31 agosto 2019

Mille miliardi di alberi per vincere la battaglia del clima


 Una recente ricerca ha rivelato l’importanza di piantare alberi per contrastare il riscaldamento globale. Ma bisogna fare in fretta.

 di Davide Zarri  ( da ehabitat.it ) *

Fin da piccoli ci è stata insegnata l’importanza degli alberi per la nostra salute e per l’ambiente. Questi, infatti, giocano un ruolo fondamentale nel combattere i livelli crescenti di anidride carbonica presenti nell’atmosfera. Come vere e proprie spugne naturali, le foreste immagazzinano l’anidride carbonica presente nella biosfera, rallentando di fatto il processo di riscaldamento terrestre. Ma esattamente, quanti alberi ci sono oggi sul Pianeta e quanti ne potremmo piantare? La mancanza di informazioni accurate ha sempre impedito di realizzare una precisa valutazione della situazione. Fino ad oggi, almeno.

Un recente studio coordinato dal Crowther Lab del Politecnico federale di Zurigo ha infatti misurato approssimativamente il numero di alberi esistenti sulla Terra, determinando quanti in più ne potrebbe ospitare senza pregiudicare gli insediamenti umani già presenti. Secondo le stime dei ricercatori, le aree forestali coprono attualmente un’area pari 2,8 miliardi di ettari, mentre le aree disponibili, quelle cioè non occupate dunque da terreni coltivati o da aree urbane, ammonterebbero invece a circa un miliardo di ettari. In altre parole, un’area delle dimensioni degli Stati Uniti risulta oggi inutilizzata. Terreno disponibile che, in linea teorica, potrebbe essere impiegato per riforestare il Pianeta e contrastare così il surriscaldamento globale. Con un impatto sui livelli di gas serra superiore a qualsiasi altra misura attualmente realizzabile, il ripristino delle foreste sembra rappresentare la migliore soluzione per i cambiamenti climatici. Queste nuove foreste potrebbero infatti immagazzinare fino a 205 miliardi di tonnellate di carbonio presente nell’atmosfera. Una cifra impressionante, pari a circa due terzi dei 300 miliardi di tonnellate di carbonio di origine antropogenica rilasciate nell’atmosfera a partire dalla rivoluzione industriale ad oggi.

“Prima di questo studio eravamo già a conoscenza del fatto che la riforestazione contribuirebbe in modo significativo a contrastare i cambiamenti climatici, ma non avevamo alcuna comprensione scientifica del suo impatto” ha dichiarato Tom Crowther, autore senior della ricerca. “Il nostro lavoro”, ha aggiunto, “mostra chiaramente come il ripristino delle foreste sia la migliore soluzione al riscaldamento globale e fornisce prove concrete che giustificano investimenti in tal senso: agendo ora, nei prossimi decenni l’anidride carbonica presente in atmosfera potrebbe essere ridotta del 25%, tornando ai livelli di quasi un secolo fa”.

Lo studio sottolinea quindi l’importanza di piantare alberi anche in prossimità delle aree urbane e di quelle ad uso agricolo. In tutti i contesti, qualunque sia il livello di antropizzazione, la presenza di alberi potrebbe davvero fare la differenza, contribuendo in modo significativo a ridurre l’impatto complessivo dell’inquinamento dell’aria, con enormi ricadute positive sulla qualità di vita di tutti noi. Lo studio, inoltre, suggerisce come molti modelli climatici esistenti sbaglino nel prevedere un aumento spontaneo della copertura forestale globale come risultato dei cambiamenti climatici in corso. Man mano che la temperatura cresce, le aree in grado di ospitare nuove foreste si riducono in modo significativo. Se è vero, infatti, che il riscaldamento globale produrrà una crescita delle foreste in regioni come la Siberia, questo aumento non basterà a compensare le enormi perdite in termini di foreste tropicali in America Latina e Sudest asiatico.

Di questo passo, un aumento di 1,5 gradi centigradi della temperatura comporterebbe la sparizione di un quinto delle aree disponibili al rimboschimento, mettendo a serio rischio la possibilità di contrastare con la riforestazione lo stesso riscaldamento globale. Agire in fretta, dunque, può rivelarsi decisivo. È fondamentale che in parallelo vengano portate avanti altre iniziative, come parte di un approccio sistemico e integrato per contrastare il cambiamento climatico: “È di vitale importanza”, ha precisato il professore,proteggere le foreste che esistono oggi, perseguire altre soluzioni climatiche e continuare a eliminare gradualmente i combustibili fossili dalle nostre economie”.

* da www.ehabitat.it - 21 agosto 2019

27 agosto 2019

Friday for future, a settembre ondata di scioperi


Losanna. Si è concluso con un documento politico il summit dei giovani attivisti, che ai governi chiedono: giustizia ed equità climatiche, di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali e di ascoltare la scienza. E promettono di tornare in piazza dal 20 al 27 del prossimo mese


Si è concluso ieri a Losanna il primo vertice internazionale organizzato dagli attivisti del Fridays for Future, che adesso hanno anche un «programma» politico in tre punti da presentare ai governi del pianeta: garantire giustizia ed equità climatiche, mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, ascoltare la scienza. L’evento è durato 5 giorni, vi hanno partecipato oltre 500 tra ragazzi e ragazze provenienti da ben 38 Paesi, compresa Greta Thunberg. Fra di loro c’è chi ha raggiunto la città svizzera in autobus, chi in treno e chi persino in bicicletta. Scelte dettate dalla volontà di ridurre al minimo anche le inevitabili emissioni inquinanti sprigionate da questo «pellegrinaggio green». Ennesima – anche se del tutto simbolica – dimostrazione che l’impegno di questi giovani per le tematiche ambientali è tutt’altro che una moda passeggera, anzi.

Dal vertice è emerso chiaramente come gli incontri volti al confronto e allo scambio di idee e le mobilitazioni di piazza diventeranno ben presto una costante con cui i governi del mondo dovranno misurarsi. Già per il prossimo settembre è stata programmata quella che secondo i giovani attivisti «sarà la più grande mobilitazione di massa per il clima mai vista nella storia». La scelta di settembre non è casuale. Le manifestazioni di piazza – in programma dal 20 al 27 del prossimo mese – coincideranno infatti con il summit delle Nazioni Unite sul clima. L’occasione ideale per i giovani del Fridays for Future per far sentire la propria voce.
Fridays For Future rimane infatti fuori dai partiti, non ne appoggia nessuno e non vuole diventarne uno, assicurano gli attivisti riuniti a Losanna. L’intenzione – da come si può leggere dai loro comunicati – è quella di far pressioni sui partiti già esistenti affinché affrontino seriamente le questioni legate al cambiamento climatico.

* da il manifesto   - 10 agosto 2019 - 
nella foto: Greta Thunberg al summit Smile for Future di Losanna

26 agosto 2019

Movimento 5Stelle: un bene comune utile per il nostro futuro?


di Massimo Marino


Finalmente ci stanno riuscendo. È dal 2013 che un’alleanza non dichiarata di forze di destra e sinistra, espressione delle élite che realmente gestiscono il paese, o almeno vorrebbero farlo indisturbate, aveva l’obiettivo di stroncare quel singolare e imprevisto fenomeno di aggregazione sociale che si è espresso attraverso il successo del M5Stelle. Un caso unico e straordinario di un progetto di cambiamento sociale che non ha omologhi di un qualche peso in Europa e nell’intero Occidente. Che malgrado evidenti e rilevanti punti deboli è arrivato a occupare, almeno per un po’, il centro politico nelle istituzioni parlamentari del paese. 

Quando alle elezioni politiche del 2013 8,7 milioni di elettori, in modo praticamente omogeneo dalla Sicilia al Veneto, dal Piemonte alla Sardegna, hanno dato un momentaneo voto di fiducia alla creatura di Beppe Grillo è diventato evidente che era necessaria una risposta decisa per difendere il tranquillo status quo di immobilismo in cui l’Italia sonnecchia da trent’anni. La campagna anti Grillo si è espressa con l’uso senza scrupoli del sistema dei media che ben rappresentano saldamente le élite della società italiana molto meglio dei traballanti partiti di destra e sinistra che travolti da scandali, subalternità, incompetenza, hanno perso la fiducia di consistenti parti della società. Il successo del 2013 ha provvisoriamente messo di lato i punti deboli del Movimento, che destava stupore per la sua resistenza agli attacchi, ma erano e sono noti: 


1)  Una precaria strutturazione organizzativa, diventata inadeguata e inefficace quando il Movimento è arrivato a superare il 30%. In realtà mostrandosi inadatta già dopo la prima fase di governo delle grandi città (i tre casi di rilievo sono ovviamente Roma e Torino nel 2016 e Livorno nel 2014). Infatti, già dal 2017 si sono avuti i primi segni evidenti di difficoltà, inadeguatezza, crisi del flusso di adesioni al Movimento. Ne sono stati segno evidente la serie di insuccessi in tutte le elezioni locali dopo quelle del 2016, l’impossibilità di presentarsi nel 90% dei più di 300 comuni al voto del 2018 (un solo sindaco eletto, parecchi persi). Il successo straordinario del 4 marzo 2018 ha dato l’illusione che tutto procedesse alla grande anche se la distribuzione del voto era opposta a quella del 2013, tutta concentrata al Sud, effetto prevalente del reddito di cittadinanza atteso, mentre il Movimento confermava segni, più gravi, di crisi in varie aree del Nord.


2) L’assenza di gruppi dirigenti a livello regionale che possono facilmente essere rinnovati annualmente, di sedi ufficiali di elaborazione programmatica, soprattutto di luoghi di aggregazione sul territorio, di campagne di adesione permanenti, producono gli effetti prevedibili. I gruppi locali sono sempre più aggregati isolati e chiusi alla deriva. La comprensibile paura di “fare un partito”, come se i partiti di oggi si basassero su questi strumenti, o forse la volontà di non creare altri referenti decisionali formali oltre a Rousseau, ha portato a leadership informali e ristrette coincidenti, ma a discrezione, con le figure istituzionali. L’invenzione discutibile del “capo politico” su cui accentrare tutti i ruoli anche istituzionali di peso e tutti i problemi, ha favorito in pochi mesi l’affondamento del Movimento da parte dei media più che dagli oppositori formali.  Identificato il vascello principale, come in una battaglia navale è stato facilmente affondato. La vicenda personale di Di Maio, pur non avendo nessun misfatto da pagare, si è probabilmente conclusa ma nessuno può indicare che “il Re è nudo” perché al momento non c’è nulla che lo possa sostituire.


3) Ne consegue la prevedibile carenza di idee e proposte specie su temi difficili ma concreti, magari secondari ma che ormai assumono mediaticamente il centro della scena. Evidente il caso della immigrazione irregolare o clandestina, che è solo nella fase iniziale e si acuirà nel giro di pochi anni, su cui nessuno in Italia ha la minima idea ( o la minima intenzione) sul come gestirla realmente, né a destra né a sinistra ne fra i 5stelle, ma in molti ne fanno un indecente uso elettorale strumentale. Risolta dai 5stelle con il silenzio totale mentre al loro interno oscillano fra le due alternative, sbagliate e inaccettabili entrambe, dei “porti chiusi” a tutti o delle “porte aperte” a tutti. Senza provare invece a coniugare la necessità di chiudere alla immigrazione clandestina rigettando però le derive xenofobe e contemporaneamente avviando subito un percorso di lungo periodo basato su corridoi umanitari organizzati, sedi estere di raccolta e di immigrazione annualmente programmata di famiglie, profughi in fuga da guerre e crisi ambientali, bloccando invece scafisti e gruppi criminali. Si tratta di un cambio di politiche che dovrebbe essere fatto proprio e avviato da tutta l’Unione Europea ma un’iniziativa esemplare dell’Italia avrebbe grande rilievo. La costruzione di corridoi ha già avuto qualche piccolo precedente di enti religiosi cattolici ma dovrebbe assumere la dimensione statale di un nuovo “piano Marshall per i migranti” anche con il possibile contributo di tutte le ONG disponibili che oggi invece alimentano involontariamente il mercato redditizio degli sbarchi irregolari e incontrollati e rendono impossibile la cattura degli scafisti ed il sequestro di barconi e navigli a motore.


4) Una confusa visione delle Istituzioni dove, al di là di una coerente difesa della Costituzione nei momenti di crisi (es. il NO al referendum renziano del 2016) si procede in modo incerto. Sulle regole elettorali l’originaria e corretta impostazione proporzionale con un quorum antiframmentazione non è stata portata fino in fondo subendo la scelta ultramaggioritaria dei collegi uninominali, che è risultata nel 2018 casualmente accettabile solo perché il sistema tripolare era relativamente equilibrato. In quel caso i grillini ci hanno guadagnato qualcosina, il 37% degli eletti con meno del 34% dei voti. Sui referendum le proposte in corso in Commissione con l’abolizione del quorum 51% risultano pericolose e inadeguate. Soltanto sui rapporti con la politica dell’UE, difficile problema per tutti, si è arrivati forse ad un accettabile equilibrio di critica collaborazione anche se non mancheranno su bilancio e finanziaria inevitabili scontri. 
   

La proposta della riduzione dei parlamentari, forse condivisibile ma di scarsa rilevanza, è un segno della grande confusione e dei guai che ci si cerca da soli. Non può non prevedere l’eliminazione, non la correzione, dei collegi uninominali ed il sistema proporzionale che ne consegue deve prevedere una consistente soglia (4-5% almeno) per favorire la nascita di nuovi partiti stabili ed evitare la miriade di partitini inventati dell’ultima ora che hanno già provocato in passato i noti disastri. Questione non da poco sulla quale incredibilmente ricompaiono nel PD i fautori delle modifiche pericolose e antidemocratiche del Senato come Camera di secondo livello, cancellate con il referendum del 2016. E’ possibile che discussioni così delicate non abbiano sedi e strumenti per gestirle pubblicamente mentre contemporaneamente il tema della riduzione dei seggi viene sorprendentemente posto come decisivo, chissà perché, per formare un governo che ha ben altri problemi da risolvere? 


A questi quattro punti deboli del Movimento ha supplito fino a due anni fa la creatività e istintiva lungimiranza di Beppe Grillo, che ricompare ancora opportunamente nei momenti critici, mentre si è constatata con il tempo la scarsa rilevanza ed efficacia di Rousseau che non va al di là di un utile strumento tecnico di consultazione rapida di quella parte di aderenti più attiva in rete, cioè una minoranza. Più del 95% degli 11,7 milioni di elettori che nel 2018 hanno votato per i 5stelle non hanno mai usato Rousseau e la gran parte di loro neppure sa esattamente a che serva. 


La campagna anti Grillo aveva l’obiettivo di fare a pezzi quel centro radicale (ne destra né sinistra) che ha convinto milioni di persone ad esprimere il voto su tre grandi aree di consenso: lotta alla povertà e alla precarietà, difesa dell’ambiente e del clima, lotta a clientelismo e corruzione. Si trattava di un progetto efficace, forse solo in parte consapevole, inevitabilmente generico e in parte ancora disatteso ma culturalmente ben più ricco e consapevole della crisi sociale e ambientale rispetto ai balbettii culturali e all’opportunismo privo di scrupoli che negli ultimi trent’anni ha caratterizzato partiti di destra e di sinistra del nostro paese. La campagna diffamatoria si è articolata su una decina di parole d’ordine, spesso contradditorie fra loro anche quando lanciate dallo stesso soggetto mediatico: per fare qualche esempio:


1)    I 5stelle sono un movimento di destra, fascisti o fascistoidi, populisti e antidemocratici

2)    I 5stelle sono un movimento di estrema sinistra, sono come i centri sociali o la sinistra radicale

3)    I 5stelle dicono NO a tutto e impediscono grandi opere (TIP, TAV, Terzo Valico, Ilva, Inceneritori, Trivelle) quindi impediscono lo sviluppo del paese, quindi non sono affidabili.

4)    I 5stelle dicono SI a tutto (TIP, Ilva, TAV), quindi non rispettano le promesse, quindi non sono affidabili

5)    I 5stelle non sanno governare le città, vanno sostituiti da chi lo sa fare, quindi non c’è motivo di votarli

6)    I 5stelle non sanno governare le città come non sapevano farlo quelli di prima quindi non c’è motivo di votarli.

7)    I 5stelle si tagliano lo stipendio e il finanziamento pubblico ma il risparmio è irrilevante.

8)    I 5stelle si tagliano lo stipendio e il finanziamento pubblico ma per finta o troppo poco quindi il risparmio è irrilevante. 


La campagna mediatica contro il Movimento è diventata così spregiudicata e senza scrupoli da assumere i contorni di una “guerra civile strisciante” che ha frastornato e colto di sorpresa lo stesso gruppo che in qualche modo dirige il Movimento che ha risposto in modo incerto e discordante nei diversi momenti con la chiara assenza di risposte efficaci. I sorrisi stampati di Di Maio o Bonafede o Di Battista mentre sono massacrati nei talk show dal conduttore, quasi sempre con la tessera del PD o di Forza Italia in tasca o nella testa, sono il segno di questa impotenza. Nessun dibattito è stato aperto nel paese sul ruolo dell’informazione e la legge sugli editori impuri è rimasta chiusa e incompresa nelle stanze delle Commissioni parlamentari.


La dimensione della campagna, quotidiana e ben organizzata da un ristretto gruppo di editori di rilievo, ha visto un numero elevato di protagonisti all’interno dei diversi media cioè giornali nazionali e locali, tv, social, Twitter e FBK. Dietro il paravento della libertà di stampa diventata tutt’uno con la libertà di diffamare alcuni si sono particolarmente distinti per l’impegno a tempo pieno: da Giannini alla Gruber, dalla Panella alla Merlino, dalla Cusani a Franco, da Fazio a Formigli, da Vespa alla Annunziata, da Floris a Sallusti, da Bianchi a Damilano. L’attacco alla componente grillina per mesi ha occupato interamente la loro attività di informazione. Inutile aggiungere che le varie sinistre minori si sono accodate, da perfetti gregari, ai toni dei media, senza esprimere un proprio autonomo punto di vista, tranne poche e isolate eccezioni.


Dopo lo straordinario risultato delle elezioni politiche e la nascita del governo M5S-Lega, la campagna anti5stelle ha assunto toni più spregiudicati con l’obiettivo di mettere in conflitto fra loro i due alleati. L’obiettivo era evidente: non solo bloccare le iniziative legislative (dei 5stelle perché della Lega per mesi e mesi non ce ne sono state) in particolare reddito di cittadinanza, salario minimo, tagli alla politica, alla editoria, ai gruppi di clientela o di malaffare (esempio tipico appalti senza gare e nomine clientelari e senza meriti negli enti nazionali e locali), pensioni d’oro, vitalizi elevati e multipli. Al fondo l’obiettivo inconfessato della denigrazione era quello di impedire le azioni, peraltro modeste, di riequilibrio sociale e ridistribuzione della ricchezza che volevano correggere almeno un po’ gli squilibri da sempre presenti nella società italiana. Insomma, per mesi i media hanno supplito alla inefficacia dei vecchi partiti (PD, Forza Italia, Lega) nel garantire la tenuta delle Élite del paese e di quella parte di ceto medio che ne supporta la base nella società di fronte alle richieste emergenti di riformismo radicale affidate momentaneamente al M5Stelle. 
 

Per un anno è stato chiaro l’obiettivo di sovraesporre mediaticamente in modo metodico le quotidiane battute da bar di Salvini e sminuire o tacere l’azione riformatrice, per esasperare il conflitto interno al governo. La convinzione era che così il governo sarebbe durato pochi mesi, i 5stelle ne sarebbero usciti come inaffidabili e incapaci a mantenere le tante promesse fatte, che con un nuovo voto l’elettorato grillino sarebbe tornato di corsa all’astensione e ai partiti originari in particolare a quelli più affidabili: PD e Forza Italia. Non è stato così.

È stata una valutazione errata, segnale della incapacità dei media, specie quelli “di sinistra”, a comprendere il grado di delusione verso il vecchio sistema politico che occupa una parte consistente della società italiana.   Per quanto l’unica sezione ancora funzionante del PD siano le decine di redattori collocati in passato alla RAI, e di quelli accuratamente selezionati dagli editori negli altri media (chi dissente non ha spazio nelle redazioni), hanno clamorosamente toppato: il governo non è caduto e la Lega, grazie anche al decisivo contributo dei media progressisti, ha fatto degli immigrati e della sicurezza gli argomenti unici in campo diventando così il principale partito italiano. Le elezioni europee hanno mostrato il clamoroso errore di valutazione e a quel punto si è compresa la necessità urgente di ridimensionare il dilagare della Lega, ma era tardi. È Salvini che, quando lo ha ritenuto, ha deciso di interrompere la legislatura.


Ad affondare definitivamente i 5stelle ci dovrebbe pensare il duo Zingaretti-Renzi per completare il lavoro con un possibile governo di qualche mese necessario a ricostruire, con il sicuro sostegno dei media, il ritorno sulla scena del bipolarismo di dieci anni fa dove non c’è spazio per progetti di alternativa. Ed anche “disfare “, come ha involontariamente preannunciato la Bonino, tutto quanto di buono è stato avviato dal governo 5stelle in 15 mesi. 


Il M5Stelle, con il suo lungo elenco di incapacità ed errori, è un bene prezioso per la società italiana ed il rischio che vada in pezzi è altissimo. Tutti gli esempi della storia recente di movimenti politici in qualche modo di alternativa che da posizione non egemone si alleano al moderatismo della sinistra storica non l’hanno cambiata ma ne sono stati fatti a pezzi e non hanno impedito il prevalere di opzioni più conservatrici. 
Fra i casi più noti l’alleanza del 2012 in Francia di Europa Ecologie con i socialisti di Hollande (finita con i Verdi a pezzi e poi Hollande spazzato via). Più di recente in Spagna dal 2018 l’alleanza tentata e forzata di Podemos a sostegno dei socialisti di Sanchez. In meno di un anno anche Podemos è finito in pezzi e l’arroganza manifesta di Sanchez contro Podemos e contro Iglesias non gli ha permesso comunque di governare, neanche con i conservatori di Ciudadanos. Così la Spagna sta per l’ennesima volta tornando al voto. Non a caso l’unica eccezione storica sono i Verdi tedeschi che, favoriti anche dal sistema proporzionale, hanno assunto una posizione di fatto di centro ecologista e popolare che in base al proprio programma di caso in caso (locale e nazionale) si alleano con interlocutori diversi ma anche di frequente rifiutano le alleanze restando all’opposizione, se non hanno una discreta garanzia di ottenere risultati.


Il rischio per l’Italia è che avvenga esattamente la stessa cosa di Francia e Spagna. Qualche mese di governo giallo-rosa e poi al voto con i media che celebrano il bentornato ritorno sulla scena del bipolarismo (che sarebbe fra PD e Lega con i loro satelliti ) con la emarginazione dei 5stelle ed il trionfale successo per il momento del centrodestra a trazione leghista. Sono convinto infatti che la assoluta incapacità a sposare logiche riformatrici e di rinnovamento della società italiana da parte del PD potrebbe portare ad un ancora più clamoroso successo della Lega ben saldata all’intero centrodestra.   


Mi sembra probabile che in qualunque direzione si sviluppi la soluzione della crisi il processo di cambiamento avviato negli ultimi dieci anni dal M5Stelle avrà una brusca frenata e cambierà del tutto lo scenario.  È bene che tutti comprendano, invece di sognare su FBK svolte improbabili, che il prezzo da pagare sarà comunque alto anche se è difficile oggi prevedere, fra le tre scelte possibili (governo con il PD, nuovo governo con la Lega, voto a novembre) quale costerebbe meno al M5Stelle e farebbe meno male alla società italiana.


La vera sfida per il futuro prossimo dei 5Stelle è quella di non diventare il terzo partito ed uscire quindi di scena. Al momento non ci sono in campo possibili alleati. Per intanto non è vero, ovviamente, che fra i dieci punti indicati dalla delegazione grillina e i punti volutamente generici di Zingaretti, l’unico che si è apertamente pronunciato, ci sia molto in comune e “niente di insormontabile”. 


Non ho sicurezze da vendere ma penso che le uniche carte da giocare siano due: la prima non vendere l’anima e la propria vocazione originaria al cambiamento che anzi, come l’esperienza con la Lega insegna, costi quel che costi, non può essere abbandonata, ma anzi ritrovata, pena la scomparsa. La seconda si chiama Giuseppe Conte, una figura moderata, di certo parecchio lontana dalla connotazione genetica grillina, ma comunque affidabile e capace di mediazione costruttiva in coalizioni se si decide di costituirle. Una figura che sembra essere oggi forse la principale, se non l’unica carta decisiva in grado di impedire il trionfo di un nuovo centrodestra a egemonia leghista, oltre che a evitare la disfatta del M5Stelle. Che la “discontinuità” invocata da Zingaretti, cioè l’esclusione di Conte, sia stata messa di fatto a primo punto della discussione, la dice lunga sulla nota ottusità e la pervicace vocazione all’auto distruzione del PD. Una richiesta che fa sospettare che comunque il primo punto all’ordine del giorno resti sempre lo stesso: la demolizione del Movimento ed il ritorno al vecchio sistema politico: quello di un Italia immobile ostile al cambiamento. 
 

Comunque vada capiremo presto se il M5Stelle è ancora un bene comune utile per il nostro futuro. Cioè se l’alleanza sociale che si è aggregata intorno al Movimento non si disgregherà, rendendo in quel caso indispensabile tentare altri percorsi di riforma della società italiana.


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