19 agosto 2023

Crisi climatica: più alberi e metropolitane, meno auto e cemento, salveranno l’Europa

di Massimo Marino

1) Fra dieci mesi si svolgeranno le elezioni che dovrebbero eleggere 716  membri del Parlamento Europeo, 76 italiani.

La legge elettorale di riferimento  è la migliore della decina di leggi che abbiamo in Italia ( per Comuni, Province, Regioni, Camera, Senato, Circoscrizioni e Municipi, con una quindicina di varianti imposte dalle singole Regioni. Leggi in genere incomprensibili ai comuni mortali, cioè alla grande maggioranza dei 51 milioni di elettori italiani, in tutti i loro aspetti e trucchetti.

Invece la legge per le Europee ( che guarda caso non abbiamo fatto noi ) è semplice, comprensibile e dovrebbe soddisfare tutti: è proporzionale, con un quorum minimo del 4% che limita la frammentazione, con liste di candidati in cinque Circoscrizioni. Si può anche dare fino a tre preferenze, per la gioia di chi dice di voler scegliere fra i candidati che il partito ha selezionato per lui. Non so perché la cosa sembra gradita da molti, compresi quei gruppi clientelari o mafiosi che con le preferenze hanno qualche possibilità in più di partecipare al successo di candidati loro o di loro gradimento.

La legge europea è’ la cosa più vicina a quanto ci servirebbe in tutte le nostre scadenze elettorali. Dal punto di vista della rappresentatività proporzionale della volontà degli elettori raddoppiando a dieci le circoscrizioni, alzando il quorum al 5% lasciando ai partiti con un compromesso la scelta dei primi due della lista come loro espliciti “leader locali” e le preferenze per gli altri eventuali eletti,  avremmo la più bella e democratica legge elettorale del pianeta, per il nostro Parlamento italiano e non solo. Senza imbrogli, senza giochini non percepibili, senza ricatti di voto utile e collegi uninominali, finte liste, provvisorie coalizioni che si disfano il giorno dopo il voto. Una legge che potremmo fare in una settimana. Il sistema politico diventerebbe uno specchio più pulito della società, cambierebbe totalmente… quindi è molto improbabile che ci libereremo dei vari rosatellum o altre porcate simili  fino a quando non resteranno solo in due ad andare a votare ai seggi. 

Nei miei ultimi due interventi  in marzo e in luglio ( qui e qui)  ho sostenuto con una abbondanza di numeri che il vero vincitore delle ultime elezioni politiche di settembre non è stato il centrodestra, che in altre occasioni ha preso ben più voti  dei 12,9 milioni del 2022, fino ai 17 mil. del 2009 con il porcellum. Ha vinto il rosatellum piddino che ha regalato l’Italia ( mi chiedo spesso per quanti anni), al cdx senza che avesse alcun significativo successo né una vera maggioranza di seggi se non quelli estorti nei collegi uninominali. Senza il rosatellum probabilmente il cdx non avrebbe avuto la maggioranza. L’attuale governo Meloni non ci sarebbe. Non c’è nessuna onda nera né di altro colore ma un massiccio e crescente numero di astensioni: riferiti alla Camera 21,6 mil. alle politiche del 2022 ( 5,5 mil. in più delle politiche del 2018 ) e 24,2 mil già alle europee del 2019 ( da sempre meno frequentate). Le ultime elezioni europee del maggio 2019 confermano le mie osservazioni: malgrado la bassa partecipazione il cdx ottenne comunque 13,3  mil. di voti dei quali più di 9 mil. della Lega Nord. Quasi mezzo milione in più rispetto alle politiche dello scorso settembre. Poiché la matematica non è un opinione il cdx ha diminuito, non aumentato i propri voti, nel settembre 2022.

Sappiamo già che sono cinque le liste che nella prossima primavera si divideranno i 76 seggi al PE ( M5S - PD - Fd’I - Lega - FI ) Incerto solo il destino delle tre liste che nel 2019 sprecarono circa 2 mil. di voti senza eleggere nessuno ( Verdi, La Sinistra, +Europa). Verdi e Sinistra insieme potrebbero forse avvicinarsi al 4% ( sicuro solo con l’aggiunta, improbabile, di Unione Popolare, il partitino di De Magistris). Otterrebbero così almeno 3 eletti che presumo il giorno dopo il voto si dividerebbero per aderire ad almeno due diversi raggruppamenti fra i probabili sette presenti anche  nel prossimo Parlamento Europeo. Sarebbe il male minore vista la evidente incapacità dei loro leader. Il partitino famigliare dei verdi di Bonelli (della coportavoce verde Eleonora Evi, ex parlamentare europea grillina, si sono un po' perse le traccie) esclude di unirsi al M5S , del quale anzi a tutti i costi vuole impedire l’entrata nel gruppo europeo degli ecologisti che invece farebbe bene agli uni e agli altri. Anche la Sinistra di Fratoianni e i radicali di +Europa come i Verdi sono da soli molto lontani dal 4% forse  anche con qualche incertezza sul gruppo europeo a cui aderire. Nei tre gruppi imperversa da anni la logica del “piccolo è bello” che cattura ogni volta fino a 2 milioni di elettori un po’ svagati ma difficilmente elegge qualcuno. Fece eccezione alle europee del 2014 “ L’altra Europa per Tsipras”, un cartello elettorale improvvisato che superò di poco il quorum (con il 4,03%), elesse tre parlamentari e si sciolse di fatto pochi mesi dopo. Il nome corretto venne utilizzato nei due anni successivi qua e là  in varie elezioni regionali e comunali.

A destra invece la frammentazione praticamente non esiste. Delle 13 liste che nelle europee del 2019 non elessero nessuno e sprecarono 2,65 mil di voti molto meno del 10% sono riferibili ad un area di centrodestra ( i due gruppetti neofascisti di Casa Pound e Ordine Nuovo e quelli della Famiglia ).

2) Mi sembra improbabile prevedere una contrazione dei tre partiti del destra-centro nella prossima primavera. Quella minoranza che li vota, 25 elettori ogni 100, per parecchi anni, a mio parere almeno dieci, si riconosceranno nell’apparato simbolico della destra: meno tasse ( specie per i ceti medio-alti ), diffidenza (e inefficienza come il centrosinistra) verso i migranti,  moderazione verso gli evasori e periodici condoni, svuotamento del ruolo del Pubblico e dello Stato a favore del Privato ( come il centrosinistra) specie nel settore dell’Energia, della Sanità, e in quello dell’Automotive, cioè dove girano i soldi. Rassicurante ostilità verso qualunque vera iniziativa che contrasti l’avanzare della crisi climatica e ambientale.

Sia sostegno alla “ transizione ecologica” finta che viene vista da lobby e multinazionali, spesso le principali responsabili della crisi ambientale, come una buona occasione per arraffare altri miliardi dallo Stato e dall’Europa. Si inventano “ progetti”  di scarsa utilità  o “grandi opere” in competizione con piccole attività virtuose ( ad esempio nel campo delle rinnovabili) e con centinaia di enti locali che comunque non sempre hanno chiaro quali sono le opere davvero sostenibili e ne combinano un po' di tutti i colori.

Sia sostegno anche alle lobby che sui media  agitano il “negazionismo climatico”, argomento del passato di cui ho smesso da quattro anni di parlare (leggi  “I negazionisti non sono idioti”), tenuto in piedi e rilanciato per distrarre dallo scontro crescente sulle vere alternative. Il destracentro rappresenta bene quelli che vivono con la testa ed il portafoglio rivolti al passato e penso che ci vorranno almeno una decina di anni prima che una parte dei suoi sostenitori, assaggiata fino in fondo la crisi ambientale e sociale gli si rivolteranno contro con i forconi per averli fregati. Naturalmente se si scegliesse il sistema proporzionale con il quorum al 5% tutto potrebbe cambiare più rapidamente. Di fatto avremmo stabilmente sei partiti veri e il loro progetto di società sarebbe più chiaro e comprensibile nella scelta di tutti. Invece faranno di tutto per imporci un forzato bipolarismo e forme di presidenzialismo usando le tante armi di distrazione di massa dei media che tendono a trasformare i cittadini in ristretti gruppi di tifosi dell’ultima curva nord o sud da stadio o in ininfluenti astensionisti militanti.

Vi chiederete: e gli altri? E l’alternativa qual è ?

L’astensionismo politico e la carenza di  alternative ( dove sono gli Alternativi?) è il problema determinante dei prossimi anni. Dalle elezioni politiche del 2013 a quelle del 2018 la grande speranza grillina travolse tutto ma durò poco. Nel 2018 gli astenuti furono “solo” 16,1 mil. Gli elettori del sud in particolare votarono in massa in modo plebiscitario per i grillini. Ma già alle europee del 2019 ( da sempre meno partecipate delle politiche )  gli astenuti salirono a 24,2 milioni. L’astensionismo si è consolidato nelle politiche del settembre 2022 con 21,6 mil.( 5,5 mil. in più del 2018). Un quarto di questi sono forse impossibilitati a votare essendo lontani dal proprio seggio. Forse altrettanti hanno oggettive difficoltà  personali e di salute. Ma per almeno una decina di milioni di elettori c’è una scelta esplicita che li ha portati a ritirare la propria delega verso tutti i partiti. La delusione pesante verso il M5S, dopo tutte le altre,  ha dato il definitivo contributo. E senza un radicale cambiamento di programmi, di comportamenti e di facce non è chiaro fino a dove arriverà l’astensione. Che per il momento gioca alla grande a favore delle minoritarie  forze di destra.

Alcune azioni istituzionali potrebbero facilitare la partecipazione degli elettori.

La prima azione è la definizione dell’Election Day annuale. Se ho contato bene nel 2023 si voterà da qualche parte almeno in 12 date diverse. Si potrebbe invece concentrare qualunque tipo di voto, referendum compresi,  in una sola scadenza annuale in una data predefinita. Ad esempio nella prima settimana di novembre come negli USA.

La seconda azione è quella di facilitare il voto a distanza. Sono molto perplesso sull’ipotesi del voto per posta. Dubito della sua sicurezza e della sua efficacia. Mi sembra più semplice aprire un seggio polivalente  in ogni capoluogo di provincia ( quindi un centinaio al massimo) dove si possa nelle 48 ore precedenti l’apertura dei  seggi ordinari permettere il voto a distanza da aggiungere poi a quelli del proprio comune di residenza, chiudendo l’accesso a questi seggi 24 ore prima degli altri. Ci sono diversi modi semplici e sicuri per farlo.

3) Dunque il vero problema non è affatto quello di “battere la destra” ( che 75 italiani su 100 non si sognano di votare), ma di offrire programmi, comportamenti, leader, nuove forme di aggregazione ampie e strutturate “in basso” che esprimano un radicale progetto riformatore che ri-unisca una grande parte della società italiana adesso delusa, disarticolata e  frammentata in mille rivoli. Che pratica una sorta di  “astensionismo militante” impotente e di “voto a perdere” verso partitini frammentati e palesemente inadeguati. Il risultato della delusione di tantissimi.

Da tempo sostengo che serva un movimento radicale riformatore al centro del sistema politico, autonomo e per molti aspetti lontano da destra e sinistra e da qualunque forma di ambiguo moderatismo di centro, che su concrete proposte sviluppi egemonia e costruisca maggioranze nella società e ragionevoli alleanze  nelle istituzioni. Per molti aspetti il M5Stelle fra il 2013 e il 2018, mostrando che è possibile,  è stato quello più vicino a sviluppare un progetto di alternativa. Se non si comprende perché ha vinto e perché poi è stato distrutto e per certi aspetti si è suicidato e non si raccoglie, si difende e si corregge quanto ha prodotto di buono, ci vorranno molti anni per riaprire una possibile alternativa.

La velocità con la quale la crisi climatica avanza, in compagnia della crisi sociale,  dell’aumento delle disuguaglianze e dell’arroganza con la quale queste vengono alimentate senza alcuno scrupolo rendono tutto più drammatico . Basta pensare negli ultimi  anni all’arbitrario aumento dei costi dell’energia ed al boicottaggio aperto delle rinnovabili da parte dei vecchi padroni del pianeta. O solo negli ultimi giorni all’aumento del prezzo della benzina che non ha alcun tipo di motivazione se non quella di rubarci un po' di soldi nel rientro dalle ferie. I benzinai centrano poco. La richiesta delle opposizioni che chiedono di ridurre le accise è singolare. Si ridurrebbero importanti entrate fiscali ( arrivano fino a 24 miliardi) che ovviamente verrebbero sottratte alla spesa pubblica (Sanità, Scuola, Trasporti), cioè a noi, mentre gli speculatori e gli extraprofitti non vengono toccati.

*

E’ evidente che l’appuntamento delle europee e i cinque anni successivi fino al 2029 su tantissimi fronti sono decisivi. Molto più del passato. Il Parlamento europeo, pur con i suoi evidenti limiti dovrà confermare o correggere regolamenti e direttive fondamentali: dalla verifica nel 2026 dello stop alla costruzione di nuove auto a motore endogeno nel 2035, alla coerenza di piani come il PNRR o il Repower-UE con la legislazione europea sul clima, che rende giuridicamente vincolante l'obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050, obiettivi ad oggi già considerati irraggiungibili. Dagli obiettivi di riduzione dei consumi energetici delle abitazioni, alla riduzione del sostegno all’automotive e invece a favore del trasporto pubblico dedicato, senza attraversamenti stradali, attraverso lo sviluppo delle reti di metropolitane. Dal sostegno a forme di difesa dalla povertà con redditi di sopravvivenza  ad una legislazione di difesa del salario minimo in tutta la UE. Fino all’imposizione a livello europeo dei corridori umanitari e di integrazione per i migranti, unica strada accettabile dopo i fallimenti di destra e sinistra, oggi praticati     solo da piccole associazioni cattoliche. Tutte questioni sulle quali l’intera Europa può prendere direzioni diverse e ridistribuire le risorse del proprio bilancio.

E’ mia opinione che in un paese come il nostro è nelle grandi conurbazioni urbane malamente sviluppatesi nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, che la crisi diventerà in tempi brevi difficilmente gestibile e dove si impongono cambiamenti radicali. La crisi delle aree metropolitane deve assumere la centralità del dibattito politico anche a partire proprio dalle prossime scadenze europee. Nel nostro paese sono una cinquantina i Comuni di dimensione vicina o superiore ai 100mila abitanti, dei quali dieci superiori ai 300mila abitanti. Si tratta di circa 15 milioni di persone, un quarto del totale, dove si concentrano tutti i principali elementi di crisi sociale ed ambientale. Nelle grandi conurbazioni urbane si sta sviluppando la crisi ambientale con una diversa velocità rispetto ad altre aree. Si parla ormai di “isole di calore urbane” dove le condizioni di vivibilità si aggravano più rapidamente rispetto al resto del territorio a partire dalle temperature medie. Dati già di qualche anno fa dicono che in Italia Torino avesse il record (+1,9° ) seguita da Milano (+1,4°) ed altri grandi comuni della pianura padana. Valori simili avevano Berlino (+1,7°) e Londra (+1,6°). Altre metropoli come Los Angeles o Mosca per diversi motivi davano valori minori (+ 0,7°). Questi dati si sono di certo aggravati, non sappiamo con quale velocità, negli ultimi due-tre anni. Per l’Italia alcuni dati più recenti, ad esempio del CNR, fanno pensare che i delta indicati potrebbero già essere prossimi a raddoppiare (+3-4 gradi)  Le azioni concrete che si possono attuare, che comportano una radicale trasformazione delle città, da alcuni anni sono ormai abbastanza chiare:

1) E’ necessario aumentare  la coperture verde interna alle città con la diffusione e moltiplicazione  di grandi alberi a chioma folta e non soffocati dal cemento, la totale sospensione di qualunque disboscamento speculativo e l’allontanamento degli eventuali responsabili del tutto inadeguati. Ma serve anche una gestione della manutenzione del verde urbano di tipo nuovo, in particolare con l’irrigazione diffusa, dove possibile automatizzata, nei tre mesi più caldi e meno piovosi dell’anno in modo da garantire la sopravvivenza del verde e degli alberi,  comprese le nuove piantumazioni.

2) Serve utilizzare per la pavimentazione delle strade e per gli edifici materiali riflettenti a basso assorbimento di calore eliminando del tutto il tradizionale asfalto (catrame derivato dalla pirolisi del carbone e bitume derivato dalla distillazione del greggio di petrolio) sostituendoli con autobloccanti forati e con materiali naturali o di colore più chiaro, con minore assorbimento di calore e con un più alto indice di riflettanza solare. Questi materiali (cool materials) riducono sensibilmente  le temperature ambientali nelle strade ed abbattono il calore rilasciato durante la notte. Sono utilizzabili anche sui tetti (cool roof) e sono in grado di riflettere fino all’80% della radiazione solare. Dove è possibile bisogna procedere alla decementificazione tornando alle superfici naturali o a materiali adatti, alla moltiplicazione di strade e piazze pedonalizzate nel centro delle città trasformandole in zone verdi idonee allo sviluppo di aree commerciali ed artigianali immerse nel verde urbano.

3) Bisogna correggere l’anomalia italiana che vede un uso irresponsabile dell’auto e l’assenza di mezzi di mobilità collettiva adeguati. L’uso dell’auto va ridimensionato solo a quando è indispensabile e non ci sono efficaci alternative. Si tratta di un costo enorme: basti pensare che 50 anni fa un auto costava da due a quattro volte lo stipendio medio, oggi da sei a otto volte. Se si tiene conto anche della densità demografica siamo ormai la Nazione del pianeta con il più alto rapporto auto/abitanti. Nel 2022 siamo arrivati a 67 auto/100 abitanti, decisamente al di sopra della media europea (53) e di Francia (57) Germania, Gran Bretagna, Spagna ( circa 53 ), paesi che al contrario di noi stanno lentamente invertendo la tendenza a favore di metropolitane e mezzi pubblici moderni a basso impatto ambientale. Da dati del 2020 risulta che in Italia  il 76% degli spostamenti fanno ancora uso dell’auto e poco più del 10% hanno la possibilità di usare metro, treno o bus. Incredibilmente per 39,2 milioni di patentati ci sono 39,6 milioni di auto circolanti. Di queste circa l’80% utilizza alla pari benzina o gasolio (cioè i motori diesel). Elettriche e ibride, che comunque contribuiscono alla fonte e nelle ricariche alle emissioni, non raggiungono il 10%. Così come è avvenuto per le rinnovabili boicottate da parte delle società che gestiscono i derivati del petrolio e dei fossili, dal dopoguerra la lobby dell’auto ben accompagnata alla incompetenza e subordinazione della classe politica di destra e di sinistra, ha impedito lo sviluppo delle reti di metropolitane, l’unico modo, insieme ad alberi e pedonalizzazioni, per ridurre in modo significativo il traffico, l’inquinamento e le emissioni, oltre che i costi e tempi degli spostamenti. L’Italia con 240 km totali di linee metropolitane è il 16esimo paese del mondo dopo Turchia, Iran, Messico e Taiwan.

Solo Milano ha una parziale rete di metro con 104 km. Roma ha 60 Km di metro. Torino meno di 20 km. In Europa la metro è diffusa in decine di città: Londra (430 km), Madrid (295), Parigi (230), Berlino (160). Mosca e New York hanno circa 450 km di rete. Delhi 350 km. Washington e San Francisco 200 km. Decine di città della Cina hanno grandi reti di metropolitane: Shangai (800 km), Pechino (785), Canton (620), Shenzen (550), Chengdu (518).. Mentre si chiacchiera di transizione ecologica in Italia la mobilità resta saldamente ancorata all’auto. Oppure ai vecchi e rumorosi autobus e tram del secolo scorso condizionati da traffico, incroci e semafori che la metro non ha. Praticamente non si mettono risorse per lo sviluppo delle metropolitane. Il progetto della linea 2 a Torino è stato tagliuzzato ( prima dalla giunta Appendino, poi dal quella Lo Russo)  fino a renderlo quasi inutile, si dice per mancanza di alcune centinaia di milioni di euro per la linea completa, rimandata ad un indefinibile futuro. Nel  frattempo però è stato istituito un Fondo per lo sviluppo dell’Automotive  nel nord Italia, che dovrebbe rilanciare Mirafiori e dà contributi per le auto elettriche, di 8,7 miliardi fino al 2030 (650 milioni all’anno). Risorse con le quali si potrebbe finanziare quasi 100 km di rete metro. Abbiamo 240 km ma ne servirebbero circa 1000 che potremmo avere in 10-12 anni ( 6 - 7 mld all’anno, in realtà con un enorme risparmio di spesa pubblica e privata per la mobilità). Ma delle 50 città sopra i 100mila abitanti in almeno 45 non sono contemplati, ne finanziati,  interventi di alcun tipo.

bibliografia:  

10 validi motivi per volere più verde in città - /www.fritegotto.it – settembre 2014

“La città che scotta”: ecco i dati dell’isola di calore delle principali città italiane - www.meteoweb.eu – settembre 2015

Isole di calore, dal CNR la mappa del rischio nelle città italiane - www.buildnews.it – settembre 2015  

PNRR: al via Progetti per piantare 6,6 milioni di alberi nelle Città metropolitane - www.nextgeneration - aprile 2022

Le città devono pensare agli alberi come a un’infrastruttura di salute pubblica -  www.greenme.it - luglio 2022

Come si spostano gli italiani? Le nostre abitudini sulla mobilità - www.geopop.it - ottobre 2022

Più alberi per salvare le città: il nuovo studio - quifinanza.it - febbraio 2023

Più alberi per salvare il clima delle città - lab24.ilsole24ore.com - febbraio 2023

Metropolitane del mondo - it.wikipedia.org - maggio 2023

Metropolitana ( cosa è ) -  it.wikipedia.org - luglio 2023

Metropolitana in Italia - it.wikipedia.org – luglio 2023

Perché le città sognano gli alberi. Il verde urbano per contrastare le isole di calore - inexhibit.com – luglio 2023

Mobilità, la rivoluzione made in Germany: «Basta con le strade» - il manifesto - luglio 2023

 

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