30 giugno 2012

Todmorden: la città autosufficiente in frutta e verdura

I cittadini di Todmorden, in Inghilterra, coltivano tutta la loro verdura. Ci sono orti nelle aiuole, nei parchi, nei giardini. Tutti i cittadini sono LIBERI di prenderne quanta ne desiderano. Cosa succede però? Nessuno ne spreca, nessuno ne prende più di quanto ne ha bisogno, tutti la rispettano, e molti vanno volontariamente a dare una mano nei vari orti, di loro spontanea volontà.


Vi sembra un'utopia? Non lo è. Todmorden esiste davvero è una cittadina vittoriana nel West Yorkshire. Qui tutti i cittadini sono dei coltivatori di frutta e verdura, in tutta la città, in ogni aiuola ed in qualsiasi spazio verde è possibile seminare e/o raccogliere la frutta e la verdura. Tutti aiutano tutti a coltivarla, strappare le erbacce o innaffiarla, e tutti liberamente colgono i frutti di questo lavoro collettivo. Se aveste visitato questa ridente cittadina qualche mese fa avreste potuto ammirare i variopinti spazi verdi fra le vie, aiuole stracolme di cavoli, carote, lattughe, cipolle primaverili, insomma ogni sorta di verdura oppure avreste posato lo sguardo su lamponi, albicocche, mele, ribes neri e rossi, fragole e non mancano certo le erbe aromatiche come finocchio, timo, rosmarino e basilico. 

Tutto ciò perché Todmorden vuole essere la prima città nella nazione autosufficiente dal punto di vista alimentare: "Entro il 2018" dice Mary Clear, 56 anni e nonna di ben dieci nipoti, co-fondatrice di Incredible Edible (Incredibilmente commestibile) il nome del progetto: " E' un piano ambizioso… …"Cosa esattamente mi vieta di andare a raccogliere tutto il rosmarino della città? Niente, cosa mi vieta di rubarmi tutte le mele o tutti i lamponi? Niente, semplicemente questo non accade, abbiamo fiducia nelle persone, noi crediamo e siamo testimoni di questo, le persone sono oneste".
In pratica ognuno raccoglie quello di cui ha bisogno, inutile prenderne di più andrebbe a male e andrebbe buttato. Invece ognuno ne prende solo la quantità necessaria e tutti quanti danno il loro contributo alla semina e alla cura. L’idea è venuta fuori dopo che lei e il co-fondatore Pam Warhurst, ex proprietario del “Bear Cafe” della città, iniziarono a discutere riguardo allo stato del mondo e a chiedersi cosa avrebbero potuto fare. Hanno dedotto che tutto quello che potevano fare era di partire a livello locale, così riunirono un gruppo di persone, soprattutto donne, insieme in un bar: “Quando gli uomini bevono, nei bar succedono sempre casini e risse, invece quando sono le donne a riunirsi insieme a bere un caffè succedono solo belle cose” dice Mary. “I nostri pensieri erano: si danno molte colpe al mondo, è colpa dei governi locali, dei politici, dei banchieri, della tecnologia – allora abbiamo pensato: facciamo noi qualcosa di positivo. Abbiamo riempito le aiuole con dei finocchi e tutti i bambini hanno imparato che se dai un morso ai finocchi scopri che ha un sapore di caramelle alla liquirizia. Quando ho visto dei bambini mettere in bocca piccoli bocconi di erba, ho pensato soltanto una cosa: è brillante.”

Oggi sono centinaia i cittadini che si aiutano a vicenda e la città è oramai sulla via per raggiungere il suo obbiettivo cioè essere autosufficiente, certo la strada è sicuramente lunga. Ma il progetto, Incredible Edible offre anche un'educazione al cibo, stimola l'economia locale, ci sono lezioni su come raccogliere e conservare la frutta, corsi su come farsi il pane ed il college locale offre dei corsi specifici in orticoltura, l'idea è che i giovani cresciuti in campagna possano lavorare nell'agricoltura.
La speranza di Mary ( e anche la mia ) è che in molti altri luoghi si metta in pratica una cosa così tanto semplice da essere quasi banale, nelle aiuole, negli spazi verdi che di solito sono meta di rifiuti, cartacce e quant'altro, nei giardini comunali ogni spazio verde è adatto a ricevere frutta e verdura. Da quando si è avviato il tutto a Todmorden è diminuita anche l'attività di atti vandalici a dirlo è la polizia locale e Mary commenta " Siamo programmati per non danneggiare il cibo". Iniziative analoghe sono in fase di sperimentazione in altre città del Regno Unito, e c’è stato interesse persino da parte di alcuni posti in Germania e Spagna, a Hong Kong e in Canada.

Chissà, magari se lo facessimo anche noi qui in Italia, saremmo tutti più sereni invece di prendere più antidepressivi avremmo a disposizione più frutta e verdura, immaginate di stare camminando per le vie della città, di avere fame, vi fermate alla prima aiuola e raccogliete direttamente dall'albero una buona mela e via...probabilmente ci ammaleremmo di meno...si sembra davvero utopistico. 

Aree Marine Protette: "Il Governo Monti le massacra"


Come da peggiori previsioni, il Governo ha assegnato finanziamenti irrisori per 30 parchi marini italiani che ora rischiano la chiusura. La denuncia viene da Antonino Miccio, presidente nazionale dell'AIDAP (Associazione Italiana Direttori e Funzionari Aree Protette) e direttore dell'Area Marina Protetta di Punta Campanella. Intanto, in Australia si crea il più grande parco marino del mondo, un network di riserve assolute dove sono vietate la pesca, la ricerca e l'estrazione di gas e di petrolio.

Dopo mesi di attesa, di speranza, di sacrifici e di proposte, le Aree Marine Protette italiane hanno ricevuto il colpo di grazia definitivo. L'allarme arriva dall'Area Marina Protetta di Punta Campanella, che si trova vicino a Sorrento.
"Il governo Monti, a metà anno e in piena estate, ha deciso 'finalmente' il finanziamento che spetterà ai Parchi Marini italiani per il 2012: una miseria" si legge nella nota. 

"Oltre il ritardo - i Parchi aspettano ancora il finanziamento per l'anno in corso - anche la beffa, come nelle peggiori previsioni. Meno della metà delle già scarse risorse degli ultimi anni. Una cifra che difficilmente potrà permettere ai Parchi Marini italiani di sopravvivere. Il governo ha deciso di destinare alla tutela e alla valorizzazione del mare, una risorsa strategica per un paese come l'Italia, appena lo 0,0002% del PIL" spiega ancora la nota. E così, il sistema delle Aree Marine Protette italiane, un fiore all'occhiello per il nostro Paese e inserito nel più ampio contesto mediterraneo ed europeo, rischia ora di scomparire. La chiusura dei Parchi sarebbe un ulteriore colpo di grazia alla già scarsa credibilità internazionale del nostro Paese.

“Siamo alle prese con uno Stato 'Orco' che ha prima deciso di costituire un sistema all'avanguardia di Aree Marine Protette e ora ha deciso di smembrarlo - attacca Antonino Miccio, presidente nazionale dell'AIDAP (Associazione Italiana Direttori e Funzionari Aree Protette) e direttore dell'Area Marina Protetta di Punta Campanella -. Così facendo il governo ha scelto e deciso di abbandonare le politiche sul mare e la sua tutela, consegnando di fatto, in alcune zone sensibili del paese, questa enorme risorsa del Paese alla criminalità”.

La situazione è molto seria, sottolinea ancora la nota, la crisi ha inciso sicuramente, ma i Parchi e l'ambiente in generale hanno già pagato un prezzo altissimo nelle finanziarie degli ultimi anni. Basti pensare che in 10 anni i fondi per i Parchi sono diminuiti del 70%. Con un mano il Ministero ha aumentato il numero delle Aree Marine (dalle 17 del 2001 alle 27 di oggi) e con un'altra ha tolto le risorse indispensabili.  Si è passati dagli 8,5ml del 2001 ai 3,6ml di quest'anno, spiega il comunicato. "Dietro queste scelte quindi non c'è solo la crisi, ma anche la miopia politica e strategica di chi non comprende che il mare, il territorio e l'ambiente sono tra le risorse più importanti del nostro Paese. Risorse che hanno sempre garantito turismo, ricchezza e posti di lavoro. Ma che ora rischiano di essere irrimediabilmente devastate con danni enormi per il presente e per il futuro".

Intanto in Australia...
Arriva in questi giorni la notizia che l'Australia ha creato il più grande parco marino del mondo, un network di riserve assolute dove sono vietate la pesca, la ricerca e l'estrazione di gas e di petrolio. L'area totale copre 3,1 milioni di kmq, comprendendo l'intero Mar dei Coralli e un terzo delle acque territoriali del continente. Il Mar dei Coralli e la Grande Barriera Corallina sono le aree dove le restrizione saranno al massimo livello. Il ministro dell'Ambiente Tony Burke ha affermato che l'istituzione di questa enorme area protetta vuole costituire un esempio ed uno stimolo per tutto il mondo.

da        www.ilcambiamento.it   fonti: Area Marina Punta Campanella, ANSA               29 giugno 2012

29 giugno 2012

Le bufale sull’auto elettrica


di Massimo Marino

Il governo Monti  si avvia a sostenere con incentivi l'acquisto di un’auto elettrica secondo quanto previsto dal testo unificato delle commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera. Previsti un bonus fino a 5mila euro per chi compra un'auto elettrica e ( sulla carta) un piano infrastrutturale per una rete di ricarica, con tariffe promozionali nella fase di start up del mercato. E’ un altro incentivo, seppur modesto, finalmente ottenuto in Italia dal settore dell’auto che da 3 anni sostiene una campagna promozionale rimescolando abilmente le carte per sostenere l’auto elettrica come “ l’auto ecologica” tout court del futuro;  i cui pregi sarebbero indicati nell’eliminazione quasi totale dell’inquinamento, emissione di CO2 e particolato, oltre ad una bassa rumorosità e idonea al superamento dei limiti di circolazione nei centri urbani. Si sorvola sui costi e sui tempi per una eventuale rete di centraline su tutto il territorio nazionale, in un paese dove dopo 70 anni dalla messa a punto di motori a gas, meglio a gpl e solo più recentemente a metano, scarseggiano gli impianti di rifornimento;  che sono pressocchè assenti in vaste zone del sud del paese specie in aree urbane fra le più inquinate da traffico.

 Se gpl e metano occupano molto meno del 10% del parco auto circolante che è di circa 37 milioni ( record mondiale per numero di abitanti ), per il momento le auto elettriche hanno visto un totale fallimento: i dati indicano 305 elettriche vendute nel  2011 su quasi 1,8 milioni  di nuove auto entrate nel mercato; pressocchè tutte vendute ( a carissimo prezzo) ad una decina di amministrazioni comunali. In linea con quanto avviene nel mondo dove, malgrado incentivi più consistenti in alcuni paesi, esempio la GB,  nel 2011 sono state immatricolate solo 58mila vetture elettriche su 175 milioni di auto totali. E ci permettiamo di ritenere una follia che amministratori comunali che annunciano chiusure di asili comunali, IMU ai massimi, violazione del patto di stabilità interno e simili, deliberino l’acquisto di un pò di auto elettriche ( 25-30.000 euro per unità ) per abbellire il proprio centro cittadino e colorare di un po’ di verde la propria fascia tricolore.

Già più di due anni fa Greenpeace, e poi Legambiente,  hanno denunciato con il rapporto scritto dalla società di consulenza CE Delft come la normativa europea in materia di emissioni a riguardo delle auto elettriche  fosse inadatta e pericolosa. Il poco noto e accuratamente taciuto meccanismo dei "super crediti" infatti, consente ai produttori di usare la vendita di veicoli elettrici per compensare la continua produzione di automobili a elevate emissioni: per ogni auto elettrica venduta i costruttori possono vendere oltre tre veicoli ad alta emissione senza conteggiarli ai fini del calcolo delle emissioni di CO2. Un ipotetico aumento al 10% nelle vendite di auto elettriche in realtà potrebbe portare in Europa a un aumento del 20% delle emissioni di CO2 nel settore automobilistico. Le auto elettriche infatti al momento e probabilmente per decenni in futuro, consumano e aumenterebbero l’ energia elettrica di normale produzione: per l’Italia e non solo, aumentando la quota da carbone e petrolio, in altri paesi come la Francia anche da nucleare. Il rapporto di Greenpeace (  “Energia verde per le auto elettriche") sostiene, come è ovvio, che un futuro per le elettriche è conveniente soltanto con una produzione di energia per la mobilità da rinnovabili, sia direttamente sull’auto che da centraline ad hoc; una direzione diversa e ben lontana da quanto tenta di propinarci l’industria dell’ auto che, insieme a quello energetico-nucleare, è la più potente lobby industriale a livello mondiale. Per il momento costo, scarsa autonomia e dubbi sulla disponibilità di una rete adeguata di centraline di ricarica le rendono scarsamente interessanti per tutti.

Va precisato che anche nel settore delle ibride, dove il motore termico resta prevalente, e che non centrano nulla con le elettriche vere e proprie, andiamo in una direzione discutibile. Per ibride si intende molte cose diverse:
- le “microibride”, dove la normale batteria si ricarica parzialmente in fase di decelerazione, mediante la funzione Start&Stop: il motore si spegne e si riaccende premendo acceleratore o frizione nei percorsi cittadini; o quelle “Mild-Hybrid”, in cui il motore elettrico aiuta il motore termico in fase di accelerazione, migliorandone le prestazioni .
- le “Full-Hybrid”, con motore elettrico e batteria più potenti, che consentono di viaggiare un po’ anche in modalità solo elettrica,  a basse velocità (circa 60 km/h)  per qualche chilometro, utili in città pe aggirare le limitazioni di traffico; oppure la “Extended Range”, in grado di percorrere molti chilometri in modalità elettrica, ma solo attivando il motore termico per ricaricare la batteria.
- infine le recenti  “Plug-in”, una via di mezzo verso le elettriche, le cui batterie possono essere anche ricaricate attraverso la colonnine di carica: ovvero, non è più indispensabile utilizzare il motore termico per ricaricare le batterie. Arriva adesso alla fase di lancio la Toyota Prius Plug-in.
Di ibride ne sono state vendute nel mondo circa 4 milioni ma nessuna prevede almeno l’uso di gpl o metano, un po’ meno inquinanti dei tradizionali carburanti. I prezzi vanno comunque dai 25.000 euro della piccola Toyota Auris ( circa 22-24 km/l) ai 107.000 della BMW X6 ( 10 km/l); insomma non proprio alla portata di tutti.. 

Lontanissima l’ipotesi dell’Idrogeno, intendendo sempre come numeri significativi per incrinare il modello tradizionale, inquinante e costoso, di mobilità. Ovviamente di sindaci che inaugurano costosi auto o  bus a idrogeno , specie in coincidenza di scadenze olimpiche o simili , ne abbiamo visti decine  ma finita festa e folclore quasi sempre le ritrovate dismesse dopo pochi mesi al fondo delle rimesse comunali. E in qualche centro città europeo qualcuna dura di più ma tutto ciò non scalfisce minimamente il modello tradizionale di mobilità. 

Il numero di auto, furgoni, camion e autobus circolanti nel mondo ha già superato il miliardo nel 2010 e le principali multinazionali del settore sarebbero soddisfatte di raggiungere l’obiettivo di 200 milioni di nuovi veicoli sul mercato all’anno, con particolare attenzione ai mercati da saturare di  Cina e India, oltre agli USA e Giappone. In realtà una prospettiva terrificante per il futuro del pianeta ed un bel salasso economico per milioni di persone costrette ad usare l’auto dove le altre forme di mobilità scarseggiano.

Per fortuna è crescente il numero di persone che anche nel nostro paese comincia a vedere, e dove possibile praticare, un modo più collettivo, più salutare, più economico e in fin dei conti più divertente e socializzante della solita scatoletta metallica mono o biposto: dal bike sharing al car pooling ad esempio; e in tanti vorremmo avere delle vere reti metropolitane articolate e diffuse in modo soddisfacente nel centro e fino alle periferie ed ai sobborghi delle grandi e medie città italiane. Ma praticamente dopo la parziale rete milanese avviata negli anni ’60 non si è mosso quasi più nulla.
La famosa linea C romana, che avrebbe dovuto collegare il centro storico da un lato alla periferia est, estendendosi oltre il Grande Raccordo Anulare e dall'altro all'area nord-ovest della capitale usando anche il tracciato superstite della vecchia ferrovia Roma-Fiuggi è praticamente fallita. I primi finanziamenti vennero stanziati nel 1995 e sulla vicenda si potrebbero scrivere libri divertenti.
 A Torino si procede a passo di lumaca, con un comune troppo impegnato a pagare debiti ed interessi dello spettacolo olimpico del 2006. Con questi tempi una teorica “rete” metropolitana la avremmo fra 100-150 anni. Governi e partiti ( oltre a banche e gruppi mafiosi), troppo impegnati nel garantirci il fondamentale collegamento con l’Europa con la TAV in val di Susa, non hanno tempo da perdere con la mobilità urbana e metropolitana. Per semplificare il quadro si chiudono tratte ferroviarie regionali storiche  importanti  e, ultima novità, in questi giorni persino l’ultima  corsa di mezzanotte fra Milano e Torino è saltata, dimenticandosi di avvisari gli utenti , allibiti di tanta fantasiosa creatività. 

Non si trova al momento un sindaco, neppure di quelli ”alternativi” che abbia il coraggio di tirare tre righe incrociate sulla carta della propria mappa cittadina  progettando, con i tempi necessari, la totale chiusura alle auto della parte prevalente di alcune direzioni di traffico cittadine per riservarle a bici, risciò, veri mezzi elettrici e metrobus a percorrenza delimitata. A chi pensa che sono cose da strampalati visionari va ricordato che gli esempi in Europa, dalla Germania all’Olanda,  sono realtà consolidate e che, per finire, nella caotica New York l’80% degli abitanti non possiede più un automobile.. e si gira benissimo. 

28 giugno 2012

Analisi dei voti: i meccanismi elettorali e la democrazia


          di Giovanni Chiambretto *

Ci hanno abituato a tifare la sera degli scrutini elettorali guardando le percentuali dei diversi schieramenti come ad una partita di calcio. Più distrattamente la mattina dopo ci informano sulla distribuzione dei seggi ed eventualmente  sugli effettivi esiti istituzionali della consultazione. Seguono i rituali proclami di vittoria di tutti, o quasi, i leader politici.
Nel folklore di queste frequenti serate sportive  sfuggono, o si vuole che ci sfuggano, due passaggi essenziali, almeno per la democrazia di un paese, su cui ci si dovrebbe interrogare: quanti cittadini non sono rappresentati nelle istituzioni e se c’è corrispondenza fra la quantità complessiva  dei voti espressi  e l’effettiva rappresentanza.

Prendiamo un po’ di esempi recenti andando a ritroso:
In Grecia il 17 Giugno su 9.945.002 elettori registrati, gli astenuti sono stati 3.793.693 pari 38,2 %. Se aggiungiamo 368.066 voti dispersi su liste che non hanno raggiunto il quorum siamo al 41,85% del corpo elettorale che è fuori (cioè non ha eletto nessuno)
In Francia al primo turno delle legislative il 10 Giugno su 46.083.260 elettori registrati, gli astenuti (comprese  bianche o nulle) sono stati 20.130.170 pari al 43,7% del corpo elettorale che è fuori da ogni forma di rappresentanza istituzionale.
Per continuare, si parva licet componere magnis, veniamo alle ultime amministrative di alcune città italiane.
Parma: iscritti 142.143; astenuti 50.358 pari 35,4% del corpo elettorale. Se gli aggiungiamo 39.204 voti andati a liste che non hanno raggiunto il quorum o l’eletto siamo al 63,01% di elettori che non hanno rappresentanza ( non hanno eletto nessuno).
Monza: iscritti 94.591; astenuti 40.679 pari 43 % del corpo elettorale. Se gli aggiungiamo 6.837 voti andati a liste che non hanno raggiunto il quorum siamo al 50,24% di elettori che non hanno rappresentanza.
Genova: iscritti 503.752; astenuti 239.857 pari 47,6% del corpo elettorale. Se gli aggiungiamo 28.797 voti andati a liste che non hanno raggiunto il quorum siamo al 53,33% di elettori che non hanno rappresentanza.
Sesto San Giovanni: iscritti 61.124; astenuti 27.433 pari 44,9 % del corpo elettorale. Se gli aggiungiamo 3.807 voti andati a liste che non hanno raggiunto il quorum siamo al 51,1% di elettori che non hanno rappresentanza.
Palermo: iscritti 563.624; astenuti 236.767 pari 42 % del corpo elettorale. Qui il discorso è ancora più intricato in quanto sono state presentate 26 liste di cui solo 9 hanno ottenuto una rappresentanza istituzionale. Nel complesso queste liste hanno ottenuto 183.450 voti pari al 32,55% degli aventi diritto al voto Quindi il 67,45% del corpo elettorale non è rappresentato..
Quindi negli esempi citati dal 42 al 67 percento dell’elettorato non è rappresentato ed in buona parte non si sa neanche cosa pensa.

Ancora più sorprendente è la suddivisione del peso elettorale in termini di peso istituzionale:
Grecia: Il premio di 50 deputati ( quasi il 17% del totale )al partito di maggioranza relativa, cioè quello che ha preso almeno un voto in più del secondo (in questo caso Nuova Democrazia col 29,66% dei voti espressi) sposta pesantemente gli equilibri consentendo la formazione di un governo pro “sacrifici” con circa il 60% dei seggi. In realtà contando i voti ed applicando il proporzionale puro, la maggioranza dei greci si è espressa per partiti che si oppongono alla politica dell’ austerità intransigente, si dice… alla Merkel. I seggi non sarebbero 180 a 120, ma circa 148 a 152. Certo nei 152 ci sarebbero anche i neonazisti con cui non sarebbe possibile una coalizione, ma qui preme segnalare che l’orientamento delle istituzioni è sostanzialmente falsato rispetto all’orientamento del corpo sociale del paese. In conclusione a Nuova Democrazia bastano 14.142 voti per fare un deputato, mentre per tutti gli altri ce ne vogliono circa 23.000.
Francia: Il doppio turno uninominale ha comportato una sostanziale alterazione degli equilibri. Ad esempio in giugno il PS col 34,4% dei voti espressi ( fra i risultati peggiori del dopoguerra ) ha la maggioranza assoluta con il 54,4 % dei deputati (314 eletti su 577 totali, che sarebbero invece 199 se si fosse applicato il proporzionale puro). D’altro canto i Conservatori dell’UMP (che hanno preso più voti) col 34,66% dei voti espressi hanno 229 eletti (85  meno dei socialisti). O ancora: ai socialisti bastano 28.434 voti per fare un deputato, al Front de Gauche ne servono 179.187, al Front National addirittura serve la ridicola cifra di 1.764.187 voti. Va da se che trasformando i voti raccolti al primo turno in seggi col sistema proporzionale Hollande non avrebbe la maggioranza parlamentare nemmeno con i Verdi. Un premio per la stabilità?. Niente affatto. Semplicemente se si fossero affrontate le elezioni con il proporzionale  probabilmente le alleanze sarebbero state diverse ( in soldoni gli ecologisti e la sinistra sarebbero determinanti ed il paese sarebbe costretto (dagli elettori!) a cambiare politica, cosa che probabilmente non avverrà, su gran parte delle questioni di fondo...

E veniamo all’Italia:
 L’intrico forsennato di premi di coalizione, il voto per il sindaco disgiunto da quello di lista, eventuale ballottaggio e tanti altri dettagli impossibili anche da riassumere in questa sede, renderebbero l’analisi soffocante. Prendiamo solo come punti fissi i voti espressi al primo turno (quello in cui ci si esprime con un pò di libertà su tutta l’offerta politica) ed il risultato finale in termini di seggi.
Monza: Su 56.505 voti espressi le 4 liste che formano la maggioranza in consiglio detengono 20 consiglieri avendo raccolto complessivamente 16.997 voti pari al 30,08% dei voti espressi ( e al 17,97% degli aventi diritto). In altre parole un consigliere di maggioranza costa 850 voti, mentre all’opposizione uno del Pdl costa 1846 voti ed uno di Grillo 2413.
Genova: senza dilungarsi un seggio per il Pd (maggioranza) vale 4.595 voti, uno di Grillo ne vale 6.503, gli altri non li citiamo nemmeno.
Sesto San Giovanni: Su 35.122 voti espressi le 4 liste che formano la maggioranza in consiglio detengono 15 consiglieri avendo raccolto complessivamente 13.355 voti pari al 38% dei voti. In altre parole un consigliere di maggioranza costa 890 voti, mentre uno di Grillo 1534.
Palermo: Il grande successo personale di Orlando (105.288 voti al primo turno e 158.010 al secondo) ha fatto il miracolo: il suo partito, l’IDV col 7,94% dei voti ha 30 consiglieri pari al 60,00% dei consiglieri.
Parma: Il partito che esprime la maggioranza in consiglio (20 consiglieri su 32) pari al 62,50% del consiglio, al primo turno ha totalizzato 13.817 voti su 91.785 votanti pari al 15,05%. Un consigliere 5stelle è stato eletto con 691 voti. Ad esempio quello dei Comunisti Italiani ne ha avuto bisogno di 4.059. La casta forse dovrebbe capire che chi di riforma elettorale ferisce, di riforma elettorale a volte perisce .

Riepilogando:
Dei casi esaminati (grandi o piccoli) si deduce che la tendenza uniforme è che la platea attiva degli elettori si va riducendo a meno della metà degli aventi diritto ( e spesso molto oltre). Di regola, specie in molti paesi del sud europa, la dimensione istituzionale della rappresentanza non è mai proporzionale al peso elettorale effettivo (tot voti=tot eletti). La giustificazione secondo cui questi “correttivi” favorirebbero la governabilità è ridicola e mistificante.
Ridicola perché arrivare al risultato che liste che ottengono meno consensi abbiano molti più eletti di liste che hanno più consensi, non ha nulla a che vedere con la stabilità ( e soprattutto con la democrazia). Mistificante perché ormai il potere si conquista non col consenso popolare, ma attraverso una spregiudicata tattica amministrativa fatta di liste civetta, false civiche, alleanze funzionali a fare scattare i “bonus” dei regolamenti, un po’ di corruzione, etc. Il tutto su più livelli incrociati. La frammentazione è aumentata , anche se si nasconde nelle coalizioni o addirittura dentro finti partiti ( in molti abbiamo scoperto in queste settimane che la Margherita ed il vecchio PDS per molti versi esistevano ancora, con magari anche i giornali e le fondazioni di riferimento ). In novembre Napoletano-Monti hanno  fatto le consultazioni con 34 gruppi diversi. Se avessimo il proporzionale con un ragionevole  quorum  come in Germania e in vari altri paesi del nord europa, avremmo stabilmente forse 6-7 partiti (veri).

Gustosa ed indicativa è la storia dell’alleanza rosa-verde in Francia: a Marzo si costituisce, dopo almeno 4 mesi di discussioni per stendere  un programma comune,  una alleanza fra socialisti e verdi la cui articolazione prevista sarebbe stata la seguente:
1)        Viene definito un pacchetto di provvedimenti condivisi in particolare per quanto attiene lo sviluppo sostenibile, la progressiva fuoriuscita dal nucleare, l’ambiente ( oltre a molti altri punti di politica interna ed internazionale).
2)        Ciascuno dei due partiti si presenta con un proprio candidato al primo turno delle presidenziali.
3)        I Verdi si impegnano a votare il candidato socialista, che prevedibilmente, entrerà nel  ballottaggio a due.
4)        Prima delle politiche del mese successivo viene costituito un governo in cui alcuni dicasteri (marginali) sono affidati ad esponenti verdi, guarda caso a chi ha condotto la trattativa, il cui risultato immediato è stata la perdita di più di metà del potenziale voto verde alle successive legislative ( e secondo Cohn Bendit di qualche giorno fà, di più di metà degli aderenti al partito).
5)        Al primo turno delle successive elezioni legislative vengono concordati meccanismi di desistenza ed in particolare in 66 collegi i socialisti non si presentano ( ricambiati dai verdi in altri)  indicando ai propri elettori di votare il candidato verde ( che ha sempre un supplente). Si prevede che in almeno 35 di questi collegi lo schieramento rosa-verde possa avere la meglio sullo schieramento di destra e portare così la rappresentanza verde ad essere determinante negli equilibri parlamentari ( in fin dei conti hanno fatto eleggere Hollande). Al secondo turno (di ballottaggio) Verdi e Socialisti indicano ai propri elettori di votare il candidato in ballottaggio, rosa o verde che sia, in tutti i 577 collegi.
6)        Il risultato previsto è la vittoria dell’alleanza, un governo rosa-verde ed un presidente socialista per attuare un programma innovativo e condiviso.

7)        In realtà fino alle presidenziali è andata così, ma dopo l’elezione di Hollande e l’insediamento del governo (con due ministri verdi in dicasteri insignificanti), alla presentazione delle liste per le legislative, si è verificato un fatto strano: in parecchi collegi, sembra ben 35, sono state presentate liste di “socialisti dissidenti” che hanno fatto saltare tutti gli accordi di desistenza mettendo in competizione candidati verdi e socialisti “dissidenti”. Conclusione: gli eletti verdi sono stati solo 18 e risultano non necessari alla maggioranza parlamentare. I verdi ottengono il numero sufficiente a fare gruppo semplicemente grazie alla signora Le Pen, terzo incomodo in vari collegi, che azzera i conservatori e fa vincere il verde o il  socialista del collegio. 
I socialisti “dissidenti” eletti sono perfettamente integrati nel gruppo parlamentare socialista e ovviamente non si parla più di uscita dal nucleare, tutt’al più della chiusura di una sola della quarantina di centrali nucleari francesi (la più vecchia). Solo a questo punto Cohn Bendit denuncia in sintesi: per il momento siamo fottuti, tranne la signora Duflot e alcuni amici,  a condizione ( detto esplicitamente dai socialisti dopo il voto) che non rompa le scatole.

Quello francese è solo un esempio; che ci insegna che la democrazia è una cosa seria e non si può barattare. Almeno per chi si pone l’obiettivo del cambiamento, nel nostro paese e nel resto dell’Europa. Forse sarebbe il momento di porre il problema di una vera riforma elettorale che indichi un diverso indirizzo non solo in Italia, ma in tutt’Europa. Non le schifezze rimasticate che ci stanno cucinando Alfano, Bersani e Casini che, così come ci vengono prospettate riducono ulteriormente gli spazi democratici e demoliscono pezzo per pezzo la Costituzione in funzione della conservazione della casta. E non c’è da stupirsi se la politica, quella vera, la fanno i banchieri e pochi altri. Questi amministrano poco più che il proprio conto in banca o quello delle proprie fondazioni di riferimento.

Forse sarebbe anche ora che lo stuolo di politici “anticasta” che ci ritroviamo in Italia riuscissero a comprendere in che mondo vivono, ed anziché ad ogni scadenza elettorale mandare allo sbaraglio i propri militanti ed i propri potenziali  elettori in ordine sparso od in posizione subalterna, riuscissero ad elaborare una idea di aggregazione alternativa e una credibile strategia elettorale.
E’ da seguire con attenzione la tattica elettorale di Grillo che forse è l’unico, dopo il colpaccio di De Magistris a Napoli, ad avere capito in che razza di democrazia ci troviamo. La scelta di stare da solo, scommettere sulla arrogante frammentazione della casta, puntare a raccogliere una solida minoranza di protesta, entrare in ballottaggio e fare saltare il banco è forse l’unica alternativa praticabile allo scendere in piazza con forconi ed archibugi. Forse al momento non c’è altro da fare ma si può andare avanti così ?

Mi avvio a concludere con una citazione del Generale di Corpo d’Armata Flavio Mini che non mi risulta sia un pericoloso terrorista anarchico e che dovrebbe fare riflettere:
I cardini del sistema democratico sono le elezioni, la scelta popolare dei candidati e il diritto di governare attribuito alla maggioranza. Nella pratica moderna, però, l’elezione non è mai un fatto popolare se il popolo è soggetto a manipolazione e la scelta dei candidati non è mai affidata al popolo , ma ai partiti (che non sono la stessa cosa). I candidati devono comunque farsi conoscere e per questo devono comunicare, e comunicare costa. Paradossalmente, i candidati più preparati sono quelli espressi dalle oligarchie economiche che li sostengono, in cambio di agevolazioni e favori. Anche la democrazia del governo di maggioranza è un mito: il sistema democratico è una tentazione per la maggioranza di svantaggiare le minoranze, ma più spesso consente di affidare il potere alle oligarchie piuttosto che al demos.
In una democrazia teorica di mille elettori, 501 di essi possono ignorare i diritti dei rimanenti 499. Ci sono vari metodi democratici per favorire l’accentramento del potere: la riduzione degli aventi diritto al voto, l’astensione, la scheda bianca e quella nulla. Il combinato di questi fattori fa sì che, nel migliore dei casi, l’affluenza si collochi intorno al 60%. Sicchè nella nostra democrazia teorica la maggioranza assoluta si forma su una base di 600 persone e quindi ne bastano 301. Se si suppongono 3 forze politiche equivalenti e il premio al partito di maggioranza relativa, 101 persone decidono i destini di altre 899. Il che equivale a un’aristocrazia. Inoltre, la democrazia occidentale ha cessato di costruire utopie, che sono l’anima della politica e persino della libertà. In questo senso, la democrazia contemporanea è la massima espressione dell’anti-idealismo: essa coincide con il libero mercato e la sua introduzione nei paesi che non l’hanno mai conosciuta (come quelli dell’Europa orientale e dei Balcani) significa privatizzazione, economia di mercato e diseguaglianze.” (da Limes n.2/2012)

Per finire è bene ricordare che nel 1968, l’anno dei movimenti “rivoluzionari”, nelle elezioni politiche ( con le regole varate dalla Costituzione del 1946-47), espresse un voto utile il 93% degli elettori. 15 anni prima, nel 1953, quando si tentò di introdurre il maggioritario (il DC Tambroni)   attraverso un premio al primo partito, dentro e fuori le aule parlamentari si arrivò ai tumulti ed il tentativo fallì. Il maggioritario arrivò solo nella prima metà degli anni ’90: i vecchi partiti cambiarono nome e sopravvissero pari pari a “Mani Pulite”. Se è possibile porcellum e mattarellum, per non parlare di quanto preparano PD, PDL, UDC, sono molto, molto peggio del tentativo fallito del 1953.   

*  Gruppo delle Cinque Terre – Lombardia

26 giugno 2012

10 cose da non fare a Berlino


10-Non guidare all’italiana. La macchina qui è inutile, o quasi, ma se ve la portate dietro cercate di imparare in fretta che all’interno dei quartieri il limite è 30km orari, sulle strade un po’ più ad alta percorrenza è 50, che non si può sbagliare coda al semaforo e se hai sbagliato ti tocca continuare per la strada sbagliata fin quando non trovi una maniera civile per tornare indietro. La segnaletica a terra qui ha un valore che tutti rispettano. Può essere frustrante all’inizio, e lo è anche un po’ alla fine, ma sono le loro regole ed è meglio l’estremo ordine che il nostro caos in cui, di fatto, tutto è consentito.

9-Non camminare sulla pista ciclabile (che è quella rossa ai lati del marciapiede). A Berlino i ciclisti sono padroni, spesso in sella girano bardati come se dovessero correre la Parigi Dakar con sciarpe, cappelli, scarpini aerodinamici e tutto il resto. Non si ammettono distrazioni da parte dei pedoni che, zitti e mosca, sono destinati a subire scampanellate a 100 metri di distanza e anche, ogni tanto, qualche irritante borbottio detto a mezza bocca (qui non c’è la platealità dell’offesa molto italiana, che almeno ha un valore catartico). Ne parlai anche qui: I berlinesi su due ruote: schnelll!

8-Non ordinare acqua gassata al ristorante se non si vuole subire un salasso. Capita anche di pagare sei euro per una bottiglia di San Pellegrino mentre si è pagato 5 euro per il resto del pasto. Nonostante la Germania sia uno dei paesi che consuma più acqua minerale al mondo e l’acqua in bottiglia al supermercato può costare anche 25 centesimi per un litro e mezzo, al ristorante cambia tutto. Oltretutto spesso ti viene portato un bicchiere già riempito. Per sfuggire a questa “tassa”, o si ordina la birra (che,confermando il più classico dei cliché sui tedeschi, è più economica di ogni altra cosa), o si chiede acqua rubinetto, che qui è buona. La parola magica da dire è Leitungwasser.

7-Non lasciare la mancia sul tavolo, ma darla direttamente al cameriere che presenta il conto. Dovete pagare 17euro e 20 centesimi? Mentre date la banconota da venti euro dite che volete pagare 19 euro. Lui si prende un euro e ottanta di mancia (circa il 10%) direttamente, e vi dà indietro un euro di resto, senza nessun altro scambio di denaro. La mancia non è obbligatoria, è gradita e le considerazioni sul darle o meno sono le stesse che valgono in Italia.

6- Non mangiare italiano. Questa regola vale solo per i turisti e con questo non dico automaticamente che dobbiate mangiare tedesco, a mio avviso si può anche saltare in pieno un menù a base di currywurst, zuppe, knoedel e bistecconi, ma a Berlino vale la pena rischiare con le cucine esotiche. Dall’iraniano al coreano, dal portoghese al nepalese passando per la cucina bulgara, brasiliana e tante altre. I prezzi sono normalmente bassi e non sono cucine che si spacciano per quello che non sono, se si va in un ristorante irakeno c’è davvero un irakeno in cucina e così via. Se a New York e a Londra sperimentare è un lusso che ci si può consentire ogni tanto, qui si mangia fuori anche con 10 euro. Ci sono anche ristoranti italiani molto buoni, ma bisogna davvero venire a Berlino per provare ciò che abbiamo tutti i giorni a portata di mano?Da evitare sono anche i fast food. Qui si mangia ovunque a qualsiasi ora, e la media è abbastanza alta. Meglio un pasto veloce in un imbiss turco che un McDonald.

5-Non chiedere un caffè senza specificare che si voglia un espresso o senza controllare di che marca sia la caffettiera ed il caffè offerto. Non siamo in Italia e l’imbevibile bibitone alla tedesca è quanto di più lontano dal nostro concetto di caffé. La regola vale sia se si va in un locale pubblico che a casa di un amico tedesco. Ne parlai anche qui.

4-Non vestirsi da italiani fichetti per entrare nei locali fichetti di Berlino. Il Kater Holzig oggi come il Bar 25 ieri e il Berghain sempre: se si viene con capello ingelatinato, la giacca di pelle e l’idea del “io son fico e, da italiano, conosco la parola eleganza”(spesso basta anche solo un dettaglio di quanto scrissi a proposito dell’italiano turista a Berlino) beh, le possibilità di entrare sono bassissime. Meglio una maglietta bucata con una macchia di caffè (ho visto gente entrare così al Bar 25) che una bella camicia su impeccabile jeans. Il concetto di cool qui è diverso, almeno se si punta a locali che si possono definire tipicamente “berlinesi”. Poi anche qui ci sono posti in cui bisogna andare in tiro e posti che, per fortuna, non fanno queste stupide selezioni all’entrata, ma ecco, almeno riguardo i primi: vale davvero venire a Berlino per andarci? Corollario per gli uomini: non fare “i machi” per rimorchiare le tedesche. Siamo nel 2012, le donne sono smaliziate e il mito dell’italiano va ricostruito, non fatto ulteriormente a pezzi con stupide frasi ad effetto. Può funzionare, ma davvero avete intenzione di prendervi 500 rifiuti e facce schifate prima di realizzare la celebre “legge dei grandi numeri”?

3-Non andare ovunque vi dicano che c’è un vernissage di “un amico di un mio amico”. Non sempre tutto ciò che è ribelle ed alternativo alla fine nasconde dell’arte, anzi molto spesso, in molte gallerie e posti arrangiati a gallerie, di “arte” c’è giusto la parola utilizzata dall’artista o dal curatore in questione per giustificare l’ennesima foto in bianco e nero di un cinese che vende chinabox su Oranienburgerstrasse. In una città con la più alta concentrazione sia di aspiranti artisti che di posti a disposizione per una “ausstellung”, il rischio pacco è sempre dietro l’angolo. Se proprio volete rischiare, fatelo almeno in buona compagnia, almeno si può prendere tutto con un po’ di ironia.

2-Non provare a convincere i controllori dei mezzi a non farvi la multa. E’ una perdita di tempo visto che qui i controllori prendono una percentuale sulla multa ed è molto difficile che rinuncino ai loro soldi. Corollario: non comprate biglietti utilizzati, ma ancora validi (magari per un’ora o più) da venditori improvvisati davanti i binari, a meno che i venditori non li conosciate da tempo e vi fidiate. Ogni tanto vengono venduti biglietti falsi e se poi si viene scoperti dai controllori si va davanti al tribunale citati per truffa. Dei controllori di Berlino parlai anche qui.

1-Non indossare MAI un calzino bucato. Normalmente qui ci si leva le scarpe quando si entra in una qualsiasi casa. Ancora mi ricordo di quella volta che da autodidatta riuscii a tenere una contorta posizione di yoga per tre ore solo per nascondere il piede sinistro sottola coscia della gamba opposta durante un pomeriggio “tutto a base di tè” a casa di un’amica, con tanto di tappeto su cui appollaiarsi e tutto il resto. Purtroppo, stoicamente, pur di non mostrare a tutti la presa d’aria del mio calzino non mi mossi neanche quando le qualità diuretiche della bevanda cominciarono a presentarsi all’appello. Fu un pomeriggio da incubo. Nel caso abbiate solo calzini bucati nell’armadio e non vi aspettavate di essere invitati da nessuna parte, quando ormai è troppo tardi e siete a casa del vostro amico/amica, imparate a scalare piano piano, senza che gli altri se ne accorgano, la punta del calzino un po’ più avanti fino a che il buco non arrivi sotto la pianta del piede e, con un po’ di tenacia, possiate chiudere a pugno le dita del piede in questione e camminare come se indossaste un paio di infradito.

da www.zingarate.com  ( scritto da Berlino cacio e pepe blog )