25 febbraio 2019

La tariffa dell’acqua è una truffa?



La tariffa dell’acqua è una truffa? Lo dice il Comitato provinciale Acqua Pubblica Torino nel dossier presentato il 22 gennaio scorso al Caffè Basaglia di Torino. La responsabilità risale al Governo Berlusconi IV che, per neutralizzare il referendum del 2011, nel complice silenzio dei Comuni italiani, ha privatizzato il sistema di governo del Servizio Idrico Integrato abolendo il Comitato Nazionale Vigilanza sulle Risorse Idriche (COVIRI), struttura di supporto del Ministero dell’ambiente, ed esternalizzandolo ad ARERA (Autorità di Regolazione Energia Reti e Ambiente).
ARERA (=Bengodi) è finanziata con la tariffa dell’acqua riscossa dalle aziende che gestiscono il Servizio Idrico Integrato, nella misura dell’1‰ (uno per mille) dei ricavi. Al 31 dicembre 2017 aveva un deposito bancario attivo di € 80.744.896 e ha compiuto operazioni immobiliari milionarie che non hanno giustificazione.

Il Collegio di ARERA è composto dal presidente e quattro membri (nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e che durano in carica sette anni). Percepiscono 240.000 € annui cadauno, a cui vanno aggiunti, per il 2017, ulteriori € 148.555 complessivi di rimborsi spese.
Il compenso dei Revisori dei Conti è di € 35.000 annui per il Presidente e di € 31.500 ciascuno degli altri, quasi il doppio del limite massimo dei compensi dei Revisori dei Comuni con più di 500.000 abitanti e notevolmente più elevati dei compensi applicati nel settore privato. Godono inoltre di un rimborso spese complessivo di € 33.906.
I dipendenti ARERA al 31 dicembre 2017 erano 160, aumentati di altre 25 unità nel corso del 2018 a seguito dell’attribuzione delle competenze sul ciclo dei rifiuti urbani e assimilati. Anche per i lavoratori di ARERA si ha la sensazione di una condizione di “privilegio” rispetto alla situazione generale dei lavoratori italiani, confrontando alcune cifre. In ARERA, nell’anno 2017, la media delle retribuzioni è stata di € 114.267 pro capite (con un costo pro capite di € 154.802), mentre secondo il Jp Salary Outlook, rapporto dell’Osservatorio di JobPricing, portale che fa riferimento alla società di consulenza HR Pros, nel 2017 lo stipendio medio in Italia è stato pari a € 28.977 lordi all’anno.

Nonostante il referendum del 2011 abbia abrogato la quota di tariffa destinata alla “remunerazione del sette per cento del capitale investito”, e cioè il profitto sull’acqua, finora ARERA ha continuato impunemente ad addebitarla in bolletta sono il nome di “oneri finanziari” corrispondenti a circa il sei per ceno del capitale investito. Impunemente grazie a una sentenza del Consiglio di Stato che ha tenuto per buoni gli algoritmi di ARERA e ha respinto il ricorso del Movimento dell’acqua, condannandolo anche al pagamento di quasi 40.000 euro di spese legali. Anche in questa vertenza abbiamo purtroppo dovuto constatare il disinteresse pressoché totale dei giuristi italiani, ai quali non ha fatto specie nemmeno il fatto che un provvedimento legislativo (il DPR che ha ratificato l’esito referendario) sia stato praticamente annullato da un atto amministrativo, una semplice deliberazione, di un ente non elettivo come ARERA.
Con tale atto (il Metodo Tariffario) ARERA ha interpretato a suo modo le direttive europee e la legislazione italiana secondo le quali la tariffa dell’acqua deve coprire tutti i costi che il gestore sostiene per fornire il servizio idrico. Ma i cosiddetti “oneri finanziari” non sono un costo: essi corrispondono alla quota di profitto garantito al gestore e pagato dall’utente. I nostri Comuni, tutti rappresentati nell’ATO3 Torinese (Autorità Territoriale Ottimale nella quale sono rappresentanti tutti i Comuni dell’Area Metropolitana di Torino) hanno approvato questo sistema che, dal 2013 al 2017, oltre ai costi reali di gestione e investimento del servizio idrico, ha prelevato dalle nostre tasche ulteriori € 150.904.000. Che poi gli investimenti siano stati realizzato o meno, è tutto da vedere.

Altro esempio di speculazione tariffaria è dato dalla voce “morosità”, una passività da non confondere con un costo di gestione o di investimento come una tubazione o un’ora di lavoro. ARERA invece confonde deliberatamente e non si pone nemmeno il problema se la morosità sia dovuta a disonestà/inciviltà o a reali difficoltà economiche dell’utente, e se sia giusto o no scaricarla sul resto degli utenti, anzi ci fa la cresta. ARERA, infatti, non si limita a recuperare dall’utenza la cifra mancante, impone invece una percentuale sul fatturato. In tal modo, SMAT, che ha una morosità che negli anni dal 2013 al 2017 si aggirava intorno ai 10-12 milioni di euro, non addebita in tariffa le perdite reali, ma, con la percentuale calcolata sul fatturato, incassa quasi il doppio del dovuto: ben € 23.712.000 negli anni dal 2013 al 2017. 

E c’è, poi, la questione del conguaglio (= irresponsabilità imprenditoriale). Mettiamo che io compri un’automobile. La pagherò al prezzo di listino più eventuali accessori e spese di registrazione ecc., meno un eventuale sconto. Mettiamo che dopo un anno o più il venditore mi chieda un conguaglio del prezzo perché ha venduto meno auto del previsto, ha incassato di meno e vuole recuperare la differenza. Non esiste? Per ARERA esiste, e come! Ed esiste anche per i nostri sindaci che hanno autorizzato SMAT ad addebitare in bolletta ben 46.652.540 di euro suddivisi in rate annuali a partire dal 2015, a titolo di “conguaglio ante 2012”. Tipico comportamento da “carrozzone pubblico” che scarica sui cittadini gli errori/incapacità/furbizie dei vertici aziendali. Far soldi in questo modo non è da imprenditori seri e capaci.

Ma torniamo al conguaglio: non è un costo, è un errore di previsione del gestore e dell’autorità d’Ambito dove tutti i nostri Sindaci sono rappresentati, errore del quale sono responsabili loro e non gli utenti. Perfino il Giudice di pace di Torino ci ha dato ragione e SMAT deve restituire il maltolto. E invece SMAT ha fatto ricorso in Tribunale, pagando i suoi avvocati con i nostri quattrini.
Questi esempi dimostrano che ARERA è l’anima nera della gestione del Servizio Idrico. Grazie alle sue delibere e alla connivenza dei nostri Comuni in ATO3, SMAT ha potuto gonfiare la tariffa dell’acqua oltre i limiti di legge, incassando negli ultimi 5 anni ben 283.400.000 € più del dovuto. Ma questo è il frutto di speculazioni sulla tariffa: un’azienda che fa profitti con questi sistemi non è un’azienda sana.
Che altro possiamo aspettarci da un’Autorità pagata profumatamente dalle Società per Azioni del settore idrico che in quanto SpA hanno “scopo di lucro”?

Per queste ragioni chiediamo che la proposta di legge n. 52, Daga e altri, nata dalla legge d’iniziativa popolare promossa 10 anni fa dal Movimento dell’acqua e solo oggi in discussione alla Camera, venga approvata al più presto perché risponde a due necessità fondamentali per il futuro della nostra acqua: la sua gestione pubblica e partecipativa senza scopo di lucro e lo scioglimento della sanguisuga ARERA.

Torino 1 febbraio 2019

24 febbraio 2019

Germania: Riforme SPD 19, Il futuro nel lavoro


La SPD ha iniziato a presentare il suo piano di riforma dello Stato sociale tedesco. Si comincia con l'Hartz IV. Qui qualche commento.


Andrea Nahles, da poco meno di un anno presidente della Spd, sta tentando di far uscire il suo partito dalla crisi nella quale si trascina ormai da anni. Una crisi confermata dai sondaggi che danno ormai i socialdemocratici terza forza politica dopo i conservatori e i Grünen e a rischio di essere superati dalla stessa Alternativ für Deutschland. Per invertire questa tendenza, Nahles ha intenzione di innovare profondamente il programma del partito e ha già avviato una discussione interna con lo slogan “Zukunft in Arbeit” (il futuro nel lavoro).
Lasciamo per ora da parte la questione del se e del come la Spd riuscirà a far convivere queste proposte – molte delle quali sono già state valutate molto negativamente dai vertici della Cdu – con la sua presenza in un’alleanza di governo che, almeno nel testo del Koalitionsvertrag, non prevede moltissimi degli interventi chiesti dalla socialdemocrazia. Anche perché, d’altro canto, alla Spd serve tempo, quantomeno per comunicare agli elettori queste nuove proposte: il partito di Nahles è indubbiamente l’ultimo a volere adesso una crisi di governo che condurrebbe a nuove elezioni (catastrofiche per la socialdemocrazia).

Il primo pacchetto di riforme che la Spd ha presentato lunedì scorso (Un nuovo stato sociale per un nuovo tempo) è dedicato proprio al lavoro e, in particolare, al superamento di gran parte delle famose riforme di Schröder, la ormai celebre Agenda 2010.
A fare da perno del sistema è un diritto al lavoro (Recht auf Arbeit) con il quale la Spd intende schierarsi decisamente contro un reddito di base o di cittadinanza (Grundeinkommen). Diritto al lavoro significa che «la comunità solidale si obbliga a occuparsi di ogni singolo membro e rendere possibile ad ognuno lavoro e partecipazione, invece di sottrarsi da questa responsabilità con un reddito di base». Il lavoro resta, dunque, elemento centrale anche nell’epoca della digitalizzazione e del mutamento tecnologico: «salari equi e buone condizioni di lavoro restano anche per il futuro la chiave di una vita autodeterminata». Tutela e dignità del lavoro si traducono in proposte concrete: salario minimo (approvato proprio dalla Grande coalizione a partire dal 2015 e fissato a 8,50 euro, attualmente è di 9,19 euro e, in prospettiva, la Spd lo fissa a 12 euro, misura che dovrebbe coinvolgere poco meno di 10 milioni di lavoratori), maggiore centralità dei contratti di categoria (tramite vantaggi fiscali per le imprese che li adottano), rafforzamento della codecisione (Mitbestimmung) nei luoghi di lavoro, provvedimenti ad hoc per le nuove forme di lavoro autonomo (in particolare quelle delle piattaforme online) che garantiscano «diritti e condizioni minime di lavoro, come una paga minima e protezione sociale».
C’è, poi, l’altra gamba del sistema (per ragioni di spazio non ci soffermiamo sugli interventi previsti per la famiglia, come un’assicurazione universale per i bambini), quella rivolta a chi non lavora (e non accede quindi ai benefici previsti dalla tutela della disoccupazione che i lavoratori stessi pagano mensilmente con le trattenute sulla basta paga) o a chi, pur lavorando, non guadagna a sufficienza da garantirsi una vita dignitosa.

Qui si prevede il superamento del sistema dell’Hartz IV con un nuovo Bürgergeld (diciamo una sorta di reddito minimo garantito) fondato su tre presupposti. 1) È privo di sanzioni, quantomeno di quelle senza senso e vergognose: si pone ovviamente subito il problema, per ora non chiarito del tutto, di quali siano queste sanzioni. 2) È più attento alla storia professionale di ogni singolo cittadino, per evitare che debba essere costretto ad accettare ogni proposta di lavoro. Infine, 3) rende possibile per i titolari di questa prestazione di disporre comunque di piccoli patrimoni personali, mentre oggi chi riceve l’Hartz IV è obbligato a utilizzarli (quasi) completamente (finendo quasi sempre per peggiorare la propria condizione, diventando sempre più povero).

Si tratta di una modifica più letterale che sostanziale: il superamento del sistema di Schröder del fördern und fordern (incentivare e pretendere) avviene tramite altre formulazioni, tutto sommato abbastanza simili. I cittadini, ad esempio, sono senz’altro titolari dei diritti alle prestazioni dello Stato sociale ma sono anche investiti da precisi obblighi e responsabilità. La ragione è evidente: in un sistema che fa del lavoro il perno con il quale assicurare agli individui libertà e autodeterminazione, quelli che non lavorano vanno inseriti, quanto prima, in un percorso di riqualificazione professionale o messi nella condizione di tornare a lavorare. La Spd, però, tramite l’innalzamento del salario minimo vorrebbe combattere il fenomeno, oggi stabile ma comunque molto consistente, dei salari bassi o bassissimi e vorrebbe affidare i lavoratori che recepiscono il Bürgergeld (magari perché il loro salario è comunque troppo basso) alla mediazione dell’Agentur für Arbeit e non più degli uffici del Jobcenter (la cui asfissiante e irrazionale burocrazia è particolarmente odiata). In questo modo dovrebbe essere limitata il vero problema dell’Hartz IV: un enorme regalo alle imprese, tramite l’intervento dello Stato che mette di tasca propria una certa quota di salario (che dunque, nella sua quota di spettanza alle imprese, resta molto basso), senza che i lavoratori abbiano ricevuto alcunché in cambio. Lo testimonia il dato in base al quale i disoccupati sono diminuiti ma sono aumentati coloro che pur lavorando fanno domanda di Hartz IV.

In attesa di leggere anche le altre proposte è possibile fare due valutazioni. Innanzitutto Nahles sta riuscendo, lentamente, a dare la propria impronta al partito: superando razionalmente e senza inutili estremismi quanto andava superato delle riforme del 2003. Ci sono certamente ancora punti oscuri – come ha fatto notare il professor Butterwegge vicino alla Linke – ma nella sostanza è evidente che la Spd si stia confrontando con maggiore chiarezza e senza inutili affanni o estremismi con il proprio (recente) passato. Del resto che le riforme del 2003 abbiano bisogno di essere riviste e riaggiornate è un fatto ormai acquisito. Riacquistando alcuni tratti tipici della socialdemocrazia classica, a partire dalla centralità dei lavoratori e delle loro rappresentanze: è un inizio indubbiamente interessante, seppur segnato da alcune contraddizioni e forse non sufficiente a superare l’attuale crisi.

Perché ciò che ancora lascia aperto più di un dubbio sulla consistenza di queste proposte è il rapporto della Spd, più che con la propria storia, con il futuro: questa centralità del lavoro e dei lavoratori come si traduce in una proposta politica complessiva adatta al contesto internazionale che si è venuto a determinare negli ultimi anni? Qual è, ad esempio, la declinazione europea di queste proposte? Come ci si relaziona ai colossi economici che operano in Europa, come Amazon, il cui fondatore ha dichiarato proprio in Germania l’inutilità dei sindacati?


Ma ancor più stringente appaiono anche altre questioni: il ruolo dello Stato non solo nelle prestazioni sociali come il Bürgergeld ma anche nella tutela e nell’erogazione di beni comuni, a partire dal patrimonio immobiliare, dal quale lo Stato tedesco si è ritirato negli ultimi decenni con la conseguenza di un’impennata degli affitti in un Paese storicamente di affittuari e non di proprietari (Il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung segnala che il rischio di povertà è cresciuto enormemente proprio tra chi ha una casa in affitto). Le proposte della Spd permettono certamente di riaprire una discussione politica importante con le altre forze progressiste tedesche. Ma, almeno per ora, appaiono più dettate dalla gestione dell’emergenza che da una chiara indicazione di rotta.
* Berlino, 21 febbraio 2019 - da rivistailmulino.it   ( origine: fernandodaniello.net )

(nota mm : il contributo pubblicato sul tema non comporta da parte mia la condivisione del contenuto )