di mandato, richiede dei correttivi almeno regolamentari che limitino il trasformismo ed il cambio di casacca dilagante. 


5)  Da qualche tempo il flusso spontaneo di nuove adesioni al Movimento si è ridotto. Secondo me è vicino a zero. Non ci sono campagne di adesione di nessun tipo, l’attivismo e un po’ di proselitismo è prevalentemente concentrato sulle scadenze elettorali del momento. Pochissime le attività permanenti sul territorio in particolare quelle rivolte alla costruzione stabile di reti popolari o giovanili o di tutela ambientale o di azione civica. Sarebbero necessarie grandi campagne di stimolo al volontariato specie giovanile e consulte popolari dove i 5stelle hanno possibilità di governo. Iniziative simili promosse dai gruppi 5stelle sono inesistenti. Altri non ci sono in grado di promuoverle. Casaleggio (figlio) meno di due anni fa aveva annunciato l’obiettivo di un milione di iscritti attivi alla piattaforma Rousseau. Mi sembra che siano fermi a poco più di 100mila (pochissimi per un movimento che ha raccolto un terzo dell’elettorato attivo) e di fatto difficilmente più di 25-30mila partecipano alle votazioni più importanti. A me il perché sembra chiarissimo. Un iscritto al Movimento che non ha aspirazioni a candidarsi da qualche parte, dopo qualche tavolo preelettorale e qualche clic su Rousseau non ha nulla a cui partecipare, al massimo per non annoiarsi troppo si butta su FBK dove troverà di certo qualcuno con cui scambiare like o insulti e dove esprimere in 6-7 righe il suo punto di vista sul mondo, con nessuno discusso, basato su quanto ha letto sui giornali online o ascoltato nell’ultimo talk show della sera prima in tv.  
La piattaforma Rousseau è un utilissimo strumento tecnico per facilitare la consultazione degli iscritti. Ma ha un senso se a monte ci sono luoghi o reti dove si impostano e si discutono idee e progetti in modo approfondito, si diffondono nelle due direzioni fra base e vertici, se ne fa una sintesi in gruppi dirigenti di ambito regionale che sono indispensabili e possono annualmente essere rinnovati, si assumono da o si propongono a movimenti sociali e aree culturali, soggetti economici, associazioni e gruppi civici attivi che non siano caricature mascherate di questo o quel partito. Poi si sintetizzano in leadership nazionali non monocratiche e si traducono in atti di governo, azioni referendarie, campagne di mobilitazione.  Roussou fa questo? Se non fa questo con una qualche visibile efficacia a che cavolo serve? 

                                                                                                                   

6)  Al momento del successo elettorale dello scorso anno il sistema dell’informazione (i media) era più o meno quello di oggi: cinque quotidiani nazionali di rilievo, una decina di importanza minore e circa 500 testate locali, tutti referenti a pochi editori “non puri”, cioè la proprietà ha altre attività economiche prevalenti di cui la carta è solo strumento di sostegno. Otto canali televisivi di rilievo di cui quattro pubblici e complessivamente circa 360 canali tv privati facenti parte per lo più di quattro gruppi ( Sky, Mediaset, Fox, Discovery).  Tutti i citati dopo aver compreso il lungimirante messaggio di Casaleggio (padre) di più di dieci anni fa sul ruolo che avrebbe assunto la rete, si sono dotati di corsa di una consistente proiezione sul web (forse solo la RAI, come sostiene la Gabanelli, è rimasta indietro). 
Il problema è che il 99 percento (stima prudente) degli editori, direttori, capi redazione, cronisti di punta, giornalisti, editorialisti di questo sistema mediatico, indifferentemente se di destra o di sinistra, se pubblico o privato, sono apertamente OSTILI al Movimento 5Stelle, come lo sarebbero per qualunque altro movimento che dichiara e tenta di praticare davvero progetti di cambiamento radicale della società italiana. Sono ostili perché sono il prodotto di una selezione naturale di figure che da anni sostengono le vecchie élite  e discriminano nell’informazione gli altri. Se domattina un famoso editorialista di punta di un quotidiano di rilievo si innamorasse perdutamente di una grillina o di una battagliera notav e per aumentare le proprie possibilità, magari approfittando della assenza per malattia del caporedazione, pubblicasse un intervento a favore dei 5Stelle o dei notav, non avrebbe la possibilità di pubblicarne un secondo perché il giorno dopo sarebbe fuori dalla redazione o a scrivere di sagre paesane della Val d’Aosta.

Per fare un esempio se si segue con metodo per qualche giorno gli editoriali di Stampa, Repubblica, Corriere o il palinsesto quotidiano di La7, Rainews24, Italia1, è praticamente impossibile non trovare tutti i commenti politici di testa prevalentemente costruiti in forma di denigrazione dei 5Stelle, oppure inventati per celare episodi sconvenienti riguardanti altri partiti o altri soggetti sociali di rilievo. In questi giorni in Umbria, Calabria, Lazio si sono susseguiti in modo impressionante episodi gravi di possibile rilievo penale per il PD (a cui fanno riferimento la maggioranza dei commentatori dei media cresciuti nel decennio passato) Si sono aggiunti episodi riguardanti la Lega con suoi esponenti di rilievo nazionale. Puntualmente si è subito inventata e riaperta una campagna mediatica contro la Raggi (valutata evidentemente come punto debole) che rioccupa così da giorni i titoli di testa di giornali e tv. I presupposti della campagna denigratoria sono ridicoli nella loro scarsa consistenza. Così di nuovo si dà anche fiato a Salvini, come hanno fatto per mesi i giornali “progressisti”, malgrado recentemente si fossero tutti accorti di avere esagerato nel favorirlo. Si aggiunge addirittura il problema dei 12 miliardi di debiti della Capitale (o meglio dei relativi alti interessi che nessuno ha mai provato a rinegoziare) sorvolando sul fatto che riguardano le gestioni precedenti di Veltroni,  Rutelli,  Alemanno e Marino.  Si tratta evidentemente di una guerriglia mediatica, un lavoro da untori manzoniani  più che da cronisti neutrali, che non ha nulla di spontaneo e sta anzi aumentando con l'avvicinarsi delle elezioni, mentre si imporrebbe l’apertura di un dibattito sulla differenza fra libertà di stampa, libertà di diffamazione, etica dei produttori di notizie. Sul tema non vedo però alcuna efficace reazione dei leader 5stelle.


7)   Per avviare un cambiamento sociale che richiede comunque anni non basta vincere le elezioni. Si tratta di disgregare una alleanza sociale consolidata da tempo (che ho chiamato “la palude di centro”) e costruirne un'altra a partire dal risultato elettorale dove sono inevitabilmente confluite molte persone che, tranne i giovani neovotanti, si portano dietro dal passato retaggi culturali precedenti. Per consolidare una alleanza e maggioranza sociale diversa non basta il successo elettorale ma serve un solido intervento culturale che anche sul territorio dia un’idea concreta di nuova comunità e di sensibile cambiamento. Altrimenti è inevitabile che le campagne diffamatorie abbiano un qualche effetto disgregativo almeno in direzione del ritorno all’ astensione totale. I leader del Movimento magari frastornati potrebbero fare il tragico errore di tergiversare sugli obiettivi e illudersi che un maggiore moderatismo permetta di sopravvivere.  I 5Stelle hanno uno spazio egemonico come centro radicale, non ne avrebbero nessuno se si adeguassero ad un moderato centrismo mediatorio ed inefficiente. 


Nelle elezioni politiche del 2013 il M5S ha ottenuto alla Camera 8,7 milioni di voti ( 25,5%) ma già nel 2014 alle Elezioni europee,  nel pieno del sostegno dei media verso Renzi e l’illusoria opzione della rottamazione i voti del M5S scendevano a 5,8 milioni ( 21,2%).  Con la fine del renzismo, con  l’assenza momentanea di altri referenti forti delle élite sociali e la crisi evidente dei sistemi politici e delle burocrazie europee su tutti i terreni, nelle ultime elezioni del marzo 2018 gli elettori hanno dato al Movimento 10,7 milioni di voti. Però, a differenza del 2013, con un forte squilibrio fra nord e sud ( fig 3). 

E’ bene chiarire che il successo dei grillini non ha affatto svuotato il grande serbatoio degli astenuti ma casomai ha momentaneamente sguarnito il paniere elettorale degli altri partiti e raso al suolo praticamente tutti i potenziali elettori dei partiti minori che ormai sopravvivono solo come minuscoli gregari di altri. Nelle elezioni politiche del 2013 come in quelle del 2018 il totale vero delle astensioni (sempre scorrettamente sottostimate dai media che non vi includono bianche e annullate) è stato di circa 16,8 milioni di elettori su un corpo elettorale di circa 50,5 milioni compreso il voto all’estero. Alle europee del 2014 le astensioni sono arrivate alla cifra record di 23,2 milioni. Una  involontaria e inconsapevole ma perfetta quinta colonna delle Élite.  Il M5Stelle è passato quindi dagli 8,7 mil. del 2013 ai 5,8 del 2014 ai 10,7 milioni del 2018 sfiorando solo una piccola parte degli astenuti. L’esercito degli astenuti, visto come un miracolo di San Gennaro dagli altri partiti, è invece un problema serio per i 5Stelle. Se alle imminenti elezioni europee non sono in grado di riguadagnare alle urne alcuni milioni di astenuti del 2014 si profila una storica sconfitta che porterebbe ad una rapida fine del governo, al profilarsi sicuro di un nuovo governo postelettorale di destra basato sull’asse Salvini-Meloni che, se fossero attendibili alcuni degli attuali sondaggi, è già a ridosso del 40%. Se il M5S tornasse ai voti del 2014, perdendo in un anno 5 milioni di voti, la storia del M5Stelle secondo me sarebbe nella sostanza conclusa.  


8)  Poiché dalla riflessione sugli errori fatti c’è sempre da imparare, almeno per chi si vuole assumere responsabilità di leadership, ne indico alcuni clamorosi che a mio parere hanno portato il Movimento alle attuali difficoltà.


Il primo riguarda la primavera dei referendum del 2016 (fallita clamorosamente) perchè promossa in modo confuso e settario da vari gruppi tutti referenti al variegato arcipelago della sinistra cosiddetta radicale,   dell’ambientalismo di base e di alcuni comitati o associazioni civiche. L’incapacità dei vertici, come sempre, di promuovere aggregazioni unitarie ha portato alla mancata raccolta delle firme e all’insuccesso. In aprile nel voto promosso da alcune Regioni sulle trivelle rimasto senza quorum con soli 15,8 milioni di votanti,  si era già avuto il primo segnale dell'insuccesso incombente. Abbiamo vinto successivamente, nel dicembre dello stesso 2016 l’unico referendum che non abbiamo promosso, cioè quello del PD di Renzi sulle modifiche elettorali e costituzionali. I 12 referendum e iniziative di legge popolare della primavera erano importantissimi e riguardavano il lavoro, la scuola, le trivelle, gli inceneritori, l’acqua pubblica e i beni comuni. Se il loro fallimento per mancanza di firme  ha chiuso di fatto la storia del frammentato arcipelago della sinistra più o meno civica e ambientalista che ormai non è più neanche in grado di presentare agli elettori qualcosa di credibile, trovo incomprensibile capire perché il M5Stelle, pur condividendo in gran parte i quesiti, non si sia impegnato davvero nella campagna referendaria pur non essendone diretto promotore. In 10 giorni si sarebbero raccolte le firme, i referendum si sarebbero stravinti, l’Italia avrebbe avviato un grande processo riformatore, probabilmente con maggiori possibilità di successo della illusoria presa del nostro Palazzo d’Inverno occupato insieme con un manipolo di leghisti che gioca con la xenofobia, con le nostalgie di qualche postfascista del terzo millennio e con le paure in buona parte non motivate dell’invasione degli extra comunitari.   
In generale non capisco perché i 5Stelle non abbiano mai promosso o sostenuto da soli o con altri iniziative referendarie che si sono rivelate nella storia italiana fra le novità più importanti. Inoltre l’intenzione di riformare i referendum eliminando fra l’altro il quorum del 50% che li squalifica di molto (una radicalata che forse neanche la Bonino sostiene più) è uno dei più incredibili errori che mi lascia allibito.


Il secondo errore riguarda la scelta di concentrare tutti i ruoli di vertice in un'unica persona: il cosiddetto” capo politico”. Per un movimento di tipo radicale è la scelta più ingenua che si possa fare e ne ho già parlato a riguardo di Iglesias per Podemos. In un primo momento sembra una scelta che funziona, perché sembra dare visibilità al gruppo concentrandola sul leader. Lo hanno fatto in tanti ma se non sei il rappresentante delle èlite dura un po’ poi finisce malissimo. Dura fino a quando tutti gli oppositori del Movimento e i media di supporto non ne colgono i punti deboli e quindi concentrano su questa figura gli attacchi fino ad abbatterlo o renderlo imbelle (che è la stessa cosa). In realtà così si mette in secondo piano il progetto di alternativa del Movimento che è il punto di forza dei grillini, non Di Maio o chiunque altro lo sostituisse. Va aggiunto, anche se pochi lo ricordano, che Di Maio come leader grillino è stato scelto prima di tutto dai media per la sua supposta moderazione, e Grillo seppure con i suoi soliti toni ironici non ha mancato di segnalarlo. Più in generale la formula organizzativa del M5S, confusa e alla fine verticistica, non reggerà alla scadenza del secondo mandato per tanti (che è alle porte). Già i verdi italiani la sperimentarono negli anni ’80. Quando venne archiviata la regola del doppio mandato (ovviamente dopo 8-10 anni dalla nascita ) e venne sostituita dal solito leader unico si risolse con il conseguente disastro. La scadenza si sta rapidamente avvicinando anche per Di Maio e sarebbe utile avviare per prima cosa la costruzione di gruppi dirigenti regionali utili anche per  chi ha superato i due mandati oltre che per riacquisire più vicinanza ai tanti movimenti locali.  


Il terzo errore riguarda la ambiguità nel chiarire fin dall’inizio le differenze fra i due alleati di governo e quindi gli inevitabili limiti del governo stesso. E’ evidente che se progetti come il TAP, il Terzo Valico, fino all’ILVA, alla TAV o agli F35 non sono fermati o sospesi e modificati come promesso nella campagna elettorale è conseguenza dei rapporti di forza non di tradimenti. Chi parla di tradimento delle promesse elettorali promettendo vendetta, se non è in malafede ha come unico risultato di accentuare le difficoltà e l’isolamento perché senza alleanze sociali e istituzionali non si vince nessuna battaglia.  

Ma la difficoltà a esprimere con chiarezza una propria visione è avvenuta in particolare sul tema dell’immigrazione. Se le polarizzazioni estreme del binomio razzisti/antirazzisti sono inaccettabili entrambe, era doveroso dall’inizio spiegare e attuare percorsi concreti di immigrazione controllata che bloccassero il flusso ingestibile di immigrazione irregolare, che diventa in gran parte inevitabilmente clandestina e fuori controllo. Una alternativa, certo non facile,  che deve essere tentata per indicare all’intera Europa una strada praticabile e indebolire le tendenze xenofobe. Per ogni immigrato che arriva con i barconi c’è un gruppo criminale che incassa alcune migliaia di euro o di dollari e in questi viaggi della disperazione è scontata una rilevante percentuale di morti. Così come si sa che  una parte non marginale degli arrivati è o diventerà succube del giro di prostituzione, schiavismo, spaccio, lavoro nero etc.  La questione irresponsabilmente non viene valutata a sufficenza dai fautori dei “porti aperti, porte aperte”. Viene invece vergognosamente usata da chi fa le proprie fortune elettorali seminando paura, xenofobia, fino a retaggi fascisti che in questo caso fanno leva sul rischio “invasione”. Il risultato è il regalo del 40 percento possibile di elettori al duo Salvini-Meloni secondo alcuni sondaggi. Io non ho nessun dubbio che si debbano chiudere completamente gli ingressi irregolari nella misura del possibile ma questo è accettabile solo se contemporaneamente si aprono strade di emigrazione alla fonte che permettano, specie nelle situazioni di crisi (guerra, clima, fame) un flusso consistente di entrate regolari per i quali si garantisca accoglienza e vera integrazione..


Per concludere non si può evitare di sottolineare la totale assenza di voce del M5Stelle nelle mobilitazioni che si sono avviate in seguito alla inefficacia delle strategie energetiche sui Cambiamenti climatici che con l’iniziativa  di Greta Thumberg hanno ridato un po’ di spazio a chi richiede l’abbandono dei fossili.


Le strategie energetiche e di sviluppo delle rinnovabili con i governi Letta, Renzi, Gentiloni (maggio 2013 - marzo 2018) con l’apporto penoso dell’ex ministro Calenda, sono state un vero disastro. Abbiamo praticamente perso quasi 5 anni ( fig 4) ma la piccola svolta fino ad oggi visibile del governo Conte, positiva malgrado il crollo dell’idroelettrico a causa della siccità, non segnala grandi novità: Siamo risaliti a circa il 33% di rinnovabili ma senza i 5 anni persi potremmo essere al 50%. Il Piano nazionale integrato Energia e Clima che dovrebbe essere definito per fine anno (se il governo ci arriverà) non è all’altezza della crisi ma per il momento soltanto Greenpeace e pochi altri portano all’attenzione l’importanza dell’appuntamento. L’impressione che la gestione Di Maio-Toninelli-Costa sia particolarmente debole e incerta su tutte le problematiche ecologiste è ormai diffusa anche all’interno del Movimento. Singolare che pur nella situazione di attacco e di crisi che vive la leadership 5Stelle nessuna voce e soprattutto nessun atto concreto abbia risposto alle mobilitazioni accanto a Greta ed alla evidente radicalizzazione ecologista, specie fra i giovani della generazione 100, che, insieme all’avvio del reddito di cittadinanza, sembrano l’unica positiva novità recente nel nostro paese.


Sarà banale ma le rivoluzioni si fanno nella società mentre il nostro Palazzo d’Inverno si può conquistare e si può perdere. Ad esempio, i referendum del 1987, 2011, 2016 hanno portato ad alcuni grandi cambiamenti alla società italiana. 

Il Movimento fondato da Grillo ha fatto bene all’Italia e mi auguro che vada avanti e non si snaturi. Se questo Movimento dovesse andare a pezzi si dovrà pensare a come  costruirne un altro molto simile magari evitando gli errori più evidenti .

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