8 maggio 2024

A che punto è l’Europa con la transizione ecologica?

Nel 2023 l’Ue ha raggiunto traguardi incoraggianti: il calo delle emissioni di CO2 (8%) e l’incremento della produzione di energia rinnovabile (17 gigawatt per le turbine eoliche e 56 per i pannelli solari). Tuttavia, non è ancora abbastanza

  di Antonio Zoccano *

Nel 2023, la transizione ecologica in Europa ha raggiunto un traguardo importante. Secondo Crea - Center for Research on Energy and Clean Airle emissioni di CO2 sono diminuite dell’8% rispetto all’anno precedente: si tratta del calo più importante registrato dopo il lockdown del 2020. Ciò è stato possibile, tra le varia cause, grazie all’incremento della produzione di energia pulita: lo scorso anno l’Unione ha raggiunto livelli record per le installazioni di impianti fotovoltaici, eolici (17 gigawatt di nuove turbine eoliche e di 56 gigawatt di pannelli solari).

Inoltre, a dare grande supporto alla transizione green è anche l’Eu Ets (Exchange Trade System) Carbon System: un sistema di scambio di quote di emissioni avviato nel 2005 con l’obiettivo di incentivare la riduzione di gas serra prodotti dai principali attori inquinanti; in questo modo, le imprese possono acquistare quote di emissione, limitate da un tetto massimo fissato dall’Ue. Circa il 45% delle emissioni europee è regolato dall’Ets e, lo scorso anno, l’Ue ha istituito un secondo Ets per includere alcuni settori precedentemente esclusi entro il 2027. Tuttavia, questa tipologia di Ets prevede una clausola che abbassa notevolmente il prezzo delle quote qualora questo superasse i 45 euro per tonnellata nei primi 3 anni.

Il sistema, fulcro del programma europeo Fit for 55 (che prevede prima la contrazione delle emissioni del 55% entro il 2030, rispetto al 1990, per raggiungere successivamente l’obiettivo zero emissioni entro il 2050), ha già prodotto importanti risultati, avendo contribuito nella riduzione del 47% dei gas serra prodotti da impianti elettrici e industriali dal 2005.

Secondo la Commissione Europea, la produzione di anidride carbonica regolamentata dall’Eu Ets è calata del 15,5% rispetto l’anno precedente. Il settore dove si è registrato il maggiore calo è quello energetico (-24% rispetto al 2022), mentre nelle industrie ad alta intensità energetica l’incremento di efficienza nella produzione metallurgica e di cemento ha contribuito alla contrazione del 7% delle emissioni. Questo calo si è registrato in un periodo di continuo ribasso dei prezzi delle quote di scambio, che hanno raggiunto il minimo a febbraio 2024 (quando si è toccata la soglia dei 50 euro).

E intanto, cresce la produzione di rinnovabili. Come osserva il rapporto annuale del think tank indipendente Emberl’energia elettrica eolica prodotta in Ue ha superato per la prima volta quella ricavata dal gas fossile raggiungendo quota 18% (+13% in un anno); il mix eolico-fotovoltaico ha raggiunto il 27%. Tra i casi più virtuosi figurano la Germania, che ha prodotto 141 TWh da pale e turbine eoliche, la Danimarca, che produce il 58% dell’elettricità proprio sfruttando il vento, e la Svezia, che vanta il livello pro-capite più elevato.

Ma la strada è ancora lunga. Come osserva l’Eea nel suo ultimo report Trend and Emissions 2023, l’Unione Europea ha visto calare le sue emissioni nette del 31% nel periodo 1990-2022. Tuttavia, si stima che le politiche d’oggi ridurranno la produzione di gas serra entro il 2030 solo del 43%, dato inferiore rispetto all’obiettivo ambizioso del 55%. Il traguardo sarebbe più vicino se venissero implementate le politiche pianificate, non ancora attuate (si arriverebbe alla riduzione del 48%). Tuttavia, ancora non sarebbe sufficiente.

Secondo l’ottavo rapporto sullo Stato energetico dell’Unione, infatti, occorre triplicare la velocità con cui ridurre le emissioni rispetto a quanto fatto in precedenza per adempiere ai propri obiettivi climatici. Inoltre, le imminenti elezioni europee e le proteste degli agricoltori stanno causando non pochi problemi all’approvazione e all’attuazione delle politiche del Green Deal. Su tutti, spiccano il veto alla Legge sul Ripristino della Natura da parte del Consiglio dell’Unione Europea, e il taglio da parte del Consiglio di vincoli ambientali nell’erogazione di sussidi all’agricoltura, responsabile dell’11% delle emissioni europee. Lo stesso settore agricolo, che ha ridotto il proprio impatto ambientale, negli ultimi anni ha visto rallentare il tasso di decarbonizzazione.

Inoltre, nel settore dei trasporti la decarbonizzazione non si è affatto concretizzata. Secondo la Commissione Europea, infatti, il trasporto aereo ha visto un incremento delle emissioni del 10% circa rispetto al 2022, complice la ripresa del settore a seguito della forte contrazione avvenuta durante il periodo pandemico. Nell’industria automobilistica, invece, l’Eca (Corte dei conti europea) ha recentemente dichiarato che le emissioni reali del settore non sono calate nell’ultimo decennio; i produttori hanno sfruttato lacune nei requisiti dei test di laboratorio, creando così un divario enorme con le emissioni reali, cioè quelle dei veicoli su strada. Solo dopo il Dieselgate, che coinvolse Volkswagen nel 2015, sono stati implementati nuovi test di laboratorio, più realistici; tuttavia, il divario tra laboratorio e guida reale è rimasto elevato. Si stima che le emissioni dei veicoli a diesel sia rimasto costante, mentre sono calate leggermente per le auto a benzina (-4,6%).

Dunque, l’Europa sta compiendo importanti sforzi verso la decarbonizzazione e la transizione energetica. Tuttavia, per adempiere agli obiettivi fissati servirà maggiore impegno. E l’interesse è elevatissimo, perché l’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente a livello globale. E le conseguenze sono già ben visibili, sia sul piano sociale che su quello economico.

* da www.lasvolta.it - 6 maggio 2024

5 maggio 2024

G7 per l’ambiente: in una Torino militarizzata i ministri fissano obiettivi inverosimili

di Stefano Baudino *

Si è ufficialmente concluso il G7 Ambiente, Energia e Clima di Venaria Reale, alle porte di Torino, con la firma dei Paesi più industrializzati del mondo – e dunque più lontani dal raggiungimento di obiettivi di natura ambientale – di un documento finale in cui, tra le altre cose, si manifesta addirittura l’impegno di “eliminare progressivamente la generazione di energia a carbone” entro il 2035. Un’intenzione che, specie alla luce delle performance tutt’altro che encomiabili degli ultimi anni da parte degli attori in gioco sulla questione ambientale, profuma di farsa, e che viene formalizzata nel contesto di un evento andato in scena in un clima di forte repressione, come abitualmente avviene quando vanno in scena proteste e contestazioni. Durante le mobilitazioni, infatti, hanno avuto luogo a più riprese scontri tra la polizia e i manifestanti – respinti con idranti, lacrimogeni e manganelli –, che hanno provocato diversi feriti.

Approfondendo le risultanze del G7 alla luce dell’attuale stato delle cose, si possono ben discernere gli slogan politico-mediatici che hanno accompagnato il summit e gli impegni concretamente assunti dai rappresentanti dei Paesi coinvolti. Nel documento firmato dai ministri riunitisi al G7, ribattezzato “Carta di Venaria”, si legge infatti testualmente: “Ci impegniamo […] a eliminare gradualmente l’attuale produzione di energia da carbone nei nostri sistemi energetici durante la prima metà del 2030 o in una tempistica coerente con il mantenimento di un limite di aumento della temperatura di 1,5°C a portata di mano, in linea con i percorsi net-zero dei paesi”. Una clausola, quest’ultima, passata in sordina, ma tutt’altro che secondaria, che spianerà la strada a Giappone e Germania – i Paesi più restii a intraprendere azioni concrete su questo versante, come dimostra il fatto che nel 2023 hanno ricavato rispettivamente il 30% e il 26% dell’energia elettrica proprio dal carbone – per l’allungamenti dei tempi. A questo proposito, giova ricordare quanto appena attestato dall’istituto di scienza e politica climatica Climate Analytics, che ha evidenziato come “nessuno dei membri del G7” sia “sulla buona strada per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni” – riduzione fissata a un valore compreso tra il 19 e il 33% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 -, che “non sono ancora collettivamente allineati a 1,5°C”. Tra gli altri obiettivi, la Carta menziona anche l’accelerazione dell’attuazione del “Piano in cinque punti per la sicurezza dei minerali critici”, l’istituzione di una Coalizione del G7 per l’acqua finalizzata ad affrontare la crisi idrica globale, una transizione giusta verso l’energia pulita nei paesi in via di sviluppo e l’avvio del nucleare di nuova generazione.

È però impossibile parlare del G7 di Venaria senza soffermarsi sulle grandi proteste dei gruppi ambientalisti che l’hanno segnato, che – per l’ennesima volta – sono state soffocate da una vigorosa azione repressiva da parte delle forze dell’ordine. Le mobilitazioni avevano avuto inizio nei giorni precedenti all’inizio del meeting. Tutto è partito sabato 27 aprile con le tensioni nei pressi del cantiere di San Didero, in Val di Susa, tra il Movimento No TAV e le forze dell’ordine, che hanno bloccato l’autostrada e fatto ingente uso di lacrimogeni e idranti. Il giorno dopo, un migliaio di persone hanno rimpinguato un corteo che ha marciato per le strade di Venaria, occupando anche la tangenziale, bloccando per breve tempo il traffico e fermandosi poi in piazza Vittorio Veneto, dove è stato realizzato un falò con la bandiera americana e le gigantografie dei leader del G7. Alcuni membri di uno dei gruppi in prima linea nelle proteste, Extinction Rebellion, lunedì hanno messo in atto un’azione dimostrativa, salendo sul tetto del dipartimento universitario di Biologia che si affaccia su piazza Carlo Emanuele II (meglio nota come Piazza Carlina), dove sorge uno degli hotel che ospitava le delegazioni che hanno partecipato al G7. Prima di essere portati via di peso dalla polizia, gli attivisti hanno esposto uno striscione con la scritta “The king is nake, G7 is a scam” (“Il re è nudo, il G7 è una presa in giro”). In serata, a Torino si sono verificati forti disordini tra i collettivi studenteschi in protesta e le forze dell’ordine, che per non fare procedere i manifestanti piazza Carlina ha utilizzato idranti, manganelli e lacrimogeni. Mentre si contano alcuni agenti contusi, il bilancio dei collettivi parla di una decina di feriti, tra cui alcuni minorenni, e uno di loro ricoverato per una frattura al naso dopo essere stato colpito da un lacrimogeno. Dovrà essere operato.

Per quanto attiene alle politiche del nostro Paese, il tradimento degli impegni ambientali è già un dato di fatto. In barba a quanto promesso nel 2021 in occasione della 26esima Conferenza delle parti sul clima (Cop26) di Glasgow, nel gennaio 2023 l’Italia ha infatti messo nero su bianco l’impegno che la vedrà continuare a erogare sussidi pubblici al comparto dei combustibili fossili. Il documento, reso pubblico il 20 marzo dello scorso anno sui portali online della coalizione internazionale Export finance for future (E3F), di cui fa parte anche l’Italia, sancisce infatti che il governo guidato da Giorgia Meloni proseguirà almeno fino al 2028 a finanziare progetti concernenti estrazione e trasporto di carbone, petrolio e gas all’estero. Il ruolo cardine è del SACE, ente assicuratore controllato dal ministero dell’Economia e primo finanziatore a livello europeo (sesto a livello globale) per il sostegno pubblico alle fonti fossili, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie per più di 13,7 miliardi di euro verso tali settori. Nei primi sei mesi del 2023, l’Italia ha investito 1,2 miliardi di dollari di sussidi pubblici per i combustibili fossili, una somma così cospicua da collocarla seconda al mondo, dietro soltanto dall’investimento da 1,5 miliardi di dollari degli Stati Uniti.

* da lindipendente.online - 2 maggio 2024