27 settembre 2021

Risultati preliminari ufficiali delle elezioni federali in Germania

 SPD: 25,7% (206 seggi) CDU/CSU: 24,1% (196 seggi) Verdi: 14,8% (118 seggi) FDP: 11,5% (92 seggi) AfD: 10,3% (83 seggi) Die LINKE: 4,9% (39 seggi) Minoranza danese: 0,1% (1 seggio) Altri: 8,6% (-)

Il totale dei seggi stimato è 735. La maggioranza è di 368. Con questi numeri le uniche coalizioni possibili sono una ripetizione della Große Koalition tra SPD e CDU/CSU, una coalizione semaforo tra SPD, Verdi ed FPD o una coalizione Giamaica tra CDU/CSU, Verdi ed FPD.

Questa è la suddivisione dei risultati preliminari ufficiali delle elezioni federali tra la ex Germania Ovest vs ex Germania Est. SPD: 26,4%|24,2% CDU/CSU: 25,9%|16,9% Verdi: 15,4%|10,9% FDP: 12,0%|9,7% AfD: 8,2%|19,1% LINKE: 3,6%|10,0%

(da Daniele Angrisani – Twitter)

‘Petrolio il tempo perduto’, l’inchiesta di PresaDiretta sulla transizione energetica e le emissioni di metano dagli impianti di gas

 Lunedì 27 settembre, alle 21.20 su Rai 3, PresaDiretta con “Petrolio il tempo perduto”, torna sulla transizione energetica e accende una luce sul ruolo delle grandi compagnie del petrolio e del gas. Un settore che ha un fatturato annuo di 3mila miliardi di dollari e circa 10 milioni di occupati. Insieme a Greenpeace e ReCommon, PresaDiretta ha monitorato le emissioni fuggitive di metano dagli impianti a gas italiani

 Grazie a una camera termica a raggi infrarossi, in quasi ogni impianto visitato sono state rilevate ingenti emissioni di gas serra, invisibili ad occhio nudo. “Può succedere che il nostro occhio passi e non veda nulla ma che in realtà costantemente c’è un’emissione di sostanze climalteranti” dice Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia. Dalle immagini riprese nella centrale di trattamento gas “Casalborsetti” di Eni a Ravenna, grazie alla termocamera, si vede chiaramente il rilascio di emissioni significative, incluso il metano.

Quando si parla di riscaldamento globale, l’anidrite carbonica è la maggiore indiziata del cambiamento climatico. Esistono però gas che hanno un impatto maggiore rispetto alla CO2. L’ingente aumento di metano in atmosfera negli ultimi 10-15 anni è stato finora sottovalutato, ma recenti studi hanno dimostrato come questo gas, nei primi 20 di rilascio in atmosfera, la riscaldi fino a 86 volte più della co2. “Nei primi 10 anni dal rilascio, il metano è 100 volte più potente dell’anidride carbonica come agente climalterante” dice Anthony Ingraffea, Professore Ingegneria civile e ambientale della Cornell University, intervistato da Teresa Paoli.

E le emissioni fuggitive di queste sostanze climalteranti sono un problema in tutto il mondo. Anche l’associazione americana Clean Air Task Force, la scorsa primavera, ha monitorato 200 impianti a rischio di emissioni in tutta Europa, documentando perdite nel 90 percento dei siti. “Quello che purtroppo manca – sostiene Antonio Tricarico, Campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon – è un monitoraggio attento di queste emissioni, sia del venting ossia lo sfiato degli impianti, che delle emissioni fuggitive, cioè le vere e proprie perdite. Anche se fossero solo un 2 – 3 per cento è un problema grosso”.

Ridurre la presenza di metano, quindi, dovrebbe diventare la strategia più veloce per abbassare la temperatura terrestre entro i prossimi 20 anni, come sostiene il Global Methane Assestment dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Oltre ad essere fortemente climalterante, il metano contribuisce anche alla formazione dell’ozono, un inquinante molto dannoso per la salute umana che, secondo lo stesso studio dell’UNEP, provoca circa mezzo milione di morti premature all’anno. “Da qui al 2050 – sostiene il dirigente di ricerca del CNR Nicola Armaroli – azzerando le emissioni di metano a livello mondiale si risparmierebbero migliaia di vite”. Il viaggio di PresaDiretta nel mondo degli idrocarburi finisce in Germania, dove i lavori per l’allargamento della miniera di carbone di Garzweiler minacciano l’esistenza dei villaggi adiacenti gli scavi, per scoprire i meccanismi che permettono all’industria del fossile di continuare ad essere finanziata dai maggiori istituti di credito. Banche, assicurazioni, fondi pensione, tutti questi elementi contribuiscono, con ingenti finanziamenti, ad una industria, quella dei combustibili fossili, che dovrebbe essere abbandonata al più presto in favore di energie rinnovabili e pulite.

Secondo Simone Ogno, campaigner Finanza e Clima di ReCommon intervistato da Pablo Castellani: “Il finanziamento ai combustibili fossili rappresenterebbe il terzo settore per emissioni di CO2 in Italia, solamente dietro i trasporti e l’energia”. Mentre “dalla firma degli accordi di Parigi ad oggi i 60 maggiori gruppi bancari hanno investito nei fossili qualcosa come 3800 miliardi di dollari” sottolinea Andrea Baranes, vicepresidente di Banca Etica.

( da ilfattoquotidiano.it – 27 settembre 2021)

26 settembre 2021

Greta Thunberg e i 40mila di Berlino nell’ultimo venerdì dell’era Merkel

 Fridays for future. Il pressing degli ambientalisti alla vigilia del voto. Grandi cortei nelle città tedesche. Bocciati i partiti di governo. Nella capitale anche l'attivista svedese


 
di  Sebastiano Canetta *

In oltre 40 mila davanti al Reichstag di Berlino, 48 ore prima del voto federale, «per mettere pressione ai partiti che non hanno ancora preso sul serio la catastrofe climatica» come riassume Luisa Neubauer, portavoce nazionale del Fridays For Future.

Nell’ultimo venerdì dell’era Merkel gli ambientalisti tedeschi scendono in piazza in massa perché «sì, certo, domenica dovete andare alle urne, ma ricordate che il vostro voto non basterà per cambiare. I partiti non guardano abbastanza lontano e non ci hanno mai preso sul serio, dunque dobbiamo continuare a scendere in strada» è l’appello ai berlinesi di Greta Thunberg dal palco montato fra Parlamento e Cancelleria.

Oltre alla capitale gli attivisti del Fff hanno pacificamente invaso le vie di Amburgo, Lipsia, Colonia, Bonn, Friburgo e Monaco dove si è segnato l’altro record di partecipazione con Berlino. Tutti uniti dal medesimo slogan contro «i vecchi politici da cui non vogliamo più sentire scuse».

Una manifestazione oceanica, la prima di queste dimensioni nell’epoca della pandemia, che non ha fatto sconti a nessuno, Verdi compresi. «Nessuno dei candidati cancellieri ha un programma politico davvero in linea con l’attuale emergenza climatica. Anzi, la maggior parte di loro pensa alla costruzione di nuove centrali a carbone, gasdotti e autostrade. Noi invece pretendiamo azioni immediate per ridurre le emissioni di CO2 e smettere di finanziare i combustibili fossili» sottolinea Carla Reemstma, tra gli organizzatori del Fff pre-elettorale.

In parallelo, gli ambientalisti ieri hanno anche voluto dare voce ai milioni di tedeschi che non hanno l’età per votare «eppure pagheranno più di tutti le conseguenze della crisi climatica» come precisa la giovanissima attivista Jana Boltersdorf ai microfoni della «Deustche Welle».

Quale sarà l’impatto della manifestazione sul voto di domani? Impossibile da prevedere anche per i sondaggisti, anche se di certo la pressione del Fff condizionerà soprattutto il voto dei giovani per cui la catastrofe ambientale svetta tra le preoccupazioni ben prima del Coronavirus. E proprio la pandemia, non a caso, viene citata da Thunberg: «Se il Covid-19 ci ha insegnato qualcosa è che la crisi climatica non è mai stata trattata come emergenza» nonostante l’evidenza che la «malattia» dell’Ambiente sia scientifica esattamente quanto il virus.

Per questo gli attivisti denunciano il clamoroso fallimento del quarto governo Merkel incapace di scrivere una vera legge sul Clima.

«La politica dell’esecutivo è stata così pessima che è dovuta intervenire la Corte costituzionale imponendo a Cdu, Csu e Spd le correzioni per salvaguardare le generazioni future. Durante l’estate Olaf Scholz si è reso conto che il suo strampalato piano per utilizzare il carbone fino al 2038 era fallito, e non ci stupiamo se sul punto ha mentito anche Armin Laschet. Per un’intera stagione li abbiamo costretti a parlare di Clima, ma i loro programmi sono ancora insufficienti» ricorda Neubauer. Prima di scandire ai manifestanti: «Oggi stiamo facendo la storia».

* da il manifesto – 25 settembre 2021

Nella foto: Greta Thunberg sul palco di Berlino alla manifestazione Fridays for future prima delle elezioni di domenica 26

Le insidie del modello tedesco

 

Germania. Il nodo degli investimenti deve fare i conti con il deficit, che nel 2020 ha toccato il fondo: più di 158 miliardi. Il finanziamento di infrastrutture ed ecologia sarà il sicuro terreno di scontro

 di Vincenzo Comito *

Le questioni dell’economia sono rimaste quasi in secondo piano durante la campagna elettorale tedesca e comunque hanno avuto meno risalto che nelle elezioni norvegesi. Eppure si dice che c’è un solo ministro a Berlino, quello delle finanze. Dell’Europa, poi, non si è parlato affatto.

IL CANDIDATO SPD, Olaf Scholz, ha insistito sull’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora e la costruzione di 400mila alloggi all’anno, questioni rilevanti che però toccano solo in maniera parziale i grandi problemi del paese. Intanto i Verdi promuovono un piano per l’ambiente, proponendo un accordo con l’industria.

Ora aggravate dalla pandemia, dal cambiamento climatico e dalla lotta Cina-Usa, le difficoltà dell’economia sono presenti da tempo, ma i gruppi dirigenti sono riusciti sino ad oggi a tenerle a bada. Gli anni di Merkel, come fa rilevare su Le Monde del 4 settembre Joe Kaeser della Siemens, hanno corrisposto con un periodo di prosperità per il paese (però non per tutti: sono aumentate povertà e disuguaglianze), ma ora bisogna guardare ai grandi problemi lasciati dalla cancelliera e investire sull’avvenire.

COSÌ LE INONDAZIONI che hanno toccato di recente la Germania, con il loro grave bilancio, hanno portato a prendere coscienza della necessità di accelerare la spinta alla decarbonizzazione, mentre già qualche mese fa la Corte costituzionale aveva giudicato del tutto insufficienti gli sforzi del governo in proposito. Si pensa che siano necessari 2.300 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 30 anni.

Ma sugli investimenti bisogna più in generale ricordare, come fa Il Sole 24 Ore del 23 agosto, che quelli pubblici nel 1970 in Germania erano pari al 5% del Pil, mentre oscillano ormai da tempo intorno al 2% o poco più (di recente persino meno che in Italia, un’impresa); è visibile il decadimento infrastrutturale del paese. E questo per inseguire il pareggio di bilancio (lo Schwarze null di Schauble). D’altro canto, il Covid ha costretto il governo a rinunciare, almeno per il momento, al dogma e il bilancio ha mostrato nel 2020 un deficit mai visto, di più di 158 miliardi di euro; Schauble avrà avuto degli incubi. Ma si tornerà mai alla disciplina di prima?

Come finanziare gli investimenti in ecologia e infrastrutture? Tra le proposte, si parla di un aumento delle imposte per i più ricchi (cosa cui si oppongono gli industriali, ma anche la Cdu con il candidato alla cancelleria Armin Laschet), di trovare invece i soldi nei frutti della crescita futura, e infine di aumentare l’indebitamento. Un sicuro terreno di scontro.

UN ALTRO PROBLEMA riguarda i rapporti con la Cina. Il paese è il primo partner commerciale della Germania; il produttore di chip Infineon vi effettua il 42% delle sue vendite, mentre la Volkswagen il 41,4%. «La Cina è il presente e il futuro dell’auto tedesca», dichiara un esperto; «se non sei a tavola con i cinesi, sei nel menu», aggiunge più in generale un altro.

Ma nel frattempo le imprese del paese asiatico, come quelle tedesche e della Corea del Sud molto focalizzate sul settore industriale, competono sempre più con quelle teutoniche nei macchinari come nelle nuove tecnologie dell’auto e con i coreani nelle costruzioni navali come nell’elettronica di consumo. È di poco tempo fa la sorprendente notizia che le esportazioni cinesi di macchine utensili hanno superato quelle tedesche, raggiungendo il primato nel mondo.

D’altro canto, la Germania è spinta dai suoi interessi economici da una parte, dai suoi legami politici con gli Usa dall’altra; questi ultimi premono per un indurimento della posizione verso il paese asiatico.

Comunque, il settore industriale ha tardato ad adeguarsi ai processi di digitalizzazione come ai mutamenti ambientali e cerca ora di recuperare il terreno perduto; la cosa è evidente nel settore dell’auto, che, direttamente o indirettamente, dà lavoro a circa 15 milioni di persone, una cifra enorme, mentre produce il 55% del valore aggiunto nel settore in Europa, con il 19% della sua popolazione. Gli investimenti messi ora in campo sono molto elevati.

C’È POI L’ANNOSO PROBLEMA di sviluppo del mercato interno, sacrificato sino ad oggi sull’altare delle esportazioni. L’introduzione di un salario minimo nel 2015 ha segnato una prima rottura con tale modello. Ma ci sono molti milioni di lavoratori che percepiscono paghe molto ridotte ed è presente una larga diffusione del part-time (esso tocca più di un lavoratore su quattro).

E tralasciamo il problema delle grandi difficoltà nell’ascesa sociale dei più svantaggiati, mentre sono molti milioni i bambini sotto la soglia della povertà; accenniamo appena al sistema finanziario, che in un rapporto recente viene giudicato come inefficiente e prono agli scandali, con controlli inesistenti e con grandi banche in difficoltà.

Tanti problemi in attesa di risposte, mentre i partner dell’Unione (con Macron e i paesi del Sud in testa) e la stessa Bruxelles scalpitano, impazienti di conoscerle forse più degli stessi tedeschi.

* da il manifesto 26 settembre 2021

nella foto: Angela Merkel al Salone dell’Auto di Francoforte con il ceo di Bmw Norbert Reithofer