31 agosto 2011

Daryl


Daryl Hannah. L'attrice ha partecipato al sit in di un'organizzazione ambientalista contro la costruzione di un costosissimo oleodotto tra Canada e Stati Uniti: arrestata, è stata in seguito rilasciata. Lo stesso giorno sono state arrestate oltre 100 persone. Le manette sarebbero scattate quando la star di Hollywood si è rifiutata di spostarsi dai cancelli della Casa Bianca su ordine della polizia.

«Qualche volta è necessario sacrificare la propria libertà per una libertà più grande», ha detto l’attrice prima di essere portata via «e noi vogliamo essere liberi dalla terribile morte e distruzione che provocano i combustibili fossili, e avere invece un futuro con l’energia pulita». La Hannah è da sempre ambientalista convinta: vegana dall’età di 11 anni, la sua casa è costruita esclusivamente con materiali ecosostenibili e funziona solo con energia solare.

Non è la prima volta che viene arrestata: nel 2006 perché si era schierata al fianco di trecento contadini contro l’abbattimento delle loro case da parte del nuovo proprietario del terreno su cui sorgevano. Nel 2009 è stata nuovamente fermata durante una protesta contro la distruzione della cima di una montagna in West Virginia per facilitare l’accesso ai suoi giacimenti di carbone.
Secondo i nostri quotidiani è ricordata come l’interprete di «Splash», «Wall Street» e «Kill Bill».

In realtà Daryl è entrata nella storia del cinema come interprete della replicante Pris in “Blade Runner” di Ridley Scott. Nel film del 1982 quattro replicanti fuggono dalle colonie extramondo per rintracciare gli ingegneri genetici della Tyrell Corporation in grado di garantirgli la sopravvivenza.

http://youtu.be/UuRE74Bdvhw

30 agosto 2011

Si torni al sistema proporzionale per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della repubblica

di Carmelo D’Urso *

La crisi politica degli anni 1992 – 93 e l’esito del referendum promosso da Mario Segni su una disposizione della legge elettorale per il Senato della Repubblica hanno indotto tanti a ritenere che per la governabilità del paese fosse necessario abbandonare il sistema proporzionale ed accogliere quello maggioritario. Tale convincimento sta alla base della legge elettorale nota come Mattarellum, con la quale è stato introdotto per la Camera dei deputati un sistema misto caratterizzato dal ricorso ai collegi uninominali per il 75 per cento dei seggi e dalla previsione della ripartizione proporzionale del restante 25 per cento con abolizione della preferenza. La nuova legge elettorale aveva come finalità dichiarata dai proponenti quella di promuovere un’evoluzione della società verso forme chiaramente bipolari.

I collegi uninominali anche per la Camera avrebbero dovuto favorire un maggiore controllo da parte degli elettori e un’aggregazione delle forze politiche verso la formazione di due grandi schieramenti contrapposti. Pochi si accorsero che, così ragionando, si scambiava la causa con l’effetto. Non la legge elettorale crea la società bipartitica, ma la società bipartitica trova nella legge elettorale maggioritaria un sistema di elezione ad essa adeguato.

La legge elettorale per la Camera dei deputati, modificata con la legge 4 agosto 1993, n. 277, lungi dal favorire l’aggregazione delle forze politiche, ha esaltato la funzione delle piccole formazioni, che hanno preteso prima del voto di contrattare la loro adesione chiedendo di essere garantite con candidature in collegi sicuri.

La situazione non è cambiata con le vigenti leggi elettorali. Esse prevedono per la Camera dei deputati e, su base regionale, per il Senato della Repubblica un premio di maggioranza per la lista o la coalizione di liste che ottenga il maggior numero di voti. Anche queste leggi, che non prevedono il voto di preferenza, accentuano il peso delle piccole formazioni che potrebbero contrattare la loro adesione allo schieramento chiedendo di essere garantite con l’inserimento di propri candidati in posizione utile nelle varie liste.

Dal momento che nessuna legge elettorale ha favorito la formazione di due grandi schieramenti politici, non resta che tornare al sistema proporzionale. I piccoli partiti avranno così in parlamento una rappresentanza non definita attorno a un tavolo prima delle elezioni, ma proporzionale alla loro effettiva consistenza.

Appare opportuna la previsione di una soglia di sbarramento al fine di evitare un’eccessiva frantumazione della rappresentanza. Appare, inoltre, opportuno ripristinare la preferenza per sottrarre la scelta degli eletti alle oligarchie partitiche.

Le leggi elettorali auspicate appaiono conformi allo spirito della vigente Costituzione. Occorre impedire che il Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale e che al quarto scrutinio può essere eletto a maggioranza assoluta dei voti dal Parlamento in seduta comune integrato dai rappresentanti delle Regioni venga eletto da una maggioranza parlamentare che nel paese potrebbe essere in effetti minoranza. Nei termini che precedono ritengo di avere esposto in modi semplici e schematici il mio pensiero sulle leggi elettorali per i due rami del Parlamento.

* Partito Democratico nella Città di Riposto (CT) - Professore universitario di Istituzioni di Diritto Pubblico

( da L’Espresso blog "Fatti e Opinioni" del giornalista Mario Salvo Pennisi 27 agosto 2011 )

27 agosto 2011

Trivellazioni petrolifere nell’oceano Artico, gli Usa aprono la strada alla Shell

L’Artico, col suo tesoro di idrocarburi, è una torta alla crema tolta dal freezer e spostata in frigorifero: e la Shell si appresta a gustare la sua fettina sotto forma di ricerca di petrolio nell’oceano Artico, per la precisione nel mare di Beaufort, in prossimità dell’Alaska. Ha appena ottenuto il vialibera dal Dipartimento degli Interni Usa. Mancano ancora i benestare delle agenzie governative preposte alla protezione dell’ambiente, alla fauna e alla pesca.

La Shell ha comunque espresso cauto ottimismo a proposito della possibilità di iniziare le trivellazioni la prossima estate. L’Artico è l’ultima grande zona selvaggia rimasta nell’emisfero Nord. Il mare di Beaufort, lontano da rotte commerciali, è prediletto da balene, beluga e uccelli. Ovvio che per gli ambientalisti questo vialibera preliminare sia inescusabile. E poi: vi immaginate cosa accadrebbe se il petrolio finisse in mare?

Il permesso che la Shell sembra sul punto di ottenere riguarda quattro esplorazioni in acque basse alla ricerca di idrocarburi. Il freddo amplificherebbe la difficoltà della natura a degradare i veleni dispersi nell’ambiente. Gli ecologisti non sono i soli a sottolineare i rischi per l’ambiente naturale, gli animali e le comunità indigene. A quanto riferisce Afp, è preoccupato anche l’ammiraglio in pensione della Guardia Costiera Thad Allen, che l’anno scorso per conto del governo statunitense ha guidato gli sforzi per arginare la marea nera nel Golfo del Messico. Egli, all’inizio di quest’anno, ha infatti avvertito che gli Stati Uniti sarebbero mal equipaggiati per far fronte ad uno sversamento di petrolio in Alaska: poche infrastrutture, acque burrascose, iceberg alla deriva. In molti luoghi, poi, la più vicina base della Guardia Costiera si trova a centinaia di miglia di distanza.

La morale della favola è sempre la stessa: le riserve di idrocarburi della Terra sono tutt’altro che infinite. Ormai si può continuare a vivere come siamo vissuti finora solo a patto di andare a prendere il petrolio in luoghi impossibili, tipo i fondali oceanici o le regioni polari: costi quel che costi all’ambiente. E alle tasche di chi va a fare il pieno di benzina.

Su Afp gli Stati Uniti aprono la strada alle trivellazioni della Shell nell’oceano Artico

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da blogeko agosto 2011 (Maria)

Nella cartina, redatta dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, in beige l’estensione del ghiaccio nell’estate scorsa. In grigio scuro i luoghi in cui si ritiene ci siano riserve di idrocarburi ancora da sfruttare.

23 agosto 2011

Quanto costano i partiti ? Cosa proporre?

di Massimo Marino *

Quanto costa la politica ai contribuenti, e in particolare a quanto ammontano realmente i rimborsi elettorali ai vari partiti politici. Come uscirne.

Rimborsi elettorali del 2008 (tabella da Sconfini.eu)

Nell’aprile del 1993 grazie a un referendum, con il 90,3% dei votanti, vennero abrogati i finanziamenti ai partiti politici!

- Già pochi mesi dopo il referendum, con la Legge 515/1993 i rimborsi spese diventarono “contributi per le spese elettorali” e i partiti incassaro
no oltre 47 milioni di euro.

- Nel 1997, grazie alla Legge 2/1997,definita “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici” vengono reintrodotti i finanziamenti pubblici ai partiti, che il referendum aveva abrogati! Di fatto, la nuova legge inserisce la possibilità di versare al momento della dichiarazione dei redditi, il 4 per mille dell'imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici … la cifra che era stata erogata nel ‘93 di 47 milioni di euro, si raddoppia rapidamente raggiungendo la
soglia di 82 milioni di euro.


- Con la Legge 157/1999 “Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie”, viene reintrodotto definitivamente il finanziamento pubblico ai partiti! Un finanziamento mirato alle spese dei partiti sotto campagna elettorale, grazie all’introduzione di cinque fondi: per le elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum … fondi che raddoppieranno la somma stabilita nella precedente legge Legge 2/1997, si passerà da 82,6 milioni di euro nel 1997, a 193,7 milioni di euro per legislatura, nel 1999.

- Un ulteriore modifica viene effettuata con la Legge 156/2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo ai partiti e abbassa dal 4 all'1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. Il finanziamento ai partiti raggiunge così un impennata incredibile, facendo lievitare le cifre in maniera spropositata … si passa dai 193.713.000 euro a 468.853.675 euro. ( per legislatura completa, nel caso la legislatura venisse interrotta verrebbero interrotti anche i fondi ai partiti).

- Con la Legge 5122/2006, l’erogazione viene estesa per tutti e cinque gli anni di legislatura, a prescindere dal fatto se verrà portata a termine o no! Così capita che i partiti percepiscano oggi il doppio dei fondi: fondi per la legislatura del governo Prodi caduto nel 2008 e i contributi dell’attuale legislatura.


Quest’ultima tabella di Sconfini mostra le spese annuali per ogni votazione e le entrare grazie ai fondi pubblici.

Rimborsi elettorali del 2008 (tabella da Sconfini.eu)

Prendendo in considerazione solo le ultime due elezioni politiche (2006 e 2008) nelle politiche del 2006 i partiti hanno avuto spese ufficiali per un ammontare di 110.127.757 euro (110 milioni di euro), ma hanno incassato 503.094.380 euro di contributi (503 milioni di euro), con un guadagno di 392.966.623 euro (392 milioni ) … nelle politiche del 2008 i partiti hanno registrato spese per un ammontare di 122.874.652 euro (122 milioni)) ma hanno intascato dai contributi pubblici 499.645.745 euro (499 milioni ) con un guadagno di 376.771.092 euro (376 milioni )
E si tratta solo delle elezioni politiche e dei soli ultimi anni..

Tutti i dati sono riscontrabili anche qui

Già due anni fa (agosto 2009) il Gruppo delle Cinque Terre nella stesura della bozza del Programma di transizione dei 35 punti, escludendo la eliminazione totale di contributi di finanziamento e di indennità per partiti ed eletti proponeva il dimezzamento immediato dei contributi e delle indennità degli eletti al parlamento italiano europeo e nei consigli regionali, l’eliminazione di doppi contributi e doppie cariche, ma insieme anche il ritorno al sistema proporzionale con sbarramento al 4%. Nessun partito, gruppo o movimento, ecologista, civico, radicale, di sinistra, democratico, ha fatto sua integralmente una posizione simile, che a distanza di due anni si mostra del tutto equilibrata ed efficace. Solo Grillo sostiene formalmente la eliminazione totale dei contributi e la drastica riduzione delle indennità mentre non si pronuncia sulle regole elettorali . Una posizione di sicuro effetto, ma nei fatti per metà velleitaria e per metà indefinita su una questione dirimente come quella del sistema elettorale.

La riduzione dei consiglieri ( nei comuni, province o regioni) o quella dei parlamentari ventilata in queste settimane ( Tremonti ma anche PD), senza una modifica dei sistemi elettorali con l’introduzione del sistema proporzionale con uno sbarramento al 4%, ( osteggiata da PD e PDL, che difendono premio di maggioranza e/o collegi uninominali ) cancellerebbe o schiavizzerebbe definitivamente tutti i partiti piccoli e medi a favore sostanzialmente di PD e PDL.

Di fatto si stanno usando le critiche “alla casta” per consolidare all’infinito una “casta bipolare”.

* Gruppo delle Cinque Terre - ( Info tratte da www.sconfini.eu e www.stopcensura.com )

vedi anche:
Lo stipendio dei parlamentari europei 22 agosto 2011

L’imbroglio di mezza estate 14 agosto 2011

Legge elettorale…perché bisogna firmare 11 agosto 2011

Elezioni e referendum, chi ha vinto 28 giugno 2011


14 agosto 2011

L’imbroglio di mezza estate dei referendum elettorali

di Massimo Marino *

Mentre gli italiani leggono con apprensione crescente i contenuti delle manovre di bilancio del governo e le eventuali mosse della cosiddetta opposizione parlamentare, per scoprire quanto e in che forme dovranno pagare il deficit accumulato dagli attila che hanno governato il paese negli ultimi 15 anni, un ciclone silenzioso, ma altrettanto preoccupante, si sta abbattendo sul paese attraverso diversi tentativi di demolire ulteriormente quel poco che resta di sistema democratico e di rappresentanza attraverso la presentazione di modifiche del sistema elettorale parlamentare per via referendaria.

La crisi del bipolarismo, che si tenta di imporre dalla metà degli anni ’90 attraverso le modifiche di tutti i sistemi elettorali vigenti, è ormai evidente: i due principali partiti che dovrebbero contendersi l’egemonia politica sono talmente disastrati che, a seconda del livello elettorale non raccolgono più del 35-40% del voto degli elettori ed arrivano poco sopra il 50% con gli alleati-satelliti o più gentilmente con quelli che non hanno chance o il coraggio di avere “autonomia politica” come direbbe Giovanni Sartori: Lega, Destra e autonomisti del nord e del sud verso il PDL, Vendoliani, IdV e residui del vecchio ambientalismo verde verso il PD. Preoccupati tutti dall’ipotesi che alla prossima puntata Grillo o qualcun altro possa mandare qualche decina di guastatori-risanatori nei due rami del Parlamento, e stufi di fare i conti con le imprevedibili mosse di quell’area di centro ( Casini, Fini, Rutelli e possibili transufughi dai due fronti ) che per quanto non esista in modo consolidato se non nelle tabelle dei sondaggisti è pur sempre un elemento permanente di ricatto su posti e poltrone che sono sempre più piccole e precarie per tutti.

L’iniziativa che ha scatenato la bufera è stata la presentazione il 2 luglio della proposta di referendum “Io firmo.Riprendiamoci il voto” da parte di un variegato e forse troppo eterogeneo comitato promotore (Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero. Vittorio Gregotti, Carlo Federico Grosso, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Renzo Piano, Mario Pirani, Maurizio Pollini, Giovanni Sartori, Corrado Stajano, Massimo Teodori, Giovanni Valentini, Paolo Mauri, Gustavo Visentini, Innocenzo Cipolletta, Domenico Fisichella, Stefano Mauri, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Irene Bignardi e Margherita Hack ). Formalmente presentata ai media da Stefano Passigli (ex parlamentare PD) Gianni Ferrara, l'ex ministro dell'Istruzione del governo Prodi, Tullio De Mauro e il politologo Giovanni Sartori; con l’appoggio, molto vago, dei centristi e quello incerto di Rifondazione.

Un insieme di componenti ( in prevalenza di estrema sinistra ma anche moderati e di centro ) che però hanno espresso con qualche elemento di incertezza una proposta totalmente condivisibile: eliminare il maggioritario ed i premi di maggioranza, ripristinare un sistema proporzionale, evitare la frammentazione con un quorum di accesso al 4%. In aggiunta: il ritorno alle preferenze invece del sistema bloccato e lo svincolo dell’indicazione obbligatoria del premier, che è di fatto una forzatura costituzionale che ha fatto un bel po’ di danni.

Una bella proposta, che restituirebbe agli italiani una vera libertà di voto e ridarrebbe dignità alla politica ed ai programmi; una proposta che ha fatto infuriare e preoccupare PD e PDL e non solo. Le reazioni, quasi tutte dietro le quinte sono state così pesanti e aggressive che uno dei promotori, Passigli, evidentemente spaventato, si è tirato indietro proponendo la sospensione dell’iniziativa di raccolta firme, malamente avviata nella fase estiva.

Non era infatti finita lì: l’11 luglio veniva presentata una seconda iniziativa da Di Pietro, Mario Segni (proprio lui, il guastatore degli anni ’90 ), Loredana De Petris di SeL (un partito sempre più incerto e ambiguo su qualunque tema), Enzo Palumbo del Partito Liberale, Nunzia Eleuteri dell'Unione Popolare, sembra con il piddino Parisi consenziente; con presidente del comitato il costituzionalista bolognese Andrea Morrone. Una nuova proposta referendaria ( “Firmovotoscelgo” ) che ripropone i collegi uninominali dell’epoca “ulivista” per il 75% ed un 25% di proporzionale con blocco al 4%; insomma un ritorno, forse peggiorato, al precedente sistema (detto mattarellum) con l’abolizione del sistema bloccato delle candidature e la riproposizione delle preferenze: che non c’entra nulla con il resto ma viene da tutti usato un pò come specchietto per le allodole (gli italiani) per confondere il senso vero delle proposte che sembra essere quello di difendere l’esistente e rendere il parlamento inaccessibile a qualunque novità. Il neomattarellum avrebbe i difetti del vecchio ( le alleanze trasformiste per stare nei collegi), confusione ed instabilità successiva al voto, sostanziale irrilevanza del confronto sui programmi, variabile irrilevante e aggiuntiva dopo aver spartito i posti nei collegi.

Ma il peggio doveva ancora arrivare: mentre gli italiani preparavano le valigie per le ferie Bersani e la Finocchiaro presentavano il 26 luglio una terza sorprendente proposta alla Cassazione, prima fatta votare di brutto dai gruppi parlamentari del PD riuniti, con 8 fra astenuti e non votanti. La proposta, che forse ci farebbe rimpiangere l’attuale sistema Calderoli (impietosamente chiamato porcellum ), prevede un sistema a doppio turno, con l’elezione a sistema maggioritario attraverso i collegi del 70% degli eletti ed un 30% proporzionale con criteri non chiari. La proposta del PD, da qualcuno bollata come "ungherese", peggiora notevolmente il sistema attuale; con i collegi e il doppio turno ripropone un bipolarismo-bipartitismo forzoso ( tenendo conto che si ventila anche una riduzione dei parlamentari), viene “ingentilita” suggerendo la parità di genere nelle candidature e l’impossibilità di costituire nuovi gruppi parlamentari; due cose che di nuovo non c’entrano nulla con il cuore della proposta ma servono per sviare l’attenzione dal senso vero della iniziativa e acquisire consensi fra i tanti confusi con una opportuna rappresentazione reticente sui media. Insomma, quasi un tentativo di golpe elettorale che afferma che il sistema partitico italiano non si tocca e chi non si adegua resta fuori; praticamente la solita minaccia di stampo veltroniano nei confronti dei propri “alleati” e probabilmente un tentativo per azzerare le possibili vocazioni parlamentari di Grillo.

Il quale pochi giorni fa rispondeva chiarendo che “ alle elezioni politiche nazionali, quando esse siano, il Movimento 5 Stelle si presenterà.” (grillo45 ). Affermazione un po’ azzardata visto che, in mancanza di una strategia di alleanze di qualunque tipo, resta problematico capire come il M5S possa essere presente in tutti i collegi ed eleggere qualcuno; tanto più se il sistema venisse taroccato in modo da renderlo inaccessibile a qualunque ospite sgradito.

La svolta involutiva di Bersani, del tutto allineata alle vocazioni del bipartitismo forzato di Veltroni, è un segnale grave e provocano i brividi alcune delle sue dichiarazioni:” Stiamo via via componendo il nostro progetto di riforma della Repubblica, avendo già presentato all'inizio della legislatura il disegno di riforma costituzionale e istituzionale”. Se il PDL, incerto fra quanto possa guadagnarci e quanto perderci, acconsentirà, il passaggio da un sistema politico in qualche modo ancora di “rappresentanza democratica” ad un sistema di “ rappresentanza castale”, di fatto inaccessibile per milioni di elettori anticasta, sarà compiuto.

Precisazioni: Per chi pensasse che stiamo estremizzando la situazione vanno fatte alcune precisazioni:

1 Sistema proporzionale: non è un sistema fra i tanti ma è il sistema in vigore nella gran parte dei paesi definiti democratici. E’ presente nella gran parte dei paesi del mondo: senza sbarramenti in Belgio, Finlandia, Svizzera Portogallo, Bulgaria, Lussemburgo. Con sbarramento in Germania, Grecia, Spagna, Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, Norvegia, Polonia, Romania, Ucraina, Repubblica Ceca.

Un misto proporzionale/maggioritario c’è in Russia, Giappone, Ungheria, Irlanda, Australia.

Il maggioritario uninominale a turno unico, profondamente in crisi, esiste, con crescenti perplessità e disfunzioni, in Gran Bretagna, USA, Canada. Il maggioritario uninominale a doppio turno c’è solo in Francia e nelle ex colonie francesi. Tutti paesi dove la partecipazione al voto è bassissima, difficilmente al di sopra del 50%. I nostri riformatori locali si guardano bene dal segnalarlo.

2 Preferenze: la reintroduzione delle preferenze è uno specchietto per le allodole ( o se volete per gli allocchi). Se fosse il problema si proporrebbe di reintrodurle e basta, separato dal resto delle proposte: nessuno lo fà a parte i fautori del proporzionale; viene usato per “addolcire la pillola”. Peraltro i più vecchi ricordano bene la intraprendenza mafiosa, delle lobby e dei gruppi di interesse nel controllare in modo ferreo la gestione delle preferenze nei primi 40 anni del dopoguerra. L’infiltrazione mafiosa nella politica è nata da lì. In realtà non esiste purtroppo un sistema ottimale: forse la soluzione più decente sarebbe quella di mezzo: lasciare ai partiti l’indicazione del “leader locale” cioè uno o due (uomo/donna) capolista bloccati, e poi la lista in ordine alfabetico (uomo/donna) con libertà di preferenza. Con il leader gli elettori avrebbero più chiara la connotazione del partito, poi sceglierebbero in libertà nella lista chi preferiscono.

3 I costi della casta: è un argomento enorme e complesso che i partiti, non potendolo ignorare, stanno cercando di aggirare a proprio favore. Ad esempio la riduzione dei parlamentari, se non viene accompagnata dal ripristino del proporzionale e l’eliminazione del premio di maggioranza o dei collegi uninominali ( che hanno più o meno la stessa valenza), cancellerebbe definitivamente dal possibile accesso al parlamento le forze nuove, quelle piccole e medie: sarebbe il trionfo del bipartitismo imposto illegittimamente, con almeno 5-10 milioni di elettori impossibilitati già oggi a scegliere in libertà i propri rappresentanti. La modifica del sistema elettorale per i comuni, introdotta poco prima della recente tornata elettorale nel più totale silenzio sulle sue conseguenze, riducendo il numero di eletti senza modificare il sistema, ha funzionato tragicamente bene, ( comuni ) impedendo il possibile ingresso nelle amministrazioni locali di centinaia di candidati fuori o ai margini della casta …

Conclusioni: Quello dei sistemi elettorali è il male oscuro della democrazia malata dell’ Italia, purtroppo del tutto sottovalutato o ignorato dai movimenti radicali, alternativi, civici, anticasta del paese, troppo presi dalle quotidiane esternazioni antiberlusconiane, incapaci di costruire aggregazioni e alleanze alternative di un qualche peso. Spesso inesperti nel comprendere le conseguenze di fondo delle diverse proposte.

Berlusconi è al tramonto, la demolizione del sistema di rappresentanza democratica del paese è invece in piena attività. Se ce ne fosse la piena comprensione migliaia di cittadini sarebbero in coda alle porte delle sedi comunali per firmare il referendum proporzionalista, forse l’ultima occasione che, nell’indifferenza, nel silenzio e nella disinformazione dei media si sta sprecando…

* Gruppo delle Cinque Terre

Chi detiene il debito pubblico italiano?

di Luca Troiano *

E’ noto a tutti che il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli esorbitanti. Meno noti sono due aspetti: che per la metà è in mano a soggetti stranieri e le conseguenze che questo comporta.

1. Nel 1837 Benjamin Disraeli scriveva che “Il debito è il padre d’una numerosa figliolanza di follie e di delitti.” In altre parole, ogni debitore, specie se di lungo corso, finisce sempre per avventurarsi in comportamenti irrazionali. Soprattutto se si tratta di uno Stato sovrano, capace di impegnare la responsabilità delle proprie generazioni future.
Uno Stato in deficit, ossia che spende più i quanto incassa, copre l’ammanco emettendo titoli di debito. È risaputo che, più il debito cresce, più lo Stato debitore incontrerà delle difficoltà nel restituirlo.
Meno ovvio è che c’è molta differenza se i creditori sono i propri cittadini o soggetti stranieri.

2. Fino a poco tempo fa i titoli di Stato erano la forma d’investimento in cui confluivano i risparmi delle famiglie. Secondo la Banca d’Italia, nel 1995 il 90% del debito pubblico era nelle mani di investitori italiani.
La storia economica ci insegna che, dall’Illuminismo in poi, questo rapporto ha rappresentato il più forte legame tra gli Stati e i loro popoli nelle nazioni democratiche. Ciò perché i cittadini, essendo creditori dello Stato, erano cointeressati alla gestione delle finanze pubbliche. E lo Stato, dal canto suo, era in un certo senso “obbligato” a fare buon uso dei fondi introitati attraverso il debito. Gli interessi di governanti e governati finivano così per coincidere.
In Italia, dove più di ogni altro Paese in Europa tali interessi sono tra loro distanti, questo meccanismo ha portato ad alcune distorsioni.
Per coprire il deficit senza aumentare il debito si sarebbe potuto aumentare le tasse. Ma così i governi avrebbero perso voti. Quindi, meglio indebitare lo Stato, lasciando i soldi in tasca agli italiani e illudendoli che avrebbero potuto riempirsele investendo in Bot e Btp. Ma così facendo le tasse non potevano che aumentare comunque, poiché aumentando il debito, aumentano gli interessi da pagare. Con l’aggravante di appesantire il bilancio statale con un onere per gli interessi che oggi supera gli 82 miliardi di euro annui.
Nel frattempo ci hanno guadagnato i ricchi e ci hanno perso i poveri: i titoli di Stato sono stati accumulati da banche, assicurazioni o nababbi per avere una rendita sicura con interessi alti. Interessi, ovviamente, a carico dei contribuenti. Cioè dei lavoratori dipendenti, quelli che le tasse le pagano sempre. E che possedevano solo il 10% del debito totale.
La rendita sicura è stata garantita anche da una tassazione ridicola, fissata in un’aliquota unica del 12,5% dalla riforma Visco del 1997. Con buona pace del criterio di progressività sancito dalla Costituzione. In pratica gli italiani più ricchi hanno pagato meno tasse, in compenso facendo raddoppiare il debito.
Un cortocircuito finanziario che ha contribuito a rendere i ricchi ancora più ricchi e i poveri più poveri. Non è un caso se l’Ocse rivela che negli ultimi 15 anni in Italia la differenza tra ricchi e poveri è aumentata del triplo rispetto alla media europea. Alla faccia dei buoni propositi sulla redistribuzione della ricchezza.

3. Oggi la situazione è mutata. Complice la sopraggiunta “povertà” delle famiglie italiane, queste ultime hanno drasticamente ridotto la loro percentuale di risparmio in titoli di Stato, mentre è enormemente cresciuta la quota di debito in mano a soggetti stranieri. Esponendo il Paese al rischio di gravissimi problemi.
Il Bollettino statistico della Banca d’Italia1 sottolinea che dal 1995 ad oggi la percentuale del nostro debito pubblico detenuto da soggetti non residenti è progressivamente cresciuta dal 10% al 50%. E il debito attuale ammonta a 1.844 miliardi di euro, oltre il 120% del PIL, che ci porta ad essere l’ottavo Paese più indebitato al mondo2. Questo significa che, ragionando per assurdo, anche se noi italiani per amor di patria regalassimo allo Stato tutto il credito concesso, il debito resterebbe almeno per la metà dell’attuale valore. Per assurdo, perché la maggior parte di quei denari sono costituiti da fondi pensione o assicurativi. E dunque, intoccabili.

4. A chi appartiene oggi il debito pubblico italiano?
La risposta l’ha data il New York Times, in seguito alla crisi greca dello scorso anno3. La Francia detiene 511 miliardi del nostro debito, pari al 30% del debito stesso e al 20% del PIL d’oltralpe. Il quotidiano della Grande Mela voleva evidenziare che, se il nostro Paese piombasse in una crisi di liquidità, ne soffrirebbe tutta l’area euro, al punto da metterne a rischio la stessa esistenza.
Ma c’è un altro aspetto da considerare. Che ci riguarda molto da vicino.
Un Paese che sottoscrive il debito pubblico di un altro, oltre ad investire la propria liquidità e garantirsi un flusso di cassa pluriennale, ne ricava un altro effetto positivo. Calcolabile nel lungo periodo.
Se gli acquisti del Paese creditore sono fatti durante un periodo di crisi (come sappiamo ne è in corso una, e ci siamo dentro fino al collo), il potere negoziale esercitabile è notevole. Il creditore può ottenere in contropartita delle clausole nei trattati commerciali. La Cina, ad esempio, sottoscrivendo il debito greco ha chiesto l’uso del porto del Pireo e che le future navi in dotazione alla marina di Atene siano comperate in Cina.
Il debito ha l’effetto di incrementare le esportazioni dal Paese creditore al debitore, favorendo la competitività delle proprie industrie. E orientando le scelte commerciali (e strategiche) del debitore a proprio vantaggio.

5. Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere perché il governo non fa nulla per impedire che i colossi francesi acquisiscano aziende italiane. Ma sopratutto perché ha tanta premura di tornare al nucleare, acquistando le centrali dalla francese EDF.
Ora che il nostro debito non è più “in famiglia”, potrebbero essere proprio le famiglie italiane a pagarne le conseguenze, a cominciare dalle pensioni. E nella peggiore delle ipotesi, con le radiazioni.
I 511 miliardi di debito che pesano come un macigno sulle nostre spalle, a parere della maggioranza, sono una ragione sufficiente per svendere il nostro futuro e la nostra sicurezza.
Come sa bene Beppe Grillo, che nel suo blog aveva già denunciato a suo tempo: “EDF è il mandante, Berlusconi e la Confindustria gli esecutori materiali interessati”4.
Il ritorno al nucleare potrebbe rivelarsi la più drammatica delle “follie del debitore” di cui Disraeli parlava, e a pagare sarebbe l’Italia di domani. Quella dei nostri figli.
Che schiava di Roma Iddio la creò, declamava Mameli. E che il debito rese l’ombra della Tour Eiffel.

* da www.geopoliticamente.wordpress.com 2 aprile 2011

1 http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp/2011/sb14_11/suppl_14_11.pdf

2 http://attiliofolliero.blogspot.com/2011/07/debito-pubblico-degli-stati-stime-al.html

3 http://www.nytimes.com/interactive/2010/05/02/weekinreview/02marsh.html

11 agosto 2011

Legge elettorale: perchè bisogna firmare il referendum per preferenze e proporzionale con soglia di sbarramento al 4%.

di Michele Pizzolato

Quattro sono i sistemi elettorali in campo, almeno quelli che usciti allo scoperto. Una breve sintesi e qualche valutazione.

1. La legge vigente: è la legge Calderoli. E' un sistema proporzionale a liste bloccate (non si possono esprimere preferenze) con un enorme premio di maggioranza. Al vincitore (coalizione o partito) viene assicurato il 55% dei parlamentari indipendentemente dalla percentuale effettiva. L'impossibilità di esprimere preferenze e un premio di maggioranza incredibile che espone anche la Costituzione ai capricci della maggioranza sono i difetti enormi di questa legge... di pregi non se ne vedono sinceramente ed è per questo che al 99% voteremo ancora con questa legge!

2. La proposta del PD, da qualcuno bollata come "ungherese". E' una proposta molto complessa: 70% maggioritario a doppio turno, 28% proporzionale circoscrizionale, 2% proporzionale puro (diritto di tribuna). E' una proposta molto complessa, che non garantisce maggioranze stabili, e che probabilmente non voterà mai nessun altro partito; è un tentativo di trovare un difficile equilibrio fra le anime dei PD che sono molte e distanti... alcune di queste sostengono altre proposte. Oltre alla complessità ricalca molto il mattarellum (vedi punto successivo) con l'aggiunta di un secondo turno che permetterebbe al PD di negoziare dopo l'alleanza con i centristi, senza esporsi prima.

3. Il referendum per tornare al Mattarellum. Il mattarellum prevede per il 75% un maggioritario a turno unico e per il 25% un proporzionale e soglia di sbarramento al 4%. E' stato recentemente riproposto come referendum (da Di Pietro e alcuni liberal del PD). Ha un difetto: lo si conosce bene. E' già stato in vigore fra 1993 e 2005, ha prodotto 8 governi in 13 anni! Ci ricordiamo tutti bene della rapida successione Prodi - D'Alema I - D'Alema II - Amato... Come tutti i sistemi maggioritari pecca in rappresentatività, ma questo non garantisce nemmeno governabilità.

4. Un referendum per approvare un sistema che prevede preferenze e sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 4%. E' un sistema che garantisce un ottimo equilibrio fra rappresentatività (proporzionale) e governabilità (soglia sbarramento al 4%). E' l'unico sistema che permette di eleggere un Parlamento e non lo subordina, a differenza di tutti gli altri sistemi in campo, al Governo. E' l'unico sistema che ci garantisce da colpi di mano alla Costituzione e ci fa stare tranquilli per la prossima elezione del Presidente della Repubblica. E' un referendum talmente bello che nè PDL nè PD lo sostengono; è oggi retto solo da Comitati locali...

Diamo una chance al proporzionale, la democrazia o è rappresentativa o non è!

11 agosto 2011

FIRMA IL REFERENDUM PER ESPRIMERE PREFERENZE ED ABOLIRE IL MAGGIORITARIO PRIMA CAUSA DEI DISASTRI DEGLI ULTIMI 20 ANNI

mercoledì 22 giugno 2011

Pubblico la sintesi degli obiettivi del referendum tratta dal sito http://www.referendumleggeelettorale.it/

E’ necessario modificare al più presto l’attuale legge elettorale per portare rimedio ai gravi danni che essa provoca al nostro sistema politico.I suoi principali difetti: le liste bloccate, il premio di maggioranza, le deroghe alla soglia di sbarramento e l’obbligo di indicazione del candidato premier. Liste bloccate. Le liste bloccate privano gli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti e ledono irrimediabilmente l’equilibrio tra i poteri. Un Parlamento di “nominati” non ha infatti alcun reale potere nei confronti del Governo e del Presidente del Consiglio. Il premio di maggioranza. Così esiste solo in Italia e ha effetti opposti a quelli auspicati. Attribuendo il 55% dei seggi alla lista che ottiene un voto più delle altre (anche se ha il 35% dei voti), questo meccanismo obbliga anche i partiti maggiori alla ricerche di qualsiasi voto utile. La conseguenza sono coalizioni sempre più ampie e inevitabilmente eterogenee. Nessuna stabilità del governo, anzi: frammentazione della maggioranza di governo e paralisi della sua attività.Soglia di sbarramento. L’attuale soglia di sbarramento al 2% per le liste collegate in coalizione è un ulteriore incentivo alla frammentazione. Mantenere una soglia unica al 4% garantisce la presenza alla Camera dei partiti più rappresentativi, “costringendo” le forze minori ad unioni reali (un unico simbolo, un’unica lista) senza scorciatoie come le coalizioni elettorali. Al Senato il sistema dei collegi consentirà nelle Regioni più grandi la rappresentanza anche di forze decisamente minori Indicazione del candidato premier. L’obbligo di indicare il candidato Capo del governo interferisce con le prerogative del Presidente della Repubblica che può e deve scegliere in assoluta autonomia. Inoltre tale meccanismo tende a trasformare il nostro sistema da parlamentare in semi-presidenziale senza i contrappesi dei sistemi presidenziali. Un positivo risultato dei referendum che proponiamo vedrebbe la Camera eletta con metodo proporzionale, senza premio di maggioranza e con una soglia di sbarramento al 4%. Gli eletti non sarebbero più nominati dai segretari partito ma scelti tra i candidati attraverso la preferenza unica.Il Senato verrebbe eletto su base regionale con metodo proporzionale, senza premio di maggiorana in collegi uninominali, con una soglia di sbarramento determinata dall’ampiezza delle Circoscrizioni. Il referendum abrogativo è per sua natura uno strumento imperfetto, ma spesso è necessario per superare la paralisi dei partiti ed aprire la via a decisioni del Parlamento, che resta ovviamente libero di integrare o modificare l’assetto risultante dal referendum (sui collegi uninominali, sul voto di preferenza, etc.).L’attuale legge elettorale rappresenta la peggiore di tutte le possibili soluzioni: ha aumentato la frammentazione; ha reintrodotto il trasformismo parlamentare; ha massimizzato il potere negoziale di piccole formazioni e notabili locali; grazie ad un abnorme premio di maggioranza mette a rischio tutte le istituzioni di garanzia che possono essere elette e controllate da maggioranze del 35%-40%.

La via parlamentare resta la via maestra.Ma, poiché il Parlamento non ha saputo riformare la legge la legge elettorale, né è presumibile possa farlo nell’attuale situazione politica, il Comitato promotore ha deciso di depositare i quesiti in Cassazione dando concreto inizio all’iter referendario. Abrogare l’attuale legge è dunque non un ritorno al passato, ma un passo necessario a garantire l’equilibrio tra poteri e a preparare un più corretto funzionamento del nostro sistema politico-istituzionale.

9 agosto 2011

Il debito pubblico italiano, quando e chi lo ha formato

di Giorgio Arfaras * ( infografica: Carlo Manzo )

Governo dopo governo, dagli anni Cinquanta a oggi, come si è evoluto il rapporto percentuale debito pubblico/Pil nel nostro Paese? Perché si è formato questo debito? Quali le responsabilità? Infografica con una analisi di Giorgio Arfaras, direttore della Lettera economica del Centro Einaudi.

Il debito pubblico, che si manifesta come le obbligazioni emesse dal Tesoro, si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate – il deficit pubblico. La differenza, se non è finanziata con l’emissione di moneta, è coperta con l’emissione di obbligazioni. Si deve perciò andare alla ricerca della fonte: come si è formato il deficit.

Più o meno tutti i Paesi sviluppati hanno visto crescere smisuratamente la spesa pubblica a partire dagli anni Sessanta. Quelli che hanno registrato una crescita delle imposte non troppo distante dalla crescita della spesa, hanno oggi dei debiti contenuti. Altri, invece, hanno speso velocemente, con le imposte che crescevano lentamente. Da qui i grossi deficit, che cumulati, hanno prodotto un gran debito.

La spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”. La prima finanzia la polizia, i magistrati, i soldati. Ossia l’ordine, la giustizia, la difesa. La seconda finanzia i medici, gli infermieri, le medicine, gli insegnanti, ecc. Ossia l’istruzione e la salute. Le pensioni sono ambigue, perché sono pagate – attraverso un apposito organismo – a chi è in pensione da chi lavora, quindi sono un trasferimento, non proprio una spesa.

Premesso ciò, la spesa per lo stato minimo è rimasta all’incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. Ed è qui il punto. Quest’esplosione è avvenuta in tutti i Paesi europei. Negli Stati Uniti un po’ meno, ma non troppo meno, se si fanno dei conti sofisticati. Dunque non è un fenomeno solo italiano. O meglio, l’Italia spende più di alcuni altri Paesi, ma non “troppo di più”. Il punto è che ha incassato di meno per troppo tempo. (I conti comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito, che è il frutto del cumularsi dei deficit nel corso del tempo e non della spesa corrente).

Abbiamo così a che fare con un fenomeno storico. Se abbiamo a che fare con un fenomeno storico, allora la crescita del debito non è attribuibile – se non in minima parte – a un bravo o cattivo presidente del consiglio dei ministri. Il protagonista è il “Processo” e non l’“Eroe”.

In conclusione, l’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Fino a quando ha speso più di quanto incassasse? Fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. Il conto è fatto guardando la spesa pubblica meno le entrate prima del pagamento degli interessi (il saldo primario). Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito).

Da allora il saldo primario è stato o in avanzo, o in leggero disavanzo. Il deficit è stato il figlio del pagamento degli interessi sul debito cumulato. I deficit solo finanziari hanno però prodotto altro debito. La crescita economica (la variazione del PIL) non è mai stata troppo robusta, e perciò il rapporto debito su Pil o è rimasto stabile, o è appena sceso, o è cresciuto. Ultimamente il rapporto è cresciuto molto, perché il PIL (il denominatore) è caduto molto nel biennio 2008/2009 e non si è ancora ripreso.

* direttore di Lettera economica del Centro Einaudi

Passa alla classifica dei peggiori debiti pubblici mondiali
(con intervista al prof. Ugo Arrigo)

( da www.linkiesta.it 30 luglio 2011 )

7 agosto 2011

Piccole medie imprese e logistica: distribuzione merci all'estero


di Filippo Davide Martucci *

Esportazioni delle Pmi: migliorano logistica e distribuzione delle merci verso i mercati esteri, soprattutto grazie alle autostrade del mare, che godono di Ecobonus.

Uno dei canali di distribuzione più strategici per favorire le esportazioni - nel più vasto quadro del processo di internazionalizzazione delle Pmi - è rappresentato dalle autostrade del mare. Lo rivela un recente studio RAM (Rete Autostrade Mediterranee), società del ministero dei Trasporti con azionista unico ministero dell'Economia. Lo studio analizza il traffico ro/ro - di navi da carico merci stivate su gomma (TIR e altri mezzi pesanti) in maniera autonoma e senza ausilio di mezzi meccanici - sui quattro corridoi principali: Italia - Centro e Nord Europa; Nord Africa - Nord Europa; Spagna - Nord Europa; Balcani - Grecia. Sono stati analizzati i flussi di traffico che si ricongiungono alle reti di trasporto trans-europee (Ten-T) che, per la logistica del nostro Paese sono i corridoi 1, 6 e 24, gli assi ferroviari Berlino-Palermo e Lione-Trieste e il collegamento tra i porti di Rotterdam e Anversa con Genova.

Nel caso delle autostrade del mare gestite da operatori nazionali l'offerta di stiva è cresciuta dal 2002 del 33% per la Sicilia, dal 2004 del 20% per la Sardegna e del 90% per le tratte internazionali del Mediterraneo. Lo stesso vale per i viaggi andata/ritorno, che sono passati dai 218 alla settimana del 2004 ai 233 del 2010. Tutto ciò nonostante la crisi del settore registrata a partire dal 2007 ed il continuo aumento del costo dei carburanti, che oggi incidono su questo tipo di trasporti più dell'equipaggio. Sulle tratte individuate da Ram, ovvero i quattro corridoi strategici (costituiti da 105 linee con più di 16 mila partenze l'anno), il traffico è pari a 1,9 milioni di unità ro/ro sui quali si distribuiscono 34,5 milioni di tonnellate di carico.

Rispetto a questo scenario sono state prospettate tre possibili scenari evolutivi da qui al 2020, che testimoniano uno sviluppo positivo e corrispondono ad altrettante probabilità di trasformazione del mercato. La prima tiene in considerazione gli effetti della crisi del 2007 e quindi prevede un valore più basso riferibile ad una crescita annua del 4,22%, la seconda invece prevede un valore di crescita del 7,5% annuo, e la terza, calcolata in base al Pil dei paesi interessati (Italia, Spagna, Francia, Malta, Algeria, Marocco, Tunisia) auspica un valore intermedio che si ferma al 6,76% per anno.

Il dato generale è ancor più interessante: si prevede una crescita del traffico ro/ro sulle autostrade del mare, indipendentemente dalle tratte strategiche per l'Italia, che va da un minimo del 55-60% a un massimo del 120%, che tradotto in cifre significa un aumento compreso tra 9.347 partenze e 1,1 unità ro/ro e tra 19.738 partenze e 2,3 unità ro/ro: dati che acquistano ancora più forza se letti tenendo conto del fatto che nel decennio 2001-2009 la crescita era stata del 39,2%.

Come alimentare questo sviluppo? Esistono appositi programmi di finanziamento dedicati ai porti strategici all ' interno della rete Ten-T, distribuiti in 30 progetti prioritari europei. Il progetto 21 è quello dedicato alle autostrade del maree e prevede la realizzazione di una rete di collegamenti marittimi e delle infrastrutture necessarie, toccando alcuni porti del Tirreno e dell'Adriatico. Le linee di finanziamento sono tre: di queste, due sono comunitarie (programma Ten-T 2007-2013) e prevedono una somma a disposizione di 310 milioni di euro, l'altra è Marco Polo II che ne mette a disposizione 450 milioni.

Non bisogna però trascurare l'Ecobonus, che agisce a livello nazionale sostenendo le Pmi che scelgono l'autotrasporto via mare e ha fatto sì che siano stati utilizzati ben 500 mila tir in meno ogni anno, e ha messo a disposizione delle aziende 200 milioni di euro nel periodo 2007-2009 e 30 milioni nel 2010. Per il 2011 la situazione pare essere ancora in altro mare, per cui si teme che i fondi a disposizione possano essere drasticamente ridotti (secondo alcune voci del 50%), con una comprensibile riduzione delle merci trasportate attraverso le autostrade del mare e un ritorno all'utilizzo del trasporto su gomma.

* da Pmi.it mercoledì 3 agosto 2011

La raccolta differenziata in Puglia ora rischia di naufragare


di Pietro Santamaria*

L’ULTIMO rapporto di Legambiente sui Comuni ricicloni ci informa che la Campania ha battuto la Puglia 160 ad 1, perché sono 160 i comuni campani che nel 2009 hanno superato il 50% di raccolta differenziata (con Avellino al 61% e Salerno al 59%). Nonostante i buoni propositi la raccolta differenziata in Puglia è ferma intorno al 15% e lo smaltimento in discarica interessa circa l’80% dei rifiuti solidi urbani raccolti nei comuni pugliesi. Gli impianti necessari per gestire in modo integrato il ciclo dei rifiuti sono stati realizzati solo in parte e in modo molto parziale: mancano soprattutto i centri comunali di raccolta del materiale proveniente da raccolta differenziata e gli impianti di compostaggio pubblici, che intercetterebbero la frazione più rilevante dei rifiuti solidi urbani: la frazione organica, che rappresenta in Puglia almeno il 40% del totale dei rifiuti domestici. Eppure i sta facendo strada la sostituzione parziale dello smaltimento in discarica con la produzione di combustibile derivato da rifiuti, il cosiddetto CDR. In un sistema integrato la produzione di CDR dovrebbe essere residuale, per interessare soltanto i rifiuti che a valle della raccolta differenziata e del loro riutilizzo non si possono recuperare.

Invece in Puglia, ad esempio nell’ATO Ba/5, che comprende 21 comuni della provincia di Bari e oltre 400mila abitanti, è in funzione un impianto complesso, finanziato dalla Regione, che trasforma i rifiuti in combustibile che, però, nessuno vuole. In pratica l’impianto industriale produce un bene che non ha alcun interesse economico. Infatti, viene trasferito da Conversano a Massafra, per essere bruciato in un inceneritore privato, al costo di circa 50 euro a tonnellata.

Sì, l’impianto complesso è un’industria dell’assurdo, produce CDR e paga chi lo rileva! Così nell’ATO Ba/5 il costo di smaltimento di una tonnellata rifiuti è passato da 51 euro, nel 2009, quando finivano direttamente in discarica, a 79 euro, per biostabilizzare il rifiuto prima di conferirlo in discarica, poi a 87 euro per produrre CDR in modo sperimentale (e buttarlo in discarica), fino al prezzo attuale di 111 euro, con cui i rifiuti vengono trasformati in parte in CDR e in parte finiscono in discarica. Ma il costo aumenterà ancora: il presidente Vendola e il gruppo imprenditoriale che gestisce l’impianto di produzione del CDR firmano il contratto per la gestione dei rifiuti che è stata fissata a 125 euro a tonnellata (più IVA).

Il costo di gestione dei rifiuti viene sostenuto dai Comuni, che saranno costretti ad aumentare la tassa sui rifiuti. Occorre ridurre la produzione dei rifiuti, potenziare la raccolta differenziata, rendere residuale la produzione di CDR e risolvere il conflitto di interessi: non deve essere possibile per un soggetto occuparsi di raccolta dei rifiuti, raccoltadifferenziata, gestione di discariche e impianti complessi.

Infine un invito al Presidente Vendola: non accetti di imporre ai comuni dell’ATO Ba/5 di conferire 470 tonnellate di rifiuti ogni giorno come chiedono i gestori dell’impianto complesso per la produzione di CDR.

* Università di Bari - da Repubblica del sabato 6 agosto 2011