26 dicembre 2022

Consumiamo di più e il riciclaggio non fa miracoli

Rapporto Ispra. L’economia circolare è una falsa illusione, non solo per l’oggi ma anche per il futuro, con tutte le conseguenze che questa consapevolezza dovrebbe suggerirci

di  Pino Ippolito Armino *

Come ogni anno alla pubblicazione dei due rapporti Ispra sui rifiuti, l’attenzione si concentra su quello che riguarda la produzione, la raccolta e la gestione dei rifiuti urbani. Apprendiamo così in questi giorni che nel 2021 i rifiuti urbani sono tornati a crescere (+2,3% sull’anno precedente) dopo la flessione dovuta alla pandemia e la conseguente contrazione dei consumi delle famiglie: in totale 29,6 milioni di tonnellate (677 mila in più rispetto al 2020). La raccolta differenziata ha raggiunto il 64% sul totale, con ampie variazioni per area geografica (71% al Nord, 60,4% al Centro, 55,7% al Sud).

Dieci anni dopo siamo, dunque, a un passo dal traguardo del 65% fissato per legge (l. 27 dicembre 2006 n. 296) che doveva essere raggiunto entro il 31 dicembre 2012. Ma c’è qui un primo equivoco che va subito chiarito.

Non tutto quello che viene differenziato in fase di raccolta raggiunge la fase di riciclaggio e neppure tutto quello che è avviato al riciclo diventa recupero di materia. Ad esempio, quasi la metà dei rifiuti inviati a riciclaggio è riferibile alla frazione organica, umido più verde, in massima parte finisce negli impianti di compostaggio. Ebbene, per ogni tonnellata di rifiuti organici immessa in un impianto di compostaggio si producono 220 Kg di residui, 27 dei quali di percolato. Va ancora peggio con la plastica perché il tasso di riciclaggio si attesta al 36%.

In contemporanea con la pubblicazione del rapporto sui rifiuti urbani l’Ispra rende disponibile, sfasato di un anno, anche un report sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali. I rifiuti speciali vengono per quasi la metà dalle attività di costruzione, per oltre un quarto dal trattamento dei rifiuti urbani e per la restante parte dalle altre attività economiche manifatturiere e del commercio.

La produzione di rifiuti speciali nel 2020, ci informa l’ultimo report, è stata di 147 milioni di tonnellate, ben 5 volte quella che viene dalla raccolta nei centri urbani. Eppure se ne parla poco o per nulla! Perché questa distrazione? Ci si preoccupa, più che comprensibilmente, che quasi uno ogni cinque Kg di rifiuti urbani finiscano in discarica. Siamo, infatti, lontani dall’obiettivo del 10% fissato dall’Unione europea per il 2035. Per l’esattezza il 19% dei rifiuti urbani prodotti in Italia è trattato nel peggiore dei modi possibile, il più pericoloso e il più inquinante. Anche il meno controllabile.

Le discariche sono, infatti, un ottimo investimento per le mafie. Allora perché trascurare il 5,7% dei rifiuti speciali non pericolosi e il 13,9% di quelli pericolosi (anno di riferimento 2020) che vengono parimenti smaltiti in discarica? In totale si tratta di 9,9 milioni di tonnellate, quasi il doppio dei 5,6 milioni che vi finiscono dopo la raccolta nei centri urbani.

In ogni caso è bene anzitutto sapere che se anche migliorassimo la qualità della raccolta e le tecnologie di trattamento il 100% di recupero di materia è impossibile. Il limite è imposto da una delle più importanti leggi della fisica nota come “Secondo Principio della Termodinamica”. Una delle conseguenze di questo principio, semplificando il linguaggio ma senza alterare il concetto, è che tutte le possibili trasformazioni reali, che sono irreversibili, presentano un rendimento che è sempre inferiore a uno.

L’economia circolare è, dunque, un mito. Bene allora se il paradigma serve a spronare le nostre economie perché recuperi al suo interno una parte delle materie prime necessarie alla produzione di nuovi beni. Male se induce a pensare che le nostre economie possano crescere indefinitamente senza intaccare nuove e sempre più scarse risorse naturali. Un equivoco, quest’ultimo, cui si perviene se, sorvolando sull’elementare distinzione fra beni durevoli e non durevoli, si sottolinea con compiacimento che la crescita nella produzione di rifiuti urbani è stata nel 2021 più contenuta rispetto all’incremento dei consumi delle famiglie nello stesso periodo (+5,3%) ma si tace sulla stretta e positiva correlazione che da anni si osserva fra l’andamento della ben più rilevante produzione di rifiuti speciali e l’andamento del Pil.

Nelle ultime tre decadi la quantità di materie prime estratte dalla Terra è più che raddoppiata e al ritmo attuale raddoppierà nuovamente entro il 2060. Quel che già nel 1972 aveva prefigurato il Club di Roma, il collasso dell’umanità nel corso di questo secolo, non è più un’ipotesi catastrofista. Chiare e inascoltate suonano le parole di Kenneth Boulding che ancor prima, nel 1966, ammoniva: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista”.

* da il manifesto - 24 dicembre 2022

 

14 dicembre 2022

I falsi miti sulle rinnovabili: costano troppo, rovinano il paesaggio e non sostituiranno mai le energie fossili

 

Da Italy for Climate la prima piattaforma di contrasto alla disinformazione sulle fonti rinnovabili

Italy for Climate (4C), centro studi della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, annuncia la nascita di Falsi miti sulle rinnovabili: «La prima piattaforma che promuove un’informazione chiara e fondata su dati scientifici sulle fonti rinnovabili»

A I4C ricordano che «Le fonti rinnovabili rappresentano una risposta concreta e realizzabile all’attuale crisi energetica e climatica, eppure sono spesso trascurate all’interno del dibattito pubblico e istituzionale o relegate a soluzioni marginali e utopistiche. Il dibattito pubblico nazionale ed i canali mediatici – sia tradizionali che nuovi – sono carichi di idee sbagliate e informazioni obsolete sull’energia rinnovabile e sulla sua capacità di svolgere un ruolo sempre più dominante nel mix di produzione elettrica nazionale già nei prossimi anni».

Proprio per contrastare questa disinformazione e contribuire alla diffusione di informazioni verificate e aggiornate Italy for Climate ha lanciato il progetto Falsi miti sulle rinnovabili e Andrea Barbabella, coordinatore dell’iniziativa, spiega: «Non è solo in nome di una corretta informazione che abbiamo ideato questo progetto – ma è soprattutto perché pensiamo che sia proprio a causa di questa diffusa disinformazione che l’Italia non riesce ad accelerare sulla transizione energetica. Complessità burocratiche, moratorie, opposizioni dei comitati locali sono tutte figlie di una scarsa consapevolezza e conoscenza delle potenzialità delle fonti rinnovabili».

Prima di tutto, la piattaforma individua primariamente 5 falsi miti comunemente diffusi:  

Le rinnovabili sono e rimarranno marginali. Falso. 8 kW su 10 di impianti di generazione elettrica installati ogni anno sono rinnovabili: in pochi anni le fonti rinnovabili hanno già cambiato il panorama energetico mondiale.

Le rinnovabili costano troppo. Falso. 1 kWh prodotto da eolico o fotovoltaico costa 5 centesimi di €, meno della metà rispetto a fossili e nucleare in Europa. Le rinnovabili erano le fonti più economiche già prima della crisi energetica.

Le rinnovabili ci fanno restare al buio. Falso. Già oggi ci sono Paesi che producono elettricità per oltre il 90% da fonti rinnovabili, anche in Europa, e cresce il numero di Governi che puntano a fare lo stesso entro il prossimo decennio.

Le rinnovabili rovinano il paesaggio. Falso. Servirebbe solo lo 0,7% del territorio nazionale per sostituire tutti gli impianti fossili con pannelli fotovoltaici: meno di 200 mila ettari, un decimo della superficie oggi edificata in Italia.

Le rinnovabili fanno male a economia e occupazione. Falso. Al 2030 saranno 14 milioni i nuovi posti di lavoro nel mondo, contro i 5 milioni persi nell’ oil&gas. Grazie alle rinnovabili crescono investimenti e occupazione e si valorizzano le filiere locali.

Per ognuno di questi falsi miti Italy for Climate ha svolto un’attività di ricerca pubblicando sulla piattaforma dati, fonti e offrendo una chiave di lettura per l’analisi delle informazioni semplice e immediata, con vari livelli di approfondimento. La piattaforma si rivolge infatti a utenti, politici, operatori della comunicazione, imprenditori: tutti abbiamo un ruolo nella transizione energetica e abbiamo bisogno di avere informazioni chiare su quei temi che riguardano la quotidianità di ognuno di noi.

Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Promotore di Italy For Climate, sottolinea che «Il mondo delle rinnovabili è cambiato enormemente nell’ultimo decennio, e in poco più di due decenni queste tecnologie dovranno porre fine all’era dei combustibili fossili Eppure in Italia la loro crescita è ancora stentata e sono in molti a non considerarli una vera alternativa su cui puntare, anche per rispondere alla crisi dei prezzi dell’energia. Bisogna contrastare con maggiore decisione l’ignoranza e i pregiudizi che spesso sono il principale freno allo sviluppo di queste tecnologie, mostrando in modo chiaro e scientificamente fondato la loro capacità di soddisfare la nostra fame di energia e i vantaggi ambientali ed economici che potranno portare».

I4C presenta anche una scheda sullo stato delle rinnovabili in Italia e ricorda che «L’Italia è sempre stata fra le grandi economie europee con la più alta quota di fonti rinnovabili nel mix di generazione elettrica. Negli ultimi anni però sta perdendo questo primato, a causa del rallentamento nella crescita del settore che è stato in Italia più forte che nel resto d’Europa. Ad oggi il 40% della generazione elettrica in Italia è stata soddisfatta dalle fonti rinnovabili: soprattutto idroelettrico (16%), fotovoltaico (9%), eolico (7%), bioenergie (6%), geotermoelettrico (2%). Si tratta di un valore abbastanza significativo e in linea con la media europea, ma è un valore che non cresce più ormai da 8 anni: già nel 2014 avevamo raggiunto il 43% di generazione elettrica da fonti rinnovabili, grazie alla forte crescita registrata a cavallo del 2010 (8 anni prima era il 16%, nel 2006). Questo brusco rallentamento è stato causato da una serie di fattori: in un primo momento, per il mancato rinnovo degli incentivi che avevano sostenuto la crescita del settore fino a quel momento, e in un secondo momento perché l’iter burocratico per poter installare un nuovo impianto a fonti rinnovabili è diventato sempre più lungo, complesso e costoso. Il risultato è stato che negli ultimi 8 anni l’Italia ha installato in media circa 1 GW (ovvero milioni di kW) di nuovi impianti rinnovabili ogni anno, un ritmo assolutamente insufficiente rispetto ai circa 8-10 GW che dovremmo mettere a terra per stare al passo con la transizione energetica».

Italy for Climate  evidenzia che «Recentemente il Governo ha provato ad intervenire con più decisione per sbloccare questa situazione e il 2022 sembra registrare un rilancio del settore (stimato in circa 3 GW di nuova potenza nell’anno), ma è ancora presto per poter valutare i reali impatti di questi interventi di semplificazione. Sappiamo però che non è solo sul fronte della burocrazia che l’Italia deve agire per tornare ad essere un volano delle fonti rinnovabili: urge costruire una maggiore conoscenza e consapevolezza, a tutti i livelli di governo e di società, di quanto le rinnovabili stiano già trasformando il settore elettrico e di quanto il mondo, e l’Italia, non possa prescindere da questa trasformazione».

Ma resta un grosso problema: «L’Italia è uno dei Paesi in cui gli iter autorizzativi per costruire nuovi impianti rinnovabili sono i più lunghi in Europa. Alcune Regioni varano moratorie contro le rinnovabili e spesso le Sovrintendenze si oppongono alla realizzazione degli impianti in nome della tutela del paesaggio. Tutto questo ci porta ad essere fanalino di coda per crescita delle rinnovabili tra le grandi economie europee».

  da greenreport.it - 6 Dicembre 2022

3 dicembre 2022

Shadows of Liberty, il documentario che svela il sistema mediatico americano

di Federico Mels Colloredo *  

Shadows of Liberty è un documentario del 2012 della durata di 93 minuti, diretto dal regista canadese Jean-Philippe Tremblay, che attraverso immagini di repertorio e interviste con noti giornalisti e personaggi pubblici tra cui il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, l’attore e attivista Danny Glover, la giornalista investigativa Amy Goodman, l’ex conduttore di CBS News Dan Rather e lo scrittore e produttore televisivo David Simon; rivela la straordinaria verità dietro i mezzi di informazione: censura, insabbiamenti, manipolazione e controllo aziendale. Il regista intraprende un viaggio attraverso gli antri più oscuri dei media statunitensi, dove la loro schiacciante influenza ha distorto il giornalismo e ne ha compromesso i valori. Storie dove giornalisti, attivisti e accademici forniscono resoconti scioccanti di un sistema mediatico allo sbando. I media statunitensi sono controllati da una manciata di corporazioni che esercitano uno straordinario potere politico, sociale ed economico. Avendo sempre permesso che le trasmissioni fossero controllate da interessi commerciali, l’allentamento dei regolamenti sulla proprietà dei media, iniziato sotto la presidenza Reagan, continuato con Clinton e proseguito da Bush, ha portato alla situazione attuale in cui cinque mega corporazioni controllano la stragrande maggioranza dei media negli Stati Uniti. Queste aziende non solo non danno la priorità al giornalismo investigativo, ma possono reprimerlo e lo fanno ogni volta che i loro interessi sono minacciati.

Il documentario inizia con tre giornalisti le cui carriere sono state distrutte a causa delle storie che hanno raccontato, come Roberta Baskin giornalista investigativa che negli anni 90, con lo scoop sullo sfruttamento, le cattive condizioni di lavoro e bassissimi salari in una fabbrica Nike in Vietnam, fece infuriare la CBS quando Nike diventò co-sponsor principale dei Giochi Olimpici Invernali dove la CBS aveva investito molto per acquisire i diritti di trasmissione esclusivi. Kristina Borjesson, un’altra giornalista della CBS, che si era spinta troppo oltre nelle sue indagini investigative, fu tempestivamente dimessa dal suo incarico, dopo che la rete ha intensificato le sue ricerche sul disastro del volo TWA 800 nel 1996, intralciando le indagini e mettendo a tacere le teorie secondo cui il volo TWA 800 è stato abbattuto da un esplosivo artificiale, non da un guasto meccanico. Gary Webb, la cui storia collega il sostegno degli Stati Uniti e della CIA ai Contras, gruppi armati controrivoluzionari nicaraguensi e l’enorme diffusione di cocaina e crack negli anni 80, fu screditata e cestinata dal New York Times e dal Washington Post. In seguito risultò che la sua storia era vera, ma Webb perse il lavoro e nel 2004 in circostanze ancora poco chiare si tolse la vita.

Shadows of Liberty è un documentario d’accusa che si mostra come una critica sobria e incisiva del sistema mediatico americano, chiedendosi perché hanno lasciato che una manciata di potenti società scrivessero le notizie, evidenziando in modo efficace come e perché il consolidamento aziendale dei media mina la democrazia. Il titolo del film è ispirato a Thomas Paine, rivoluzionario, politico e filosofo illuminista considerato uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America che alla fine del settecento scrisse: ««Quando l’uomo perde il privilegio del pensiero l’ultima ombra della libertà lascerà l’orizzonte». Il documentario è disponibile sottotitolato in italiano su YouTube.

* da indipendenteonline.it via infosannio - 3 dicembre 2022