28 febbraio 2022

L’araba fenice del salario minimo


di Roberto Ciccarelli

Nello stagno della politica italiana ieri ha fatto discutere un rapporto dell’Inapp secondo il quale il 46% dei percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza» sarebbero «lavoratori poveri». Secondo il presidente Inapp Sebastiano Fadda «si potrebbe dire che basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori del reddito di cittadinanza», cioè oltre 3,7 milioni di persone. Fadda inoltre ha parlato di «qualità del lavoro, delle retribuzioni, della produttività e della riduzione della precarietà».

All’angolo per la sospensione della loro dirigenza disposta da un tribunale di Napoli ieri i Cinque Stelle hanno colto solo una parte di questa riflessione contenuta nell’indagine Plus su un campione di oltre 45 mila individui dai 18 ai 74 anni. Hanno isolato la questione urgente del «salario minimo» dalla necessità di cambiare radicalmente la legislazione che ha precarizzato la società, da quella di aumentare i salari anche tramite la contrattazione. Politiche assenti dall’orizzonte confuso e a termine del governo Draghi.
Ieri è giunta la notizia che il governo Scholz farà partire l’aumento a 12 euro del salario minimo in Germania dal primo ottobre, mentre il governo Sanchez ha preso un analoga iniziativa in Spagna. Tutto questo avveniva mentre c’era qualcun altro che ha ricordato che la Commissione Europea ha annunciato una direttiva sul salario minimo dalla quale però non si può attendere risultati miracolosi in mancanza di una progettualità politica a livello nazionale.

Ascoltato il gran rumore fatto dai loro alleati un altro partner della maggioranza Frankenstein si è svegliato dal torpore draghiano: il Pd. Così è stato rilanciato un tavolo con le «parti sociali» su contrattazione, rappresentanze imprenditoriali e sindacali e salario minimo. Ma il problema è che nessuno lo fa, davvero. Dopo tanti anni, nessuno ha pensato a calendarizzare un’iniziativa nelle commissioni lavoro. Ieri qualcuno se ne è ricordato. Si tratterebbe però di verificare se il Pd è d’accordo con la proposta dell’ex ministra M5S del lavoro Catalfo. Non sembra proprio così. E ieri Sinistra Italiana si è detta disponibile al confronto. Ma l’attuale ministro del lavoro Orlando ha ricordato che «questo è un governo complicato. Fino a che ce la si fa con gli accordi, bene, ma se non ce la facciano non escludo che prenderemo in considerazione l’ipotesi di intervenire per legge».

Grazie all’Inapp ieri si è scoperto che quasi la metà dei percettori del «reddito di cittadinanza» sono «lavoratori poveri», non «fannulloni». Da questa misura condizionata, ristretta dal governo, è stata esclusa la maggioranza dei lavoratori poveri. Ci si chiede se non sia necessaria una sua estensione. Una misura pre-distributiva gioverebbe a una politica salari. Se esistesse.

* da il manifesto 24 febbraio 2022

Le banche continuano ad investire nel carbone

 

Nel 2021 le istituzioni finanziarie hanno investito oltre 1.200 miliardi di dollari nell’industria del carbone. Lo rivela l’analisi finanziaria della Global Coal Exit List, redatta dalla Ong tedesca Urgewald, dalla francese Reclaim Finance e da 350.org Giappone insieme ad altre 25 realtà internazionali, tra cui l’italiana ReCommon.

La Global Coal Exit List ha preso in esame 1.032 società del settore carbonifero e i rispettivi sostenitori finanziari: banche, fondi di investimento, asset manager. In base ai dati raccolti nella ricerca, risulta che nel 2021 le istituzioni finanziarie abbiano investito oltre 1.200 miliardi di dollari nell’industria del carbone. Un aumento molto preoccupante rispetto al 2020, quando i soldi investiti superavano di poco 1000 miliardi di dollari.

Le banche di soli 6 paesi – Cina, Stati Uniti, Giappone, India, Regno Unito e Canada – sono state responsabili dell’86% dei finanziamenti complessivi per l’industria del carbone.

Un totale di 376 banche commerciali hanno fornito 363 miliardi di dollari sotto forma di prestiti all’industria del carbone. Solo 12 banche contano però per il 48% del totale dei prestiti alle società presenti nel Global Coal Exit List. Guidano questa poco onorevole classifica le tre banche giapponesi Mizuho Financial, Mitsubishi UFJ Financial e SMBC Group, seguite da Barclays (Regno Unito) e Citigroup (Stati Uniti).

Ironicamente, dieci di queste fanno parte della Net-Zero Banking Alliance, in cui rientrano anche le italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit, che fra il 2020 e il 2021 hanno aumentato sensibilmente il loro sostegno all’industria del carbone. In particolare, l’istituto torinese ha quadruplicato i suoi finanziamenti tra il 2020 e il 2021, passando da 449 milioni a 2,1 miliardi di euro, mentre UniCredit cresce da 1,36 a 1,71 miliardi di euro. Stesso trend per gli investimenti, soprattutto quelli della prima banca italiana: da 778 milioni a 1,35 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021.

«Le organizzazioni della società civile, i regolatori finanziari e gli stessi investitori devono smascherare le pratiche di greenwashing e mettere alle strette gli istituti di credito più importanti del Pianeta, affinché smettano di finanziarie il carbone. L’ipocrisia nascosta dietro vaghi impegni di net-zero e sostenibilità è inaccettabile», ha affermato Daniela Finamore di ReCommon.

* da beppegrillo.it – 22 febbraio 2022      

Sviluppare il gas nazionale non avrebbe alcun impatto sulle bollette


di Redazione QualEnergia.it *

Le riserve italiane sono limate e servirebbero alcuni anni per mettere in produzione nuovi giacimenti.  

Espandere la produzione nazionale di gas “non avrebbe alcun impatto rilevante nel prezzo di mercato del gas e quindi per le bollette di imprese e consumatori” e, al contrario, “minerebbe la credibilità internazionale dell’Italia sul clima”, soprattutto alla luce degli impegni presi alla Cop26 di Glasgow.

Non poteva essere più netta l’analisi di Ecco, think tank italiano fondato nel 2021 e specializzato in energia e clima.

L’idea di rilanciare l’estrazione di combustibili fossili nel nostro Paese è dichiaratamente nell’arsenale delle misure contro il caro-energia proposte, oltre che da forze politiche come Lega e da Forza Italia, dallo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani .

Tuttavia, come già sottolineato da diverse associazioni (Italia Solare, Elettricità Futura), la volatilità dei prezzi energetici è superabile solo con una riduzione della nostra dipendenza dal gas e una crescita delle rinnovabili, che hanno i costi di generazione più bassi.

Una prima considerazione di Ecco è che il gas nazionale non costa meno di quello importato, perché il gas è immesso nella stessa rete e scambiato in mercati organizzati come prodotto indistinto, a prescindere che sia stato importato o prodotto localmente, a un prezzo che è influenzato solo dal rapporto tra offerta complessiva e domanda a livello europeo.

In sostanza, se anche l’Italia potenziasse la sua offerta di gas, questa maggiore disponibilità sarebbe irrilevante in confronto alle dinamiche complessive del mercato su scala europea.

Difatti, le intere riserve di gas naturale in Italia ammontano a meno di un anno di consumi (oggi pari a 70 mld mc/anno), pertanto la produzione nazionale non potrebbe aumentare in modo rilevante rispetto ai 5 miliardi di metri cubi/anno attuali.

Il gas nazionale ha minori costi di trasporto, ma i suoi costi di estrazione sono generalmente molto più alti, perché viene estratto da giacimenti più piccoli e marginali rispetto a quelli dei grandi esportatori internazionali.

Tra l’altro, un’eventuale crescita della produzione dei giacimenti italiani non arriverebbe in tempo per mitigare la crisi energetica odierna.

Identificare nuovi giacimenti, svilupparli e mettere in produzione i pozzi richiede anni, evidenzia Ecco, e solo in caso di giacimenti già coltivati possono bastare mesi. Inoltre, i prezzi a termine del gas europeo dovrebbero calare, secondo le previsioni, alla fine dell’inverno 2021-2022, senza però raggiungere i livelli di prima della pandemia (febbraio 2020).

L’analisi poi ricorda le valutazioni della Iea (International energy agency) nel suo scenario net-zero 2050, quando sostiene che per azzerare le emissioni nette di CO2 entro metà secolo bisogna sospendere ogni nuovo investimento in estrazione di petrolio e gas.

Nemmeno dobbiamo aspettarci un aumento dei consumi italiani di gas.

Questi ultimi, spiegano gli esperti di Ecco, sono in calo strutturale dal picco del 2005 (-14% tra 2005 e 2019) e la domanda di gas in Italia e in Europa è attesa in forte diminuzione se gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 saranno raggiunti.

La generazione elettrica italiana, che oggi si basa sul gas per circa metà della produzione interna, prevede in prospettiva un abbandono del gas e un suo utilizzo limitato alle ore in cui la somma di rinnovabili, accumuli e demand response non è sufficiente alla copertura della domanda.

 * 25 gennaio 2022                                     link alle analisi di Ecco

leggi anche:

 

24 febbraio 2022

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (III)

  - terza parte: Movimento 2050 o altri protagonisti: L’alternativa è ecologista e solidale e non sta né a destra né a sinistra.

di Massimo Marino

All’inizio degli anni ’80, provenendo dalla galassia radicale del ’68, il mio impegno si rivolse con grande intensità alla fase nascente dei movimenti ambientalisti, dedicato in particolare alla battaglia contro il nucleare. Come tanti trovai naturale l’impegno nelle nascenti Liste Verdi che presto diventarono un movimento politico nazionale con l’adesione di centinaia di gruppi da tutte le regioni italiane (Finale Ligure - 16 novembre 1986, Cinema Ondina). Esattamente un anno dopo con il voto di 30 milioni di italiani tre referendum decisero l’abbandono di fatto dello sviluppo del nucleare in Italia. Pochi ricordano che le prime bozze del primo Piano Energetico Nazionale prevedevano per l’Italia la opzione nucleare con ben 61 impianti da costruire. 

Negli anni successivi la nascente Federazione dei Verdi indicò fra i propri impegni basilari quattro punti di rilievo:

1)          Il dissenso verso il finanziamento pubblico dei partiti a cui si rispose all’inizio decidendo un uso prevalente delle proprie risorse per “progetti sociali e ambientali” invece della fruizione interna alla Federazione. 

2)          Il dissenso verso il professionismo politico limitando a due mandati la possibilità di elezione, comprese ipotesi di rotazione a metà mandato, l’assenza di capilista con qualche eccezione e l’ordine alfabetico per mettere tutti alla pari. Naturalmente avvenne che non tutti ruotavano e che nei primi anni quasi tutti gli eletti in Comuni, Regioni e ove erano possibili le preferenze, avevano il cognome che iniziava con una A o una B.

3)          Fin dall’inizio i Verdi sostennero che l’ambientalismo non era né di destra né di sinistra. Alex Langer, probabilmente il più significativo leader che l’ambientalismo ha avuto nell’occidente europeo, in più occasioni aveva sostenuto che i verdi sono rivoluzionari e progressisti per certi aspetti e conservatori e moderati per altri. Mai estremisti o massimalisti ne nazionalisti o reazionari, sempre pacifisti, non violenti e dialoganti. Nel suo impegno nel Parlamento Europeo si distinse per la volontà di dialogare con tutti senza preclusioni ma tenendo sempre ben fermo il proprio punto di vista e la propria autonomia culturale. Quando a metà degli anni ‘90 scomparve prematuramente togliendosi la vita, la crisi dei verdi assunse un ritmo più veloce.

4)          Il dissenso verso la nomina di ristretti vertici o di un unico capo politico fu risolto con la elezione annuale di undici coordinatori nazionali eletti nelle assemblee nazionali (di fatto dei congressi). Erano espressione di mozioni differenti presentate da gruppi di delegati provenienti dalle assemblee regionali. Venni eletto fra gli undici coordinatori e per un anno massacrante mi dedicai, oltre che alla nascita di nuovi gruppi nei principali comuni del Piemonte che arrivarono a circa 60, all’ incarico datomi di ricucire rotture e tensioni fra i verdi diffuse in varie realtà locali di diverse Regioni. Nei primi anni il successo dei Verdi sembrava inarrestabile e nuove adesioni arrivavano da tutte le direzioni, compresi ex appartenenti ad altri partiti. L’altro incarico datomi fu quello di ricucire i rapporti con le principali associazioni ambientaliste nazionali (Lega Ambiente, WWF, Italia Nostra..) che erano pessimi. Per alcuni mesi il confronto, in lunghe riunioni domenicali, sembrò proficuo, arrivando ad una bozza di intenti comuni che però non ebbe seguito. Quando si rinnovarono i coordinatori l’anno dopo, con sorpresa di molti, non venni rieletto: primo degli esclusi. Rammendare le fratture non fa molti amici alla fine. Successivamente nel 1990 venni eletto nel consiglio regionale del Piemonte, diventando poi assessore all’ambiente, ma nel frattempo dopo quasi dieci anni di impegno il mio entusiasmo per i Verdi, la cui autonomia e visione politica si affievolivano, era al termine.  

Nella prima partecipazione alle elezioni politiche del 1987 i verdi ottennero alla Camera il 2,5% con 13 eletti di cui 7 donne. Alle elezioni europee del 1989 si ebbe il massimo risultato della loro storia con il 3,9% e tre eletti (Alex Langer, Gianfranco Amendola, Enrico Falqui). Un'altra lista appena nata (i Verdi Arcobaleno), costituita perlopiù da esponenti di provenienza radicale e demoproletaria, ottenne il 2,4% e due eletti (Adelaide Aglietta e Virginio Bettini).  Nel dicembre del 1990, con grandi tensioni e dissidenze interne, le due aggregazioni, con un accordo malriuscito si unirono, mantenendo in gran parte il simbolo del sole che ride. Ma la fase virtuosa dei primi anni sembrava già in calo. Gli impegni originari vengono progressivamente abbandonati. Di fatto si abolisce la regola dei due mandati, si accede al finanziamento pubblico, i coordinatori sono sostituiti da un “capo politico” detto Portavoce e più tardi Presidente. Il primo è Ripa di Meana nel marzo 1993, ex socialista che poco c’entra con la storia dei Verdi, il secondo nel novembre 1996 l’indipendente di sinistra Luigi Manconi, del tutto inadatto al ruolo, che si dimette presto dopo il disastroso risultato delle elezioni europee del 1999 con l’1,8%, poi aderirà al PD). Nel 1994, a meno di 10 anni dal loro esordio, la vicenda dei verdi sembra già conclusa. Determinante l’introduzione del sistema maggioritario (grazie a Pannella e Segni ma soprattutto ai due partiti principali in crisi DC e PDS che costringono gli altri alle coalizioni pre-voto). Già nel 1990 i tre referendum promossi dai verdi, su caccia e pesticidi, privi di una sufficiente aggregazione sociale che li sostenesse, non raggiungono il quorum. Nel 1992 alle politiche i verdi ottengono alla Camera il 2,8%, nel ’94 il 2,7%. L’Alleanza dei Progressisti (PDS, Rifondazione, La Rete, Alleanza Democratica e Verdi) viene divorata dal sistema maggioritario che segna il trionfo del centrodestra di Silvio Berlusconi. Come spesso avviene in Italia i partiti si dissolvono ma non muoiono. I verdi sopravvivono, ai margini della scena, ma ottenendo anche qualche ministro nei governi “ulivisti” di centrosinistra. Qualcuno fra gli esponenti più noti in quanto parlamentari comincia a migrare verso altri partiti, perlopiù verso l’attuale PD, ma tranne pochissimi che si garantiscono un qualche futuro politico personale, spariranno in pochi anni. In più la evidente crisi dell’ambientalismo politico, che sembrava prima inarrestabile, li rende meno appetibili. Addirittura, si assiste al fenomeno opposto. Evapora il supposto peso elettorale dei pochi “ambientalisti” (provenienti da Legambiente) presenti nel PD, che non trovano più spazi nelle liste e fuoriescono dal partito, alcuni formando un piccolissimo gruppo ancora esistente (Green Italia) che non riesce neppure ad unirsi con l’altro partitino dei Verdi dopo 15 anni almeno. Insomma in pochi anni le trasformazioni interne ( l’abrogazione totale dei due mandati, il capo politico, il finanziamento pubblico assolto e accolto, la rinuncia all’autonomia e la trasformazione in cespuglietto ulivista del centrosinistra, catalizzatori anche di qualche aspetto di narcisismo individuale e di trasformismo ) e quelle esterne ( l’imposizione del maggioritario, le conseguenti coalizioni pre-voto, l’occupazione totale del sistema dei media dopo Mani Pulite),  hanno azzerato non solo la vecchia sinistra radicale ma anche gli ecologisti che si sforzavano all’inizio di mantenere la loro identità di difensori dell’ambiente e del pianeta pur se assenti su molti altri temi.

Qualcuno penserà: ma che c’entra questo bignamino sulla vita e morte dei verdi italiani con i problemi di oggi dell’alternativa che potrebbe esserci ma non c’è?

C’entra eccome. Intanto è impressionante la somiglianza fra le aspirazioni della fase nascente degli ambientalisti degli anni ’80 e di quella dei grillini di 30 anni dopo. Somiglianza in obiettivi ed impostazioni, nella difficoltà a mantenere coerenza con l’impostazione originaria, nei nodi che sembrano irrisolvibili ed anche nei clamorosi errori e nell’ incapacità di impedire di essere mangiati in pochi anni dalle sirene seducenti di un sistema politico in realtà boccheggiante e privo di qualunque volontà di innovazione riformatrice della società italiana. Difficoltà e nodi, in parte comuni anche ai gruppi di alternativa della sinistra, la cui mancata soluzione e gestione hanno portato e possono portare all’irrilevanza. La loro soluzione virtuosa a mio parere è la chiave per permettere una reale alternativa. Affronto perciò qui alcuni temi che mi sembrano irrinunciabili e decisivi.

1)           Non si possono mantenere equivoci sul sistema elettorale, questione che ha scarso appeal e difficile comprensione per molti, ma grandi effetti sul sistema politico, quindi sulla società, ed anche una forte valenza etica. Di solito, con grande confusione, si parla di due diversi possibili modi di garantire la rappresentanza delegata: maggioritario e proporzionale. È mia opinione che pur esistendo numerosi sistemi di voto di tipo maggioritario (collegi uninominali, premi al vincitore o alle coalizioni pre-voto, doppio turno per due o più concorrenti più votati, listino pre-voto per chi vince, quota di seggi predefiniti o variabili) tutti hanno in comune una distorsione del voto che impedisce la rappresentanza di una parte dei voti espressi e la capovolge a favore di altri che spesso rappresentano esattamente il contrario. In Italia si è arrivati anche a 4-5 milioni di voti negati e riassegnati ad altri.  In pratica il tuo voto viene cancellato e viene attribuito ad un altro (la differenza fa 2!). Il maggioritario è sostenuto sempre da chi vuole garantire la stabilità di un sistema e impedire qualunque cambiamento se non è circoscritto ai pochi (in genere due con al massimo vari gregari subalterni) che si mettono d’accordo per truccare il gioco. E’ giustificato con varie argomentazioni, una più strampalata dell’altra, che abbiamo tante volte sentito: garantire la governabilità, sapere la sera del voto chi ha vinto (!), impedire la frammentazione (!!) etc... In Italia esistono, in particolare dal 1994, almeno otto sistemi elettorali diversi (per Municipi e Circoscrizioni comunali, Comuni grandi e Comuni piccoli, Provincie, Regioni, Camera, Senato; tutti diversi fra loro ma con una componente di tipo maggioritario che rende incomprensibile per il 99% degli elettori quali possono essere le conseguenze del suo voto (da qualche anno ogni Regione ha la sciagurata facoltà di modificare in parte il proprio sistema elettorale). Sono così fioriti l’Italicum, il Porcellum, Il Rosatellum, l’elezione diretta dei Sindaci con possibile ballottaggio e quella diretta dei presidenti di Regione. Con centinaia di sigle e listarelle, spesso inventate a supporto del gioco bipolare, di cui gli elettori neppure conoscono la consistenza, che quasi sempre non eleggono nessuno. Fa eccezione il sistema alle Europee, un proporzionale come per tutti gli altri paesi, da noi con cinque grandi collegi, le preferenze assenti in altri casi (questione irrilevante che viene di solito ingigantita) e un quorum al 4%.

Sul proporzionale invece, a parte la disinformazione, esiste qualche problemino da capire bene. I media parlano di proporzionale puro ma non spiegano quale intendono. Non capisco se lo fanno apposta o si tratti di semplice superficialità. Quello puro andrebbe inteso senza quorum o con quorum bassissimo. Apparentemente è sostenuto solo da alcuni leaderini di piccoli partiti per due motivi: tirare a campare prendendo all’infinito l’1-2% e come alleati, pur se di peso limitato, dei partiti maggiori; qualcosina si ottiene sempre. Quello che invece fa paura è un proporzionale serio, regolato con un quorum significativo, in genere il 5%, per due ragioni; spazza via i cespuglietti dei due poli che scomparirebbero rapidamente con i loro piccoli leader, impone aggregazioni serie fra i tanti gruppi con punti comuni, oggi restii a fare politica insieme. Sono convinto che in Italia si risolverebbe quella singolare anomalia del presente per cui di fatto non esistono con un qualche peso né una sinistra radicale che si esercita da venti anni nel dividersi in frammenti innumerevoli, né una forza ecologista che sarebbe fondamentale, da tempo preclusa dall’ostruzionismo dei leaderini verdi che con discrezione operano per mantenere le tematiche ambientali nella loro piccola nicchia irrilevante.

Il proporzionale con quorum al 5% eliminerebbe la frammentazione e farebbe crescere rapidamente sia una nuova sinistra radicale matura sia anche un soggetto ecologista di rilievo. Due protagonisti di cui l’Italia e l’alternativa avrebbero bisogno anche se non sono risolutivi da soli per un cambiamento del sistema politico. Così è avvenuto negli anni ’80 in Germania dove molte decine di gruppi di alternativa, dopo un duro scontro sociale durato anni (contro il nucleare, la precarietà sociale e abitativa e la qualità della vita nelle grandi città) hanno ad un certo punto deciso di darsi un'unica rappresentanza, unendosi anche con forze della ex Germania est. E’ nata così un'unica aggregazione politica, i Grünen, che in pochi anni è entrata in Parlamento ( Alleanza’90/IVerdi ) e nei Lander. Oggi governa anche grandi città come protagonista egemone. Nel corso degli anni ’90 fino ad oggi i Grünen sono diventati stabilmente uno dei 3-4 soggetti politici più importanti del paese. Il sistema elettorale tedesco, proporzionale con la soglia del 5%, rispettoso della rappresentanza e della stabilità è a mio parere quello più funzionante del mondo. 

2)           La conversione del movimento grillino nel nuovo Movimento 2050 di Conte e i suoi risultati dipenderanno inevitabilmente dalla collocazione che si darà nel sistema politico. Se si legge il quadro politico di riferimento esclusivamente come un foglio piatto dove esiste una destra e una sinistra, la vicenda di Conte è chiusa in partenza. Tutti i movimenti in qualche modo di alternativa radicale e riformatrice che si sono alleati stabilmente e in forma subalterna in questo schema, in genere con accordi rigidi con la cosiddetta socialdemocrazia, sono stati ridimensionati o azzerati in poco tempo. Ne sono esempi l’alleanza Verdi e Socialisti in Francia del 2012, l’alleanza di Podemos con i Socialisti in Spagna, le coalizioni uliviste italiane, ancora di recente un mese fa il tracollo dei due partiti che sostenevano un governo socialista minoritario in Portogallo; in qualche modo la stessa componente socialista radicale di Sanders e amici nei democratici in USA che non conta praticamente nulla.  I movimenti di alternativa devono avere la loro collocazione naturale in un centro radicale con grande capacità riformatrice che è esattamente il contrario del moderatismo centrista che oggi non ha in genere alcuno spazio politico. La società quindi non può essere letta come un foglio piatto ma, azzardando una lettura geometrica, come uno spazio cartesiano dove un centro moderato e un centro radicale stanno verticalmente agli opposti. Guarda caso i Grünen tedeschi che si ritengono di certo “progressisti” di volta in volta in base ai punti di programma ed al progetto scelgono se e con chi allearsi, dalle Città, ai Lander, al Parlamento. E tutto sommato sono gli unici sopravvissuti nell’intero Occidente.

Nel nostro paese i precari schieramenti di centrodestra e centrosinistra costituiscono in realtà una grande palude, quasi sempre indifferente, come minimo, sia alle emergenze ambientali e climatiche del nuovo secolo, sia alla precarietà sociale ed economica di parti consistenti della società e sia al dilagare di corruzione e clientelismo. Il limite sta nei loro referenti sociali e nell’alleanza fra un ceto medio per lo più garantito in buona parte da apparati statali, gruppi di clientele, fino a gruppi di tipo mafioso o come minimo evasori fiscali stabili e un sistema economico-industriale-finanziario con la testa e il portafoglio rivolti verso il secolo scorso e chiuso a processi riformatori ecosostenibili e solidali che ci offrirebbero un nuovo modello economico e darebbero buone speranze alle nuove generazioni. Oggi dovremmo avere 100mila cantieri di fotovoltaico aperti al mese sui tetti delle case e centinaia di km di metropolitane in costruzione urgente nelle 30 principali città italiane. Dopo il reddito di cittadinanza che è da allargare ad alcuni ambiti sociali esclusi dalla Lega nel Conte I, dovremmo arrivare finalmente ad un salario minimo orario almeno decente contrastando il dilagare del lavoro nero. Abbiamo invece un ministro dell’ambiente che si diletta a raccontarci la favoletta delle mini centrali nucleari, che espande le trivelle come se questo portasse a calmierare il costo dei fossili invece di superarli. E sul salario minimo, come sulle regole elettorali c’è un muro discreto e silenzioso di forze diverse che precludono qualunque innovazione. In varie occasioni la società italiana ha mostrato la disponibilità al cambiamento. Ad esempio con il referendum sul nucleare riconfermato nel 2011, con il no alla riforma costituzionale di Renzi del 2016, come anche con il voto politico del 2013 e del 2018.

Quindi una forza di progresso che occupi il centro del sistema politico e imponga un diverso sistema elettorale di rappresentanza sociale non può che essere solidale cioè avere un referente sociale determinante negli strati più precarizzati della società ed ecologista cioè proporre un percorso di conversione dell’economia che garantisca il futuro delle nuove generazioni. Se il rispetto della Costituzione e della Democrazia sono pilatri basilari, è invece indispensabile elaborare un progetto autonomo e di impegno istituzionale sui temi essenziali, evitando di galleggiare senza opinioni proprie nella palude. Non essere né di destra né di sinistra non vuol dire affatto oscillare come un pendolo di volta in volta di qua e di la, ma esprimere un proprio punto di vista compreso e sostenuto nella società tanto da diventare il polo di attrazione su cui verificare le possibili alleanze ed il livello accettabile di compromesso. Almeno in questa fase storica non servono per forza interlocutori e alleanze obbligate.

3)            L’esperienza del governo Conte 1 e Conte 2 ce lo insegna. In una situazione di potenziale egemonia i grillini hanno ottenuto molti più risultati nella fase iniziale del governo con la Lega che nel Conte 2 con il PD. Ed oggi in un eccesso di realpolitik e nel “governo di tutti” la perdita dell’egemonia porta alla crisi ed alla totale paralisi delle loro proposte. Già ho citato il blocco della loro proposta di legge elettorale, di quella sul salario minimo orario, quella sul potenziamento diffuso delle rinnovabili, ma anche l’assenza totale di proposte sul problema dei migranti dove la costruzione di corridoi umanitari che sostituiscano e debellino gli scafisti e impediscano l’immigrazione clandestina, non procede se non come esperimento di piccole comunità religiose invece che come progetto umanitario ed economico dello Stato ( vedi qui).

 
Mi sembra che l’eventuale Movimento 2050 di Conte abbia un qualche futuro se ha il coraggio di difendere una propria totale collocazione autonoma, di arrestare una illusoria deriva di centrismo moderato di qualche ministro che non ha alcuno spazio nella società italiana né tanto meno alcuno spazio elettorale, di contrastare l’azione diffamatoria dei media, invece di subirla o maledirla,  imponendo la centralità dei propri obiettivi e costruendo sedi idonee a definire quelli che ad oggi sono troppo nebulosi o incomprensibili. Mi sembra scontato che la ricomposizione con Di Battista e alcuni altri, un ricambio significativo dei quadri (che tanto avverrà comunque perché in buona parte emigreranno o spariranno), l’organizzazione su basi regionali e nuove campagne di adesione, accanto alla riconquista di una totale autonomia, siano i requisiti di una difficile sopravvivenza.

A me pare che in giro al momento non c’è altro. Nella sinistra e negli ambientalisti ad oggi purtroppo la visione si ferma alla speranza che la crisi grillina porti i loro partitini dall’1-2% al 2-3%. L’innovazione politica e la volontà di aggregazione mi sembrano vicini a zero, sull’eccesso di narcisismo e trasformismo, come sui loro esiti fallimentari, non c’è nemmeno una riflessione in corso. La generazione nata nel secolo scorso ha ancora poche carte per riscattarsi e inventare una prospettiva di alternativa. Che altrimenti sarà a carico fra dieci anni delle nuove generazioni nel mezzo della crisi.

leggi anche:

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (I) (Massimo Marino - febbraio 2022 )

- prima parte: alternative, dopo ambientalisti e sinistra affondano anche i grillini.  

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (II) ( Massimo Marino – febbraio 2022)

- seconda parte: per fondare un’alternativa servono due anni di conclave, nuovi protagonisti e nuove idee.

 

18 febbraio 2022

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (II)

 - seconda parte: per fondare un’alternativa servono due anni di conclave, nuovi protagonisti e nuove idee.

di Massimo Marino

Della fase nascente del Movimento di Grillo ricordo bene il primo affollatissimo incontro nazionale a Firenze dell’8 marzo 2009 dove venne definita la nascita delle “Liste Civiche - beppegrillo.it “. La Carta di Firenze indicava in 12 punti l’impegno del nuovo movimento, per lo più concentrato allora sull’azione comunale. Il documento, tanto importante e condivisibile quanto superficiale, era per lo più un elenco di temi ambientalisti: acqua pubblica, verde urbano, asili e depuratori invece del cemento inutile, telelavoro con reti internet e wifi e tuttalpiù trasporti pubblici collettivi e biciclette al fine ridurre l’uso dell’auto, ormai superata nel nuovo secolo, così da risparmiare tempo, soldi e inquinamento. Poi rifiuti zero, abitazioni come fonti di produzione energetica con rinnovabili, orti comuni e filiera agricola corta. A tutto ciò si aggiungeva una forte connotazione antipartiti.  Se nel 2008 si era scartata la partecipazione alle elezioni politiche, nel 2009 Grillo sostenne attivamente alle elezioni europee le candidature di De Magistris e Sonia Alfano nell’Italia dei Valori (entrambi eletti con una valanga di preferenze). Nei 4 anni successivi il “Movimento 5Stelle-Beppe Grillo.it” si presentava qua e là in elezioni comunali e regionali con risultati ancora modesti e in totale contrapposizione all’intero sistema dei partiti, aggiungendo ai temi ambientalisti una forte vocazione anticasta e anticorruzione e la connotazione di movimento per la democrazia diretta. Già nell’ ottobre 2009 era nato il sito di Rousseau da parte di Casaleggio che dava voce e diffusione alle centinaia di meet-up comunali nati; poi nel 2016 divenne ufficialmente (purtroppo, aggiungo io), lo strumento operativo della democrazia diretta interna al M5S.

Le elezioni politiche del febbraio 2013 segnano il momento più importante della storia del M5Stelle che nella sua prima presenza al voto nazionale ottiene un risultato ben al di sopra di qualunque sondaggio e aspettativa: il preannuncio del formarsi di una vera aggregazione sociale popolare attorno al Movimento (che avrà poi la sua espressione piena quanto momentanea, forse per la proposta del reddito di cittadinanza, nelle elezioni del 2018). Nel 2013 il Movimento ottiene 8,7 milioni di voti alla Camera ( 25,5% con  109 seggi) e 7,4 mil. al Senato ( 23,8% e 54 seggi ). Un impressionante successo omogeneo in tutta la penisola dal nord est al nord ovest, dal centro e sud alle isole. Dei 775mila euro raccolti per la campagna elettorale (senza giornali o tv, praticamente senza sedi, con una organizzazione precaria e discutibile) solo un terzo vennero spesi mentre secondo quanto dichiarato gli altri due terzi vennero devoluti ai terremotati, in particolare per la costruzione di una scuola. Nel marzo i due novelli capigruppo (Crimi e Lombardi) nel noto incontro con Bersani escludono una possibile alleanza (a mio parere giustamente, visti anche i numeri comunque insufficienti) che tanto il PD non aveva alcuna intenzione di fare, ad esempio accettando un Presidente del consiglio esterno ad entrambe le due componenti. Nacque così il governo PD-PDL con Letta e poi il Renzi-Alfano. Poco tempo dopo Bersani veniva abbandonato da 101 dei suoi eletti che non ambivano ad avere Prodi come Presidente della Repubblica (aprendo al Napolitano 2) e si dimetteva da segretario del suo partito.

Le elezioni comunali del giugno 2016 con la vittoria di Raggi e Appendino a Roma e Torino e il successo al ballottaggio in 19 comuni su 20, caratterizzate dal trionfo nelle periferie e nell’elettorato giovane e precario relegando il PD nei quartieri alti dei due capoluoghi e svuotando il centrodestra, sembrano indicare una vera e propria alleanza sociale consolidata di strati diversi e larghi della società che affidano tutte le loro aspettative di alternativa all’unico soggetto politico che apertamente le dichiara riferimenti del proprio impegno nelle istituzioni.  Temi ecologisti, lotta anticasta e anti corruzione, impegno contro la precarietà sociale uniti all’emergere di figure di riferimento come leader (Grillo-Casaleggio G/D, Di Battista-Di Maio, Raggi-Appendino). È una leadership relativamente distribuita su più persone e con ruoli diversi che rende più difficile affondarla da parte del massiccio fronte di avversari, come avverrà più facilmente dopo con il “capo politico”. Temi e leadership, pur confusamente si avvicinano alla formula perfetta per ieri, oggi, domani per qualunque progetto di cambiamento sociale di alternativa mentre manca totalmente un’idea su come organizzarsi, come comunicare con la società e il territorio in modo stabile e come collocarsi nel sistema politico. Solo apparentemente la formula viene confermata dallo straordinario risultato delle elezioni politiche del 2018 dove il M5S ottiene 10,7 mil. di voti alla Camera (32,7 % e 221 seggi) e 9,7 mil. al Senato (32,2% e 112 seggi). Il rosatellum, congegnato per fregare i grillini con un terzo di seggi uninominali, viene travolto dal risultato. In vari collegi uninominali del sud la lista grillina supera il 50%. Nelle sei regioni del sud, dalla Campania in giù, alla Camera i grillini conquistano 70 su 73 seggi. L’equilibrio fra i tre poli porta, quasi incredibilmente al risultato irripetibile di far funzionare il rosatellum ( che è un sistema elettorale schifoso) come fosse un proporzionale: un terzo dei voti, un terzo degli eletti.

Ma già un anno dopo il successo di Roma e Torino (metà 2017) c’erano già tutti i segnali evidentissimi che la durezza dello scontro e tutti i problemi messi da parte (qui di seguito indicati) aprivano una fase di profonda crisi appena nascosta dal successo del 2018 (del tutto disomogeneo territorialmente) e dall’avvio pieno di affrettato entusiasmo dei governi grillini:

1) tutti i media nessuno escluso, i partiti, i gruppi di affari confindustriali e non, aprivano al loro interno un attività quotidiana e permanente dedicata solo al lavoro di denigrazione e diffamazione del Movimento, all’occultamento o deformazione di quanto fatto ed alla dilatazione di ogni difficoltà interna. Il caso più noto riguarda la incredibile ed efficace campagna di diffamazione quotidiana contro la Raggi, durata cinque anni (dalla “patata bollente” al supposto clientelismo, dai rifiuti ai cinghiali, dagli stadi alle olimpiadi, dalle buche nelle strade alle sedi delle femministe e a quelle dei fascisti). Dopo i primi due anni di errori anche gravi, la Raggi ha progressivamente corretto la sua azione mostrando una sorprendente capacità di resistenza. E’ probabilmente l’unica figura di rilievo che, nell’ambito del suo ruolo, mentre il resto del Movimento precipitava gradualmente nella crisi, ha mostrato capacità di tenuta. Tanto da farmi azzardare che insieme a Conte sia oggi l’unica che vedo in una leadership a due all’interno di un gruppo di vertice a 5 o 6 come deciso negli Stati Generali di fine 2020 ma non attuato fino ad oggi, dopo aver abolito la figura del “capo politico”.

2) il Movimento non è in grado di darsi una organizzazione interna virtuosa e si ammala progressivamente di iperparlamentarismo, abbandonando di fatto centinaia di gruppi locali ridotti all’isolamento, negando qualunque possibilità di leadership collettiva su base regionale, trascurando qualunque forma di attivismo volontario nel territorio (se si studiasse un po’ la storia delle società di mutuo soccorso nella seconda metà dell’800 agli albori della sinistra popolare..), Tutto sostituito in qualche modo dai banchetti preelettorali, l’attivismo da tastiera, le votazioni su Rousseau e i V Day annuali. In molte realtà locali spesso senza sedi, assente qualunque forma di campagne di adesione, si formano gruppi chiusi di fatto, a volte in competizione fra loro nelle scadenze elettorali locali. Pessimo declino e cose già viste nei decenni passati ma qui si parla di aspirare alla conquista della maggioranza elettorale ed al governo in prima persona di Comuni, Regioni e infine della Nazione). 

3) il ruolo di Rousseau, strumento prezioso nato dalla felice intuizione di Casaleggio sulla crisi dei media tradizionali e il nuovo ruolo della rete, degenera progressivamente trasformandosi in un partito dentro il partito, promuovendosi come unico luogo di dibattito politico-culturale quasi in esclusiva, ben oltre l’utile strumento di espressione elettorale interna degli aderenti. Il più clamoroso errore di valutazione fatto da Grillo.

Singolare che il movimento della democrazia diretta in quasi 15 anni di vita non abbia mai promosso iniziative di referendum (tranne all’inizio proposte di iniziativa popolare) ed abbia ad esempio sostenuto pochissimo la “primavera (fallita) dei 12 referendum” nel 2016, la più importante occasione perduta per costruire un’alternativa negli ultimi 30 anni. In più si elabora una proposta sbagliata di modifica delle regole referendarie tendente ad eliminare il quorum del 51%. Una radicalata per fortuna mai andata in porto.

4) nel parlamento europeo con 17 eletti nel 2014 (21,1%) e 14 eletti nel 2019 (17,1%) i 5Stelle non riescono a trovare una collocazione, oggettivamente difficile. Nel 2014 dopo qualche ipotesi incerta, confusa e non apertamente sostenuta di confluenza nel gruppo degli ecologisti, boicottata da dentro e da fuori (nei verdi europei e dal partitino italiano), si arriva alla debolissima scelta di entrare nel gruppo di Nigel Farage (UKIP) euroscettico inglese che dopo aver ottenuto la Brexit sembra aver abbandonato nel 2021 qualunque impegno politico.  La mancata occasione per una svolta storica (dei grillini ma anche dei verdi europei) ha dei precisi responsabili nel Movimento che, per quanto abbia capito, oggi neppure ne fanno più parte. Nel 2019 i 14 grillini eletti restano nei non iscritti e sembrerebbe che sia possibile in futuro l’ingresso nel gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). Un altro eventuale clamoroso errore di valutazione, non so quanto condiviso da Conte e Grillo. Non si conoscono né la sede, i protagonisti né le ragioni per questa decisione se venisse confermata. Nel frattempo il gruppo europeo si è quasi dimezzato perdendo nel 2020  6 eletti su 14 ( 4 verso il gruppo dei Verdi europei, di cui solo uno, Eleonora Evi, entra anche nel partitino dei Verdi italiani diventandone co-portavoce con Bonelli).

5) La mancata organizzazione di strutture decisionali e di leadership collettive sia regionali che nazionali in grado di promuovere la crescita culturale di qualche decina di migliaia di attivisti porta all’ovvia conseguenza dell’ iperparlamentarismo (quello che conta sono i parlamentari con l’inevitabile turbativa dei due mandati) e della conseguente soluzione del “capo politico”. Sono convinto che la forma di rappresentanza più efficace delle realtà locali possa essere anche semplice: come esempio l’elezione annuale di 2 figure (uomo/donna) in ogni regione da parte di tutti gli iscritti (4 nelle nove regioni più grandi), aggiungendo a questi 4 eletti fra i Parlamentari, dedicando un mese dell’anno (es. settembre) al dibattito “congressuale “per la loro scelta. Invece dal 2015, poi formalmente dal settembre 2017 al gennaio 2020 ma anche oltre, Di Maio assume tutti i ruoli di qualche peso: Garante, Responsabile degli enti locali, estensore di fatto delle liste elettorali specie per i collegi uninominali, ministro dello sviluppo economico e vice presidente nel Conte I, ministro degli esteri nel Conte II e nel governo Draghi ma sempre Garante fino a pochi giorni fa. Neanche Spider Man o Superman ce l’avrebbero fatta. Parecchi dei candidati ed eletti si rivelano debolissimi e in poco tempo a decine si allontanano o vengono allontanati, quasi sempre con ragione, verso i più diversi lidi di approdo. E’ mia opinione che nel giro di un anno e mezzo la gran parte sparirà nel nulla.

In almeno due occasioni Grillo “scherzando” dichiarò in pubblico che non è il Movimento ma i media ad aver scelto il capo politico del Movimento.

La paura di “diventare un partito” ed altre resistenze più inconfessabili, portano a complicate contorsioni da cui emergono figure strane (il caso più noto è quello dei facilitatori o dei responsabili settoriali che mi sembrano sostanzialmente fallite). Da notare che non c’è nessun partito oggi in Italia che esprime in modo “semplice” una rappresentanza regolamentata dei territori come gruppo dirigente, tantomeno con strumenti di democrazia diretta.

Gli Stati Generali (praticamente il primo “congresso” grillino), che avrebbero dovuto affrontare la palese disastrosa inefficacia delle forme di azione del Movimento dal 2015 in poi, vengono decisi per l’inizio del 2020 ma, causa covid ma non solo, vengono progressivamente spostati in diversi appuntamenti. Gli incontri avvengono on line con Zoom fra l’ottobre e il dicembre, con la partecipazione di 305 “delegati” scelti in tutte le regioni e infine il voto su decine di punti di circa 17mila attivisti.  I 23 punti delle votazioni finali del 10-11 dicembre (vedi qui) affrontano abbastanza positivamente la gran parte dei problemi. È da notare che Casaleggio e il gruppetto di Rousseau non partecipano, mentre in più occasioni Casaleggio aveva espresso l’obiettivo di arrivare ad un milione di adesioni, che sono invece risultate al di sotto di 200mila, con alcune decine di migliaia di partecipanti effettivi nelle numerose votazioni. Da notare inoltre che già dalla metà del 2017 si era avviato il lento e progressivo fenomeno degli abbandoni o espulsioni di parlamentari, eletti locali, attivisti della prima ora, che si accentua paradossalmente dopo il successo del 2018, mentre i nuovi tanti aderenti acquistano il diritto di voto on line, a mio parere correttamente, dopo sei mesi dalla iscrizione. In realtà negli ultimi tre anni chiudono o si riducono ai minimi termini numerosi gruppi di attivisti e ovviamente crolla il consenso popolare oggi ottimisticamente valutato al 13 - 16%. Infine è singolare che i risultati del voto per scegliere i 30 nominati per intervenire on line nella fase finale degli Stati Generali (una specie di indiretto “gradimento” da parte della base) per quanto annunciati non verranno mai resi noti provocando polemiche diffuse e in particolare da parte di Di Battista che nel febbraio 2021, con la nascita del “governo di tutti” di Draghi, abbandona il Movimento.

Alcuni dei 23 punti approvati sono di grande rilievo:

a)   Viene superata le figura del “capo politico” trasferendone tutte le funzioni ad un organo collegiale (punto 2 e 8)

b)   Si stabilisce un altro organo più largo con rappresentanze regionali (3 e 9). Quello da me indicato sopra fra i tanti possibili avrebbe un po’ più di 60 membri.

c)   Tutte le risorse economiche vengono centralizzate e in parte utilizzate per necessità locali (11 e 12).

d)   La piattaforma on line viene regolata con contratto di servizio (16)

e)   Possono essere attuati accordi con altre forze (prima e dopo il voto), con autorizzazione centrale per quelli locali. (22 e 23).

Per concludere non si può nascondere che la gran parte delle scelte votate negli Stati Generali, a distanza di 13 mesi, non sono state attuate per nulla o avviate solo in minima parte. Si è aperto invece, sotto il fuoco concentrico dei media, un dibattito sotterraneo, rancoroso, per molti versi ingenuo e sprovveduto ma anche pericoloso, che potrebbe portare lontano, in direzioni tali da snaturare la natura originaria del M5Stelle, che ha ottenuto significativi cambiamenti della società italiana ma non ha ancora definito una sua adeguata collocazione nella scena politica.

Questa vicenda in ogni caso ci insegna che la costruzione di un progetto di alternativa ha tempi lunghi e complessi, almeno due o tre anni e una pluralità di soggetti che scelgono di unirsi superando la loro singola ragione di esistenza e che non sono possibili scorciatoie e improvvisazioni mirate solo a presentarsi agli appuntamenti elettorali. Ho l’impressione che quelli che, a un anno dalle prossime elezioni politiche vi proporranno la nuova immancabile rifondazione o costituzione di questo o quello, nel campo della sinistra, degli ambientalisti o nell’apparente area di gestazione del Movimento, sono culturalmente degli imbroglioni o degli sprovveduti che alla fine allargano la frustrazione e producono risultati zero. La costruzione di un’alternativa richiede tempi lunghi, larghe aggregazioni di soggetti diversi, una puntale definizione di alcuni temi irrisolti. Serve un lungo conclave di diversi protagonisti osservando prima di tutto se il vecchio/ nuovo Movimento di Conte (“il 2050”) riuscirà a sottrarsi alla immancabile dissoluzione alla quale lo porterebbe una organica collocazione nel cosiddetto “centrosinistra”.   

Nella terza parte di questo intervento farò qualche riflessione personale sulla costruzione di questo progetto, la cui collocazione e i punti decisivi sono forse ancora da inventare e precisare. Stiamo parlando di offrire un riferimento di alternativa alla grande maggioranza della società italiana che oggi stenta a trovare interlocutori e purtroppo risponde inevitabilmente   a questo vuoto con l’astensionismo elettorale e la passività sociale.

leggi anche: 

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (I)

- prima parte: alternative, dopo ambientalisti e sinistra affondano anche i grillini.  

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (III)

  - terza parte: Movimento 2050 o altri protagonisti: L’alternativa è ecologista e solidale e non sta né a destra né a sinistra.


14 febbraio 2022

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (I)

- prima parte: alternative, dopo ambientalisti e sinistra affondano anche i grillini.     

di Massimo Marino

Un attimo dopo il voto dei grandi elettori che confermava la rielezione di Mattarella e insieme la continuità del governo Draghi e della legislatura fino al 2023, con in contemporanea la comparsa di Amato a presidente della Corte Costituzionale, sembrerebbe si sia aperta la nuova campagna elettorale. Un sistema di partiti  boccheggianti è alla disperata ricerca di qualche motivo per segnalare le ragioni della propria esistenza. Ai più attenti non è sfuggito il piccolo episodio del rinnovo di un seggio parlamentare in un collegio di Roma con un’affluenza dell’11% (bianche e nulle comprese) e un vincitore eletto con meno del 6% dei votanti.

La crisi viene da lontano ed è stata ben percepita in tutto l’Occidente con la crisi economica del 2008 quando la debacle di alcune grandi banche e finanziarie è stata pagata da centinaia di milioni di persone. Con la percezione diffusa che ne le forze conservatrici né la socialdemocrazia, con i loro diversi nomi locali nei vari paesi, erano altro che gregari non in grado di porre alcuna alternativa, come insegnò ben presto il sostanziale fallimento dello Stato in Grecia ( Papandreu dichiarò che i bilanci dello Stato erano falsi e che per entrare nella zona euro si era dichiarato un deficit meno della metà di quello reale).

Credo come conseguenza proprio nel triennio 2009-2011 in varie parti del pianeta nuove forze si affacciarono alla ribalta. Io lo chiamai “il triennio verde” per il successo inaspettato degli ecologisti in varie parti del mondo: in Francia il clamoroso successo di Europe-Ecologie alle elezioni europee del 2009, in Germania il prevalere dei Grunen persino in Lander “ricchi” come il  Baden Württemberg nel 2011, ma anche nel 2010  in Colombia dove il verde Mockus sfiora l’elezione a Presidente della Repubblica dopo essere stato eletto sindaco della capitale e in Brasile Marina Silva, ambientalista ex socialista, è la candidata dei Verdi alla Presidenza. In parecchi paesi europei per un attimo i Verdi vennero visti come la via di uscita dalla crisi del bipolarismo. Durò poco perché l’insuccesso degli ambientalisti come terzo polo, non in grado di proporre davvero un’alternativa di sistema li riportò ai margini ovunque.

In Italia le forze che in qualche modo si candidavano a porsi come alternative, nel mondo della sinistra radicale e dell’ambientalismo, erano da sempre particolarmente frammentate, fra egocentrismo e trasformismo dei tanti leaderini e gruppi, privi di una vera autonomia politica dalla cosiddetta sinistra moderata, osteggiate comunque dai media, ammagliate dalla prassi del “capo politico” e del farsi eleggere da qualche parte, invece che dalla costruzione di vere leadership plurali e di una strutturazione stabile nel territorio. Nel 2012 era già finita l’era della sinistra comunista di Bertinotti, delle fabbriche di Nicki di Vendola, dell’Italia dei Valori di Di Pietro. Bertinotti al governo riduceva l’alternativa al suo ruolo di presidente scampanellante della Camera con Prodi, Vendola annunciava “il cantiere della sinistra” con Di Pietro e senza PD, un mese dopo lo scaricava alleandosi con il PD e infine inciampava sull’ILVA. Di Pietro affidava il suo partito nelle regioni a personaggi inaffidabili ( il più noto fu però il caso Scilipoti) e infine veniva affondato da un articolo della Gabanelli e alcuni suoi collaboratori.

Qualche mese fa mi ero messo in testa di raccogliere la storia dei tanti partiti annunciati, fondati, rifondati o falliti nel mondo ristretto della sinistra radicale e degli ambientalisti dal 2008 ad oggi. Sono arrivato al ventesimo, con in aggiunta una decina di micropartiti, sigle e aggregati nati dalla disgregazione in corso del M5Stelle. Così, arrivato a 30, mi sono arreso e ho rinunciato. Ne ricordo solo i più noti: Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L’altra Europa per Tsipras, Alba, Cambiare si può, Prima le persone, Possibile, Potere al Popolo, Sinistra Italiana, Articolo1-MDP, LEU (che oggi esiste solo in Parlamento nel Gruppo Misto), il partito del Brancaccio mai nato (Tomaso Montanari e Anna Falcone), almeno cinque partiti più o meno comunisti fra i quali i due di Marco Rizzo e di Diego Fusaro di cui non ricordo il nome. Per non parlare di DeMa, il partitino di De Magistris e famiglia che in un eccesso di umiltà gli ha dato il proprio nome prima di scomparire a cavallo dell’appennino fra Napoli e la Calabria.

Nel campo ambientalista la situazione è stata per certi versi più semplice. Nell’ottobre 2009 la Federazione delle Liste Verdi, dopo più di venti anni di vita stentata  stava per scomparire. Un vero record riuscire a tenere un partito verde in occidente per vent’anni sempre al 2%, dopo le elezioni europee del 1989. Il Congresso previsto per l’11-12 ottobre si preannunciava con una maggioranza, seppur minima, a favore dello scioglimento per confluire nel partito di Vendola.

Nell’anno precedente si costituiva un piccolissimo gruppo, il Gruppo Cinque Terre, di cui facevo parte dopo aver partecipato fra i fondatori alla nascita dei Verdi più di 20 anni prima (Finale Ligure). Era costituito da alcuni ex-verdi, alcune femministe storiche, singoli esponenti di gruppi e movimenti civici, qualche animalista, alcuni grillini delle origini dissidenti nel nascente M5Stelle. In tutto non più di 20 persone. Con un intenso lavoro di discussione ed elaborazione durato quasi due anni obiettivo del GCT era quello di suggerire ai tanti frammenti del mondo ecologista proposte utili ad interrompere la frammentazione, elaborare alcune basi culturali solide per un progetto unitario che unisse gradualmente tutti gli ecologisti sciogliendo consensualmente tutti i gruppi organizzati esistenti (presupposto obbligato per avere successo), darsi strumenti di comunicazione nella società e nel territorio, concepire gli ecologisti come terzo polo autonomo lontani dalle logiche del bipolarismo della destra e della sinistra. Convinti che senza questi presupposti sarebbe fallita qualunque iniziativa per molti anni.

Evitando accuratamente di porsi come ennesimo partitino, per più di un anno il GCT incontrò con discrezione decine e decine di esponenti e leaders di quasi tutto quello che di significativo esisteva nel campo ambientalista e civico. Fra gli altri i Verdi (Bonelli e Boato), i rappresentanti del nascente raggruppamento di Uniti e Diversi ( Maurizio Pallante, Giulietto Chiesa, Massimo Fini, Monia Benini), la Rete dei Cittadini (Mazzanti e Raduta), esponenti significativi del mondo animalista e delle sue associazioni, alcuni  promotori di Abbiamo un Sogno (Michele Dotti), esponenti di Stop al consumo di territorio (Domenico Finiguerra) e della rete Comuni Virtuosi ( Marco Boschini), alcune figure note di una fase precedente ( es. Fiorello Cortiana), alcune decine di esponenti di gruppi locali significativi. Si svolsero così decine di incontri riservati e alcuni seminari e incontri nazionali da Roma a Firenze a Bologna per più di un anno e mezzo.

Nelle risposte a questo nostro lungo percorso fatto di proposte anche articolate, il più gentile fu Guido Viale, che ci ringraziò per i nostri sforzi dichiarandosi però non disponibile ad impegni diretti. Qualche tempo dopo si impegnò invece nella nascita di L’Altra Europa (con Marco Revelli e vari aggregati politici e gruppi di diverse regioni). Ne uscì il solito sempre negato cartello preelettorale, privo di solide fondamenta, che alle elezioni europee del 2014 superò di poco il 4%, elesse tre parlamentari con poca omogeneità fra loro di cui si persero subito le tracce (Barbara Spinelli, Eleonora Forenza, Curzio Maltese). L’Altra Europa si sciolse pochi mesi dopo.

Anche Pallante e gli altri di Uniti e Diversi furono gentili facendoci intervenire al loro “congresso” di fondazione (qui). Poi ci fecero sapere che essendo loro già avanti nel loro percorso apparivano troppo vaghe le nostre proposte di scioglimento-aggregazione. Solo Giulietto Chiesa si presentò come osservatore a nostri successivi incontri, in particolare all’Ecoconclave di Bologna del 29-30 gennaio 2011. Sei mesi dopo la sua fondazione Uniti e Diversi si sciolse. Invece il più indifferente e diffidente di tutti, non ho mai capito perché, per quanto ricordi fu Michele Boato.

Agli albori della nascita del GCT si decise che sembrava utile sostenere attivamente la “ sopravvivenza” dei Verdi di cui di fatto nessuno di noi faceva parte, favorendo la diffusione dell’appello  per una nuova Costituente Ecologista “Il coraggio di osare” ( qui), attraverso i blog ECO e FIORI GIALLI ( settembre 2009) non essendo ancora attivo il sito del GCT nato un mese prima. Il congresso dei Verdi (ottobre 2009) di cui si dava per scontato lo scioglimento, decise invece per un soffio di continuare la storia dei Verdi, con pochissimi delegati di vantaggio e la conseguente scissione dei perdenti (Loredana De Petris, Paolo Cento). Una nota esponente in ambito europeo, il primo giorno firmataria della mozione per lo scioglimento, il secondo giorno si dichiarò per l’altra mozione e poco tempo dopo stranamente venne scelta come italiana nel vertice del partito verde europeo, una specie di coordinamento dei diversi partiti verdi nazionali.

Il lungo impegno per una nuova aggregazione che nascesse dal superamento graduale dei diversi frammenti (qui) avviato due anni prima dal GCT si risolse a Bologna con l’Ecoconclave per la Costituente Ecologista, promosso da quattro diverse sigle, Costituente Ecologista, Abbiamo un Sogno, Centro Nuovo Modello di Sviluppo e GCT, al quale non partecipavano però quelli che ho indicato. Circa 200 persone appartenenti ad una trentina di sigle diverse, discussero intensamente il che fare (su Programma, Organizzazione, Alleanze) ma alla fine del secondo giorno emerse evidente la indisponibilità dei rappresentanti dei verdi con una particolare resistenza dei loro due leader, a coinvolgersi in un reale percorso di superamento e rifondazione dell’ecologismo, andando al di là dei Verdi e dei vari altri gruppi esistenti. La loro Costituente galleggiò in acque stagnanti per qualche tempo e poi nella sostanza si spense. Inutile cercare i responsabili del fallimento dell’Ecoconclave più nei presenti o negli assenti.

Quando da più parti si chiese che il GCT promuovesse direttamente la rifondazione (esattamente l’opposto di quanto sognavamo) si decise di fermare il progetto mantenendo per qualche tempo attivo il sito del gruppo, nel quale sono raccolti circa 2000 documenti e interventi, sui più diversi temi nazionali e internazionali pubblicati nel corso di sei anni. Come la Costituente nei dieci anni successivi periodicamente qualcuno convoca un po’ di amici e scrive un appello, specie a ridosso di scadenze elettorali. Quasi una finzione che trova sempre qualche centinaio di spettatori che raccontano da qualche parte il loro problema e come lo affrontano. Solo negli ultimi otto mesi ho contato tre appuntamenti: l’ennesimo ritocco al proprio nome dei verdi nel luglio scorso, altre due assemblee di altri ecologisti, l’ultima due settimane fa. Si è persa non solo la memoria storica dei fallimenti ma anche la capacità di riflettere su cosa emerge dalla società e come lavorare con e per gli altri invece di osservare il proprio ombelico.

Negli anni successivi, gli ultimi dieci anni, il dilagante successo del M5Stelle ha di fatto prosciugato qualunque spazio, forse in modo definitivo, per un progetto serio nel mondo della sinistra radicale e in quello ecologista (che pure servirebbero), assumendone almeno apparentemente molti dei potenziali contenuti. A parte qualche leaderino disoccupato e qualche vocazione patologica è evidente che siamo ormai in una diversa fase storica  per chi volesse porsi seriamente l’impegno alla costruzione di una alternativa. Anche nel Movimento 5Stelle, la cui straordinaria vicenda ci insegna tantissimo, sembra però che i nodi della crisi siano arrivati al pettine e non è facile capire come ne usciranno. Dalla diaspora grillina sono già nati una decina di nuovi gruppi e partitini: Italia in Comune (Pizzarotti), Italexit (Paragone), R2020 ( Sara Cunial), Partecipazione Attiva ( dal gruppo Parola agli attivisti), Alternativa C’è ( oggi Alternativa),  altri frammenti locali dalla Liguria alla Sicilia, a Napoli e dintorni, altri preannunciati ( dal Lazio alla Campania e alla Puglia ). E naturalmente il partito che non c’è e probabilmente non ci sarà mai di Di Battista.

Come dicono in Apocalypse Now gli ufficiali americani che a Saigon devono convincere il capitano Willard (Martin Sheene)  ad uccidere il colonnello Kurz, che ritengono ormai  impazzito nelle foreste della Cambogia, “ c’è qualcosa di insano in questo comportamento”. E’ però difficile capire chi è impazzito per primo. Almeno questo mi sembra il messaggio di questo bellissimo film.

Nella seconda e terza parte di questo intervento si cercherà di capire se c’è un modo di uscire da questa insana situazione.

allegati:

appello del Gruppo delle Cinque Terre: UN'ALTRA ITALIA E’ POSSIBILE ( dicembre 2009)

appello del Gruppo delle Cinque Terre: le prime 100 adesioni

Il coraggio di osare ( 5 settembre 2009)

leggi anche:

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (II) 

- seconda parte: per fondare un’alternativa servono due anni di conclave, nuovi protagonisti e nuove idee.

Alternative in Italia: Cosa viene dopo il Movimento 5Stelle (III)

- terza parte: Movimento 2050 o altri protagonisti: L’alternativa è ecologista e solidale e non stà né a destra né a sinistra.