18 dicembre 2021

Nucleare e gas non entrano tra le energie rinnovabili

 Clima. Il Consiglio europeo non ha trovato l'accordo sull'energia, né sull'inserimento dell’energia nucleare tra le fonti rinnovabili - una forzatura senza alcun fondamento scientifico - né su come fronteggiare l'aumento eccessivo, immotivato, speculativo del prezzo del gas e di altre fonti fossili

di  Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci *

Questo stallo dovrebbe portare il governo Draghi ed in particolare il Ministro Cingolani, che hanno aperto al nucleare dopo l’incontro col presidente francese Macron, a ripensarci perché altri paesi europei, a partire dalla Germania, non sono d’accordo. Tanto più che il nuovo governo tedesco ha confermato la chiusura delle sue centrali nucleari per produrre energia elettrica entro la fine del 2022 e quindi faticherebbe a spiegare l’eventuale contraddizione tra le due posizioni ai tedeschi.

Avevamo chiesto al Governo Draghi, con un appello pubblico condiviso da migliaia di firme, di fermare lo scempio di una tassonomia europea scritta sotto dettatura di Macron. Sarebbe questa una scelta priva di senso e di fondamento scientifico, utile solo a esaltare la scelta nuclearista di Macron che forse pensa così di fare concorrenza elettorale alla destra e di scaricare sui fondi europei i costi enormi del nuovo nucleare per i cittadini francesi se non sarà possibile usare i soldi dell’Europa. Soldi che la Francia non a caso ha chiesto solo a fondo perduto.

Da uno stallo potrebbero uscire le condizioni per tornare a dire la verità e cioè che sono fonti di energie rinnovabili solo acqua, vento, sole, terra, il resto non può ricevere incentivi europei vincolati a contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Infine Cingolani dovrebbe decidersi a proporre un piano concreto, immediato, con scadenze ravvicinate, di nuovi investimenti nelle rinnovabili in Italia. Questo sarebbe il miglior contributo per contrastare l’aumento immotivato e speculativo del gas, che è aumentato perfino più del petrolio.

Accelerare per le rinnovabili è l’unico modo per contrastare l’aumento dei prezzi del gas ed entro il 2022 potremmo ottenere dei risultati importanti per il nostro paese.

* da il manifesto -18 dicembre 2021

14 dicembre 2021

L’Ue nel caos climatico: gas e nucleare diventano «green»

 Energia sostenibile. I veti incrociati tra i paesi spingono Bruxelles alla marcia indietro sulla classificazione

di  Anna Maria Merlo *

La decisione è imminente, dovrebbe essere ufficializzata verso il 15 dicembre, cioè la vigilia del Consiglio europeo dei capi di stato e di governo del 16-17: il gas e l’energia nucleare entreranno nella tassonomia della finanza “verde”, avranno il label per gli investimenti sostenibili che dovranno dirigere miliardi verso le energie durevoli.

DOPO MESI DI DISCUSSIONI, di lobby e di polemiche, la Ue si dirige verso questa controversa approvazione. Con qualche paletto: saranno considerate energie di transizione, dovranno rispettare norme precise, ma indispensabili per l’abbandono del carbone e tappa verso l’applicazione del Green New Deal, che nel gennaio 2020 ha impegnato la Ue ad arrivare alla neutralità delle emissioni di Co2 entro il 2050.

IL VICE-PRESIDENTE della Commissione, Valdis Dombrovski, ha affermato, alla conclusione dell’Ecofin di ieri, che “l’inserimento del gas e del nucleare nella tassonomia è una questione che è stata sollevata da vari ministri, per il mix energetico del futuro abbiamo bisogno di maggiori energie rinnovabili ma anche di fonti stabili”. La Commissione si prepara ad “adottare una tassonomia che comprende anche nucleare e gas”. Lo aveva già anticipato la presidente della Commisione, Ursula von der Leyen, dopo il Consiglio europeo dello scorso ottobre: “abbiamo bisogno di più energie rinnovabili, meno care, senza Co2 e locali, ma abbiamo egualmente bisogno di una fonte stabile, il nucleare e, durante la transizione, del gas”. Per il gas, le centrali “sostenibili” per la transizione dovranno sostituire il carbone e avere emissioni in media inferiori a 270 grammi di Co2 per Kilowattora, mentre per il nucleare, che ha il problema delle scorie, è prevista una nuova legge di regolazione nel 2022.

Il via libera a gas e nucleare sancisce il compromesso, con l’entrata in carica del nuovo governo tedesco guidato da Olaf Scholz e qualche giorno prima della presidenza francese del Consiglio europeo, dal 1° gennaio, anche se Parigi critica il gas e Berlino ha abbandonato il nucleare. L’impennata dei prezzi dell’energia, che sta creando difficoltà a tutti i governi europei, ha chiuso molte polemiche.

È L’ULTIMO CAPITOLO della “tassonomia”, nell’aprile scorso la Commissione aveva emesso una prima serie di regole sulla transizione energetica che riguardano 13 settori, ma aveva lasciato fuori gas e nucleare. Il vice-presidente Frans Timmermans, che si occupa di clima, ha già ammesso: “il gas naturale sarà probabilmente necessario per passare dal carbone alle energie durevoli”. La Polonia ha minacciato il veto, se il gas non passa, e altri dieci paesi la sostengono.

LA GERMANIA, paese molto dipendente dal gas che chiuderà gli ultimi reattori nucleari nel 2022, è in attesa dell’operatività della pipeline Nord Stream 2, che porta gas russo senza passare per l’Ucraina. Scholz afferma: “la Germania dovrà costruite nuove centrali energetiche a gas”. Sul nucleare, c’è stata l’offensiva della Francia, assieme a una dozzina di altri stati membri, soprattutto dell’Est. La commissaria all’Energia, Kadri Simson, ha spiegato che la discussione sul nucleare ha già “cambiato ritmo”, con “l’emergenza clima, le innovazioni tecnologiche e la competitività”, con i piccoli reattori modulabili.

SUL FRONTE dell’innovazione tecnologica ieri il ministro italiano Roberto Cingolani alla conclusione dell’Ecofin si è chiesto: “di fronte alle nuove tecnologie potrebbe valere la pena di farsi qualche domanda?”, malgrado il referendum che in Italia anni fa ha bocciato il nucleare. Emmanuel Macron, il 1° dicembre, di fronte al Comitato europeo delle regioni, ha di nuovo difeso il nucleare, che “fa parte della soluzione”, perché l’obiettivo è “decarbonare” ma “le rinnovabili sono intermittenti”, il gas porta alla dipendenza da “Russia e Turchia”, mentre l’atomo è “la vera soluzione sovrana”.

L’Austria ha minacciato di rivolgersi alla Corte di Giustizia della Ue se la tassonomia integra l’energia nucleare. Con Danimarca, Germania, Lussemburgo e Portogallo, l’Austria ha creato una coalizione anti-nucleare alla Cop26 di Glasgow, a cui si è aggiunta la Spagna in una lettera inviata alla Commissione. Ma i paesi nucleari da tempo fanno pressione, dieci stati membri si sono uniti per conservare la capacità nucleare: la Commissione calcola che ci vorranno 45-50 miliardi di euro per prolungare la vita degli attuali reattori in funzione e che molti arriveranno a fine vita verso il 2030, mentre saranno necessari 400 miliardi di investimenti per nuove capacità entro il 2050, anno della neutralità Co2 per la Ue. nella foto: protesta di Greenpeace contro gas e nucleare

* da il manifesto - 8 dicembre 2021

 

10 dicembre 2021

In Germania scatta il semaforo. Tra luci e ombre governo al via

Ora tocca a Scholz. Presentato il programma della coalizione fra Spd, Verdi e liberali. Uscita anticipata dal carbone entro il 2030, voto ai 16enni, aumento del salario minimo, ma anche liberalizzazione dei droni armati e assenza di nuove tasse su emissioni e combustibili fossili

di  Sebastiano Canetta *

Dall’innalzamento del salario minimo alla svolta sulle rinnovabili, dal tetto sugli affitti alle nuove regole su aborto e identità di genere, fino alla nuova legge di cittadinanza per gli immigrati, legalizzazione della cannabis e giro di vite contro l’estremismo.

Nelle 177 pagine dell’accordo di coalizione fra Spd, Verdi e liberali presentato ieri a Berlino sono fissate nero su bianco tutte le misure del nuovo governo “Semaforo” vincolanti per l’intera legislatura. Tra le molte luci e più di qualche ombra, come il clamoroso via libera ai droni armati per la Bundeswehr e l’assenza di nuove tasse su emissioni e combustibili fossili.

Confermata la parità di genere nell’esecutivo e, nonostante Olaf Scholz abbia tenuto a precisare che ufficializzerà i suoi ministri «non prima del 4 dicembre», sono sicure la sua poltrona di cancelliere come quella di ministra degli Esteri per Annalena Baerbock, Finanze per Christian Lindner (Fdp) e la doppia delega Economia e Protezione del Clima per Robert Habeck (Verdi) che sarà anche vice-cancelliere.

Ma sono date per chiuse anche le trattative per gli altri incarichi di cui si è discusso fino a ieri mattina. Spiccano Hubertus Heil (Spd, Lavoro e Sociale), Bettina Stark-Watzinger (Fdp, Formazione), Marco Buschmann (Fdp, Giustizia) e Volker Wissing (Fdp, Trasporti). Il ministero della Salute, che nessuno voleva, sarà probabilmente affidato a Petra Köpping (Spd) mentre Katrin Göring-Eckardt (Verdi) si avvia verso il dicastero della Famiglia e uno dei Grünen tra Steffi Lemke e Anton Hofreiter andrà all’Ambiente. Per le altre poltrone è stata invece stabilita la spartizione politica: Agricoltura ai Verdi; Difesa, Interno ed Edilizia a Spd, mentre sulla pandemia verrà creata «una speciale squadra permanente»

«Il Semaforo sta in piedi» scandisce soddisfatto Scholz promettendo un governo «paritetico» fra Spd, Verdi e Fdp, mentre Habeck plaude all’accordo che «rivoluziona il modello di sviluppo dimostrando la compatibilità tra prosperità e protezione del Clima». Sulla stessa linea Baerbock conferma «il nuovo paradigma basato su neutralità climatica e giustizia sociale», al contrario di Lindner, già nelle piume di falco delle Finanze, che avverte i partner Ue: «La Germania sarà il garante della stabilità finanziaria, oltre che del libero mercato e della Nato». Insieme hanno definito il compromesso sui temi-chiave valido fino al 2025.

LAVORO E SUSSIDI SOCIALI

Il salario minimo passerà da 9,6 a 12 euro l’ora ma «una commissione di lavoratori e imprenditori sarà delegata a valutare ulteriori aumenti». In parallelo verrà varato il reddito di cittadinanza che sostituirà l’attuale reddito di base. Per i primi due anni la misura non sarà legata allo stato patrimoniale dei beneficiari, come prevede l’attuale norma sugli aiuti statali per mitigare la crisi economica causata dalla pandemia. Si aggiunge all’accorpamento di kindergeld (contributo per i figli), assegni familiari e sussidio Hartz IV in un unico «assegno di base». L’obiettivo è «ridurre la povertà infantile fissando i diritti dei bambini nella Costituzione». In arrivo anche il tetto sugli affitti nelle aree soggette a speculazione immobiliare: potrà crescere solo dell’11% ogni tre anni (oggi è il 15%). Il nuovo governo promette poi 400 mila nuovi alloggi popolari di cui 100 mila finanziati dallo Stato.

SVOLTA ECOLOGICA E DEBITO PUBBLICO

Approvata l’uscita anticipata dal carbone «idealmente» entro il 2030, il veto alle auto con motore termico nel 2035 e l’obbligo entro 8 anni dell’80% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili con almeno 200 Gigawatt dal fotovoltaico. Verrà creato un fondo per la neutralità climatica (fissata al 2045) affidato alla Cassa Depositi e Prestiti, ma «a causa della crisi energetica» non ci sarà l’aumento della tassa sulla CO2 né nuove imposte su benzina, gasolio da riscaldamento e gas.

Al contempo torna il «freno al debito» dal 2023, mentre nel 2022 lo Stato potrà continuare da accendere prestiti «per superare la pandemia e consolidare la crescita economica». Verrà ripristinato anche il fattore di ricalcolo delle pensioni finora congelato: per oltre 20 milioni di tedeschi significa che l’aumento della quota mensile sarà ridotto in vista degli adeguamenti previsti nel 2022.

DIRITTI E DISCRIMINAZIONE

Via libera al voto ai 16enni e nuova legge sulla cittadinanza con procedure semplificate: la naturalizzazione richiederà 5 anni di residenza, anziché 8, o 3 nel caso di meriti nell’integrazione. Accelerate inoltre procedure di asilo e ricongiungimenti familiari «per una politica sull’immigrazione più giusta e moderna» ma ci sarà anche un piano «per favorire i rimpatri e ridurre l’immigrazione irregolare».

La controversa legge sulla transessualità sarà sostituita con «l’autodeterminazione di genere che renderà possibile l’iscrizione all’anagrafe con l’autocertificazione».

Verrà riscritta anche la legge sull’aborto che impedisce ai medici di informare sui metodi di interruzione di gravidanza. Mentre la parola «razza» sparirà per sempre dall’articolo 3 della Costituzione e verrà creato un «Commissariato indipendente per combattere estremismo e bullismo». Infine verrà varata la legge per legalizzare la cannabis a uso ricreativo con la vendita controllata agli over 18 in appositi negozi.

* da il manifesto 25 novembre 2021

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Germania, nasce il governo Scholz

Su 17 poltrone nove saranno occupate da uomini e otto da donne

di  Sebastiano Canetta *

Dopo il via libera del congresso dei liberali di domenica scorsa arriva anche l’ultimo Sì alla coalizione “Semaforo” degli iscritti dei Verdi. Nasce così ufficialmente il primo governo di Olaf Scholz esattamente due mesi e dieci giorni dopo le elezioni federali.

Ieri il leader della Spd, che verrà nominato cancelliere domani, ha rivelato la lista degli otto ministri del suo partito con tre clamorose sorprese: per la prima volta il dicastero dell’Interno sarà guidato da una donna: la giurista Nancy Faeser, leader socialdemocratica dell’Assia, fino ieri semisconosciuta se non agli addetti ai lavori; all’Edilizia andrà l’altrettanto poco nota Klara Geywitz, vice presidente della Spd e unica esponente della Germania-Est nel nuovo governo; mentre lo scottante ministero della Sanità verrà affidato all’epidemiologo Karl Lauterbach, già responsabile del dipartimento Salute del partito, il politico più intransigente nella lotta alla pandemia e anche il più popolare.

«La maggioranza dei tedeschi desiderava che alla Sanità andasse un esperto del settore capace di svolgere al meglio il proprio incarico» sono state le parole d’esordio di Scholz che ha quasi mantenuto la promessa di incardinare il governo sulla parità di genere. Su 17 poltrone nove saranno occupate da uomini e otto da donne. Per la Spd oltre a Faeser e Geywitz a capo della Difesa sarà Christine Lambrecht, ex ministra della Giustizia della Grande coalizione, e allo Sviluppo economico Svenja Schulze, ministra dell’Ambiente uscente. Affiancheranno il ministro del Lavoro Hubertus Heil e il responsabile della cancelleria, Wolfgang Schmidt.

Ma ieri è stato anche il giorno della conferma dei Verdi, ovvero del superamento dell’ultimo ostacolo sulla via del governo per Scholz. L’86% dei votanti – corrispondenti al 57% dei 125 mila iscritti che hanno partecipato alla ratifica – si è espresso a favore del “Semaforo” aprendo le porte al mandato di Annalena Baerbock come ministra degli Esteri, Robert Habeck (Economia e Protezione del Clima) Cem Özdemir (Agricoltura) Anne Spiegel (Famiglia) e Steffi Lemke (Ambiente). Confermata dunque l’assenza di Anton Hofreiter, combattivo esponente della corrente di sinistra dei Verdi, sintomo della vittoria della corrente dei «realisti» nel braccio di ferro interno per gli incarichi nell’esecutivo.

Decisamente più bulgara, invece, l’approvazione del patto di legislatura nel partito liberale. I delegati di Fdp riuniti l’altroieri nel congresso straordinario hanno votato per oltre 92% a favore del governo Scholz con appena 37 dissidenti e 8 astenuti. Non ha pesato più di tanto il recente e sorprendente, endorsement sull’obbligo vaccinale per tutti del segretario Christian Lindner che può quindi diventare ministro delle Finanze. Ma il Sì della base liberale promuove il direttore generale Marco Buschmann a ministro della Giustizia, Volker Dissing a ministro dei Trasporti e Bettina Stark-Watzinger nel ruolo di ministra della Formazione.

* da il manifesto 7 dicembre 2021

nella foto: Annalena Baerbock e Robert Habeck (Verdi), Olaf Scholz, Christian Lindner, Volker Wissing, Saskia Esken

7 dicembre 2021

Il vero valore del reddito di cittadinanza

 di Claudio Cominardi *

 In Italia le frodi esistono eccome. Ogni anno l’evasione tributaria ed evasione contributiva fa “sparire” almeno 110 miliardi di euro dalle casse dello Stato. Parliamo di un danno 2.200 volte superiore a quello causato dai “furbetti” del Reddito di Cittadinanza (pari a 50 milioni di euro quest’anno). Eppure sembra che il male del Paese sia proprio il Reddito di Cittadinanza, la misura che per legge prevede il maggior numero di controlli. Per contrastare gli abusi e garantire il massimo controllo anche nell’erogazione del RdC, nel 2019 l’INPS ha creato una struttura Antifrode che, tra le altre cose, ha permesso di:

•recuperare 200 milioni di euro di compensazioni indebite;

•individuare e fermare 3.000 aziende fantasma che hanno fatto indebitamente ricorso alla cassa integrazione;

•individuare 40.000 soggetti che hanno percepito indebitamente dei bonus per imprenditori e professionisti danneggiati dall’emergenza Covid;

•individuare 70.000 rapporti di lavoro fittizi, evitando l’erogazione di circa 500 milioni di euro di NASPI;

La gran parte di chi ha percepito il Reddito di Cittadinanza senza averne diritto è risultato evasore totale, cioè frodava lo Stato ben prima dell’introduzione della misura. È grazie ai controlli sul RdC se sono state scoperte decine di truffatori seriali che altrimenti avrebbero continuato a sottrarre risorse alla collettività. 

Quando si parla di miliardi di euro “buttati” nel Reddito o “regalati” a chi preferirebbe starsene in poltrona bisognerebbe anche ricordare che si tratta di piccole somme accreditate su una carta acquisti e da spendere nel mese di riferimento. Queste risorse si traducono prevalentemente in acquisti di prima necessità nelle tante attività di quartiere come il panettiere, il fruttivendolo, il calzolaio, l’ottico.

La verità è che chi attacca il RdC lo fa prevalentemente per meri calcoli politici. Magari si tratta pure di politici ben pagati e con il vitalizio in tasca. Prima di additarlo come il male del Paese o di parlare di una sua abolizione, dunque, bisognerebbe guardare i percettori bene in faccia. E trovare il coraggio per dirgli che si vuole togliere l’unico strumento che ad oggi li separa dalla criminalità, dalla dispersione scolastica, dallo sfruttamento e dalla disperazione più profonda.

* da blog beppegrillo.it - novembre 2021

Bollette ostaggio del gas, servono più rinnovabili per abbassare i prezzi

Dare a gas e nucleare la patente green sarebbe una beffa oltre che un errore madornale

di Rossella Muroni *

Riemerge a tratti come fiume carsico l’aumento del costo dell’energia, insieme alla voglia di gas e nucleare nella tassonomia verde europea. Da settembre a oggi quasi non è passata settimana in cui qualcuno non abbia dato l’allarme sul caro bollette. Pressoché sempre sul banco degli imputati è stata messa la transizione. Anziché i principali responsabili, ossia il costo del gas, le speculazioni e la forte ripresa degli ordinativi superata la fase più critica della pandemia.

Mentre il governo italiano ha spesso usato toni allarmistici, il mondo ecologista – insieme ad alcune autorevoli voci politiche tra cui quella del vice presidente della Commissione europea Timmermans – ha da subito fatto una diagnosi precisa. Risentiamo tanto delle oscillazioni del costo del gas perché c’è ancora troppo metano nel nostro mix energetico. Se avessimo più rinnovabili e fossimo più avanti nella transizione energetica non subiremmo questi rincari, non dipenderemmo dalle fluttuazioni di mercato né dalle speculazioni. In altre parole il problema è il nostro ritardo sulla transizione energetica.

Lo ha ribadito con parole più accese l’A.D. dell’Enel Starace, che non può certo venire annoverato nella categoria degli ambientalisti ideologici. A pochi giorni dalla presentazione del nuovo piano di sviluppo con cui Enel anticipa al 2040 l’obiettivo ‘net zero’, ha usato più o meno queste parole: “Da decenni viviamo esposti alla volatilità dei prezzi del gas. Perché dobbiamo dipendere da questa strana follia?”. Riconoscere questa evidenza, ovviamente, non significa pensare che il governo non debba preoccuparsi di come sterilizzare i rincari per famiglie e piccole imprese.  Ma il problema non si risolve aumentando la nostra dipendenza dal gas, che ne è la causa.

La risposta di Cingolani è arrivata dal vertice dei ministri europei dell’energia, in cui ha perorato la causa del nucleare di nuova generazione – come la fusione, che però nella vita reale non siamo in grado di realizzare – nella tassonomia. Senza chiudere neanche ad altre tecnologie e alla ricerca sulla cattura di CO2. Che evidentemente servono per includere anche il gas. Una escursione termica siderale. Anziché preoccuparsi di come sbloccare le rinnovabili, il ministro della Transizione ecologica è andato in Europa a parlare di fusione e gas. Indizio piuttosto evidente che questo governo forse non crede davvero alla transizione.

Più o meno nelle stesse ore, un articolo di Repubblica aggiungeva un particolare interessante. Eni ha annunciato di avere preso parte al recente round di finanziamento di CFS. Ovvero la società spin-out del MIT di cui il Cane a sei zampe è già il maggiore azionista. CFS ha raccolto dal mercato complessivamente oltre 1,8 miliardi di dollari mentre lavora per raggiungere l’obiettivo di immettere nella rete energia da fusione a confinamento magnetico entro i primi anni del decennio 2030. E la quota in carico ad Eni sarebbe raddoppiata arrivando a 360 milioni di dollari. Una assonanza e un tempismo così in sintonia tra le uscite di Cingolani e Descalzi che è lecito chiedersi chi decida davvero della politica energetica italiana.

Tornando in Europa, dare a gas e nucleare la patente di attività verde sarebbe una beffa oltre che un errore madornale. Il nucleare ad oggi non ha risolto il problema della sicurezza durante il funzionamento. Né quello delle scorie. E ha costi e tempi incompatibili con quelli della transizione. Sprecare per il gas gli investimenti che dovrebbero andare alla conversione ecologica ci renderebbe ancora dipendenti dai fossili e toglierebbe risorse alle rinnovabili. Si rallenterebbe così la nostra transizione. Non abbiamo più tempo e gli sforzi maggiori verso l’obiettivo delle zero emissioni nette li dobbiamo compiere nei prossimi 10 anni. Per questo è tanto importante che atomo e gas fossile restino fuori dalla tassonomia.

La risposta al caro bollette non deve mettere all’indice la transizione ecologica, né contestare gli obiettivi climatici e le misure europee. Questo è il tempo di accelerare per un’Italia e un’Europa sempre più rinnovabili ed efficienti. Perché è quello che serve per affrontare la crisi climatica e per l’economia. Proprio ora che la differenza tra costo dell’energia fossile e rinnovabile si è ulteriormente ampliata. Infatti gli investimenti sulle fonti pulite sono ancora più convenienti e avrebbero ritorni in tempi ancora più brevi. Ma è chiaro che non possiamo contare su questo MiTe per ridimensionare il ruolo del gas e per rivedere in questo senso anche il capacity market.

Tutto questo mi preoccupa come pure il fatto che nella Legge di Bilancio manchi un contributo forte del ministero della Transizione Ecologica. La manovra, ad esempio, non prevede l’avvio del necessario taglio ai sussidi ambientalmente dannosi. Oltre 19 miliardi secondo il ministero addirittura oltre 34 secondo Legambiente. Fondi che potrebbero essere meglio impiegati per spingere la transizione e sostenere soggetti fragili e settori più colpiti. Ma non manca un nuovo rinvio della plastic tax. 

Non proprio le giuste premesse per la transizione. 

* da Huffington Post – 6 dicembre 2021

( la pubblicazione dell’intervento non comporta la totale condivisione dei contenuti

4 dicembre 2021

Rivoluzione a Berlino, comune eco-sociale

Patto di coalizione della nuova giunta rosso-rosso-verde guidata da tre donne. La sindaca Franziska Giffey: «Sarà la capitale del futuro: sociale, ecologica, diversa»

di Sebastiano Canetta*

«Berlino capitale del futuro: sociale, ecologica, diversa». È il sintomatico titolo del patto di coalizione di 149 pagine presentato ieri da Spd, Linke e Verdi destinato a cambiare il volto della metropoli nei prossimi cinque anni. A due mesi dalle elezioni comunali, una settimana dopo l’accordo nazionale del governo Semaforo, la nuova giunta rosso-rosso-verde guidata da tre donne riscrive la politica della Città-Stato assediata dalla speculazione immobiliare, dagli effetti del cambiamento climatico, come dai muri di Frontex. Vuol dire fine del mito della «città povera ma sexy» inventato dall’ex governatore socialdemocratico Klaus Wowereit e inizio del «Comune eco-sociale» di Franziska Giffey: la prima sindaca di Berlino.

«Alloggi a prezzi accessibili ed emissioni zero entro il 2030, ma anche economia forte con buoni posti di lavoro, trasporto pubblico sostenibile e società diversificata». Si aggiunge ai quattro settori prioritari per gli investimenti: scuola, servizi sociali, sanità e burocrazia «a misura di tutti», come riassumono la borgomastra della Spd, la leader dei Verdi, Bettina Jarasch, e della Linke, Katina Schubert.

Nel patto, però, non c’è traccia dell’esproprio degli alloggi delle grandi società immobiliari votato a settembre dai berlinesi con il Sì al referendum promosso da Deutsche Wohnen Enteignen: l’impegno del nuovo governo si limita a istituire una commissione di esperti con il compito di «esaminare le condizioni giuridiche per attuare la consultazione popolare».
In ogni caso la vocazione di Berlino non sarà più il business selvaggio del mattone a beneficio dei ricchi investitori dell’Ovest. D’ora in poi «la pianificazione urbana dovrà essere rispettosa dell’Ambiente» e un apposito ente pubblico acquisirà aree di compensazione per ogni nuova costruzione.

UN’AUTENTICA rivoluzione nella città dove il diritto alla casa finora valeva solo, e nemmeno sempre, nei quartieri periferici, tra la marmellata di grattacieli in calcestruzzo ereditati dalla Ddr abitati in prevalenza da immigrati e tedeschi dell’Est che sopravvivono unicamente grazie ai sussidi statali. Non a caso in cima al patto di Spd, Linke e Verdi spicca la costruzione di 20 mila nuovi alloggi popolari all’anno fino a raggiungere quota 200 mila entro il 2030. Di questi 51 mila verranno edificati nei quartieri dimenticati lontani decine di chilometri dalle scintillanti luci del centro, come Johannisthal, Adlershof, Köpenick e Siemensstadt (il rione degli operai della Siemens). L’obiettivo tutto politico è che «almeno 400 mila appartamenti dovranno essere di proprietà del Comune entro la fine della legislatura».

E nella città dove nell’ultimo lustro si sono moltiplicati i rider e i camerieri pagati una pipa di tabacco entro sei mesi entrerà in vigore il salario minimo di 13 euro all’ora: uno in più di quanto stabilito a livello nazionale dalla coalizione Semaforo.

«Per buon lavoro intendiamo soprattutto un impiego pagato dignitosamente» precisano le tre donne che si preparano a governare Berlino, mentre la mobilità sostenibile non si traduce solo in piste ciclabili e bus elettrici ma ancora prima nel «biglietto del treno a tariffa sociale» a beneficio di oltre 300 mila pendolari che ogni giorno si trasferiscono nella capitale solo per lavorare.

È LA NUOVA «politica per i non abbienti» che non distingue tra cittadini tedeschi e residenti stranieri, a partire dai profughi che dovranno essere ospitati in veri e propri appartamenti con camera, cucina, bagno e tutti i mobili necessari. Così prevede il piano «Housing for Refugees» dedicato a migliaia di siriani, afgani e iracheni presenti nella città che si è dichiarata «porto sicuro» per chi fugge da guerra, povertà e riscaldamento globale.

Ma Berlino solidale vuol dire anche facilitare i ricongiungimenti familiari e soprattutto non deportare più nei Paesi di origine chi non ha le carte in regola per restare in città: «I rimpatri verso aree non sicure devono finire ed essere sostituiti con i permessi di soggiorno umanitari» è la linea del governo rosso-rosso-verde che chiede al governo Semaforo anche di abolire il via libera del ministero dell’Interno come pre-requisito all’accoglienza.

Nella foto :  La borgomastra di Berlino Franziska Giffey (Spd), Bettina Jarasch (Verdi) e Katina Schubert (Linke) davanti all’Oberbaumbrücke

 * da il manifesto - 30 11 2021

3 dicembre 2021

Plastica, quel legame tra le compagnie oil&gas e le multinazionali acquirenti di imballaggi. “La catena di fornitura è in gran parte opaca”

Un nuovo rapporto di Greenpeace, The Climate Emergency Unpacked, svela che Coca-Cola, Nestlé, PepsiCo - ma anche Mondelēz, Danone, Unilever, Colgate Palmolive, Procter & Gamble e Mars - acquistano i loro imballaggi da produttori che, a loro volta, si approvvigionano da aziende come ExxonMobil, Shell, Chevron Phillips, Ineos e Dow. "Cercano di eludere le loro responsabilità per le violazioni dei diritti umani e ambientali"

di Luisiana Gaita *

Esistono legami commerciali e comuni attività di lobby tra le aziende che impiegano imballaggi monouso e l’industria petrolifera e del gas. Se compagnie come Saudi AramcoTotalExxon e Shell stanno facendo enormi investimenti nel settore petrolchimico e nella produzione di plastica, dall’altro le multinazionali come Coca-Cola, Nestlé, PepsiCo (ma l’elenco è lungo) sono i principali acquirenti di imballaggi in plastica monouso (il più grande settore di utilizzo di plastica vergine). Un nuovo rapporto di GreenpeaceThe Climate Emergency Unpacked, svela che le tre multinazionali, ma anche Mondelēz, Danone, Unilever, Colgate Palmolive, Procter & Gamble e Mars acquistano i loro imballaggi da produttori che, a loro volta, si approvvigionano da aziende come ExxonMobil, Shell, Chevron Phillips, Ineos e Dow. La plastica del packaging, infatti, è ricavata in gran parte dal petrolio e dal gas fossile, considerati i principali responsabili del riscaldamento globale. “Celando queste relazioni dietro una cortina fumogena – scrive Greenpeace – multinazionali come Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé cercano di eludere le loro responsabilità per le violazioni dei diritti umani e ambientali riconducibili alla produzione di plastica ricavata dalle fonti fossili”.

LE EMISSIONI ASSOCIATE ALLA PLASTICA – In realtà più del 99% della plastica deriva dai combustibili fossili e le emissioni di gas serra sono associate a ogni fase del ciclo produttivo. Nel 2019, un’analisi di CIEL (Center for International Environmental Law) ha stimato le emissioni di gas serra associate all’intero ciclo di vita della plastica: per estrazione, trasporto e raffinazione vengono emesse globalmente circa 108 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalenti. Secondo le stime di Plastics Europe, nel 2020 la produzione globale di plastica ha raggiunto i 367 milioni di tonnellate, rispetto ai 359 milioni di tonnellate del 2018. Se si procederà seguendo tale traiettoria, la produzione di plastica raddoppierà i volumi del 2015 entro il 2030-2035, per poi triplicarli entro il 2050. Queste stime, se si concretizzassero, aumenterebbero del 50% le emissioni associate al ciclo di vita della plastica entro il 2030.

CRESCE L’USO DEGLI IMBALLAGGI – Gli imballaggi monouso trainano la crescita della produzione di plastica e i grandi marchi non ne riducono significativamente l’utilizzo. Come rivelato da ilfattoquotidiano.it la revisione nel 2020 degli impegni delle aziende che hanno aderito al Global Plastics Commitment della Ellen MacArthur Foundation, ha mostrato che l’uso di imballaggi in plastica da parte dei firmatari nel 2019 è cresciuto dello 0,6%. Inoltre, l’impiego di packaging riutilizzabile (la vera soluzione per risolvere l’inquinamento del pianeta) era pari solo all’1,9% del totale degli imballaggi, in crescita di appena lo 0,1% rispetto all’anno precedente.

IL SOSTEGNO ALLE COMPAGNIE DELL’OIL&GAS – “La catena di fornitura della plastica è in gran parte opaca ed è difficile risalire – si legge nel rapporto – partendo da una singola confezione, all’azienda che ha fabbricato l’imballaggio, alla provenienza del polimero di cui è fatto, al sito petrolchimico in cui quest’ultimo è stato raffinato o all’area in cui il petrolio e il gas fossile necessari a produrlo sono stati estratti”. Ma quasi ogni tipo di imballaggio in plastica è il prodotto finale di tutte queste fasi di lavorazione. E i maggiori produttori mondiali di plastica vergine, come ExxonMobil, Shell e ChevronPhillips, sono aziende petrolchimiche integrate verticalmente che producono i propri prodotti a partire da petrolio e gas fossile e commercializzano resine plastiche, acquistate dai cosiddetti ‘convertitori’, che fabbricano imballaggi e trasformano le resine nei prodotti in plastica a noi familiari. Secondo il rapporto, su 12 produttori di resine con cui si fabbrica il packaging (utilizzato da nove multinazionali) dieci sono grandi aziende di combustibili fossili e solo due producono esclusivamente plastica e imballaggi in plastica.

LA MANCANZA DI TRASPARENZA – “Per molto tempo, le multinazionali che impiegano grandi quantità di plastica usa e getta nei loro prodotti hanno cercato di nascondere i legami con le aziende dei combustibili fossili e con l’industria petrolchimica”, spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Intanto, nessuna delle nove grandi aziende a cui è stato inviato il questionario per redigere questo rapporto (Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Mondelēz, Danone, Unilever, Colgate Palmolive, Procter & Gamble e Mars) rivela pubblicamente come calcola le emissioni prodotte da ogni tonnellata di plastica utilizzata, rendendo peraltro impossibili verifiche indipendenti. Eppure il rapporto mostra che, per decenni, le multinazionali dei beni di consumo hanno collaborato con l’industria dei combustibili fossili per presentare il riciclo come soluzione all’inquinamento da plastica “nonostante – scrive Greenpeace – l’inefficacia di questa presunta soluzione sia oggi evidente su scala globale (solo il 9% di tutti i rifiuti di plastica prodotti fino al 2015 è stato riciclato, ndr). Tutte queste realtà produttive hanno unito gli sforzi per ostacolare l’introduzione di nuove leggi in grado di limitare l’uso di imballaggi e hanno sostenuto progetti di ‘riciclo chimico o avanzato’ che ancora restano sulla carta”. Il rapporto rileva inoltre che le industrie del monouso e delle fonti fossili fanno parte di gruppi che sostengono queste soluzioni, tra cui la Recycling Partnership, l’American Chemistry Council e l’Alliance to End Plastic Waste, nata nel 2019 e di cui fanno parte aziende dei combustibili fossili e alcune di quelle che basano il loro business sul massiccio impiego di imballaggi monouso.

* da FQ – 24 settembre 2021

28 novembre 2021

Honduras al voto: la triste scelta tra trafficanti e corrotti

Centro America. Domenica il narco-Stato elegge il nuovo presidente. Zero previsioni: sondaggi inaffidabili. Campagna insanguinata: uccisi 30 candidati al parlamento e ai municipi

di Gianni Beretta *

Non sarà affatto agevole per gli osservatori elettorali della già non particolarmente affidabile Organizzazione degli Stati americani verificare la correttezza delle consultazioni presidenziali che si terranno domenica in Honduras. E per un semplice motivo: stiamo parlando di un narco-stato a tutti gli effetti (manovrato dai cartelli messicani) che garantisce impunemente il transito della cocaina oltre che il lavaggio di una fetta dei suoi proventi. Basti pensare che Tony Hernandez, fratello del presidente uscente Juan Orlando (al governo dal 2013 per il Partido Nacional), si è visto affibbiare l’ergastolo negli Stati uniti per narcotraffico nel marzo scorso. Mentre lo stesso Juan Orlando è da anni nel mirino della antinarcotici Usa.

PER NON PARLARE poi di uno dei favoriti alla vittoria (tra la dozzina di candidati alla guida del paese): l’impresario Yani Rosenthal, segretario del Partido Liberal, condannato in passato a tre anni negli States per riciclaggio di narcodollari. E dire che l’Honduras, tra i paesi dell’istmo centroamericano, è quello che più di ogni altro avrebbe mantenuto le caratteristiche storiche di banana republics del «cortile di casa» del gigante del nord.

NEL TRADIZIONALE schema bipartitico honduregno il contendente nacionalista Nasry Asfura non sarebbe direttamente coinvolto nel malaffare, salvo essere chiacchierato per corruzione. Mentre a fare da terza incomodo (per l’ennesima volta e con scarse possibilità) ci sarà Xiomara Castro, del Partido Libertad y Refundación, moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya rovesciato da un golpe civico-militare nel 2009 per essersi collocato nell’orbita dell’allora leader bolivariano Hugo Chavez.

Come stabilisce la legge elettorale locale, le urne esprimeranno il capo dello stato direttamente al primo turno tra chi prenderà più voti. E di sondaggi affidabili alla vigilia non ne sono praticamente circolati. A conferma di come l’Honduras sia privo di una qualsiasi dinamica politica propriamente detta. La campagna elettorale ha registrato l’assassinio di una trentina di candidati al parlamento e municipali, in un paese dove la criminalità organizzata imperversa al fianco delle maras (bande giovanili). L’essere ambientalista poi è tipificato come uno dei peggiori delitti; basti pensare all’assassinio della giovane militante Bertha Caceres, i cui mandanti sono rimasti nell’impunità.

STIAMO PARLANDO del resto di un paese che contende da sempre al Nicaragua il primato della povertà in America Latina (dopo Haiti). Anche se in quanto a vaccinazione anti-Covid Tegucigalpa raddoppierebbe il 19% di Managua. D’altronde il Centro America (che ha solennemente celebrato nel settembre scorso il bicentenario dell’indipendenza dalla Spagna) è un po’ tutto precipitato in una disperante deriva antidemocratica che (soprattutto dal presidente Usa Donald Trump in poi) non ha neppure più la valvola di sfogo dell’emigrazione.

CON LA VORACE oligarchia guatemalteca anch’essa impregnata nel narcotraffico. Con El Salvador alle prese del rampante twittero Najib Bukele che, oltre a controllare i tre poteri dello stato, si è avventurato (primo al mondo) a introdurre il bitcoin. Per finire in Nicaragua con l’autarchia della neodinastia del clan Ortega.

* da il manifesto – 27 novembre 2021

nella foto: la candidata presidente Xiomara Castro del Partido Libertad y Refundación durante un comizio a San Pedro Sula 

25 novembre 2021

Tutti i colori dell’idrogeno

Se fosse stato facile realizzare una “economia dell’idrogeno”, lo si sarebbe già fatto da tempo. Sono almeno vent’anni che se ne parla, con scarsi risultati (almeno fino ad ora). Eppure sull’idrogeno, dal grigio al blu, dal viola al verde se ne dicono di tutti i colori. Qualche approfondimento al riguardo.

di Pierluigi Argoneto *

Partiamo dalle basi: l’idrogeno, che i chimici amano identificare con la lettera H, è l’elemento più diffuso nell’universo: quasi il 75% della materia è costituita da idrogeno. Può sembrare poetico, e forse lo è davvero, ma parafrasando Dante si potrebbe dire che è l’idrogeno che move il sole e l’altre stelle, perché proprio di idrogeno sono composte, così come pure in gran parte lo sono i pianeti come Giove e Saturno. Sulla Terra, però, questo elemento non ama stare da solo, è tanto socievole quanto abbondante: quando si lega all’ossigeno otteniamo l’acqua, se si associa al carbonio otteniamo gli idrocarburi (dal metano al carbone), quando è legato sia all’ossigeno che al carbonio otteniamo i vari composti organici. Trovarlo da solo, è praticamente impossibile: non esistono miniere di idrogeno sulla Terra! E però ci serve, e tanto: prima ancora di immaginare usi in ottica green transition, dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che oggi l’idrogeno viene utilizzato tantissimo per l’agricoltura: serve idrogeno per fare ammoniaca, e dunque sali di ammonio, quindi fertilizzanti. Con l’idrogeno, letteralmente, si mangia.

I colori dell’idrogeno: una questione di produzione

Sulla terra l’idrogeno deve essere prodotto, e qui cominciano i problemi perché per ottenerlo bisogna letteralmente staccarlo dalle molecole in cui è combinato. E farlo richiede energia, a volte tanta energia. Per descrivere in modo veloce in che modo l’idrogeno viene prodotto, si sono iniziati ad utilizzare i “colori”, sebbene non si tratti della tonalità reale dell’elemento, che è del tutto trasparente e, allo stato gassoso, invisibile all’occhio umano.

Nero. Una prima molecola da cui è possibile “staccare” l’idrogeno è quella dell’acqua. Tutti sappiamo, più o meno dalle elementari, che la molecola di acqua infatti è costituita da due atomi di idrogeno (H) e uno di ossigeno (O): la famosa H2O. Facendo attraversare l’acqua da un flusso molto potente di corrente elettrica, cioè usando un processo che si chiama elettrolisi, riesco a staccare i singoli atomi gli uni dagli altri e a ottenere idrogeno da una parte e ossigeno dall’altra. La questione è: come genero la (tanta) energia elettrica necessaria all’elettrolisi? Se la ottengo da centrali elettriche a carbone o a petrolio inquino. E tanto: per fare un 1kg di idrogeno con questa tecnologia serve una quantità di energia pari al fabbisogno di una famiglia media italiana per una intera settimana. Essendo molto inquinante, si identifica l’idrogeno prodotto in questo modo con il colore nero.

Grigio. La maggior parte dell’idrogeno prodotto, per la precisione ben il 97%, è grigio. Il processo tecnologico utilizzato è quello cosiddetto di reforming: si parte cioè non dall’acqua, ma dal metano – costituito da un atomo di carbonio e ben quattro di idrogeno (CH4) – o da altri idrocarburi. Durante questa operazione si libera in atmosfera molta anidride carbonica, la famigerata CO2 che, essendo inodore e incolore, non è mai stata un problema fino a qualche anno fa: l’abbiamo da sempre liberata in atmosfera senza grandi preoccupazioni andando a creare il disastro climatico che oggi iniziamo a percepire.

Marrone. È marrone l’idrogeno estratto mediante il processo di gassificazione del carbone fossile (lignite): anche qui, grande produzione di CO2 che viene liberata in atmosfera.

Blu. Viene definito blu l’idrogeno prodotto come quello grigio, mediante un procedimento che però non butta la CO2 prodotta direttamente in atmosfera, ma la cattura e la immagazzina: una buona idea, sulla carta. Nella pratica però non è così semplice: immagazzinare la CO2 ha un costo, non solo energetico, molto alto. Ad oggi, l’unico utilizzo è quello delle industrie petrolifere che usano questa anidride carbonica per il recupero secondario del petrolio: si spinge dentro i giacimenti la COcon l’obiettivo di fare affiorare il petrolio residuo dai pozzi che diversamente non sarebbero riusciti ad estrarre. Ma questo significa non disperdere in atmosfera la CO2 – generata per produrre idrogeno – per ottenere del petrolio che poi, bruciando, genera altra CO2 che viene dispersa in atmosfera. Un non-sense (in ottica green transition, non di certo da un punto di vista economico per l’industria petrolifera). E poi: per pompare anidride carbonica nei pozzi a 1000 metri di profondità serve energia: una centrale elettrica, e come viene alimentata? Se uso combustibili fossili, c’è un doppio non senso. Se uso le rinnovabili, beh, allora avrei potuto usarle direttamente inquinando meno. Quindi, il blu è un bellissimo colore, ma per l’idrogeno rappresenta solo una bella idea che nella pratica genera più problemi di quanti ne risolve.

Verde. L’idrogeno verde viene generato dall’acqua, come quello nero. Solo che, in questo caso, l’energia elettrica necessaria all’elettrolisi la ricavo non da fonti fossili, ma con l’energia rinnovabile come quella idroelettrica, solare o fotovoltaica. Per produrre idrogeno in questo modo, quindi, serve un surplus di rinnovabile. Attualmente l’Italia – che è tra i primi produttori europei di rinnovabile – ne produce il 40% rispetto al suo fabbisogno. Questo significa che la consumiamo tutta per l’ordinario e non ne “avanza” per produrre idrogeno verde.

Viola. L’idrogeno viola viene generato dall’acqua, come quello nero. Solo che, in questo caso, l’energia elettrica necessaria all’elettrolisi la ricavo non da fonti fossili, ma con energia nucleare. E dunque è necessario prevedere la realizzazione di centrali nucleari che, come sappiamo, sono molto efficienti, tecnologicamente avanzate, non producono anidride carbonica ma residui di lavorazione radioattivi molto difficili da smaltire e trattare e con un alto impatto sociale.

E una volta prodotto, l’idrogeno, come si distribuisce?

Qualunque sia la tecnologia che si utilizza per produrre idrogeno, con i pro e i contro che abbiamo provato a sintetizzare, l’idrogeno ha un altro problema molto serio: è difficile da stoccare e da trasportare. L’idrogeno è l’elemento più leggero in natura, ed è la molecola più piccola dell’universo. Per provare ad immagazzinarlo, attualmente, posso fare principalmente due cose:

·         potrei comprimerlo, ma dovrei portarlo a pressioni elevatissime e non è per niente banale (circa 700 bar) e metterlo in serbatoi;

·         potrei liquefarlo, ma per farlo dovrei essere in grado di portarlo – e mantenerlo – a meno 253 gradi sotto lo zero, quindi dovrei consumare tantissima energia. Non è un caso che ad oggi lo si possa fare solo per lo Space Shuttle.

© NASA Imagery – L’External Tank – Serbatoio Esterno – dello Space Shuttle contiene idrogeno e ossigeno liquidi utilizzati in fase di decollo.

Ci sono poi altre modalità di stoccaggio (sotto forma di ammoniaca, idruri metallici, utilizzando solidi altamente porosi, e via dicendo) ma in molti casi stiamo ancora parlando di ricerca di base non utilizzabile sul mercato. Di certo non è vero che già oggi lo si possa trasportare nelle condotte del metano attuali: in poco tempo andrebbe a corrodere le tubature esistenti, e bisognerebbe cambiare le valvole e i compressori che devono essere diversi da quelli utilizzati per il metano, infatti ne servirebbero di più potenti di almeno tre volte. Servono quindi test molto sofisticati per pensare alla rete distributiva dell’idrogeno e investimenti molto costosi da un punto di vista infrastrutturale.

Conclusioni temporanee

La via della transizione energetica non è banale ed è irta di ostacoli e difficoltà tecnologiche, sociali ed economiche. Lasciarsi fuorviare da semplificazioni “colorate”, che spesso nascondono insidie o interessi marcatamente di parte, è semplice ed è quanto i decisori politici devono assolutamente evitare. Non esiste, ad oggi, una chiara via da percorrere: vanno esplorate tutte con pazienza e buon senso per individuare quella migliore e raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione che ci si è prefissati. Allora, alcune riflessioni e qualche domanda:

·         la ricerca nel settore dello stoccaggio e della distribuzione di idrogeno è fondamentale e va finanziata: non ha senso per il nostro Paese o per l’Europa non investire in ricerca e poi acquistare tecnologia da terzi: cosa stiamo facendo in tal senso?

·         bisogna puntare in modo deciso alla elettrificazione spinta dei consumi finali, all’efficientamento e al recupero energetico, far sì che ci trasformiamo tutti in prosumer energetici. Ad oggi, le centrali termoelettriche convenzionali convertono circa il 30% dell’energia del combustibile in elettricità e il restante 70% viene perso in calore. Se a questo aggiungiamo la dispersione termica a valle (edifici, automobili, elettrodomestici, etc.) ci rendiamo conto dell’enorme assurdità che viviamo. Efficientare. Efficientare. Efficientare. Cosa si sta facendo in tal senso?

Per concludere: la fine dell’era del petrolio e l’avvento di una società dove l’energia per buona parte dell’umanità sarà ricavata dall’idrogeno è una intuizione abbastanza datata. Ne aveva parlato la prima volta Cesare Marchetti, ricercatore dell’International Institute for Applied Systems Analysis di Luxemburg negli anni ’70 del secolo scorso. E poi anche l’economista Jeremy Rifkin, in un suo libro di circa venti anni fa dal titolo “Economia all’idrogeno”, ne aveva descritto tutti gli aspetti positivi. Se però fosse stato così facile come Rifkin sosteneva, lo avremmo già fatto. Ma non è facile. Motivo per cui è necessario impegnarsi, come al solito, partendo dalla consapevolezza che il futuro non può che derivare da scelte politiche coraggiose basate sui dati, sulle evidenze, sulla scienza e la tecnologia. Lasciarsi suggestionare, dicendone di tutti i colori soprattutto sull’idrogeno, ci allontana da quello che dovrebbe essere il nostro vero obiettivo.

nella foto: Lignite. Viene utilizzata per produrre idrogeno cosiddetto “marrone”

Alcuni approfondimenti: - Strategia nazionale Idrogeno https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Strategia_Nazionale_Idrogeno_Linee_guida_preliminari_nov20.pdf

- Verso un mercato dell’idrogeno per l’Europa: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/12/11/towards-a-hydrogen-market-for-europe-council-adopts-conclusions/#

* da www.smartgreenpost.it - 8 Novembre 2021

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