26 ottobre 2011

La poligamia in Libia

Il discorso di Liberazione tenuto la scorsa domenica dopo la morte di Gheddafi dal leader ad interim della Libia Mustafa Abdel Jalil ha nella sostanza reintrodotto la poligamia. L'organizzazione NGO "The Voice Of Libyan Women" basata a Tripoli, che rappresenta le donne che hanno combattuto contro la dittatura, non l'ha presa bene. Nella pagina FB, il movimento ha accusato il nuovo premier (che poi nuovo non è in quanto ex ministro di Gheddafi) di non aver citato il ruolo attivo nella rivoluzione delle donne che hanno combattuto con le armi, nascosto ribelli nelle proprie case a rischio della vita e di aver subito, per questo, stupri e uccisioni.

Jalil le ha ringraziate, ma solo in qualità di "madri, sorelle e mogli" e ha chiesto l'abolizione della legge attuale che impone a un uomo di ottenere il consenso dalla prima moglie prima di sposare un'altra donna. Un buon inizio per la primavera del Mediterraneo.

dal blog di Beppe Grillo

21 ottobre 2011

REPORT domenica 23 ottobre ore 21.30 su RAI3

prima puntata della nuova serie di Report dal titolo "VEDO PAGO VOTO"

“Il federalismo municipale”: concepito con la buona intenzione di eliminare gli sprechi, è al primo anno di sperimentazione. Dall'assistenza sociale, sanitaria, all'istruzione, come cambierà la vita dei cittadini? Quali saranno i costi reali e su chi ricadranno? Cosa significa passare dalla teoria ai fatti. ( di Bernardo Iovene )

“I Beni de noantri” I beni confiscati hanno un alto valore simbolico nella lotta alle mafie: gli immobili che vengono tolti alla criminalità per legge dovrebbero essere affidati ad attività sociali che vanno a beneficio della cittadinanza. A Roma il comune ha 56 beni e per gestirli meglio, secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, si è avvalso della collaborazione dell'ex sindaco di Pignataro Maggiore. ( di Luca Chianca)

“C'è chi dice NO”: con Alberto Perino Il movimento NoTav da anni si oppone alla costruzione della nuova linea ferroviaria in Val di Susa. Ne derivano proteste frequenti e violenti scontri con la polizia. Secondo i NoTav in un periodo di crisi e di tagli come questo un'opera del genere, dal costo di 20 miliardi di euro, va costruita solo se davvero necessaria. Ma sia i dati sul flusso di passeggeri che quelli sul traffico merci dicono tutt'altro: la nuova Torino-Lione difficilmente potrà essere utilizzata appieno una volta terminata.Seguiremo gli sviluppi della manifestazione NO TAV di domenica e cercheremo di spiegare quali sono le origini e le ragioni di un'opposizione che dura da 20 anni. ( di Emanuele Bellano )

Il video e la trascrizione integrale del testo della nuova inchiesta sarà on line sul nostro sito www.report.rai.it al termine della messa in onda.

Brevetti sul vivente: UNA STORIA DI ORDINARIA PREPOTENZA

Cancellata a sorpresa dall’EPO, Ufficio Europeo dei Brevetti, l’udienza del 26 ottobre per la sentenza finale sul ricorso contro il brevetto sul broccolo


Manifestazione a Monaco mercoledì 26 ottobre davanti all’EPO


Comunicato EQUIVITA 21 ottobre 2011

Un breve antefatto: ll brevetto EP 10698199, rilasciato nel 2002 dall’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) per un broccolo riprodotto con metodo convenzionale, viene impugnato nel 2008 sulla base della Convenzione Europea dei Brevetti e della direttiva europea 98/44 (la prima non consente brevetti sul vivente e la seconda li consente solo per prodotti “biotecnologici”).
L’Alta Corte dell’EPO decide, nel 2008, che il broccolo divenga il “caso giuridico” in base al quale la UE dovrà stabilire se siano o meno leciti i brevetti su piante e animali, anche se prodotti con metodi essenzialmente biologici (ovvero non geneticamente modificati).

Dopo ben tre anni d’attesa l’udienza per la sentenza finale di questo caso viene fissata per il 26 ottobre del 2011. Durante questa lunga attesa altri brevetti su piante riprodotte con metodi convenzionali sono stati concessi dal’EPO. Le previsioni sono dunque che il ricorso contro il brevetto venga respinto dalla Corte. Ma i cittadini sono stanchi di subire le decisioni tacitamente.
Il grande movimento europeo di opposizione alla brevettazione del vivente, attivo fin dai primi anni ’90, oggi raccoglie agricoltori, consumatori, attivisti intorno alla coalizione “No patents on seeds”, di cui fa parte il Comitato Scientifico EQUIVITA. Esso ha organizzato per il 26 ottobre una nuova manifestazione pacifica a Monaco, davanti all’EPO.

Ma evidentemente all’EPO non piace il confronto con la popolazione civile. A pochi giorni dalla data stabilita l’udienza per il brevetto sul broccolo viene repentinamente cancellata.

La coalizione “Save our seeds” tiene oggi a far sapere a tutti i cittadini europei che la manifestazione si svolgerà ugualmente. Noi tutti non rinunceremo ad essere a Monaco il 26 ottobre alle ore 9 e ad esprimere il nostro sdegno per una strategia segreta che, all’insaputa dei cittadini non solo dell’UE ma di tutto il mondo, privatizza la materia vivente, cancella la Sovranità alimentare degli Stati e con essa la loro sicurezza alimentare. Una strategia il cui fine è di mettere nelle mani di pochissime multinazionali il controllo della produzione di cibo del mondo intero.

Come ha dichiarato Kerstin Lanje di “Misereor”:

“In tempi in cui quasi due miliardi di persone soffrono la fame, è semplicemente immorale far crescere i prezzi delle derrate alimentari creando il monopolio dei brevetti. Le compagnie biotech detentrici di questi brevetti approfittano delle nuove leggi brevettuali (da loro promosse, ndr) per trasformare i prodotti alimentari in speculazioni finanziarie. E’ giusto che soltanto i ricchi possano avere accesso al cibo?”


Per informazioni: Comitato Scientifico EQUIVITA, Via P.A. Micheli, 62 – 00197, Roma 06.3220720 335.8444949
equivita@equivita.it
http://www.equivita.org

20 ottobre 2011

Italia: Siamo a 10.000 MW fotovoltaici

di Gianni Silvestrini*

L’Italia ha raggiunto la soglia dei 10 GW solari con oltre 270mila impianti collegati alla rete. In realtà, questa cifra è già stata superata visto che il sito del GSE indica una potenza di 9.950 MW e le elaborazioni del gestore sono sfasate almeno di un mese rispetto al reale allaccio degli impianti. L’Italia nel 2011 potrebbe risultare il primo paese per potenza connessa in rete, mentre la Germania continuerà ad essere leader mondiale per la potenza fotovoltaica cumulativa. La produzione solare italiana coprirà quest’anno il 3% dei consumi elettrici, mentre la percentuale solare tedesca nel primo semestre di quest’anno è stata del 3,5%.

Facciamo ora due conti per capire quale sarà la percentuale della domanda elettrica nazionale soddisfatta con il solare nel 2012. Alla fine di quest’anno saranno allacciati alla rete circa 13 GW, considerando che nella prima parte dell’anno sono stati collegati 3 GW (escludendo i 3.700 MW degli impianti Salva Alcoa terminati nel 2010 e allacciati quest’anno) e che una potenza analoga potrà essere collegata entro dicembre.

Nel 2012 non è improbabile una potenza di 4.000 MW, considerati i 1.500 MW di grandi impianti che rientrano nel Registro. Ai fini del calcolo dell’elettricità prodotta teniamo conto solo della metà della potenza installata il prossimo anno. Nel 2012 dovremmo avere quindi in rete circa 17 TWh solari, pari al 5,5% dei consumi elettrici nazionali e alla metà della produzione delle centrali a carbone.

Certo, un risultato ottenuto con incentivi troppo alti, solo parzialmente compensato dalla riduzione delle tariffe causata dal ruolo del fotovoltaico nella formazione del prezzo alla borsa elettrica. La vera sfida adesso riguarda la rete. La rapidità della crescita del fotovoltaico ha spiazzato ogni previsione. In Germania nelle ore centrali degli ultimi week end di giugno la potenza solare (12 GW) ha eguagliato un terzo della potenza totale. Per questo alla 26a Conferenza europea del fotovoltaico in corso ad Amburgo si sta parlando molto di accumulo, di batterie. E anche dell’incertezza tra i produttori che deriva dalla rapida discesa dei prezzi dei moduli che costringe sulla difensiva molte industrie occidentali e che ha portato a casi clamorosi come il fallimento della promettente statunitense Solyndra.

da QualeEnergia.it 8 settembre 2011

19 ottobre 2011

La lezione del piccolo Molise


Nelle ultime 24 ore sui risultati elettorali del Molise si è detto e scritto di tutto, con la solita scarsa attenzione ai numeri, difficili da interpretare dalla lettura dei giornali. L’anomalia di due candidati pressocchè uguali e provenienti dallo stessa area ( quella di Forza Italia - PDL ) e lo stravagante sistema elettorale, un maggioritario imperfetto camuffato da proporzionale e che, con il voto disgiunto, è una istigazione al clientelismo e alla stupidità, raccontano come il sistema dei partiti sia caduto in basso e quanto un cambiamento richieda percorsi e soggetti che però oggi stentano ad emergere.

Il 46% dei 352.915 elettori molisani (di cui 68.756 f uggiti all’estero) non ha votato nessuno dei 4 candidati Presidenti: Iorio per il Centrodestra, Frattura, ( fino a ieri del PDL ) per il Centrosinistra, Federico per il Movimento 5Stelle e Mancini per la Destra. Addirittura il 49% non ha votato nessuno dei 16 partiti presenti ( di cui 7 e 7 nelle due coalizioni principali ). Questo dato sarebbe forse già sufficiente per indicare il distacco, di quasi un elettore su due, da coalizioni che non danno evidentemente sufficiente fiducia in una regione che di recente è stata dichiarata sull’orlo del fallimento. E per prendere con prudenza la lettura dei risultati.

Il candidato del Centrodestra, al terzo mandato (illegalmente) e con vari procedimenti giudiziari in corso, ha tolto dal simbolo il nome Berlusconi, ha evitato di invitarlo durante la campagna elettorale, ha stretto ancora più legami e alleanze nella sua coalizione con l’area cosiddetta “di centro” di Casini, con i Rutelliani entrati nel partitino di Pionati (Alleanza di Centro ) e con parte dei Finiani ( che si sono distribuiti in entrambe le coalizioni ). Iorio ha preso 89.142 voti, molti meno dei 112.142 del 2006. In realtà è il PDL che è clamorosamente tracollato dai 57.698 voti del 2006 (FI+AN) ai 33.911 di adesso, ma Iorio ha recuperato voti dagli altri partiti ma soprattutto dalla debacle del Centrosinistra. Ha vinto con soli 1505 voti di scarto su Frattura.

Il candidato del Movimento 5Stelle ( con la lista di candidati presente solo nel collegio di Campobasso e non in quello di Isernia ) ha preso ben 10.650 voti (5,6% regionale) ma non è stato eletto perché la lista M5S, a causa della possibilità del voto disgiunto, ha preso molto meno: 4.083 voti (2,15%), al di sotto del 3% richiesto come quorum alle liste non coalizzate ( il cui candidato Presidente deve comunque stare al di sopra del 5%).

La sconfitta del Centrosinistra è ben maggiore di quanto appare. Le 7 liste della coalizione di Frattura sommate insieme hanno preso 72.803 voti (40,49 % ) nettamente sotto i 93966 voti del 2006 e molto distaccate dai 101.361 voti delle 7 liste del Centrodestra che avendo raggiunto ben il 56,37% ( 16 punti in più ) hanno addirittura eletto direttamente 15 consiglieri usufruendo solo in parte ( 3 seggi invece di 6 ) del “premio “ di coalizione del listino, che garantisce il 60% dei seggi alla coalizione vincente. Il tracollo del Centrosinistra è in realtà provocato dal tracollo del PD ( l’inventore geniale della “ operazione Frattura” ) che è passato dai 46.577 voti del 2006 ai 17.735 di adesso perdendo in 5 anni 68 elettori ogni 100. Voti che solo in piccola parte sono andati ad altre “sinistre” della coalizione e sono invece migrati nei centristi della coalizione opposta. (SeL è rimasta molto al di sotto del previsto, come in altre occasioni dimezzando le previsioni dei sondaggisti )

Ci si potrebbe fermare qui con due considerazioni, peraltro già espresse in altre occasioni:

1) PDL e PD sono due partiti in declino che negli ultimi anni, se si confrontano dati omogenei, perdono progressivamente peso; come in generale sono in declino i sistemi elettorali italiani che tendono a favorire un bipolarismo che, per quanto imposto, viene di fatto respinto. Il declino non è facile da percepire nella sua dimensione, non solo per l’ informazione distorta dei media che fanno riferimento alle due aree politiche, ma anche a causa dei meccanismi elettorali che hanno aspetti demenziali, vergognosamente antidemocratici, e sono per i più incomprensibili nella loro astrusità e nelle loro conseguenze.

Nel piccolo teatrino molisano Franceschini accusa Grillo di fare il gioco del centro destra, mentre in realtà è il PD che ha compiuto un vero capolavoro: ha aperto il varco (con le primarie) ad un candidato fino a ieri assessore del suo rivale, ha perso voti in tutte le direzioni ma soprattutto li ha persi verso il centro (destra) rendendo sempre più simili i due schieramenti, che appaiono inadeguati ad un numero crescente di cittadini che o si rivolgono ad altre opzioni (ad esempio Grillo) o si astengono.

Con qualche segnale evidente, che viene dalle vittorie elettorali di Napoli e Milano, come dai successi (incompiuti) di Grillo, che si stanno facendo largo altri protagonisti e che forse la fase del bipolarismo è finita, che i suoi due principali attori sono in difficoltà, che anzi sono i principali responsabili del mancato cambiamento che il paese chiede. Una valutazione che non ha nulla di radicale, tant’è che si sta diffondendo gradualmente in settori inaspettati della società ( dagli indignati all’italiana, a settori crescenti della Chiesa cattolica, da giornalisti e commentatori, fino a esponenti del mondo economico e finanziario).

2) Al momento il Movimento di Grillo sembra essere quello che più di altri raccoglie una parte della radicalità crescente e della ostilità nei confronti del vecchio sistema di partiti, delle sue regole, dei suoi soggetti economici e gruppi di potere che paralizzano l’Italia e la lasciano in questo suo eterno Medioevo.

Al contrario di quanto dice Franceschini a Grillo si può rimproverare di scalzare troppo poco il vecchio sistema politico, di non precisare una formula organizzativa meno improvvisata del non-partito, non-statuto, non-organizzazione, non-soldi, non-strutture, non-alleanze. Mentre quanto emerge progressivamente in termini di proposte concrete dai diversi gruppi locali, con una forte connotazione ecologista e anticasta, è sicuramente più interessante e condivisibile.

Vale la pena interessarsi di un piccolo episodio elettorale come quello del Molise.

Perché la sua evoluzione e la sua conclusione, se non si smuove qualcosa nel profondo, potrebbero essere esattamente, in molti aspetti, un anteprima di quanto può avvenire alla prossima scadenza elettorale nazionale.

(mm)

17 ottobre 2011

Il Molise al voto, intanto va a pezzi

In corso le votazioni , previsto un forte calo dei votanti che dovrebbero fermarsi sotto il 60%

Il Molise ha meno di 330 mila elettori, come due quartieri di Milano. La regione, nata circa 40 anni fa da una parte del territorio abruzzese, elegge 30 consiglieri, 17 nel collegio provinciale di Campobasso e 7 in quello di Isernia; gli altri 6, dati in premio alla coalizione vincente, sono predefiniti in una lista bloccata chiamata listino. In aggiunta nessuna lista ha degli eletti se non supera il 3% a meno che il suo candidato presidente non superi il 5%. Una versione fra le più fantasiose del sistema maggioritario all’italiana, camuffato in parte da proporzionale. In pratica circa il 25% dei votanti, che difficilmente raggiungeranno comunque il 60% degli aventi diritto, esprimono un voto che per certi versi vale zero e non eleggerà nessuno. Secondo gli exit poll in corso la partecipazione è in calo almeno del 5% rispetto al 63% che nel 2006 avevano scelto una lista (205 mila su 327 mila elettori circa)

La più piccola regione italiana, dopo la Val d’Aosta, è governata dal 2001 da Michele Iorio, ex comunista approdato in Forza Italia. Il candidato del centro-sinistra ulivista è Paolo Frattura fino a meno di un anno fà nell’area del PDL, già assessore nella prima giunta Iorio, candidato per Forza Italia nel 2006 e dal 2003 presidente della Camera di Commercio. Ha prevalso con poco più di 7000 consensi nelle primarie del centro-sinistra battendo gli altri 4 candidati ( 2 di area PD ), uno dei quali a ridosso delle primarie è passato nell’area SeL o perlomeno è stato indicato all’ultimo momento da SeL come il proprio candidato.

Iorio è al terzo eventuale mandato ( di regola non consentito dalla legge ma la regola è già stata ignorata da Errani (PD ) in Emilia Romagna e da Formigoni (PDL) in Lombardia. Insomma uno scontro in famiglia in una regione dove vari commentatori affermano che i partiti, in senso tradizionale, non esistono più ma tutto si gioca fra gruppi di potere e di interesse che cercano di spartirsi quanto resta di una regione che va a pezzi, dichiarata recentemente dagli istituti finanziari la regione italiana più disastrata, praticamente in fallimento. Mentre la regia delle scelte istituzionali resta in mano alla vecchia nomenclatura eletta negli anni passati ai vari livelli istituzionali ( la Regione, le due Provincie e i 136 Comuni ). C’è anche chi dà per certo che Frattura, in caso di vittoria, per non scontentare nessuno passerebbe subito al partito di Casini. Anche le candidature alle primarie del centro-sinistra sono state ripetutamente presentate o ritirate in un continuo baratto fra la garanzia di stare nel listino ( il premio di maggioranza con il quale si è nominati senza essere eletti da nessuno ) e la minaccia di allungare la lista dei candidati alle primarie.

Liste, partiti e candidati, con qualche aggiornamento del nome, sono più o meno gli stessi del 2006, dove Iorio ha vinto per la seconda volta superando il 54% ( 58% nel 2001 ) salvo l’assenza dei Verdi e con Rifondazione entrata nella coalizione all’ultimo momento, dopo che per mesi la sinistra della regione aveva denunciato come inaccettabile la presenza di Frattura nel centro-sinistra annunciando una presentazione autonoma che alla fine non c’è stata. L’area di centro, l’UDC di Casini e altri minori, aderisce come in passato alla coalizione di centro-destra. Unica novità la presenza del Movimento5 Stelle che candida a presidente Antonio Federico, ingegnere trentenne con una lista di trentenni e con Beppe Grillo che tre giorni prima del voto ha riempito in modo impressionante la piazza del comizio finale a Campobasso.

Il Molise è appunto una delle regioni più disastrate d’Italia con un buco di 700 milioni di euro nei conti pubblici della sanità, la cancellazione di quasi un terzo delle corse dei bus che collegavano i piccoli centri della regione, con tagli drastici alla assistenza domiciliare agli anziani ed alla manutenzione delle strade. Ma Iorio sostiene la necessità di un aereoporto nella regione collocato esattamente a metà fra Cantalupo (provincia di Isernia) e San Massimo (provincia di Campobasso), per nulla turbato dal fatto che i piccoli aeroporti italiani sono tutti in difficoltà: un crollo del 90% per Crotone, del 50% a Forlì, del 38% a Bolzano per citarne alcuni. Pochi giorni prima del voto, cioè nel periodo dove la legge prevede solo l’ordinaria amministrazione pre-voto, la giunta regionale ha approvato all’unanimità la delibera, che molti ritengono illegittima, che autorizza la costruzione dell’aeroporto; senza una stima dei costi ne un euro di impegno (perché tanto soldi non ce ne sono). Ma il progetto era caldeggiato e proposto da un gruppo di imprenditori locali che sono stati accontentati.

I Molisani devono aver subito di recente un invasione saracena che ha evidentemente rapito la gran parte delle donne della regione: con 370 candidati in totale la gran parte delle 17 liste nei diversi schieramenti hanno pochissime donne, in molti casi nessuna.

Difficile provare a confrontare i programmi che non sembrano essere questione rilevante. L’unica lista che ci prova è quella del Movimento 5 Stelle con un circostanziato elenco di proposte fortemente caratterizzate in senso ecologista, con una netta connotazione contro le logiche clientelari e privilegiando fortemente l’uso della rete web. Il Movimento di Grillo ha formalmente annunciato che rifiuterà i contributi elettorali e, come sempre, ha escluso fin dall’inizio qualunque ipotesi di alleanze. Una collocazione tipica del movimento che però, non essendo stato in grado di presentare la lista nel secondo collegio (quello di Isernia), un segnale che conferma la difficoltà del M5Stelle nel centro-sud del paese nel caso di elezioni politiche, molto difficilmente potrà ottenere un risultato.

L'afflusso ai seggi si chiude oggi alle 15 e già 2-3 ore dopo si dovrebbero conoscere gli esiti del voto.

(mm)

12 ottobre 2011

Il teorema malato dell’Alta Velocità in Val di Susa


di Massimo Marino

L'alta velocità ferroviaria sembra entrata in crisi in gran parte dei paesi del mondo. La ragione principale stà nei costi elevati di costruzione di nuove linee e nella scarsa redditività dimostrata dalle linee esistenti che impone prezzi proibitivi dei biglietti, prima che nell’impatto ambientale o nelle contestazioni, molto diverse da zona a zona. I treni veloci spesso viaggiano semi vuoti e non si rendono competitivi con i voli low cost delle nuove compagnie aeree che hanno profondamente ristrutturato il settore. Il traffico aereo è aumentato di circa 10 volte dalla metà degli anni ’90 e dopo la riconversione al low-cost ha superato la crisi della fine del decennio scorso.

Resta il dato di fondo dell’ inquinamento: passeggeri o merci che viaggiano sul treno inquinano un terzo rispetto ad aerei o gomma. Un dato, insieme ad altri, che spiega il consenso alle linee veloci, comprensibile e quasi sempre accettabile, di gran parte delle forze ecologiste, dove contano, in gran parte dell’ Europa e non solo.

Nei sei principali paesi coinvolti nell'alta velocità (Giappone, Francia, Germania, Italia, Spagna e Cina) dubbi e difficoltà sono crescenti. In Gran Bretagna, scottata dal fallimentare progetto Eurotunnel, perfino l’autorevole The Economist afferma che l’estensione dell’AV al Nord del paese farebbe deragliare le risorse pubbliche ed quindi preferibile migliorare le linee tradizionali ed accontentarsi del collegamento esistente dalla Capitale alla Manica.

Francia e Giappone, i primi due Paesi a creare queste infrastrutture (TGV e SHINKANSEN), restano gli unici che forniscono efficaci servizi su destinazioni di medio raggio (400-800 km) indicando che percorsi lunghi in aree prevalentemente pianeggianti possono giustificare anche vettori che raggiungono i 400 kmh . La Cina per il momento ha sospeso i progetti dopo l'incidente dello scorso luglio sulla Pechino-Shanghai con il disastroso scontro tra due convogli superveloci. I Paesi con nuovi progetti sulla carta (Australia, Brasile, Indonesia, Portogallo) sono fermi di fronte all'impatto dei costi, resi sempre meno accessibili dalla recessione mondiale.

La velocizzazione delle linee restando sotto i 250 kmh, un adeguato innesto e raccordo con le linee metropolitane e urbane delle grandi città ( che in molti paesi, tranne il nostro, sono una realtà) insieme ad efficenza, puntualità, costi accessibili a tutti e non solo ad un elite di utenti, potrebbe essere un compromesso accettabile e realistico, non solo per costruire una proposta ecologista complessiva sulla mobilità ma anche per ottenere un bilancio economico-finanziario sostenibile fra costi, redditività e utilità del sistema. L’Italia non ha una morfologia del territorio che giustifichi velocità maggiori, ed anche se si costruissero i vettori ed il sistema, nei fatti non sarebbero raggiungibili velocità maggiori per tratte significative.

In Italia l’ipotesi AV è nata 20 anni fà con obiettivi incerti, sulla spinta di grandi interessi finanziari, del degrado del sistema tradizionale, ed anche di oggettive esigenze di ammodernamento del sistema. Insieme, se non prima, si sarebbe dovuto procedere allo sviluppo dei sistemi metropolitani di trasporto pubblico collettivo, alla sua progressiva estensione nei grandi comuni limitrofi alle grandi città ma, anche per l’inconsistenza delle forze ecologiste nel nostro paese e per l’indifferenza dei diversi governi che si sono alternati negli ultimi 20 anni, le linee di metrò, che necessitano di un sistema esteso a rete per diventare significative, con l’eccezione del sistema milanese, sono pressocchè inesistenti. Praticamente siamo in ritardo di 40 anni.

Ma tutto questo è un argomento complesso sul quale un punto di vista di conversione ecologista della mobilità urbana, metropolitana ed extra-urbana, nazionale e di collegamento con i paesi al di là delle Alpi stenta a farsi strada, con la TAV in Val di Susa c’entra poco o nulla.

Il progetto che coinvolge la Val di Susa è nato già all’inizio degli anni ’90 su presupposti incerti o inventati: all’inizio come TAV passeggeri immaginando una previsione esponenziale della mobilità individuale verso Lione-Parigi che si è rivelata un‘ invenzione ( demolita comunque dall’avvento del low-cost aereo). Poi, prevedendo con maggiore fantasia un aumento esponenziale del traffico merci, si è passati alla TAC (alta capacità). Ma la crisi economica, la saturazione dei mercati tradizionali, l’avvento delle merci cinesi e asiatiche via aereo o nave ci indicano che, in particolare sul fronte occidentale delle Alpi, negli ultimi anni il trasferimento di merci è stazionario o addirittura in drastico ridimensionamento. Anche la bella costruzione teorica del Corridoio 5 ha mostrato la sua debole consistenza: tant’è che ultimamente è stata di fatto accantonata in ambito UE, anche se si evita di dichiararlo apertamente.

Da almeno 10 anni tecnici ed esperti in qualche modo legati o attenti alle ragioni dei movimenti anti TAV, in particolare di quello che si oppone allo specifico progetto che prevede il passaggio della linea in mezzo e sotto la Val di Susa, diffondono dati, argomenti, previsioni, preoccupazioni, ed in parte anche proposte alternative, che nessuno sembra essere in grado di contestare se non con generici appelli al rischio di “ restare isolati dall’Europa “, oppure di “opporsi al progresso” o addirittura di trascurare le “positive ricadute ambientali”.

Con l’accordo raggiunto il 27 settembre nella Conferenza intergovernativa (Cig) Italia-Francia dai ministri dei Trasporti, Altero Matteoli e Thierry Mariani, per ripartire i costi della tratta nella nuova versione della Torino-Lione (58% dei costi per l’Italia e 42% per la Francia ) si è modificato il trattato del 2001 e si dovrebbe così sbloccare il contributo dell’Unione europea. Non a tutti è chiaro che il contributo riguarda la sola tratta internazionale che per l’Italia dovrebbe intendersi fino a Susa. Il resto degli 81 km previsti per innestarsi sulla TO-MI li paga l’Italia, cioè noi, nei prossimi 25-30 anni (interessi alle banche compresi) con le prossime Finanziarie annuali. Complessivamente il costo sarebbe di 15-20 miliardi di euro, ma si dice tanto per sparare una cifra. E’ noto che il costo delle grandi opere in Italia (e questa sarebbe la più grande del dopoguerra, tre volte l’ipotetico ponte di Messina) lo si scopre alla fine, se fine ci sarà. La tratta TO-MI, il cui costo era previsto attorno al miliardo di euro, è costata alla fine sette volte di più, con ritorni dai biglietti che coprono se va bene gli interessi bancari.

Con un minimo di prudenza, che neanche la sinistra pro-TAV ha mai espresso, a fine giugno Tremonti ha imposto una versione low-cost del progetto attraverso un “fasaggio” dei lavori in almeno due tempi: la parte in alta Val Susa, che dovrebbe comprendere il tunnel iniziale di 12 km in territorio italiano ed altri 17 km fra Susa e Avigliana-Buttigliera nei prossimi 10-15 anni. Il resto, più a valle, ( compresa la eventuale “gronda” per doppiare la città di Torino in aggiunta al Passante che la attraversa ) si vedrà successivamente: se ci sono i soldi, se sarà necessario in base ai fabbisogni. Una proposta, l’ennesima versione di un progetto in continua “evoluzione”, che oltre che ragioni economiche cela anche il tentativo di dividere il fronte delle amministrazioni e delle popolazioni anti-TAV, nella valle ma anche nella pianura torinese. Ma è anche un modo per fare un piccolo passo indietro rimandando parte dei problemi a dopo il 2035.

Alla fine la linea, si dice, sarebbe in grado di gestire quasi 300 treni al giorno e poco importa che ripetutamente i tecnici di area NO-TAV abbiano dimostrato che la linea esistente, che ha già avuto vari interventi di ammodernamento, è già in grado di gestirne almeno 220; che comunque ad oggi ed in futuro difficilmente serviranno visto lo stallo o la diminuzione del traffico merci inter-Alpi.

C’è da chiedersi perché un progetto così poco difendibile, che a prescindere dall’utilità discutibile crea così tante lacerazioni con una parte consistente della popolazione locale e non solo, insieme ad una progressiva deriva dei percorsi democratici di decisione, continui a restare in piedi. E’ scontato che senza l’appoggio del cosiddetto centro-sinistra il progetto TAV in Val di Susa sarebbe già stato archiviato.

Sul problema TAV il PD ed il centro-sinistra nel marzo 2010 hanno già regalato la Regione Piemonte alla Lega Nord ed al centro-destra con una perdita elettorale a favore soprattutto del movimento di Grillo, l’unico che in modo chiaro si è espresso contro il progetto, mentre sinistre varie e frammenti ecologisti scomparivano dalla scena o si adeguavano silenziosamente al dicktat posto dal PD alla base di qualunque coalizione: il SI’ all’alta velocità; che infatti sia L’Italia dei Valori che Sinistra e Libertà hanno sottoscritto nel programma elettorale di coalizione, sia alle regionali del 2010, sia alle comunali di Torino dello scorso maggio.

Il dato di fondo è che nessuno dei sei partiti o aree politiche presenti in Parlamento o nelle amministrazioni locali che sono coinvolte (PDL, Lega, Centristi, PD, SeL, IdV) sono apertamente e chiaramente contrari: per convinzione, per interesse o per puro opportunismo. Negli ultimi tre dell’elenco sono moltissimi i contrari o i perplessi, molti sono addirittura attivamente impegnati nelle iniziative o nella solidarietà ai NO-TAV; ma dove conta, cioè nelle aule parlamentari e in quelle consigliari di Regione e Comune di Torino in particolare, pesa l’assenza di una vera opposizione, con l’eccezione dei pochi eletti del M5S dove ci sono, e tutto si diluisce in un nebuloso e assordante silenzio.

Naturalmente anche su questo tema, che stà assumendo insieme ad alcuni altri ( la difesa dei beni comuni, il consumo di suolo, gli inceneritori, i costi della politica) una valenza simbolica più generale nel paese, pesano gli effetti dei sistemi elettorali (porcellum, mattarellum e quanto c’è di simile sul versante delle elezioni locali) che in forme diverse assegnano premi alle coalizioni principali e impediscono una più libera espressione delle posizioni. E nelle prossime elezioni politiche che, comunque vada, entro 18 mesi avremo, si vedrà quanto temi come questo potranno influenzare un possibile sconvolgimento dei rapporti di forza e la nascita di nuovi protagonisti.

Sulle grandi opere come la TAV valsusina in realtà si costruiscono, o si immagina di costruire, un intreccio di solide relazioni e legami fra grandi poteri forti e sistema dei partiti ( di destra, centro o sinistra è del tutto irrilevante), per non parlare della presenza diffusa e invisibile dei gruppi mafiosi e criminosi. Ed è proprio sulla capacità di rappresentare o consentire l’attuazione dei progetti e annichilire chi si oppone, con il solito metodo dell’estremizzare lo scontro per portare all’isolamento i movimenti dissidenti, che si sviluppa una finta competizione politica: per fare, o consentire di fare, le stesse cose. Con una imprudente indifferenza a quanto pensano le popolazioni locali ed alle regole basilari della democrazia che non può costruire il consenso tacitando il dissenso e oscurando l’informazione sui dati di fondo che portano alle scelte rilevanti del paese. Che su questo teorema malato si riesca a costruire o mantenere il consenso, mentre la crisi finanziaria, sociale e ambientale vanno in tutta un' altra direzione, lo si vedrà.

11 ottobre 2011

Comune di Bologna: contro il nepotismo

A Bologna è stata approvata all'unanimità la proposta del Movimento 5 Stelle per un'anagrafe dei nominati, dei consulenti e dei rappresentanti del Comune presenti in enti e società. L'elenco sarà visibile on line sul sito del Comune.

Il MoVimento 5 Stelle contro il nepotismo

La proposta del consigliere del M5S Max Bugani prevede che siano resi pubblici curriculum e redditi insieme a "rapporti di parentela o affinità fino al terzo grado con eletti a cariche politiche", al secondo grado "con dipendenti dello stesso ente o aziende presso cui sono chiamati ad operare", nonché "rapporti di lavoro, di parentela o affinità fino al terzo grado con dipendenti, dirigenti, titolari o soci di maggioranza di aziende fornitrici dell'ente presso cui sono chiamati ad operare". Un esempio da imitare in tutta Italia per bonificare i Comuni.

(dal blog di Beppe Grillo )

Uno studio sul nepotismo nel campo della scuola e università italiane è stato pubblicato proprio in questi giorni:
http://italiadallestero.info/archives/12124

9 ottobre 2011

Naomi Klein in Liberty Plaza

Questo discorso della scrittrice canadese, autrice di “ No logo ” e di “ Shock economy ”, è stato pronunciato in Liberty Plaza, il parco occupato a New York, il 6 ottobre, ed è stato pubblicato sul giornale del movimento “Occupied Wall Street Journal”. *

di Naomi Klein

….Se c’è una cosa che so, è che l’1% ama la crisi. Quando la gente è nel panico e disperata, e nessuno sembra sapere cosa fare è il momento ideale per far passare la lista dei desideri delle politiche a favore delle imprese: privatizzare l’istruzione e la sicurezza sociale, tagliare i servizi pubblici, eliminare gli ultimi ostacoli al potere delle multinazionali. Grazie alla crisi economica, questo sta accadendo in tutto il mondo.

E c’è solo una cosa che può bloccare questa deriva e, per fortuna, è una cosa molto grande: il 99%. E il 99% scenda in piazza, da Madison a Madrid, per dire “No, noi non pagheremo la vostra crisi “. Slogan che ha esordito in Italia nel 2008, è rimbalzato verso la Grecia, la Francia e l’Irlanda e, infine, ha preso la strada di questo miglio quadrato in cui è iniziata la crisi.

“Perché stanno protestando?”, chiedono gli esperti, sconcertati, in tv. Nel frattempo il resto del mondo chiede: “Perché ci hanno messo tanto tempo?”. E soprattutto: “Benvenuti”.

Molte persone hanno paragonato Occupy Wall Street alla cosiddetta protesta anti-globalizzazione che si è imposta all’attenzione mondiale a Seattle nel 1999. Quella è stata l’ultima occasione globale, creata dai giovani, di un movimento diffuso che prendesse di mira il potere delle multinazionali. E io sono orgogliosa di aver fatto parte di quello che abbiamo chiamato “il movimento dei movimenti”.

Ma ci sono differenze importanti, tra allora ed oggi. Per esempio: allora scegliemmo i grandi vertici come nostri bersagli: l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale, il G8. I vertici sono transitori per loro natura, durano solo una settimana. Cosa che ha reso anche noi troppo transitori. Noi siamo apparsi, abbiamo conquistato le prime pagine mondiali, poi siamo scomparsi. E nella frenesia di super-patriottismo e di militarismo che seguì l’11 settembre degli attacchi, fu facile per spazzarci via completamente, almeno in Nord America.

Occupy Wall Street, invece, ha scelto un bersaglio fisso. E non avete stabilito alcuna data per la fine dulla vostra presenza qui. Questo è saggio. Solo quando si può restare, si possono far crescere radici. Questo è fondamentale. E' un fatto dell’era dell’informazione che troppi movimenti spuntino come fiori bellissimi ma rapidamente muoiano. Dipende dal fatto che non hanno radici. E non hanno piani a lungo termine su come continuare a sostenersi. Così, quando le tempeste finiscono, vengono spazzati via.

Essere orizzontali e profondamente democratici è meraviglioso. Ma questi principi devono essere compatibili con il duro lavoro di costruire strutture e istituzioni robuste abbastanza per reggere le tempeste a venire. Ho grande fiducia che questo accadrà.

Qualcos’altro di molto giusto questo movimento sta facendo: avete impegnato voi stessi alla non violenza. Vi siete rifiutati di offrire ai media immagini di vetrine rotte e di scontri di strada che essi desiderano disperatamente. E il controllo tremendo ha fatto sì che, ancora e ancora, la storia sia consistita nella brutalità vergognosa e gratuita della polizia. Quel che abbiamo visto solo la scorsa notte. Nel frattempo, il sostegno a questo movimento cresce e cresce. Più saggezza.

Ma la differenza più grande rispetto a un decennio fa è che nel 1999 avevamo di fronte un capitalismo al culmine di un boom economico frenetico. La disoccupazione era bassa, i portafogli azionari erano gonfi. I media erano ubriachi sul denaro facile.

Abbiamo sottolineato che la deregolamentazione che abbiamo alle spalle ha presentato il conto. Un attacco al lavoro. Un attacco ai diritti ambientali. Le multinazionali sono diventate più potenti dei governi e questo è stato un danno per le nostre democrazie. Ma per essere onesta con voi, i bei tempi correvano, grazie a un sistema economico basato sull’avidità, almeno nei paesi ricchi. Dieci anni dopo, è come se non ci fossero più i paesi ricchi. C’è solo un bel po’ di gente ricca. Quelli che si sono arricchiti con il saccheggio dei beni pubblici ed esaurendo le risorse naturali in tutto il mondo.

Il punto è che oggi tutti possono vedere come il sistema sia profondamente ingiusto e sia fuori controllo. L’avidità senza freni ha distrutto l’economia globale. Ed ha distrutto il mondo naturale. Facciamo una pesca eccessiva nei nostri oceani, inquinando la nostra acqua con perforazioni in acque profonde cercando le più sporche forme di energia sul pianeta, come il catrame nelle sabbie dell’Alberta (regione del Canada, ndt). E l’atmosfera non riesce ad assorbire la quantità di carbonio che stiamo emettendo, creando così un riscaldamento pericoloso dell’atmosfera. La nuova normalità sono i disastri in serie: economici ed ecologici.

Questi sono i fatti sul terreno. Sono così esplicita, così chiara, perché è molto più facile entrare in contatto con il pubblico di quanto non fosse nel 1999, per aiutare a costruire il movimento in fretta.

Sappiamo tutti, o almeno intuiamo, che il mondo è capovolto: ci comportiamo come se non ci fosse una fine a ciò che è realmente finito: i combustibili fossili e lo spazio atmosferico di assorbire le loro emissioni. E ci comportiamo come se non ci fossero limiti rigorosi e immodificabili.

Il compito del nostro tempo è quello di cambiare questa situazione: per sfidare queste scarsità false. Insistere sul fatto che possiamo permetterci di costruire una decente, inclusiva società e, al tempo stesso, rispettare i limiti reali della terra.

I cambiamenti climatici significano che dobbiamo fare questo guardando a una scadenza. Questa volta il nostro movimento non può distrarsi, dividersi, bruciarsi o lasciarsi spazzare via dagli eventi. Questa volta abbiamo tutto per avere successo. E non sto parlando di imporre regole alle banche e di aumentare delle tasse ai ricchi, anche se questo è importante. Sto parlando di cambiare i valori di base che governano la nostra società. Ed è difficile farlo adattandosi a porre un’unica domanda comprensibile dai media. Ed è anche difficile capire come farlo. Ma non è meno urgente anche se difficile.

Questo è quel che vedo accadere in questa piazza. Nel modo in cui vi state incoraggiando a vicenda, mantenendo gli altri attivi, nella libera condivisione delle informazioni e organizzando una assistenza sanitaria, o corsi di meditazione e formazione all’empowerment ( ndr: accrescimento spirituale, politico, sociale o della forza economica di un individuo o una comunità ). Il mio cartello preferito, qui, dice: “Mi importa di te.” In una cultura che addestra la gente ad evitare lo sguardo dell’altro, per spingere a dire: “Lascia che muoia”, quella è una dichiarazione profondamente radicale.

Qualche considerazione finale. In questa grande lotta, qui, ci sono alcune cose che non contano: * Cosa indossiamo. * Che alziamo i pugni o alziamo cartelli di pace.* Che noi rendiamo i nostri sogni per un mondo migliore utilizzabili dai media.

Invece ci sono alcune cose che contano: * Il nostro coraggio. * La nostra bussola morale. * Come ci trattiamo l’un l’altro.

Abbiamo scelto di lottare contro le forze economiche e politiche più potenti del pianeta. Questo fà paura. E man mano che questo movimento crescerà, il suo obiettivo farà ancora più paura. Dobbiamo sempre essere consapevoli che ci sarà la tentazione di passare a piccoli obiettivi, come, ad esempio, la persona che è seduta accanto a voi in questo incontro. Dopo tutto, è una battaglia più facile da vincere. Non dovete cedere alla tentazione. Questa volta cerchiamo di trattare gli altri come se avessimo intenzione di lavorare fianco a fianco con loro nella lotta per molti, molti anni a venire. Perché il compito che abbiamo non richiederà niente di meno. Facciamo in modo di trattare questo bel movimento come se fosse la cosa più importante del mondo. Perché lo è. Lo è per davvero.

New York – Liberty Plaza 6 ottobre 2011

* traduzione italiana iniziale a cura di DemocraziaKm0 - alcune correzioni e frasi in grassetto a cura della redazione di ECO

Naomi Klein si è unita alla campagna per un audit sul debito greco, promosso da economisti indipendenti, che mette sotto esame la legalità di tutti i debiti contratti in precedenza e nel caso ne invalidi il rispetto aprendo così di fatto a un default "mirato" (come avvenne con il presidente Correa in Ecuador) per alcuni contratti del precedente Governo greco. L' iniziativa, a cui prendono parte 200 tra economisti e accademici, vede l'adesione anche dell'ex professore del MIT Noam Chomsky, di Tony Benn e Ken Loach. L'iniziativa è portata avanti da una associazione no-profit con sede a Londra.