25 agosto 2020

Migranti: Serve una terza via. Ne porti chiusi ne porte aperte.

 di Massimo Marino

 

1)          Apparentemente sul problema dei migranti in Italia ci sarebbe poco da discutere.

L’Italia sarebbe divisa in due.

Più o meno la metà sarebbero razzisti. O comunque non vogliono i migranti perché abbiamo già problemi nostri e non possiamo occuparci dei loro. Con gradazioni diverse, anche molto diverse, di sadismo o di egoismo condividerebbero nella sostanza l’idea di ributtarli tutti a mare, chiudere i porti e gli altri confini. Anche perché fra i migranti si nasconderebbe di tutto, dall’isis, al virus.  Qualche tentennamento ci sarebbe per quelli che fuggono dalle guerre sotto casa, che sono probabilmente solo una minoranza, ma nella sostanza la soluzione sarebbe questa.  Neanche tanto si farebbe eccezione  per donne e bambini. A secondo del punto di vista questi sarebbero quelli che  mettono sempre al primo posto gli italiani ( quindi veri patrioti), da un altro punto di vista sarebbero tutti razzisti. Punto.

L’altra metà dell’Italia sarebbero antirazzisti, quindi per definizione altruisti e favorevoli a dare una mano a tutti quelli che affogano nel Mediterraneo. I migranti hanno il diritto di vivere (come noi?) o comunque sopravvivere in ogni caso a guerre, crisi climatica, povertà. Dobbiamo quindi aprire i porti e le porte a tutti o comunque a tutti quelli che specie attraverso il Mediterraneo rischiano la vita per emigrare e vogliono sbarcare ( in Europa, non in Italia perlopiù). E naturalmente la libertà di muoversi sul pianeta non deve essere frustrata. Questa metà dell’Italia, che soffre l’emergenza ma non costruisce soluzioni vere non sembra sempre interessata a cosa succede prima, durante e dopo il viaggio a quelli che intraprendono l’avventura disperata dell’immigrazione irregolare.

La mia è ovviamente una palese forzatura delle posizioni, una lettura esagerata delle opinioni che dividono la società italiana e non solo quella. Però, grazie anche ad un sistema dei media che esaspera e banalizza tutto, queste appaiono le posizioni. Sono quelle su cui si fanno le crociate. Di cui si discute al bar e in tv. Su cui si decide quale partito sostenere. Su come comportarsi per la strada.  Un’altra posizione non appare mai, quindi: o sei di qua o sei di là.

Più o meno da 5-6 anni questo tema, che secondo me non sarebbe affatto fra quelli più drammatici se fosse gestito solo decentemente, è diventato una fra le principali emergenze nell’immaginario di molti. Ha occupato le prime pagine dei media costantemente, scalzato solo per qualche mese dal virus. Oggi si ricomincia. Tema su cui si organizzano le crociate, si fanno le fortune elettorali di questo o di quello, qualche volta anche un bel po’ di soldi. Si organizzano risse furiose su FBK dove gli insulti volano come farfalle in un prato fiorito ( “sporco razzista” .. “schifoso nemico degli italiani “ ..  e via così ). Si inventa un' invasione ( sarebbe un disegno voluto per cambiare la composizione etnica dell’Occidente! ). Oppure, dall’altro fronte, si sostiene che alcune centinaia di migliaia di irregolari e clandestini nel nostro paese entrati dal 2014 in poi non sono un problema ( e invece lo sono eccome, prima di tutto per loro stessi).

Di gran lunga il tema diventa il più discusso, rendendolo così ben più importante di tanti altri. Ad esempio del fatto che il timido programma di interventi sul clima di COP 21 di Parigi del 2015 è praticamente saltato è non c’è un piano B. Qualcuno, come Greta e alcuni altri giovani leader che emergono qua e là sul pianeta, senza guardare in faccia nessuno e lontani dal gioco della politica, ci ripetono, forse con troppo garbata rabbia,  che non possiamo scoprire fra 10-15 anni che il piano B non c’è. E che siamo ( “saranno” quelli della generazione cento che vivrà il nostro secolo) letteralmente fottuti.

Una bella rissa in TV sui migranti è il sogno di tutti partiti, di destra e di sinistra, dei loro esponenti più televisivamente gettonati. Non vedono l’ora di farla. Alla fine dei conti costa poco, anche se quello che accomuna i contendenti è la quasi assoluta mancanza di idee e progetti per mettere sotto controllo il fenomeno delle migrazioni irregolari.  

Che tu sia di sinistra o di destra hai sicuramente un bell’elenco di ragioni, e anche belle solide, per esporre le tue opinioni ed al contrario di molti altri temi caldi su cui le differenze fra i partiti evaporano fino a renderle difficili da riconoscere, non ti costa quasi nulla dichiararti da una parte o dall’altra. 

2)   Il quadro della dimensione del fenomeno è relativamente noto e rimando, per chi fosse interessato ad approfondire, ai contributi della sottostante bibliografia, scelti fra quelli che ritengo più utili ed interessanti.

Ricordo soltanto alcuni dati essenziali: l’Italia è percorsa negli ultimi anni da quattro  flussi di migrazioni   di un certo rilievo ognuno dei quali pone dei problemi, che si potrebbero gestire normalmente e si impone che i flussi siano governati attraverso un razionale percorso di scelte di investimenti, di azioni organizzative, di aggiornamenti legislativi e di progetti culturali.

Il primo è il flusso da Sud a Nord del paese (e non viceversa) che solo dal 2002 ad oggi ha coinvolto un milione di persone soprattutto giovani.

Il secondo è il flusso di giovani migranti ( molti di livello scolastico elevato) che abbandona il paese in gran parte verso altri paesi europei specie del nord Europa. Dal 2006 al 2019 gli emigrati ufficiali sono 2 milioni. In misura uguale uomini e donne con un’età media attorno ai 30 anni. 

Il terzo è il flusso di migranti regolari che entrano in Italia da altri paesi. In maggioranza dai paesi europei dai quali è più facile ottenere il visto di ingresso, ma anche da vari paesi extra UE specie del nord Africa. Gli stranieri regolari sono oggi quasi 5.5 miloni, meno del 10% della popolazione. Fra l’altro l’Italia è il paese europeo che negli ultimi anni molto più degli altri ha concesso la cittadinanza trasformando stranieri regolari in cittadini italiani a tutti gli effetti. I nuovi italiani negli ultimi dieci anni sono più di un milione.

Il quarto flusso è quello dei migranti irregolari, detti anche clandestini. Sul loro numero, provenienza, collocazione e  destinazione attuale ho letto veramente di tutto e anche fonti più o meno ufficiali si fanno notare per il modo confuso e a volte poco serio con il quale “danno i numeri”. Con qualche rischio mi azzardo quindi a fare queste stime: dal 2014, nel pieno della  guerra civile in Siria e della seconda guerra civile in Libia, fino ad oggi sono entrati in Italia almeno 600mila stranieri in modo irregolare più o meno clandestino, fra i quali molte decine di migliaia utilizzando il visto turistico e poi eclissandosi. Tre quarti degli ingressi è avvenuto via mare utilizzando per lo più i barconi di gruppi criminali organizzati ma con il tempo anche attraverso sbarchi autonomi e autogestiti. Si parla di un centinaio di gruppi che hanno terminali permanenti nei principali paesi africani, ma anche mediorientali e in alcuni paesi asiatici. Alcuni gruppi sono in grado di mantenere i rapporti con gli sbarcati e indirizzarli verso le più diverse attività. Sono proliferati soprattutto dopo che la Libia è stata affondata da noi e fatta a pezzi dai successori di Gheddafi, la Siria è stata dilaniata dalla guerra civile e l’Isis ha indebolito numerosi altri paesi. E prima ancora la crisi dei balcani e lo spappolamento della ex jugoslavia, in qualche modo sedata dai nostri bombardamenti in Kossovo poi costituendo un Protettorato, hanno aperto altri varchi dall’est europeo. 

Almeno 300mila hanno poi con il tempo abbandonato l’Italia verso altri paesi. Per quanto in questi anni siano stati emessi più di 100mila fogli di via (espulsione) non più di 6000 all’anno in media sono stati rimpatriati ( in numero costante all’epoca di Minniti, di Salvini e della Lamorgese).

Degli altri 300mila  all’incirca la metà hanno ottenuto forme di registrazione della loro posizione: con permessi di soggiorno di vario tipo e durata o come  richiedenti asilo,  in base alla loro supposta provenienza e condizione. Oppure con permessi di protezione umanitaria che allargava lo spettro delle regolarizzazioni. Questi ultimi fortemente ridimensionati dal DL 113 dell’ottobre 2018 ( detto decreto Salvini) che ha ricollocato nell’area della clandestinità alcune  decine di migliaia di irregolari. Neppure lui secondo me aveva chiaro quale vantaggio ne potesse trarre visto che erano già tutti qui, ma probabilmente lo riteneva un buon spot elettorale.  

Dei 100-150 mila rimanenti, senza alcuna forma di riconoscimento e regolarizzazione, non sappiamo nulla e se sono ancora in Italia alimentano il mercato del lavoro ( nero e clandestino ma in gran parte stagionale od occasionale), della prostituzione ( all’incirca il 10% almeno delle 100mila prostitute italiane sono straniere, molte irregolari e clandestine e per un terzo circa minorenni).  Si stima che potrebbero esserci circa 100mila badanti straniere che in buona parte lavorano in nero e sono in parte irregolarmente presenti in Italia.  Si può stimare che sono parecchie migliaia in buona parte irregolari quelli coinvolti nello spaccio di droghe sintetiche e hashish. Per lo più marocchini, tunisini, nigeriani e albanesi.

Ovviamente restano decine di migliaia di stranieri, entrati clandestinamente, allontanatisi dagli hotspot, o con i permessi scaduti, che vivono nel nostro paese ai limiti della sopravvivenza ma non compiono assolutamente nessun reato. Ed essendo “invisibili” sono tagliati fuori da qualunque forma di sostegno economico istituzionale e da qualunque attività lavorativa regolare. Con il tempo e solo in alcune zone parte di loro riescono ad ottenere forme di assistenza sanitaria.

Fra queste centinaia di migliaia di irregolari, a parte rumeni e ucraini più facilmente entrati via terra, gli altri arrivati via mare hanno una composizione abbastanza composita nel tempo. Negli ultimi anni in grande maggioranza si tratta di migranti economici, tunisini i più presenti nell’ultimo anno dopo la crisi del nuovo governo di Elyes Fakhfakh e l’arrivo del Covid19. Solo in misura minore sono quelli realmente provenienti da zone di guerra o coinvolti da gravi tragedie ambientali.  

3) Se lo scontro fra razzisti e antirazzisti produce in genere pochissime idee da entrambe le parti sulle soluzioni del problema, non c’è dubbio che mediaticamente ed elettoralmente hanno stravinto quelli che vogliono i porti chiusi. Mi sono convinto sempre di più con il tempo di quale è il risultato della richiesta di aprire le porte a tutti, sorvolare sul dopo e ignorare gli enormi problemi che questo scenario  provoca, prima di tutto ai migranti stessi, prima e dopo aver attraversato il Mediterraneo. 

Il risultato è stato quello di avere trasformato due penosi partitini della destra italiana in grandi partiti popolari e di massa. Vuol dire che la politica che suggerisce in questo scenario le  “porte aperte “è gravemente sbagliata e ne serve un’altra. Abbiamo aperto il varco ad un centinaio di gruppi criminali, potenziato lo spaccio e la prostituzione con nuove leve di disperati, permesso che senza valide proposte alternative e soluzioni ragionevoli le peggiori idee razziste e fascistoidi si insinuassero nella vulgata comune di molti. Le ONG, che hanno immaginato di svolgere un ruolo positivo raccogliendo qualche migliaio di migranti ai bordi del confine marittimo libico, paradossalmente rendendo più semplice e più redditizio il commercio dei barconi che così non vengono neppure sequestrati  e possono tornare indietro con poco consumo di carburante pronti per un nuovo giro, sono cadute in un clima di sospetto diffuso. Carola Rackete eroina lo è solo per una minoranza che è alla ricerca delle proprie Giovanna d’Arco. Nessuno è interessato ne in grado di conoscere dove finiscono, che vita fanno, come sopravvivono poi, le centinaia di migliaia di persone  a molte delle quali ad oggi non siamo in grado di offrire nulla se non nuove forme di schiavismo e di diversa sofferenza. Fanno eccezione soltanto le esperienze di alcune comunità religiose e pochi altri.

Dunque lo Stato, chi governa, e dietro di lui tutte quelle parti della società civile organizzata e non che ritengono obiettivi prevalenti la convivenza multietnica, il diritto ad una sopravvivenza decente, la sicurezza e la tutela sanitaria per tutti, deve riprendere in mano la situazione, cambiare drasticamente rotta, che non vuol dire stare in mezzo e in silenzio, e trovare nuove vie.  Ma esistono?

Certo che esistono.

4)           Per prima cosa lo Stato deve spazzare via tutta la filiera organizzata del crimine che attraverso gli scafisti e le altre strade irregolari via terra di ingresso nel paese controllano prima alla partenza e poi all’arrivo il destino di molte migliaia di persone. Il modo migliore per farlo mi sembra quello di sostituirsi totalmente agli scafisti  ed ai gruppi criminali e gestire direttamente l’ingresso in forme regolamentate di tutti i migranti. Intendo una azione non emergenziale ma costruita con il tempo che ci vuole per diventare stabile, con l’obiettivo di cancellare l’immigrazione irregolare, raccogliere in elenchi e graduatorie singoli e famiglie interessate a migrare, prelevarli  nei campi profughi o a casa loro se ce l’hanno e con navi o aerei, organizzare un percorso regolare di ingresso nel paese e poi di eventuale spostamento nel resto dell’UE. Per alcune decine di migliaia di persone all’anno.

Si tratta di aprire progressivamente sportelli ufficiali presso le principali ambasciate e consolati in vari paesi africani, e in alcuni mediorientali e asiatici. Un impegno ben difficile ma non più di altri. Naturalmente le domande supererebbero di gran lunga le possibilità ma tutta l’Europa sarebbe costretta a fare i conti con questa diversa via per affrontare un problema che comunque tutti continueranno ad avere.

 L’iniziativa dello Stato andrebbe presa con una collaborazione permanente delle associazioni degli imprenditori specie del settore dell’industria e dell’agricoltura, delle principali associazioni di stranieri già esistenti in Italia, delle associazioni di volontariato e delle ong disponibili. Progressivamente questa struttura dovrebbe accentrare tutti gli aspetti dell’integrazione di tutte le forme di immigrazione. Nella fase iniziale di accoglienza andrebbe garantito un minimo gettone di sopravvivenza e semplificate le procedure per permettere fin da subito la possibilità di utilizzo dei migranti in attività di lavoro sostanzialmente gratuito nelle migliaia di comuni che hanno bisogno di interventi sociali o di manutenzione del territorio.  Per mia esperienza diretta con un gruppo di migranti ho visto che la possibilità di operare da subito è anche psicologicamente gradita da molti migranti rinchiusi nei centri in attesa di un permesso che magari arriva dopo più di un anno. Mentre si avvia questo percorso, con l’obiettivo di proporlo come nuovo strumento all’intera UE, andrebbe preclusa, in modo più intransigente, qualunque entrata irregolare, prima di tutto rendendo ardua qualsiasi attività delle organizzazioni criminali, ampliando e irrigidendo anche attività del tipo di quella  dell’Agenzia di Frontiera Frontex. 

Si tratta quindi di chiudere i porti e chiudere le porte a tutte le forme di migrazione irregolare e clandestina e aprire i porti e le porte ad un sistema permanente di immigrazione e integrazione avviata, regolata, gestita dallo Stato insieme ai molti soggetti che hanno titolo o disponibilità ad operare insieme.

Da alcuni anni ci sono già esperienze e progetti, certo di dimensione limitata e privata, anche se in genere sostenuti dal Ministero degli Interni, che vanno in questa direzione.

I corridoi umanitari sono un modello di accoglienza che gli Stati Europei hanno già a disposizione come alternativa sicura e legale ai viaggi della disperazione. Come anche in Francia e Belgio le ambasciate e consolati italiani, su richiesta di associazioni private possono già rilasciare visti umanitari con validità territoriale limitata alla sola Italia ai sensi del Regolamento (CE) n. 810/2009 del 2009 (art.25). I profughi coinvolti dai promotori del progetto sono ospitati in strutture disponibili secondo il modello dell’“accoglienza diffusa” garantendo la possibilità di integrazione nel tessuto sociale e culturale, l’apprendimento della lingua italiana, la scolarizzazione dei minorenni. Il progetto “Apertura di corridoi umanitari” ha preso il via in Italia il 15 dicembre 2015 con la firma di un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il Governo italiano. Sebbene poco conosciuti sono già quasi una decina i progetti attuati, ad esempio con i villaggi SOS, con gruppi di profughi dall’Etiopia, dalla Giordania e dal Niger ed evacuati dalla Libia. Progetti finanziati ad esempio dall’otto per mille della Chiesa cattolica e da raccolte fondi della Comunità Sant’Egidio che in totale hanno già coinvolto forse quasi duemila persone, per lo più donne, bambini e famiglie.

Anche la Merkel nel 2015 e 2016 ha attuato il progetto di ingresso organizzato dalla Germania, per circa un milione e mezzo di profughi siriani prelevati dai campi di raccolta di confine dopo che la guerra civile e l’isis hanno portato alla fuga almeno 5 milioni di persone. Ma una iniziativa permanente dell’Italia avrebbe un grande impatto. E’ chiaro che inizialmente servirebbero risorse consistenti e azioni mirate e in qualche modo fortemente simboliche: ad esempio ottenendo la possibilità di organizzare con un trasporto via mare l’evacuazione progressiva di alcuni campi di raccolta di stranieri in Libia. Già l’UNHCR ha chiesto più volte di subentrare alle milizie libiche nella gestione di alcuni campi e associazioni di dimensioni ridotte si sono offerte di aprire piccoli corridoi.

In prospettiva però si tratta di garantire un ingresso regolare in Italia di quelle migliaia di persone all’anno che comunque il sistema economico e sociale non solo può assorbire ma addirittura richiede per necessità.

Si tratta di costruire un diverso rapporto, da una parte più autorevole e dall’altra meno ambiguo, con molte realtà dell’Africa e del Medio Oriente alle quali per il momento succhiamo petrolio e vendiamo armi.

Non dimenticando che strategicamente l’impegno principale dovrebbe essere quello di poter garantire a tutti  il diritto di NON migrare per necessità dalla propria terra.

Letture:

Che cosa è Frontex (Interno.gov.it )

Corridoi umanitari: cosa sono e come funzionano (sositalia.it)

Dossier migrazioni 1 - 2 -3  (Igor Giussani)

Dossier migrazioni (CNMS – Francesco Gesualdi)

Fra Tunisia e Libia una multinazionale del traffico umano ( Ferruccio Bellicini – unimondo.org )

I dati sulla cittadinanza in Italia ( Fabio Colombo- lenius.it )

Mafia Nigeriana (wikipedia.org)

 Migrazioni: l’insopportabile ipocrisia dell’accoglienza ( Maurizio Pallante)

Migranti irregolari e rimpatriati ( Milena Gabanelli)

Migranti ( lenius.it)

Per battere Salvini mutate l’agenda ( Giandomenico Crapis – FQ)

Rapporto Immigrazione 2018-2019 ( caritasitaliana.it )

Rapporti sull’immigrazione e l’integrazione ( integrazionemigranti.gov.it )

UNCHR arrivi dal Mediterraneo anno 2020

Un Medio Oriente libero e tollerante torniamo al sogno di Lawrence d’Arabia ( dirittiglobali.it - Edgar Morin)

 il commento della settimana ( 2) - 23 agosto 2020

19 agosto 2020

I ladri di polli leghisti e la matrice pubblica della corruzione

 

Corruzione. La bagarre sui politici che hanno preso il bonus di 600 euro, tra i quali si distinguono ovviamente i leghisti, rischia di far dimenticare colpevoli ben più importanti e oscurare il carattere strutturale della corruzione nel tardo capitalismo

 di Fabrizio Tonello *

Avremo un’Italia più pulita, più giusta, più credibile quando sapremo i nomi di tutti i parlamentari e i consiglieri regionali che hanno chiesto e ottenuto il bonus da 600 euro destinato alle partite Iva in difficoltà? C’è da dubitarne. La caccia ai ladri di polli, tra i quali si distinguono ovviamente i leghisti, rischia di far dimenticare colpevoli ben più importanti e oscurare il carattere strutturale della corruzione nel tardo capitalismo.

Prima di tutto ci serve una definizione di corruzione più ampia di quella normalmente usata: al di là della sua definizione nel codice penale occorre prendere in considerazione il sistematico tradimento della fiducia e della moralità pubblica nel perseguimento del successo e dell’arricchimento personale o istituzionale. In questo senso, la possibilità di piccoli e grandi guadagni materiali per il singolo dipende agli attuali rapporti tra economia e politica.

Il miglior esempio è Donald Trump: i suoi guadagni sono sempre avvenuti in settori fortemente regolati dalle autorità, come l’edilizia o l’industria dei casinò. Sono attività dove concessioni, licenze, autorizzazioni sono determinanti nel successo o nel fallimento di un’impresa. Trump non ha inventato il microchip, né il personal computer, né lo smart phone: ha invece perfezionato modi per arricchirsi (peraltro non si sa se i suoi miliardi siano reali o fittizi, un’immensa facciata di cartapesta dietro la quale stanno solo debiti verso le banche) grazie ai suoi rapporti legali e illegali con la politica di New York.

Il suo precursore italiano Silvio Berlusconi, come ben si sa entrato in politica per difendere le sue reti televisive, è perfettamente riuscito nel suo intento ed è sopravvissuto perfino a una condanna definitiva per evasione fiscale, la stessa sorte che attende Trump quando lascerà la Casa Bianca. Ma esaminiamo più da vicino un caso italiano di ben altre dimensioni rispetto allo scandalo dei bonus, quello delle dighe mobili a difesa della laguna di Venezia, il cosiddetto Mose, su cui il governo ha avviato proprio in questi giorni una procedura per completare le opere e mettere in funzione le paratie.

Giovanni Benzoni e Salvatore Scaglione hanno pubblicato recentemente una preziosa ricostruzione del sistema di potere e di corruzione cresciuto attorno al progetto in oltre mezzo secolo (Sotto il segno del Mose. Venezia 1966-2020, La Toletta edizioni). Dal loro libro emerge che, fin dall’inizio, il Consorzio Venezia Nuova, appaltatore unico dell’opera, era sostanzialmente un’organizzazione a delinquere, la cui forza risiedeva nella capacità di corrompere chiunque potesse rallentare, ostacolare, o anche solo criticare il progetto.

Quindi metteva a libro paga politici e funzionari per assicurarsi che il flusso di denaro continuasse senza intoppi: da Giancarlo Galan, presidente della Regione veneto e ministro, a Patrizio Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia, da Emilio Spaziante, ex generale della Guardia di Finanza, a Renato Chisso, assessore ai Trasporti del Veneto. Nessuno di costoro è finito in carcere. Tutte le pene detentive sono state sospese e lo Stato si è accontentato di confiscare una parte del maltolto: 2,6 milioni a Galan, 750.000 euro a Cuccioletta, 500.000 euro a Spaziante e 2 milioni a Chisso.

Il problema con le ricostruzioni giudiziarie delle vicende di corruzione, siano infime come i bonus dei deputati leghisti o assai lucrose e durevoli come nel caso di Venezia, è che non spiegano le origini profonde della corruzione, che è un fenomeno sistemico, non individuale. Come diceva un celebre gangster americano, lui rapinava le banche “perché i soldi stanno lì” e, nel caso degli stati moderni, i soldi stanno proprio lì, in quel 40-55% del prodotto interno lordo che costituito dalla spesa statale (dati Ocse 2019).

È più facile impadronirsi di una fetta degli stanziamenti per i camici destinati agli ospedali che progettare e commercializzare un nuovo camice adatto alla protezione contro il Covid-19. È più facile “privatizzare” beni pubblici esistenti che crearne di nuovi, come gli oligarchi russi hanno ampiamente dimostrato. Tutto questo era vero prima che l’epidemia facesse esplodere la spesa pubblica, quindi è prevedibile che la percentuale del Pil in qualche modo transitata per lo Stato nei prossimi anni risulterà ancora superiore.

Le Autorità anticorruzione e gli scandali di Ferragosto cambieranno ben poco finché resterà valida l’intuizione di Brecht che fondare una banca è assai più profittevole che rapinare una banca. Come rileva il sociologo tedesco Wolfgang Streeck nel suo libro How Will Capitalism End?, la corruzione sistemica genera però una demoralizzazione di massa e una delegittimazione del sistema politico che, a loro volta, producono nuovi comportamenti corruttivi, apatia politica e la tentazione di cercare soluzioni autoritarie. Il pericolo per la democrazia viene da qui.

* da il manifesto -19 agosto 2020

16 agosto 2020

Referendum: SI’ alla riduzione dei Parlamentari ma è solo un inizio

 di Massimo Marino

Sostenere con il SI’ il taglio dei parlamentari è solo un primo passo, per la verità di portata molto modesta, utile per una riforma ben più complessa e necessaria, dell’intero sistema istituzionale italiano che fa acqua da tutte le parti. Almeno dalla metà degli anni ’90 le logiche “di casta” hanno preso il sopravvento su una reale dialettica politica fra forze e progetti di società diversi, sostituita, con l’avallo dei diversi sistemi maggioritari, da una finzione di bipolarismo. In realtà da una palude dove per anni le differenze fra le diverse forze politiche sono diventate minime e sulle questioni di riforma strutturali di fatto irrilevanti. Basti accennare alla precarietà del lavoro, alla crisi ambientale, al fenomeno della corruzione e del clientelismo, al degrado del sistema sanitario, al dilagare delle privatizzazioni parastastali. Problemi sui quali negli ultimi decenni è arduo definire concrete differenze fra i principali partiti.

 Il progetto “anticasta” del M5Stelle fa parte di un condivisibile, seppur confuso, disegno complessivo che dovrebbe prevedere: 1) l’istituzione del referendum propositivo tramite la cosiddetta “legge di iniziativa popolare rafforzata”, approvata alla Camera e ferma al Senato. 2) una positiva modifica del sistema elettorale in senso proporzionale con il quorum al 5% per contenere la frammentazione ed il trasformismo dei piccoli partiti o i cartelli elettorali inventati all’ultima ora. Modifica che comunque si impone modificando i seggi nelle due Camere.  3) Il rilancio dei referendum di tipo abrogativo ( ma non abbassando il quorum sotto il 50% che personalmente considero una pessima idea che mi auguro venga abbandonata) 4) Una riduzione delle indennità e dei costi complessivi della politica e non solo, che sono fra i più alti nell’intero Occidente, su cui però si erge nei fatti un silenzioso muro invalicabile da parte di tutti i partiti e partitini senza distinzioni di schieramento.

Di fronte alla ostilità dei vecchi partiti e in assenza di sedi all’interno del M5Stelle dove approfondire e consolidare questa riforma complessiva, che originariamente aveva l’obiettivo di ridurre il potere della casta e la sua vocazione clientelare praticando anche forme di democrazia diretta riducendo i costi e orientando le risorse verso finalità più popolari, il progetto complessivo si è disarticolato. Paralizzato anche dalla ostilità degli avversari per molti elettori ed anche militanti è diventato quasi incomprensibile.

Ne sono un segno anche due aspetti che andrebbero resi organici a questo progetto riformatore: 1) una battaglia coraggiosa contro le distorsioni del federalismo, di matrice leghista ma non solo, che vede una discutibile autonomia regionale di cui stiamo vivendo i deleteri aspetti nel campo della sanità e della salute emersi nella crisi data dal coronavirus, così come nelle regole elettorali bizantine dove ormai ogni Regione inventa la propria legge elettorale, un caso unico nel mondo, e qualcuno stà introducendo un possibile doppio turno. 2) una mancata riforma del voto in direzione di un effettivo election day dove si dovrebbero concentrare i diversi appuntamenti votando ogni 2-3 anni alternativamente attorno alle Politiche e alle  Amministrative, aggregando alle prime o alle seconde eventuali referendum abrogativi e propositivi, amministrazioni commissariate, collegi uninominali rimasti vacanti e quando possibile le Europee. Invece ogni 3-4 mesi si vota qualcosa da qualche parte favorendo un assenteismo elettorale che ormai coinvolge quasi la metà degli elettori. Solo il virus ha momentaneamente fermato questo calvario. Per fare un esempio nelle ultime elezioni pre-covid, quelle in Calabria del gennaio 2020, non ha votato il 58% degli elettori e la signora Santelli sgoverna la Regione con meno del 24% dei voti (449mila su 1,896 milioni di elettori). 

Va ricordato che il referendum del 20-21 settembre contro la riduzione dei seggi (in un mini election day con anche sette Regioni, un migliaio di Comuni e due Collegi uninominali vacanti che ha trovato a destra ma anche a sinistra critiche e ostilità che lasciano allibiti) è stato promosso a seguito delle firme di 71 parlamentari per lo più di Forza Italia e della Lega ma anche con qualche singola adesione individuale di altri partiti. Un colpo di mano dell’ultimo momento del centro-destra contro il taglio. Va ricordato che la Legge costituzionale di riduzione dei parlamentari è stata approvata dalle Camere, in prima lettura dalla maggioranza Lega-M5S e in seconda lettura l’8 ottobre scorso da quella Pd-M5S-Leu-Iv con 553 voti favorevoli e 14 contrari. Cioè praticamente da tutti, compresi FdI e Forza Italia. Il partitino di Renzi, dopo aver votato a favore ha scoperto di essere in realtà favorevole a logiche maggioritarie, in realtà preoccupato, senza dirlo, della possibile conseguenza di adottare un proporzionale conseguente con il quorum al 5% da cui è lontanissimo. Tutti favorevoli quindi solo perché preoccupati di perdere qualche voto su un tema che sembra trovare un largo consenso fra i cittadini ma pronti dietro le quinte a boicottare la riforma.

Considerando 50 milioni di elettori il taglio comporterebbe ad esempio alla Camera la riduzione da 630 a 400 seggi cioè da uno ogni 79mila a uno ogni 125mila elettori. In realtà, considerando con ottimismo solo un terzo di non votanti, si passerebbe da circa un seggio ogni 53 mila a uno ogni 83mila elettori. Inconsistente quindi da questo punto di vista sostenere che “si ridurrebbe in modo significativo la rappresentanza del territorio”. Peraltro l’idea del parlamentare espressione del territorio (qualcuno si trascina in testa da anni l’idea del parlamentare di quartiere spesso in una logica clientelare) è comunque discutibile perché almeno nelle grandi conurbazioni ci sono rappresentanti del territorio a livello di Circoscrizione o Municipio, di Comune, di Provincia o Area Metropolitana, di Regione. Tutti hanno abbondanti collegamenti, quando fosse necessario, con i Parlamentari della zona che dovrebbero occuparsi per la verità delle politiche nazionali e della politica estera.

Un’altra critica basata su presupposti discutibili è quella che sostiene che la riduzione degli eletti ridurrebbe il pluralismo riducendo la rappresentanza dei partiti minori. Qui la confusione o la ambiguità sono totali. E’ vero che la riduzione dei parlamentari è accettabile solo in presenza di un sistema rigidamente proporzionale. Che non può essere il proporzionale puro dove con l’ 1% si elegge qualcuno o si partecipa come gregario inventato all’ultima ora delle cosiddette coalizioni. Con il 5% finalmente si cancellerebbero i partitini inconsistenti e si aprirebbe la strada a progetti seri, che nel mondo della sinistra e dell’ecologismo in particolare, potrebbero dare un utile contributo alla scena politica.

Diversamente, fuori da uno scenario proporzionale , queste critiche avrebbero un fondamento. Va chiarito che la rappresentanza delle forze minori non dipende affatto dal numero totale di eletti da scegliere ma dal tipo di sistema elettorale. Più il sistema elettorale ha caratteristiche proporzionali più la rappresentanza è garantita, più prevalgono logiche maggioritarie più la rappresentanza viene distorta. La Corte Costituzionale in realtà lo ha sostenuto ripetutamente.

Potremmo avere un Parlamento di 2000 eletti dove, in presenza di logiche maggioritarie (ad esempio i collegi uninominali o il doppio turno), un partito del 5% sarebbe molto meno rappresentato che in un Parlamento di 600 eletti basato su una rappresentanza proporzionale dove, come percentuale sul totale, i suoi eletti conterebbero molto di più, cioè avrebbero una maggiore, non minore, rappresentanza.

Del tutto incomprensibile e ingiustificata è quindi la critica secondo cui il M5Stelle con il progetto del taglio dei Parlamentari ridimensionerebbe la Rappresentanza, quindi la Democrazia, quindi la Costituzione. C’è un lungo elenco di critiche che possono essere fatte alla storia, agli errori ed alla evoluzione del M5Stelle le cui conseguenze potrebbero chiudere le speranze di cambiamento che il Movimento ha sollecitato nel paese. Molte critiche sono giustificate ma non quelle inventate senza alcun vero fondamento.

- Ad esempio, è evidente che Roussou è uno strumento utile per interpellare gli attivisti ma inutile, per non dire del tutto deleterio nel soffocare il dibattito che andrebbe invece organizzato e istruito in sedi che ad oggi non esistono.

- Così come la logica del Capo politico invece di una leadership plurale annualmente eletta e riconosciuta, nazionale e regionale è un errore storico, oltre che una ingenuità imperdonabile, che verrà presto pagata duramente. Per cambiare l’Italia non servono Capi politici che peraltro scarseggiano, ma progetti collettivi basati sulla priorità di grandi mobilitazioni da cui emergono naturalmente leadership periodicamente valutate e se del caso senza drammi cambiate.

- E’ evidente che in mancanza di procedure adeguate e di un progetto progressivamente approfondito, la scelta dei candidati e degli eletti si sta’ dimostrando del tutto inadeguata.

- Il governismo a tutti i costi quando poi si trasferisce anche nelle alleanze obbligate sul piano locale anche con i partiti tradizionali, che alla fine potrebbe tradursi di fatto in una alleanza subalterna con il solo PD, potrebbe portare più guai che benefici al paese oltre che al Movimento.     

- L’incapacità di elaborare una terza via chiara sui migranti, che è possibile, invece di oscillare come in altri casi fra quelli sempre dei porti chiusi e quelli sempre delle porte aperte non è più accettabile.

Il M5Stelle è un partito di centro con una inusuale connotazione storica originaria di tipo radicale e riformatrice. E’ nato sulla lotta alla precarietà, sulla lotta alla corruzione, sulla centralità della crisi ecologica e climatica. E’ esattamente ciò che serve all’Italia e per la verità all’intero Occidente e sarebbe ora che il Movimento ne diventasse soggettivamente consapevole. Più si allontana da questa connotazione di centro radicale, più si avvicina alla dissoluzione. Non è epoca invece di partiti di centro moderato che non hanno futuro, aghi della bilancia oscillanti o gregari nel balletto della vecchia politica.

Per il momento e per fortuna il M5Stelle è un movimento politico, seppure in profonda crisi di identità, garante, forse il principale, di Democrazia e Costituzione, che sono i nostri beni più preziosi.

Per quanto mi sembri improbabile, un eventuale successo dei fautori del NO segnerebbe prima di tutto un trionfale successo di tutte le destre, dichiarate e occulte. Successo di cui l’Italia non ha proprio bisogno.  

il commento della settimana (1) - 16 agosto 2020

 

12 agosto 2020

Taglio dei Parlamentari, la sinistra sostenga il SI'


di Salvatore Cannavò

La riduzione del numero dei parlamentari, su cui si voterà al referendum del 21 settembre, mette in subbuglio persone e culture di sinistra. La difesa del Parlamento, della democrazia rappresentativa, della logica proporzionale della rappresentanza sono ingredienti essenziali di questa cultura che spingono molti a dichiararsi per il No.

Da un punto di vista saldamente di sinistra – per quanto il termine sia stato inquinato e devastato – io penso di votare Sì.

Bisogna innanzitutto sgombrare il campo dal cumulo di ipocrisie e menzogne: la legge costituzionale di riduzione dei parlamentari è stata già approvata dalle Camere, in prima lettura dalla maggioranza Lega-M5S e in seconda lettura da quella Pd-M5S-Leu-Iv (accordo ora rinnegato da Iv). Con 553 voti favorevoli e 14 contrari è stata approvata l’8 ottobre alla Camera praticamente da tutti, anche da Fdi e Forza Italia.

Se si ricorre al referendum, quindi, è solo a causa di una manovra di Palazzo che ha raccolto le firme di 71 senatori – e non tra i cittadini – tra cui, decisivi, quelli della Lega e di un paio di dissidenti M5S. Inoltre, il progetto fa parte di un disegno complessivo – promosso dall’allora ministro dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro – che prevedeva anche l’istituzione del referendum propositivo tramite la cosiddetta “legge di iniziativa popolare rafforzata”, proposta approvata alla Camera e che giace al momento dimenticata al Senato.

Il pacchetto di riforme quindi risponde a un’idea di ristrutturazione della democrazia rappresentativa con sperimentazioni, parziali, di democrazia diretta in una visione organica. Il punto che viene messo a tema da questa legge, quindi, è se la democrazia rappresentativa possa prevedere una sua ristrutturazione, anche per fare i conti con il distacco progressivo che si è prodotto in questi decenni tra il “palazzo” e il “popolo” o se invece debba rimanere uguale a se stessa e quindi logorarsi a poco a poco. La sinistra italiana ha sempre ipotizzato la riforma interna – ricordiamo la proposta di portare l’Assemblea dei deputati a 400 membri – ma non ha mai prodotto nulla se non leggi elettorali indecenti come l’attuale che porta il nome di Ettore Rosato di Iv.

E tra le ipocrisie da disvelare c’è ovviamente quella di chi fa finta di non ricordare la proposta di Matteo Renzi, che appena quattro anni fa voleva addirittura abolire il Senato e che, convinto di poter vincere il plebiscito inscenato, si ruppe la testa sul referendum. Ora la sinistra italiana dovrebbe decidere se intestarsi ancora una volta una battaglia di pura difesa dell’esistente, come appare la campagna per il No, oppure premere con le proprie idee (ma quali?) per una riforma complessiva.

Sentiamo già l’obiezione: non è dalla riduzione del numero dei parlamentari che si può cominciare. Ma allora da dove? La riduzione dei deputati e dei senatori, ad esempio, accompagnata da una legge proporzionale il più pura possibile, sarebbe una riforma positiva. Perché, invece, è stato stipulato l’accordo di governo vincolando il Sì alla riforma in cambio di una legge elettorale con sbarramento al 5 per cento? E perché Leu e Iv si accorgono solo ora che quel limite è insuperabile ?Dormivano?


La democrazia italiana è in una fase di coma profondo da lunghissimo tempo e la nascita del Movimento 5 Stelle ha rappresentato l’epifenomeno. Per chi non l’ha mai votato, come chi scrive, ma che comunque cerca di analizzare i fenomeni politici, è insopportabile osservare la campagna sguaiata contro il presunto populismo di chi si è sbracciato nel far notare che la politica rappresentativa non funzionava più e aveva bisogno di correttivi. Quei correttivi non disegnano una prospettiva “anti-sistema” o, peggio, “anti-parlamentare”, ma provano a dare una riorganizzata a un sistema comatoso. Semmai, una sinistra “radicale”, come viene ormai definita la sinistra più estrema, dovrebbe rivendicare forme di democrazia diretta più spinta, di strutture concrete di partecipazione popolare e di rapporto organico tra i deputati e la base popolare.

Nella Francia rivoluzionaria di fine 700 si dibatteva aspramente di “assemblee primarie” in grado di controllare gli eletti e di revocabilità del mandato. Queste sarebbero riforme radicali. Quello di cui si discute ora è un semplice aggiustamento, una autoriforma che provi a ridare credibilità a un Parlamento che ha fatto di tutto per perderla.Non è una rivoluzione e nemmeno una svolta autoritaria. È un passo che acquista senso insieme alle altre riforme, già approvate o da approvare sulla base del patto di maggioranza: legge proporzionale, elettorato attivo e passivo uguale per Camera e Senato, delegati regionali, elezione del Csm.  Si tratta di attenersi a quel patto se si vuole restare seri.

da FQ 12 agosto 2020

La pubblicazione dell’intervento non implica necessariamente la totale condivisione dei contenuti