19 agosto 2024

Qualche proposta per costruire l’alternativa e vivere felici

 di Massimo Marino

1  Quattro miliardi di elettori dovrebbero votare durante l’ anno in corso per rinnovare i propri governanti. E potrebbero essere di più vista l’instabilità diffusa in varie aree del pianeta. Un appuntamento affollato mai sfiorato  nella storia dell’umanità che ci costringe a osservare gli avvenimenti di questi dodici mesi con attenzione, distogliere un po' di energie  dalle nostre cose del quotidiano e riflettere con maggiore impegno per capire dove stiamo andando. Perché, che ci piaccia o no, che ci interessi o no, alla fine di questo appuntamento della storia non saremo probabilmente più nel pianeta di questi ultimi decenni del dopoguerra.  Non è epoca di stabilità, anzi la tendenza al cambiamento, dal clima, alla politica, alla spinta alla guerra, alle migrazioni, alle disuguaglianze, sembra farsi più forte. Basti pensare all’appuntamento singolare e preoccupante delle prossime elezioni di novembre in USA. Per chi si sente a disagio in questo scenario precario ma vorrebbe dei cambiamenti radicali  si fa più forte la domanda: ma dove stiamo andando e quale strade abbiamo per percorrere una alternativa ?  

2 Parecchi appuntamenti li abbiamo già superati: fra i più rilevanti le elezioni in Russia,  in India e in Iran, le elezioni europee in 28 nazioni, quelle recenti in Gran Bretagna e Francia, in Bangladesh, Indonesia  e Pakistan, in Messico e Brasile, le ultime in Venezuela. In vari paesi, dalla Russia all’Iran fino al Venezuela la validità stessa del voto e dei risultati è già stata fortemente contestata. Il dato prevalente e sconfortante degli ultimi anni è che molte figure istituzionali o presidenziali assumono crescenti caratteristiche autoritarie abbandonando a volte apertamente qualunque parvenza democratica.

Anche in molti  paesi considerati “democratici” il proliferare negli ultimi decenni di sistemi  e regole di tipo maggioritario fortemente distorsive, in genere debolmente giustificate da obiettivi di stabilità, impediscono una lineare e libera espressione delle scelte degli elettori che solo vagamente percepiscono di essere privati del diritto di veder rappresentata la scelta dei propri rappresentanti in modo proporzionale e regolato con trasparenza. E’ un fatto che la tendenza all’astensione sia ormai diffusa.  Forme di presidenzialismo autoritarie, collegi di voto uninominali, premi di maggioranza, coalizioni prevoto forzate con quorum differenziato per chi sta fuori o dentro le coalizioni che a volte non sono attuate dopo il voto, regole di voto diverse in regioni diverse o collegi speciali, doppi turni e ballottaggi a due o multipli, possibilità di voto disgiunto su due diverse aggregazioni, limiti di mandato multipli dichiarati e non rispettati. Solo apparentemente si tratta di uno strampalato elenco di “ regolette “ che, ho ben chiaro, non sollevano l’interesse di molti che a volte neppure ne conoscono gli effetti. In realtà tutte convergono verso un unico obiettivo: distorcere e forzare l’espressione libera del voto e far saltare la proporzionalità fra i voti espressi e i seggi ottenuti. In definitiva è considerato accettabile invalidare una parte più o meno rilevante dei voti espressi ( spesso si tratta di molti milioni di voti)  e  riassegnarli a qualcun altro, spesso  il diretto avversario. In molte realtà vige un tacito accordo fra due poli che occupano spazi apparentemente contrapposti che per garantire la propria eterna sopravvivenza soffocano ogni nuovo protagonista e qualunque reale alternativa ( lo chiamano bipolarismo e democrazia dell’alternanza).  Spesso ignoriamo o dimentichiamo le conseguenze di questo imbroglio, diffuso in parecchi paesi “democratici”,  che spesso viene giustificato, da destre e sinistre varie, dal falso obiettivo di garantire la stabilità. Vuole invece impedire o ridimensionare una vera democrazia partecipata e qualunque cambiamento democratico. A rischio di annoiare faccio solo qualche esempio:

- gli elettori degli Usa da 240 anni non hanno la concreta possibilità di votare altro che i democratici o i repubblicani. In un paese di 350 milioni di abitanti, dominato dal potere assoluto di una decina di soggetti economici e finanziari,  forse  il più potente del mondo, multireligioso, multirazziale, baluardo dell’occidente,  sarebbe naturale la presenza di 5 o anche 10 partiti. Invece è praticamente resa impossibile anche solo la esistenza stabile di un terzo partito. Con le elezioni uninominali, dove ognuno dei 50 stati è un collegio con un unico soggetto vincitore,  a novembre si potrebbe tranquillamente circoscrivere il voto a 6-7 stati perché in almeno una quarantina già oggi è chiaro chi verrà eletto. Il “ voto popolare “, come viene chiamata la somma dei votanti, non ha alcun rilievo ed è già successo che il Presidente eletto non sia quello più votato ma dipenda da qualche migliaio di voti conquistati, rubati o comprati in una o due  contee sperdute del paese.

- nelle recenti elezioni politiche in Gran Bretagna basate su 650 collegi uninominali i laburisti, pur con un aumento irrilevante dei consensi hanno “ stravinto” con un esorbitante aumento dei seggi rispetto a quelli che avrebbero dovuto ottenere in proporzione ai voti. Con questo sistema aberrante basato su un bipolarismo inventato e tutelato da conservatori e laburisti  può succedere di tutto. Ad esempio i verdi, che in questa occasione hanno triplicato i propri voti, hanno ottenuto 4 eletti invece di 44.

- nelle recenti legislative in Francia, anticipate da Macron per contenere la dissoluzione del proprio centrino confindustriale antilepenista e antisinistra, i collegi uninominali con doppio turno imposti dagli anni ’60 con la nascita della “quinta repubblica” di De Gaulle, costringono all’invenzione di coalizioni dell’ultima ora.  Semipresidenzialismo e maggioritario deformano il sistema politico con l’aumento della instabilità, la crescita del polo della destra estrema, ogni volta alla sfida di prendere un voto in più nel collegio, ed una caotica presenza di aggregazioni instabili che non hanno basi solide di unione. Si impedisce da anni il ritorno ad un sistema più serio di tipo proporzionale ( “la sesta repubblica” ) che socialisti e macroniani alla fine boicottano, con il tacito assenso della destra. Il risultato di questo ormai insopportabile pasticcio è palese ed al di là di facili trionfalismi da fronte popolare è arduo valutare chi un mese fa abbia vinto o perso le ultime elezioni francesi, mentre Macron, noto come il politico più odiato di Francia, è sempre lì. 

- è bene ricordare che l’attuale centrodestra che governa l’Italia è il prodotto dei collegi uninominali del rosatellum,  inventati da PD e CDX prima delle politiche del  2018 immaginando di contenere così il successo travolgente del M5Stelle e che invece regalano oggi  l’Italia ad un minoritario destracentro dal settembre 2022. Se si fosse rispettato il  voto in modo proporzionale, con un opportuno quorum o con le semplici regole delle elezioni europee, il governo Meloni non sarebbe mai nato perché non ha alcuna maggioranza nel paese ( 12 milioni di elettori su 50).  

Nessuna alternativa è possibile, nessun processo costituente sta in piedi, nessuna democrazia partecipata, nessuna tutela dei principi costituzionali è praticabile nel momento in cui contro le vocazioni maggioritarie, autoritarie e presidenzialiste non si apre un fronte comune che difenda il sistema proporzionale ( senza premi, coalizioni prevoto, collegi uninominali, doppi turni) ragionevolmente limitato solo da un quorum sufficientemente elevato,  che non ha nulla a che fare con il “proporzionale puro“ senza quorum. Si favorirebbero nuove aggregazioni stabili e mature, e sarebbe anche più facile esercitare proposte di alternativa che sono praticamente assenti dalla scena oggi dominata da frammentazione, subalternità e trasformismo. In Italia come in Francia o Gran Bretagna questo è l’unico “fronte popolare” davvero necessario per difendere le democrazie occidentali che appassiscono nel rischio della guerra, della crisi climatica, dell’autoritarismo, senza protagonisti alternativi che riescano a cambiare strada.

3   negli ultimi dieci anni ho seguito con una particolare attenzione l’evoluzione di tre esperienze politiche, tutte nell’occidente europeo, che in forme diverse fra loro hanno avuto un ruolo di rilievo nel tentativo di costruire una alternativa culturale, sociale e istituzionale che superasse le vecchie sovrastrutture politiche organizzate nate alla conclusione della seconda guerra mondiale: Il M5Stelle in Italia, i Verdi in Germania, Podemos in Spagna. Tre realtà che, viste dall’alto,  hanno avuto tantissimo in comune: l’attenzione alla crisi sociale e ambientale, la dichiarata volontà di lotta alla corruzione, il ripudio della violenza e della guerra nella dialettica sociale e internazionale, la scelta della convivenza e della tolleranza  interreligiosa e interetnica, ma soprattutto la dichiarata volontà di costruire una alternativa all’intero sistema politico del dopoguerra.

Certo  su tutt’altri piani  il movimento per il clima dietro Greta  Thunberg, l’esperienza di convivenza curda-interetnica del Rojava  e delle donne dell’YPA, la fase iniziale dei gilets jaunes in Francia sono stati fenomeni, come vari altri, di un rilievo importante. Non dimenticando le pluriennali esternazioni per la giustizia sociale di Papa Francesco. Ma non hanno sconfitto le aggregazioni che impediscono qualunque cambiamento. A mio parere queste tre esperienze politico-istituzionali nell’intero pianeta hanno avuto invece un ruolo di rilievo  particolarmente  significativo.

Questi tre attori politici dell’alternativa ci hanno illusi.  

In momenti diversi hanno sfiorato  l’egemonia sul piano elettorale come protagonisti di governo nel loro paese con la promulgazione di atti di legislazione  di riformismo radicale nel campo della tutela ambientale, della giustizia sociale, della denuncia della crisi del sistema politico. Tutti e tre hanno subito un pesante attacco, che non ha precedenti nel dopoguerra, da diverse e anche opposte parti politiche con il chiaro obiettivo di ridimensionarne o azzerarne il ruolo e rendere inefficaci le loro proposte di maggior rilievo. Tutti e tre vivono oggi una fase di   grande crisi che rischia di cancellarli dalla scena politica o renderli ininfluenti. E’ necessario capire perché e cosa si può fare.

Il M5Stelle, quello che ne resta dopo molteplici defezioni e sconfitte, dichiara l’impegnativa intenzione di promuovere in autunno una fase costituente con il rilevante obiettivo di attuare nuove forme di democrazia partecipata ( una maturazione della democrazia diretta nella quale  i sostenitori dovrebbero decidere cosa e come rifondare forme  e contenuti della propria azione). Sostengo da tempo che il dramma dei 5stelle non è nel non comprendere le ragioni della sconfitta ma nel non avere mai compreso le ragioni reali del loro travolgente successo. Il progressivo ridimensionamento elettorale ( dagli 11 milioni nel 2018 ai 2,3 delle recenti europee), la disgregazione nel territorio dove oggi i gruppi locali ufficiali risultano 300 su 8000 comuni, gli abbandoni che continuano, mi sembrano la conseguenza della  difficoltà a mantenere la loro connotazione genetica che si è espressa con successo fuori dagli schemi destra-sinistra tradizionali.  Diventa incerto il proprio riformismo radicale che non può che stare al centro della società, avere caratteristiche di aggregazione maggioritaria e costruire le indispensabili alleanze e mediazioni  solo su chiari impegni di programma. Un progetto meno difficile di quanto sembri che però non può essere ridotto ad una indefinita vocazione progressista o di qualunque altro tipo, se diventa incerta nei contenuti rischiando di  adeguarsi agli schemi della vecchia politica che portano solo alla irrilevanza. Ne consegue anche l’inaccettabile fenomeno dei cambiacasacca ( che io chiamo cambiapelle ) che trovano nel movimento ancora oggi solo un approdo di passaggio da cui migrare in tutte le direzioni con l’illusione, in realtà sempre smentita, di garantirsi un futuro personale in qualche anfratto della politica tradizionale.

Podemos in Spagna, dopo il successo travolgente fra il 2014 e il 2016, che sembrava avviarlo a diventare il primo partito spagnolo sulle macerie di Popolari e Socialisti, ha progressivamente mancato tutti gli appuntamenti della storia. Ha concentrato troppo su una figura (Iglesias) la propria immagine ( lo stesso errore dei 5stelle sulla figura di Conte), ha sfumato la propria origine di novità nata dai movimenti di contestazione dei 15-M e degli Indignados, collocandosi troppo nelle logiche di alleanze e disalleanze della sinistra moderata ed estrema ( stesso problema dei postgrillini). Non ha retto garantendo la tenuta del primo governo minoritario di Sanchez nel 2018 (difficoltà somigliante a quella dei verdi tedeschi nel governo a tre con l’SPD di Scholz e i Liberali ed a quella dei 5Stelle nel Conte 2 con il PD e nell’appoggio al successivo governo Draghi.) Disastrosa per Podemos  nel gennaio 2023 la partecipazione all’alleanza multiforme di Sumar di Yolanda Diaz che comunque non è andata al di sopra del 12% alle ultime elezioni politiche del luglio 2023 ed è già in disfacimento. Una nuova e difficile rifondazione di Podemos con Irene Montero e  Ione Belarra si è avviata con le elezioni europee ( usciti di scena Iglesias ed anche le componenti che con Íñigo Errejón si erano scisse nel 2019).  Nelle storiche elezioni politiche ripetute del giugno 2016 Unidad Podemos aveva sfiorato i 6 milioni di voti e più di 70 eletti (su 350). Nelle recenti elezioni europee, dopo la separazione dall’aggregato di Sumar,  Podemos ha ottenuto 578mila voti e due eletti, mentre l’aggregato di Sumar ha raggiunto solo 818mila voti e 3 eletti. Circa 5 milioni di voti si sono dissolti. Per otto anni Podemos e Iglesias in particolare, hanno subito una permanente aggressione mediatica con diversi mandanti politici ed economici, ma prima di tutto promossa dall’area dei Popolari di Rajoy che governava fra il 2015 e il 2016, sempre nella totale indifferenza dei Socialisti. In queste ultime  settimane di fine  luglio dei giudici hanno aperto un indagine su quei fatti (scandalo che alcuni chiamano il Watergate spagnolo) che videro, in un paese democratico, una azione prolungata di spionaggio e di discredito contro tutti i deputati di Podemos che coinvolse  2700 agenti del ministero degli interni, 57 commissariati di polizia e decine di giornalisti che avevano l’obiettivo di impedire il successo di Podemos e minarne la credibilità con quotidiane accuse inventate e campagne giornalistiche diffamatorie.

I Verdi tedeschi hanno un età e una storia diversa da 5stelle e da Podemos. Già dal 1998 al 2005 hanno avuto un esperienza di governo con i socialdemocratici (SPD) con l’importante ruolo di Joschka Fischer come Ministro degli Esteri e Jürgen Trittin all’Energia con il quale si decise fra l’altro  l’abbandono totale del nucleare in 20 anni. Il risultato è stato ottenuto, però sono ancora aperte alcune grandi centrali a carbone a causa della troppo lenta conversione verso le rinnovabili e della guerra in Ucraina. I Verdi sono al governo in numerosi Lander con diversificati tipi di alleanza, dai Democristiani della CDU alla Linke, con la sola eccezione della estrema destra (AFD). In vari momenti degli ultimi due decenni i Verdi si sono avvicinati ripetutamente, almeno nei sondaggi, a diventare il primo partito della Germania e nel gennaio 2021 è nato un nuovo governo per la prima volta a tre (coalizione semaforo) con SPD e Liberali (FDP). Nel governo di Scholz i Verdi hanno 5 ministri su 12, fra i quali il Ministero degli esteri con Annalena Baerbock ed il superministero dell’Energia con Robert Habeck. Malgrado la forte conflittualità interna (in particolare fra Verdi e Liberali) e la deludente immagine  di Scholz che ha portato ad una crisi crescente dell’SPD, il governo ha portato alcune novità in tre anni: ha deciso l’aumento del salario minimo a 12 euro l’ora, ha avviato la graduale sostituzione del gas per il riscaldamento con l’obbligo delle pompe di calore nelle nuove abitazioni. Si è abbassato il voto ai sedicenni e liberalizzata la cannabis in modiche quantità. Forse troppo poco. La posizione apertamente  a favore dell’Ucraina e l’intenzione di aumentare la spesa militare ( nel 2022 era all’1,4% del PIL contro l’1,7 dell’Italia, l’ 1,9 della Francia e il 2,2 della GB) ha procurato forti critiche dei pacifisti specie a Scholz e alla Habeck. In aggiunta il governo è finito sotto attacco da più parti per i costi degli affitti, per l’aggravarsi dell’inefficienza dei servizi e dei lavori pubblici, per l’aumento della criminalità in alcune grandi città e nelle zone a forte concentrazione di recente immigrazione. I Verdi al governo si sono trovati in alcune occasioni a scontrarsi anche con una parte del loro elettorato. Il caso più rilevante a inizio 2023 nel lungo scontro popolare per l’apertura e l’allargamento della vecchia miniera di carbone e lignite di Luetzerath in Nordreno-Vestfalia dove i Verdi sono anche nel  governo del lander con la CDU. Nelle grandi manifestazioni ambientaliste per impedire la riapertura dell’ impianto ( con la presenza anche di Greta Thumberg e dei principali esponenti di FFF alcuni anche dirigenti dei Giovani Verdi ) la presenza dei Verdi al governo nazionale e locale  è stata pesantemente messa sotto accusa,  vissuta come un tradimento, rifiutando la tesi che accettare  il compromesso di Luetzerath avrebbe portato ad una successiva anticipazione della fuoriuscita totale dagli impianti a carbone nei prossimi anni.

Le evidenti difficoltà dell’intero governo semaforo hanno avuto una pesante conferma nelle elezioni europee: L’SPD è arrivata al suo minimo storico del 13,9%, i verdi all’11,9% perdendo il 40 % dei propri voti del 2019 e in particolare i due terzi del voto giovanile dai 16 ai 24 anni, i Liberali sono scesi al limite del 5% che nelle politiche li metterebbe fuori dal Bundestag. Dopo uno scontro interno al Governo durato mesi sul Bilancio 2025 a inizio luglio sembrava imminente lo scioglimento della coalizione: SPD a difesa di varie spese sociali, Verdi contrari a rinunciare agli impegni di transizione ecologica, Liberali contrari a nuovo debito e ostinati nel sostegno ad un taglio generalizzato delle spese sociali e ambientali. Si è trovato un compromesso che vede un impegno di investimenti per 100 miliardi nel 2025, solo ritocchi sul reddito minimo ma anche il ridimensionamento dell’aumento  delle spese militari da 6 a 1 mld.

A settembre arriva la grande verifica su dove andrà la Germania con le importanti elezioni nei tre principali Lander dell’Est ( Sassonia, Turingia, Brandeburgo). In tutti e tre i sondaggi indicherebbero un grande risultato della estrema destra di AFD forse come primo partito vicino al 30%, con la tenuta della CDU, il forte ridimensionamento dei tre partiti di governo e la tendenza all’aumento di alcuni partiti minori. Fra questi Bündnis di Sahra Wagenknecht che ha abbandonato la Linke, scomparsa dal Bundestag dopo la contestata candidatura di Carola Rackete e il suo deludente risultato alle europee. La Linke è  scesa sotto il 3% e  ha ottenuto tre eletti, la metà dei voti di Bündnis con sei eletti.

4 La crisi dei tre più significativi movimenti politici di alternativa dell’Occidente ha elementi comuni impressionanti, alcuni ovvi ed evidenti ed altri molto meno  su cui vale la pena ragionare. Nati in aperta critica al sistema politico nel suo insieme, spinti dal successo anche rilevante, hanno assunto ruoli di governo in alleanza con partiti tradizionali per lo più di sinistra moderata (socialisti e socialdemocratici) ma non hanno mai messo in discussione concretamente né i sistemi elettorali ereditati dai decenni scorsi ne la cultura politica imperante che tende forzosamente al bipolarismo lasciandosi progressivamente inserire nella logica delle coalizioni e della personalizzazione sui leader che rendono meno visibile il progetto di riforma sociale, le alternative e le nuove priorità. Venire collocati dentro l’alveo tradizionale della destra e della sinistra rende arduo mantenere e far prevalere la propria alterità e con il tempo porta alla marginalità. Sulle questioni sociali emergenti ( fra tutte la necessità della transizione ecologica ed energetica, la gestione delle migrazioni non regolate incrociata con la sicurezza sociale e la xenofobia, l’accentuarsi delle disuguaglianze e la corruzione) si vede il palese fallimento di tutte le destre e le sinistre degli ultimi decenni e in generale una crisi di egemonia delle élite politiche dell’intero Occidente.

- La transizione ecologica richiede di mettere in discussione con coraggio le forme di mobilità basate sull’auto a favore dei vettori collettivi metropolitani a rete, privilegiare l’autonomia energetica delle abitazioni con la autoproduzione da rinnovabili, sostenere la tutela e l’aumento delle alberate e del verde diffuso  nelle città con sistemi di irrigazione minimi nei mesi estivi, l’uso di pavimentazioni che non assorbano calore e la messa al bando di catrame, bitume e asfalto tradizionali, promuovere l’estensione delle zone pedonalizzate per contenere così le isole di calore urbano, riorganizzare il sistema idrico come bene comune per combattere siccità e desertificazione crescente, ridurre la produzione di plastica che va considerata un inquinante in continuo aumento.     

- L’immigrazione richiede la istituzione  di corridoi umanitari permanenti attraverso i quali il paese gestisce direttamente tutta l’entrata dei flussi annuali. Su migranti  irregolari e clandestini e sulla logica emergenziale si misura ormai la incapacità e il fallimento di tutte le destre e le sinistre. Anche il ruolo delle ONG risulta irrilevante e mette in ombra il vero obiettivo che è quello di togliere ai gruppi criminali e dare allo Stato il controllo dell’immigrazione. Va promossa la costruzione di un percorso stabile e diffuso di integrazione in alternativa alla immigrazione irregolare. Servono quindi percorsi di sostegno e controllo permanenti  che garantiscano la sicurezza sociale e contrastino la xenofobia.

- La precarietà del lavoro e la tutela dei più deboli richiede forme di reddito di sopravvivenza, il contrasto del lavoro irregolare e la diffusione di un salario minimo orario universale in tutti i settori, una rivoluzione fiscale che azzeri l’evasione e sia in grado di contrastare le manovre che portano a forme irragionevoli di extraprofitti e ad una fiscalità irrisoria dei grandi attori finanziari.

Si tratta di azioni e scelte di governo ormai note a tanti, possibili, che sono realizzabili anche se trovano ovvi ostacoli e nemici, ma che la gran parte della popolazione può comprendere e condividere. 

Sono convinto che i movimenti di alternativa hanno caratteristiche di riformismo radicale che non coincidono con nessuna destra e nessuna sinistra dell’occidente ma possono attrarre da diverse direzioni una grande maggioranza che oggi percepisce, magari anche nell’astensionismo e nell’inerzia, la necessità del cambiamento e la crisi a cui l’umanità sembra andare rapidamente incontro.

Si tratta della vita e della felicità della nostra e delle future generazioni.

 

bibliografia

Stati per spesa militare - Wikipedia 2022

Europa, perché è crollato l’argine contro le destre - maggio 2024

Il kurdistan che non esiste - febbraio 2018

Sciopero globale del clima, i Fridays for Future nelle piazze di tutta Italia: "Riprendiamoci il futuro" - aprile 2024

Virginia Raggi: “Il Movimento 5 Stelle torni alle origini. Allearci è un errore, ci snatura” - giugno 2024

Il M5S avvia il processo “costituente” - luglio 2024

Assemblea costituente M5S, comunicato del Consiglio nazionale - agosto 2024

Spagna, l’ultradestra (compresa Vox) da giorni in piazza a Madrid: tentati assalti alla sede del Psoe - novembre 2023

Podemos ha cambiato la Spagna - gennaio 2024

Spagna, «guerra ibrida» contro Podemos: i poteri dello Stato al servizio di Rajoy - luglio 2024

Spagna: Il fallimento di Sumar - luglio 2024

Per la Francia un mese lungo un anno - luglio 2024

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