30 giugno 2010

26 giugno a Milano: NO NUCLEARE DAY

23 giugno 2010

Milano, sabato 26 giugno NO NUCLEARE DAY



Piazza Fontana - ore 14 - 18

Manifestazione “gialla” non solo contro il nucleare ma anche sul nucleare


Manifestazione nata da cittadini che hanno voluto informarsi in maniera approfondita su rischi e vantaggi circa l'introduzione del Nucleare in Italia ed in seguito a questa ricerca, hanno sentito la necessità di organizzare una manifestazione, soprattutto informativa, per rendere la popolazione più consapevole sulla posizione da prendere nei confronti della prospettata reintroduzione del Nucleare.

Non ci saranno bandiere di partito in quanto la manifestazione è totalmente apartitica.
Le uniche bandiere che sventoleranno in piazza, saranno di colore GIALLO come GIALLO è il Sole, emblema dell'energia pulita.
TUTTI SONO INVITATI A PARTECIPARE VESTITI DI GIALLO, PORTANDO CON SE' QUALCOSA DI GIALLO

Si avvicenderanno sul palco interventi informativi da parte di Ingegneri Nucleari, Docenti di Economia, Medici, Ecologisti ed Attivisti che illustreranno anche quali sono le alternative ecosostenibili esistenti che permettono di produrre l'energia di cui abbiamo tanto bisogno.

Utilizzando Vento, Acqua e Sole, è scongiurato il pericolo della produzione di Scorie Nucleari, estremamente pericolose, che a tuttoggi sono un problema irrisolvibile in quanto, in tutto il mondo, non è stato ancora trovato il sistema per smaltirle o per rendere inefficace la loro attività che ha la durata di migliaia di anni.

Adesioni :
MAN (Associazione Mediterranea per la Natura ), Medicina Democratica, MSGV ( Mondo Senza Guerre e senza Violenza ), Greenpeace ( gruppo di Milano ), Fare Verde, Legambiente, Amici Della Terra Lombardia, LAV Nazionale

info :
anna_across_the_universe@aol.it, * lykos@hotmail.it, * info@eticaforum.com 348 7046504 349 7909282 lykos@hotmail.it annanonucday@aim.com Etica Forum Facebook

Tony TROJA aprirà con la sua musica e la sua satira, ed agirà tra un intervento e l'altro

interventi:

Michele BORTOLUZZI - Referendum - Edf Francese - Legge 99 per le centrali di 3a generazione: irrazionale, antidemocratico, inutilmente costoso

Alfonso NAVARRA - Militare - Le Potenze con capacità Nucleari

Marco MASINI - L'Economia del Nucleare - Esperimenti su come dal mare si può estrarre l'uranio per applicazioni nucleari - 4a generazione

Lino BALZA - L'eredità nucleare (depositi di scorie) come emergenza da affrontare - Ricorso Bosco Marengo

Maurizio BARDI - Danni alla salute dalle radiazioni - Autodeterminazione delle popolazioni nelle scelte riguardanti la salute

Emanuela FUMAGALLI - Cos'è il Plutonio (c'è in natura ?) - Ingredienti per fare la bomba atomica

Fiorello CORTIANA - A che punto siamo ? Dalla voluta opacità e Controllo alla Trasparenza e Partecipazione : la conversione ecologica è possibile.

Michele BOATO - Energie rinnovabili - Confronto tra i costi veri del Nucleare con quelli del Fotovoltaico

Gianpaolo PERSOGLIO - All'Italia non serve l'Energia Nucleare - Promozione dell'efficienza e del risparmio enegetico - Nuove tecnologie

Bruno APRILE - Referendum abrogativo quale strumento di Democrazia Diretta - Diritti dei Cittadini

Mario AGOSTINELLI - Scontro Impresa/Lavoro - Ambiente


Claudio MESSORA : Effettuerà una serie di interviste da realizzare nel corso della giornata e da pubblicare poi sul Blog Byoblu

22 giugno 2010

I beni comuni per una cittadinanza condivisa


di Fiorello Cortiana

Il disastro nel Golfo del Messico, il sorpasso triste della guerra all’integralismo in Afghanistan sui 103 mesi di conflitto nel Viet-Nam, la profonda recessione che accompagna la ridefinizione degli equilibri e delle geografie della globalizzazione, le migrazioni generate dagli squilibri planetari, sono nodi critici venuti al pettine all'inizio di questo terzo millennio. Essi sono in gran parte figli della separazione e anche della antinomia tra sapere e sapienza, cioè tra la dimensione calcolabile e codificata del lavoro cognitivo e quella legata a pratiche ed esperienze dell'attività umana la cui efficacia era verificata nella quotidianità di comunità. Così presi dall'affanno sociale individuale, dal potere terreno del sacro e delle ideologie, gli uomini non hanno occhi per riconoscere l’ambiente naturale, la qualità sociale e una cultura dei diritti condivisa come condizioni essenziali per la vita della specie umana sulla terra. Questa carenza impedisce il riconoscimento dei beni comuni come tali. Il ripetuto richiamo del Presidente Napolitano alla coesione sociale come elemento qualificante della democrazia repubblicana richiede di riconoscere la Costituzione ed i suoi principi come un Bene Comune. Così come l’affermazione del presidente della Camera Fini a difesa del principio di legalità e dell’appello lanciato da Stefano Rodotà affinché le libertà costituzionali non siano disponibili per nessuna maggioranza.

Cosa sono dunque i “beni comuni”? Sono le risorse naturali (aria, acqua, biodiversità), quelle culturali, gli alfabeti e le grammatiche, digitali e non, i linguaggi espressivi (musica, danza, teatro,fotografia, cinema, letteratura) e le loro narrazioni, le reti degli ecosistemi così come le reti digitali per la conoscenza. Così come le regole, le norme, che li riconoscono e li garantiscono nella disponibilità diffusa, di queste e delle future generazioni. Sono beni il cui accesso è aperto, senza discrezionalità discriminanti che ne pregiudicherebbero la titolarità e quindi disponibilità diffuse. Quello dei beni Comuni è un campo aperto entro il quale si ridefinisce una cultura della cittadinanza condivisa in armonia con il vivente e quindi un’etica della responsabilità. Per questo si rende necessaria una relazione interdisciplinare che interessa l’ecologia come la biologia, l’economia, come l’epistemologia, la filosofia come il diritto, l’antropologia come la sociologia. Ad un tempo si rende necessario l’incontro ed il confronto tra i diversi interessi che hanno a che fare con i beni comuni, con la loro gestione, la loro conservazione, la loro distribuzione, il loro accesso. Siano interessi imprenditoriali, degli utenti/consumatori, dei regolatori, dei garanti. Non ci sono piani separati o logiche sequenziali, un unico e convulso processo, ci chiede di adeguare i nostri strumenti interpretativi per fare i conti con questioni inedite, per la loro dimensione o per la loro natura.

In questo inizio di millennio la libertà significa una partecipazione informata a questo processo, perché di fronte a questioni nuove indubbiamente sono in gioco interessi particolari ad esse legati, ma le verità precostituite che hanno accompagnato i conflitti dello scorso secolo sono palesemente senza efficacia se non esse stesse parte dei problemi da affrontare. Nel secondo dopoguerra la cultura repubblicana e il suo dispiegarsi nel conflitto sociale e nelle innovazioni legislative, anno dopo anno, generazione dopo generazione, ha costituito il comun denominatore per tutte le famiglie politiche, indipendentemente dalla narrazione ideologica di partenza. Dopo le ideologie è in crisi l’idea di politica direttamente partecipata e con essa la coesione sociale; oggi la risignificazione della politica per una politica pubblica rispondente ad interessi generali e la ridefinizione di un comun denominatore passano per il riconoscimento e la condivisione dei “beni comuni”, fisici e non, che ci circondano.

C’è una straordinaria riserva di umanità presente nelle centinaia di migliaia di esperienze della sussidiarietà che chi ha la titolarità di rappresentanza politico-istituzionale sbaglierebbe a considerare come votata a logiche auto-compensative o come bacino di scambio elettorale. Per la prima volta nel nostro Paese l’aumento dell’astensionismo elettorale si sta prefigurando come separatezza dalla cosa pubblica e dalla presa di parola nel suo discorso: ciò non prospetta nulla di positivo per la qualità della democrazia e delle classi dirigenti. Eppure proprio in questa assunzione di responsabilità sussidiaria possiamo trovare risorse e approcci culturali utili alla ricostituzione di una comunità e di una cittadinanza condivise. Qui il dono agli altri di tempo o di risorse cognitive, non si configura come caritatevole cessione di quello che risulta superfluo ad una sobrietà esistenziale ed estetica. Molto più frequentemente il dono si configura come condivisione, condivisione di conoscenza e di pratiche, “know-how”. Qui in luogo dell’utilitarismo individualista funziona con efficacia il principio di equità che Salvatore Veca ben definisce: “ l’idea è che ciascun vantaggio o bene sociale primario di cittadinanza deve essere distribuito egualmente, a meno che una qualche ineguaglianza nella sua distribuzione non vada a vantaggio di chi è più svantaggiato”.

Insieme al principio di libertà di partecipazione informata, quindi di accesso non discriminato alla conoscenza e all’informazione a partire dalla propria identità e dalla sua gestione digitale, l’equità contribuisce a ricostituire il patto sociale e civile. Anche tra generazioni con prospettive previdenziali e di welfare differenti e anche contrastanti. La condivisione, di conoscenza, di diritti, dei beni comuni diventa una condizione per produrre valore, sociale, economico e politico. Ecco, quindi l’importanza della qualità delle connessioni e delle relazioni. Qui l’affermazione evangelica del cardinal Martini “Ogni uomo è mio fratello” o quella di Hannah Arendt sulla “gioia di essere con l’altro” ci offrono una chiave per rivolgerci all’ “altro da sé” non verso una alterità assoluta, ma verso una reciprocità possibile. Così da guardare agli straordinari cambiamenti prodotti dall’innovazione nel mondo non come ad una minaccia da neutralizzare o da ridurre, bensì come ad un’opportunità da cogliere.

Per questo beni comuni come la legalità e la partecipazione,l’informazione e l’acqua, vanno riconosciuti e garantiti agli attuali ed ai futuri cittadini con una cultura dei diritti e dei doveri adeguata, indisponibili ad essere relativizzati. La loro funzione, la loro disponibilità sono cruciali se vogliamo vivere la drammaticità dei nodi ambientali e sociali non come catastrofe ma come occasione per il cambiamento. I Beni Comuni sono al crocevia delle grandi questioni che interessano il mondo e ne costituiscono l'orizzonte da svelare, per questo devono essere presenti nell’agenda pubblica e solo la presenza e lo sviluppo di un’opinione pubblica avvertita può consentire di non derubricarli a questioni accademiche collaterali.

“Ecopax”: il binomio di Alexander Langer costruttore di ponti, a 15 anni dalla sua morte


di Marco Boato

Qualche mese fa, il quotidiano ecologista Terra ha ricordato Alexander Langer in coincidenza con quello che sarebbe stato il suo sessantaquattresimo compleanno, se non fosse morto suicida il 3 luglio 1995: era nato infatti il 22 febbraio 1946 a Vipiteno/Sterzing. C’è chi, avendolo ben conosciuto, ha provato una forte emozione nel vedere in prima pagina quell’inconsueto, ma singolare e felice augurio postumo. E c’è anche chi, non avendo avuto la fortuna di incontrarlo personalmente, anche per ragioni generazionali, si è interrogato forse per la prima volta sulla figura e la storia di questo straordinario protagonista della seconda metà del ventesimo secolo in Trentino-Alto Adige/Südtirol, in Italia, in Europa e anche in tante altre regioni del Pianeta, dove ha lasciato un segno indelebile nella memoria di molti.

Tra i numerosi libri pubblicati dopo la sua tragica morte - per chi non li avesse già letti e desiderasse meglio conoscerlo - vorrei suggerire l’antologia più completa dei suoi scritti, non dal punto di vista quantitativo, ma per la capacità di selezionare in modo equilibrato i molteplici aspetti della sua personalità e della sua multiforme attività e riflessione: Alexander Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, a cura di Edi Rabini, Sellerio, Palermo, prima edizione 1996 (ma più volte ristampato). Tre anni fa, inoltre, è stata pubblicata la sua biografia più completa e documentata: Fabio Levi, In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1995), Feltrinelli, Milano, 2007. Da ultimo, segnalo la vastissima raccolta di testimonianze, scritte e pubblicate prevalentemente nell’immediatezza della sua morte e riunite in un unico volume nel decennale della sua scomparsa: Marco Boato (a cura di), Le parole del commiato. Alexander Langer dieci anni dopo. Poesie, articoli, testimonianze, Edizioni Verdi del Trentino, Trento, 2005 (info@verdideltrentino.org).

Purtroppo Alex è morto per scelta volontaria il 3 luglio 1995. Quindici anni dopo, la sua figura continua ancor oggi a segnare in modo emblematico la storia dell’ecologismo italiano ed europeo, e non solo. Scomparso a quarantanove anni, molte sue intuizioni sono rimaste di una attualità sorprendente, molte sue iniziative sono ancora oggi vive e vitali, la sua eredità spirituale, culturale e politica è ormai patrimonio comune - al di là di ogni confine ideologico - di intere generazioni, non solo in Trentino e in Alto Adige/Südtirol, ma nell’Italia intera, in Europa e in molti altre paesi del mondo che lui, da vivo, aveva attraversato e percorso in lungo e in largo. Le molte testimonianze su di lui - provenienti dai mondi politici, culturali, religiosi più diversi - che avevo raccolto, nel decennale della sua morte, nel citato volume Le parole del commiato, risuonano ancor oggi con una immediatezza impressionante, come in una sorta di collegiale e solidale elaborazione del lutto.


Alexander Langer è stato “costruttore di ponti”: tra etnie e gruppi linguistici, tra identità ideologiche diverse, tra le differenze di genere, tra partiti e società, tra Nord e Sud e tra Est e Ovest del mondo, tra uomo e natura, tra la pace e l’ambiente. “Ecopax”, appunto: questo è il binomio che meglio sintetizza la sua personalità umana, la sua instancabile attività politica ed elaborazione culturale. In alternativa agli ideologismi astratti, si è fatto promotore di “utopie concrete”, fondando anche la “Fiera delle utopie concrete” a Città di Castello. Rifiutando ogni forma di fondamentalismo, si è fatto sostenitore della “conversione ecologica”, dove l’ecologismo supera i pur necessari aspetti tecnici e scientifici, per assumere anche una forte dimensione etica, culturale e spirtuale. Superando i muri delle barriere etniche e linguistiche, si è fatto protagonista e artefice della “convivenza”, non solo nel suo Sudtirolo, ma in tutte le realtà europee ed internazionali nelle quali le differenze etnico-linguistiche si sono trasformate in fonti di separazione e contrapposizione, anziché in occasioni di arricchimento reciproco e di esperienza multi-culturale. Di fronte alla disperazione esistenziale, al catastrofismo fondamentalista e al pacifismo meramente ideologico, ha cercato di essere “portatore di speranza” - Hoffnungsträger, per usare una espressione tedesca a lui molto cara – e autentico “costruttore di pace”.

Aveva scritto nel 1991: “Oggi, soprattutto in campo ambientale, è tutta una profezia di sventura. C’è a volte il rischio di essere catastrofisti e di terrorizzare la gente, la qual cosa non sempre aiuta a cambiare strada, ma può indurre a rassegnarcisi. Piuttosto bisogna indicare strade di conversione, se si vogliono evitare ragionamenti come ‘dopo di noi il diluvio’, ‘tanto è tutto inutile e la corsa è disperatamente persa’, ‘se io non inquino, ce ne sono mille altri che invece lo fanno’ ”.

Qualche anno dopo, nel 1994, ha scritto un testo più sistematico sulla “conversione ecologica”, affermando in particolare: “La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Lentius, profundius, suavius, al posto di citius, altius, fortius. La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta”.


Prima di morire, ai piedi di un albicocco al Pian de’ Giullari, nella collina di Firenze (città dove si era laureato in giurisprudenza con Paolo Barile e dove aveva conosciuto padre Ernesto Balducci, Giorgio La Pira e, non lontano, a Barbiana, don Lorenzo Milani), ha scritto queste estreme parole, in tedesco: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto” (“Seid nicht traurig, macht weiter, was gut war”). In realtà, i moltissimi che l’hanno conosciuto e amato, sono ancor oggi tristi per la sua scomparsa, pur ormai a quindici anni dalla sua morte. Ma il modo migliore per ricordarlo a tutti - e in particolare ai più giovani, che non l’hanno potuto conoscere di persona, ma possono ricostruirne e ripercorrerne le tracce di un cammino così ricco e fecondo - è davvero quello di raccogliere il suo monito estremo e di “continuare in ciò che era giusto”.

In uscita su: UCT (Uomo Città Territorio), direttore Sergio Bernardi, numero di giugno- luglio 2010

20 giugno 2010

Elezioni Olanda, vincono i Liberali conservatori, aumentano i Verdi


di Massimo Marino

Il partito Liberale conservatore (Vvd) di Mark Rutte è il vincitore delle elezioni politiche olandesi del 10 giugno , con 31 seggi contro i 30 del partito Laburista guidato da Jacob Cohen; terza forza il movimento xenofobo del Partito della Libertà (Pvv) di Geert Widers, passato da 9 a 24 deputati, il miglior risultato della sua storia. Sconfitti i Cristiano-democratici del premier uscente Jan Peter Balkenende, (passati dal 26,5 al 13,6% ) che ha annunciato il suo abbandono della politica.
Un buon risultato per i Verdi (Groenlinke) passati dal 4,6 al 6,7% e da 7 ad 10 seggi (con altri 2 seggi al Partito degli Animali) rispetto al 2006, sul totale dei 150 della Camera Bassa, con una vivace campagna elettorale tutta basata sul passaggio ad una economia eco-orientata .


Il risultato rende difficile una coalizione, che richiede almeno 76 seggi ed esistono parecchie differenze tra i vari partiti su aspetti fondamentali quali economia ed immigrazione.
Il programma liberale prevede tagli alla spesa pubblica per 20 miliardi di euro per ridurre a zero il deficit pubblico entro il 2015, il dimezzamento del numero dei Ministri e l’innalzamento dell’età pensionabile dagli attuali 65 anni a 67. Il programma laburista prevede il taglio di 10 miliardi di euro della spesa pubblica, l'investimento di 2 miliardi di euro nell'istruzione da qui al 2015, l'aumento della pressione fiscale sui redditi alti. Il Pvv (nazionalisti xenofobi) vuole proibire del tutto l’immigrazione dai paesi musulmani e vietare la costruzione di nuove moschee.
I Paesi Bassi sono una monarchia costituzionale e dal 2007 il sovrano è la regina Beatrice. La coalizione uscente era composta dai cristiano-democratici (CDA), dal partito PvdA (laburisti) e dal partito ChristenUnie.

La Camera Bassa (Tweede Kamer) è la più importante, ed è composta di 150 membri eletti con sistema proporzionale ogni 4 anni.
La Camera Alta (Eerste Kamer) è composta di 75 membri eletti dalle 12 assemblee legislative delle province ( a loro volta suddivise in 483 municipalità, gemeenten ). La Camera Alta non può proporre od emendare la legislazione, ma può solo confermare (o respingere) le leggi approvate dalla Camera Bassa.
La costituzione,modificata nel 2002 prevede anche un Consiglio di Stato (Raad van State) composto da membri della famiglia reale e da membri esterni nominati dalla Corona (ovvero dal sovrano e dal governo). Il governo deve consultare il Consiglio di Stato prima di sottoporre leggi al parlamento.
Per il ruolo fondamentale che la regolazione delle acque riveste per il paese, esso è anche diviso in 37 distretti per la loro gestione; il Consiglio del distretto (waterschap o hoogheemraadschap) viene anch’esso eletto con regolari elezioni ed esiste da più di 900 anni.

L'Olanda ha 27 membri nel Parlamento europeo fra i quali 4 Verdi ( Paul van Buitten , Kathalijne Maria Buitenweg ,Elly de Groen-Kouwenhoven ,Joost Lagendijk ).
E’ membro della NATO dal 1949 , ha inviato truppe di peacekeeping dell'ONU in Bosnia , mentre nel 2005 ha ritirato a causa delle contestazioni interne i 1.000 uomini mandati in Iraq. E’ fra i più generosi elergitori di aiuti ai paesi del Terzo Mondo, con un contributo annuale fra 0,6% e 1% (la media dei paesi sviluppati è circa 0,25%).
Non è escluso ,data la difficolta a costruire una maggioranza sia di centro-destra che di centro-sinistra, che la Regina indica nuove elezioni.

Il bambino inquinato: metropoli e malattie respiratorie in età pediatrica


Una recente indagine epidemiologica condotta su tutto il territorio nazionale su una numero elevato di soggetti ha dimostrato che il 6% dei bambini in età prescolare può essere definito bambino con IRR (infezioni respiratorie ricorrenti), vale a dire che presenta più di 6 infezioni respiratorie/anno o più di 1 infezione/mese nel periodo di massima esposizione che va da ottobre a febbraio e che il numero di bambini affetti da asma bronchiale negli ultimi decenni è globalmente in aumento ( in Italia si calcola che la percentuale è destinata a sorpassare la soglia del 10%: un bambino su dieci). Ricerche epidemiologiche dimostrano inoltre che l’esposizione alle particelle inquinanti modifica la suscettibilità dei bambini agli allergeni, contribuendo all’insorgere di rinite allergica e asma. L’asma, costringendo a modificare stile di vita e seguire terapie complesse e costose per lunghi periodi di tempo, influenza pesantemente la vita del bambino e della sua famiglia. Si parla di una vera e propria malattia sociale.

Dato ancor più preoccupante ci viene da un’indagine OMS, su dati relativi agli ultimi anni novanta, che valuta in circa 700 all’anno i decessi di bambini di età compresa fra 0 e 4 anni, dovuti a infezioni respiratorie acute attribuibili all’esposizione a PM10. A Torino, come in tutte le grandi città europee dove si effettua il monitoraggio del PM10, il 90% delle persone, bambini compresi, sono esposte a livelli maggiori da quelli indicati dall’OMS (20 μg/m3) e addirittura il 13% vive in luoghi dove viene superato il valore massimo dei 40 μg/m3. L’albero respiratorio del bambino è più fragile e suscettibile agli agenti inquinanti sia per ragioni di immaturità immunitaria che per ragioni di immaturità funzionale e fisiologica. Immaturità ed inesperienza immunologica sono legate alla fisiologica soppressione dei meccanismi immunitari che il bambino conserva fino ai due anni di vita, ricordo sia del trattato di non aggressione immunologica stretto con la madre durante la gravidanza sia della necessità di sviluppare tolleranza verso il self, l’ambiente che lo circonda. Il dato trova conferma anche nei soggetti adulti là dove, come dimostra una recente ricerca condotta dalla società Nomisma, che riporta i dati sui valori medi di concentrazione di polveri sottili nel triennio 2006-2008 delle prime 15 città italiane per popolazione da cui si desume che, oltre a Roma (40,4), le performance peggiori sono concentrate nelle città del Nord.

Questa situazione, determina gravi patologie sanitarie che, nelle 15 città italiane più popolate fa stimare all'istituto bolognese di ricerca '5.876 decessi all'anno" prodotti da elevate concentrazioni di PM10. Di questi decessi, "534 sono riferibili ai tumori maligni della laringe, della trachea, dei bronchi e dei polmoni", mentre "se si considerano gli effetti acuti relativi a malattie del sistema circolatorio e respiratorio" il numero sale a 953. Un ulteriore dato parziale riferito alle città di Milano, Roma e Bologna dimostra che sommando i costi per ricoveri ospedalieri con gli extra costi delle terapie, perdita ore di lavoro e calo della produttività si raggiungono in totale 6,4 milioni di euro solo per queste tre città. Nei bambini le patologie respiratorie risultano pertanto CAUSATE dall’inquinamento atmosferico e non solo rese più acute dai fumi cittadini. Questo è anche quanto stabilito dall’ENHIS (European Environment and Healt Information System), nel documento dal titolo “Exposure of children to air pollution in autdoor air”, pubblicato il 20 ottobre 2008. Non solo: il dato più inquietante è che anche i feti sono sensibili all’inquinamento atmosferico.

L’evidence attuale dimostra che i decessi per disturbi respiratori nel periodo neonatale possono avere una relazione causale con l’inquinamento dovuto alle polveri sottili, capaci di effetti negativi sullo sviluppo funzionale del polmone durante la vita fetale. Sono quindi necessari interventi sulla mobilità urbana ed extraurbana che riducano drasticamente la presenza del traffico veicolare nelle città, che favoriscano solo mezzi pubblici a bassissimo impatto (metropolitane) e controlli sulle emissioni dei camini e dell’industria, mentre occorre proseguire con le piste ciclabili, il bike sharing e le pedonalizzazioni non solo nei centri storici. I dati riferiti agli anni 1998-2002 e pubblicati nel 2008 (Registri Tumori (AIRTUM): I tumori infantili Rapporto 2008 http://www.registri-tumori.it/PDF/AIRTUM2008Infantili/E&P2S_024_art1.pdf) evidenziano come i tassi di incidenza per tutti i tumori infantili nel loro complesso sono mediamente aumentati nel nostro paese del 2% all’anno, passando da 146.9 nuovi casi all’anno (ogni milione di bambini) nel periodo 1988-92 a 176 nuovi malati nel periodo 1998-2002.

Ciò significa che in media, nell’ultimo quinquennio, per ogni milione di bambini in Italia ci sono stati 30 nuovi casi in più rispetto alla media europea. La crescita è statisticamente significativa per tutti i gruppi di età e per entrambi i sessi. In particolare nei primi 12 mesi di vita l’incremento è addirittura del 3.2% annuo. Tali tassi di incidenza in Italia sono nettamente più elevati di quelli riscontrati in Germania (141 casi 1987-2004), Francia (138 casi 1990-98), Svizzera (141 casi 1995-2004). Il cambiamento percentuale annuo risulta più alto nel nostro paese che in Europa sia per tutti i tumori (+2% vs 1.1%), che per la maggior parte delle principali tipologie di tumore; addirittura per i linfomi l’incremento è del 4.6% annuo vs un incremento in Europa dello 0.9%, per le leucemie dell’ 1.6% vs un + 0.6% e così via.

Luisella Zanino, Pediatra di Famiglia, ISDE Torino – luisella.zanino@gmail.com


17 giugno 2010

Ma l'alternativa a Marchionne c'è


di Guido Viale


……….Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano.

Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione.

Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai.

Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia.

Dunque il «piano A» non è un piano e non si farà. L'alternativa in realtà c'è, ed è il «piano B». Se a chiudere non sarà Pomigliano, perché Marchionne riuscirà a farsi finanziare da banche e governo (che agli «errori» delle banche può sempre porre rimedio: con il denaro dei contribuenti) i 700 milioni di investimenti ipotizzati e a far funzionare l'impianto - cosa tutt'altro che scontata - a cadere sarà qualche altro stabilimento italiano: Cassino o Mirafiori. O, più probabilmente, tutti e tre. La spiegazione è già pronta: il mercato europeo non «tirerà» come si era previsto

Hai voglia! Il mercato europeo dell'auto è in irreversibile contrazione; l'auto è un prodotto obsoleto che nei paesi ad alta intensità automobilistica non può che perdere colpi: «tirano», per ora, solo i paesi emergenti - fino a che il disastro ambientale, peraltro imminente, non li farà recedere anch'essi - ma le vetture che si vendono là non sono certo quelle che si producono qui: né in Italia né in Polonia.

Anche se la cosa non inciderà sulle scelte dei prossimi mesi, è ora di dimostrare che non è vero che non c'è alternativa. L'alternativa è la conversione ambientale del sistema produttivo - e dei nostri consumi - a partire dagli stabilimenti in crisi e dalle fabbriche di prodotti obsoleti o nocivi, tra i quali l'automobile occupa il secondo posto, dopo gli armamenti. I settori in cui progettare, creare opportunità e investire non mancano: dalle fonti di energia rinnovabili all'efficienza energetica, dalla mobilità sostenibile all'agricoltura a chimica e chilometri zero, dal riassetto del territorio all'edilizia ecologica. Tutti settori che hanno un futuro certo, perché il petrolio costerà sempre più caro - e persino le emissioni a un certo punto verranno tassate - mentre le fonti rinnovabili costeranno sempre meno e l'inevitabile perdita di potenza di questa transizione dovrà essere compensata dall'efficienza nell'uso dell'energia. L'industria meccanica - come quella degli armamenti - può essere facilmente convertita alla produzione di pale e turbine eoliche e marine, di pannelli solari, di impianti di cogenerazione. Poi ci sono autobus, treni, tram e veicoli condivisi con cui sostituire le troppe auto, assetti idrogeologici da salvare invece di costruire nuove strade, case e città da riedificare - densificando l'abitato - dalle fondamenta.

Ma chi finanzierà tutto ciò? Se solo alle fonti rinnovabili fosse stato destinato il miliardo di euro che il governo italiano (peraltro uno dei più parsimoniosi in proposito) ha gettato nel pozzo senza fondo delle rottamazioni, ci saremmo probabilmente risparmiati i due o tre miliardi di penali che l'Italia dovrà pagare per aver mancato gli obiettivi di Kyoto. Ma anche senza incentivi, le fonti rinnovabili si sosterranno presto da sole e i flussi finanziari oggi instradati a cementare il suolo, a rendere irrespirabile l'aria delle città, impraticabili le strade e le piazze, a riempirci di veleni per rendere sempre più sterili i suoli agricoli, a sostenere un'industria delle costruzioni che vive di olimpiadi, expo, G8, ponti fasulli e montagne sventrate potranno utilmente essere indirizzati in altre direzioni. È ora di metterci tutti a fare i conti!

Ma chi potrà fare tutte queste cose? Non certo il governo. Né questo né - eventualmente - uno di quelli che abbiamo conosciuto in passato; e meno che mai la casta politica di qualsiasi parte. Continuano a riempirsi la bocca con la parola crescita e stanno riportandoci all'età della pietra.

La conversione ecologica si costruisce dal basso «sul territorio»: fabbrica per fabbrica, campo per campo, quartiere per quartiere, città per città. Chi ha detto che la programmazione debba essere appannaggio di un organismo statuale centralizzato e non il prodotto di mille iniziative dal basso? Chiamando per cominciare a confrontarsi in un rinnovato «spazio pubblico», senza settarismi e preclusioni, tutti coloro che nell'attuale situazione non hanno avvenire: gli operai delle fabbriche in crisi, i giovani senza lavoro, i comitati di cittadini in lotta contro gli scempi ambientali, le organizzazioni di chi sta già provando a imboccare strade alternative: dai gruppi di acquisto ai distretti di economia solidali. E poi brandelli di amministrazioni locali, di organizzazioni sindacali, di associazioni professionali e culturali, di imprenditoria ormai ridotta alla canna del gas (non ci sono solo i «giovani imprenditori» di Santa Margherita); e nuove leve disposte a intraprendere, e a confrontarsi con il mercato, in una prospettiva sociale e non solo di rapina.

Il tessuto sociale di oggi non è fatto di plebi ignoranti, ma è saturo di intelligenza, di competenze, di interessi, di saperi formali e informali, di inventiva che l'attuale sistema economico non sa e non vuole mettere a frutto.

Certo, all'inizio si può solo discutere e cominciare a progettare. Gli strumenti operativi, i capitali, l'organizzazione sono in mano di altri. Ma se non si comincia a dire, e a saper dire, che cosa si vuole, e in che modo e con chi si intende procedere, chi promuoverà mai le riconversioni produttive?


(da Il Manifesto )

10 giugno 2010

Colombia - 20 giugno: Il verde Mockus al ballottaggio ma prevarrà Santos


di Massimo Marino

Il candidato della destra Santos ha ottenuto il 47% dei voti contro il 22% del verde Mockus alle elezioni del 30 maggio. Lontani gli altri candidati:10 % per il secondo conservatore in gara, German Vargas, davanti al candidato della sinistra, Gustavo Petro fermo al 9%.
Il prossimo 20 giugno Santos e Mockus andranno al ballottaggio.


Maria Camila, studentessa universitaria, non usa mezze parole per definire il momento storico: "é l'ultima opportunitá che la mia generazione offre ai nostri genitori. Mockus é la rottura netta con la politica che si é portata avanti per interi decenni, con i risultati tragici che tutti conoscono, e molti nascondono. Se questo Paese non saprá invertire la rotta, significa semplicemente che non é il Paese in cui costruire un futuro. E l'unica alternativa possibile, per quei giovani colombiani che si stanno impegnando in prima linea con il Partido Verde, sará la fuga".

Il successo dell’ex ministro della difesa, è indicato nel rilancio di investimenti nel paese, nella dura repressione dei ribelli, nella lotta alle Farc, nella cosiddetta “ sicurezza percepita “ dalla popolazione oltre che nel permanere dell’assenteismo elettorale e nelle intimidazioni che in varie parti del paese fino all’ultimo giorno della campagna elettorale hanno esercitato i gruppi paramilitari ( 'Aguilas Negras', 'Los Rastrojos' e 'Bloque Capital' ) in particolare contro esponenti di Ong e associazioni che si occupano della tutela dei diritti umani e della giustizia sociale nel paese.


Delusione in casa del verde ed ex-sindaco di Bogotà, Antanas Mockus: specie per la risposta dei giovani da cui si attendeva un sostegno massiccio. “Mockus ha ottenuto un risultato che sembrava impensabile fino a due mesi fa” è il commento dei giornali e dei commentatori: 3,1 milioni di voti contro i 6,8 milioni incassati da Santos sembrano comunque un distacco insuperabile anche perché Mockus ha deciso che per il ballottaggio i Verdi non faranno accordi formali con nessuno. Mockus spera nell’appoggio spontaneo degli elettori di Germán Vargas ( Cambio radical ) per capovolgere il temuto esito. Alcuni sondaggi danno però Santos sopra il 60%. In ogni caso si tratta della prima nazione del mondo dove un movimento politico ecologista potrebbe arrivare vicino al 40% del voto popolare.

5 giugno 2010

ECO FEMMINISMO - Lotte e Diritti


di Ynestra King


Tra la metà dell’800 e per tutto il ‘900 i movimenti femministi hanno abbattuto molte barriere, trasformando la vita delle donne e contribuendo a cambiamenti sociali e politici più vasti, per il miglioramento della condizione femminile e del progresso della società. In una prima fase, il movimento femminista puntò al conseguimento dei diritti già in possesso degli uomini: il diritto di cittadinanza, il diritto di voto, il diritto di accedere a servizi sociali, quali l’educazione e la sanità.
Le prime femministe statunitensi introdussero nella loro “Dichiarazione dei sentimenti” (1848) un appello per l’immediata concessione del voto alle donne. 72 anni dopo, un emendamento della Costituzione conferì alle donne il suffragio nazionale nel 1920. Le donne hanno combattuto per pari opportunità lavorative, facendo intense campagne contro le leggi che limitavano la loro occupazione e i loro stipendi, nonché sostenendo la sindacalizzazione delle lavoratrici. Nel 1914 in Germania erano iscritte al Partito Democratico Socialista circa 175.000 donne. Nelle Filippine, in India e in altri paesi, le donne hanno attivamente fatto parte di organizzazioni contadine o di movimenti operai, dal 1930 in poi.
La Norvegia negli anni ’70 ha approvato una legislazione per la parità di retribuzione dopo le forti pressioni esercitate dal movimento nazionale delle donne e dal comitato femminile del Partito Laburista. In molti paesi, le donne si sono impegnate per il riconoscimento sociale dei diritti pubblici e privati, soprattutto i diritti alla maternità e pari diritti nel divorzio, nella successione e nella retribuzione.


Dalla metà del ‘900 in poi, la paura di una catastrofe ambientale si è sviluppata in ogni fascia sociale. L’Umanità per decenni ha subito la minaccia di guerra nucleare planetaria, e i mille e più esperimenti atomici, condotti dalle superpotenze, hanno rappresentato l’affacciarsi anche di ulteriori angosce ecologiche.
La grande paura della contaminazione radioattiva, che non conosce confini e che coinvolge tutti, è stato l’impulso delle prime forme di contestazione del movimento ambientalista. La culla del moderno ecologismo è negli Usa. L’opinione pubblica americana, già presa dalla contestazione alla guerra del Vietnam, dalle battaglie per i diritti civili, per i diritti dei neri era pronta a recepire anche altre istanze di protesta.


Un “documento storico” dell’ambientalismo mondiale è rappresentato dal libro “Primavera silenziosa”, edito nel 1962 dalla biologa americana Rachel Carson, che previde con forte anticipo sui tempi gli effetti delle tecniche impiegate in agricoltura, dell'uso degli insetticidi chimici, e di sostanze velenose, inquinanti, cancerogene o letali, sull'uomo e sulla natura. Dopo la pubblicazione dell'opera, il Ddt è stato vietato e si sono presi una serie di provvedimenti legislativi in materia di tutela ambientale. L'appassionato impegno, per evitare che la primavera scompaia dalla faccia della Terra, lo scrupoloso rispetto della verità e il coraggio personale della sua autrice sono serviti da modello nella lotta per la difesa dell'ambiente in tutto il mondo, e la Carson può essere considerata la madre del movimento ambientalista.
In tutte le società, le donne hanno dimostrato la loro sensibilità sulle grandi minacce alle risorse naturali e spesso sono state tra le prime a far sentire la loro voce.


Nel corso degli anni, i gruppi femminili\femministi hanno continuato a richiedere l'adozione di politiche e pratiche che non mettessero a rischio la salute ed il benessere delle generazioni future. L'ecofemminismo compare negli anni '60 negli Stati Uniti come elaborazione culturale degli obiettivi di due movimenti: quello di liberazione della donna e quello ecologista. Il suo scopo è quello di proporre una connessione tra l'oppressione delle donne e quella della natura nella società occidentale basata sulla logica del dominio e dello sfruttamento. Il modello ecologico e l'etica ad esso associata permettono un'interpretazione critica dell'avvento della scienza moderna che ha trasformato la terra da organismo a meccanismo.


L'ecofemminismo trae spunto da una corrente ideologica molto forte soprattutto negli Stati Uniti: la Deep Ecology (ecologia profonda). L'Ecofemminismo, almeno in alcune autrici, assorbe dalla Deep Ecology proprio il senso di comunione con la terra e la componente mistico-retorica. "La spiritualità femminista si fonda sulla consapevolezza dell'unità di tutte le forme viventi e l'immagine di una divinità femminile sembra incarnare tale concezione meglio di un dio maschile...": una sorta di mistica della femminilità che lungi dall'assumere un valore liberante tende a trasformarsi in una trappola ideologica: donna/natura/madre. Oltreoceano si è costituita la “Matriarchy research and reclaim”, un’associazione di donne di cultura, postfemministe, per lo più filosofe e docenti universitarie, che si pongono problemi teorici, per gettare le basi di una “teAlogia”, versione femminile della teologia, rivendicando la specularità tra Natura e Donna, per cui chi violenta e offende l’una, danneggia anche l’altra.


L'ecofemminismo costruisce i capi d'accusa rivolti alla cultura dominante: l'essere androcentrica, basata cioè su esperienze maschili e su metafore tradizionalmente ad esse associate; l'essere dualista, prevalentemente nella separazione fra esseri detentori di diritti ed esseri privi di diritti.
Una felice sintesi di questa differente posizione è l’asserzione di Simone de Beauvoir: “Anche la rappresentazione del mondo, come il mondo stesso, è opera degli uomini, i quali lo descrivono dal proprio punto di vista, confondendolo con la verità”. Dall'inizio degli anni '80, grazie alle esperienze storico-sociali, l'Ecofemminismo, evolve da posizioni fortemente contestatrici a posizioni propositive. In particolare, le grandi crisi ecologiche del nostro tempo (come l'esplosione di Three Miles Island nel '79 o Chernobyl nel '86) mobilitano le donne attorno ad alcuni concetti che fanno perno su specificità femminili e permettono la formulazione di un visione ambientale articolata e autonoma.
Il movimento Chipko contro il disboscamento dei tratti montani dell’lndia settentrionale è nato a metà degli anni’70 per prevenire la distruzione delle foreste, da parte dei fornitori di legname. E si è trattato prevalentemente di un movimento femminile - le donne si sono arrampicate sugli alberi per impedire che fossero abbattuti. Ce l’hanno fatta. Forma di protesta ripresa poi, in modo straordinariamente eroico, nel 1997 da Julia Butterfly Hill, che per oltre due anni è vissuta arrampicata su una sequoia, per evitare l’abbattimento di una foresta millenaria nel nord della California. Il diario della sua vittoriosa solitudine e del suo coraggio è raccontato in “La ragazza sull’albero”, Corbaccio edizioni.


Le donne sono sempre state attente e preoccupate per le sorti della Natura. Il Green Belt Movement in Kenya si occupa di problemi interdipendenti quali la povertà e il degrado ambientale. Grazie a questo movimento, che coinvolge 50.000 donne, in Kenya sono stati piantati milioni di alberi. Occupandosi anche dei problemi delle fasce di popolazione economicamente più deboli, soprattutto le donne, il movimento ha creato dei centri di formazione, per fornire opportunità di formazione e impiego in agricoltura. Wangari Maathai, la tenace attivista che alla fine degli anni ‘70 ha dato vita a questo straordinario movimento, ha ottenuto nel 2004 il Nobel per la Pace. In molti paesi, la tradizionale assenza delle donne dalla scena pubblica ha consentito loro di essere attive in movimenti pacifisti in tempi - ad esempio durante le dittature militari dell’America latina negli anni ’70 - in cui esporsi era estremamente pericoloso. Le radici dell’attuale movimento delle donne cilene risalgono alla difesa dei diritti umani e della pace da parte delle donne alla fine degli anni ’70. In Argentina è fortissimo il ruolo delle “Madri coraggio”, che continuano a denunciare la scomparsa dei propri figli e la vigliacca violazione di ogni diritto umano da parte del governo dei generali.


In Europa, la maggioranza dei partecipanti alle marce e manifestazioni di pace degli anni ’70 e’80 era costituita da donne. Il movimento antinucleare ha trasmesso loro l’obiettivo non solo di battersi, per una tutela più ampia del bene ecologico, ma anche contro le armi di distruzione di massa e per la pace. Molti gruppi femminili in Europa e altrove hanno fatto opera di sensibilizzazione relativamente al concetto stesso di pace: la pace non significa soltanto assenza della guerra, ma progresso e creatività. Nel Sudafrica del febbraio 1994, la Women’s National Coalition (una larga coalizione delle diverse organizzazioni femminili) ha redatto una Carta delle donne per l’uguaglianza effettiva. E grazie a loro, alle donne è stato garantito il 30% delle candidature parlamentari dell’African National Congress. Anche le donne palestinesi hanno compilato una carta dei diritti per la difesa dei diritti delle donne. Dopo la III Conferenza internazionale delle donne a Nairobi, le organizzazioni femminili occupano uno spazio di rilievo. La crescente richiesta di organismi nazionali e intergovernativi per il miglioramento delle condizioni delle donne ha permesso la creazione di ministeri e commissioni che si occupano specificamente della questione femminile in numerosi paesi - mentre a livello internazionale le Nazioni Unite hanno dato vita all’UNIFEM (Uniled Nations Development Fund for Women) e all’INSTRAW (International Research and Training Institute for the Advancement of Women).
I coordinamenti femminili delle ONG promossi dall’Organizzazione femminile per lo sviluppo e l’ambiente si sono rivelati molto attenti ed efficaci per i provvedimenti a sostegno di un più equilibrato rapporto Nord-Sud. La tutela ambientale, la difesa di una libera maternità e dei diritti umani, la lotta alla mercificazione e al traffico delle donne sono solo alcune delle cause alle quali le organizzazioni di donne si sono dedicate in tanti paesi, prospettando un nuovo modo di operare per il bene comune.

"La civiltà industriale occidentale, edificata in opposizione alla Natura, è in legame dialettico con l’oppressione delle donne e la rinforza perché in questa cultura anti-natura si ritiene che le donne siano più prossime alla natura."