di Massimo Marino
“Una grande opera o è fortemente utile o è fortemente dannosa
perché, date le entità in gioco, l’errore diventa enorme e va a danno di tutti
soprattutto in situazioni di crisi e di forte debito pubblico...” ( Mario
Cavargna ).
Della TAV , o meglio si direbbe del TAC ( treno ad alta capacità
di trasporto merci) si parla, si discute e si litiga da quasi 30 anni, più o
meno dalla fine degli anni ’80. Per la verità nella seconda metà di quel
decennio era terminato il raddoppio della linea storica Torino - Modane su un
nuovo tracciato ed il successo del nuovo treno della Fiat, chiamato Pendolino
per la capacità di adattarsi in curva e quindi aumentare la velocità media
anche fino al 20-25%, sembrava essere già un buon successo della famiglia
Agnelli e dell’imprenditoria locale. Il difetto del progetto attuato era però
dato dal fatto che in fin dei conti costava troppo poco e ridurre di un’oretta
il percorso di qualche migliaio di turisti non era poi così affascinante. Così
con qualche suggerimento iniziale proveniente dalla Francia si fa strada
l’ipotesi di costruire un tunnel di base di 50-60 km sotto la montagna.
Il progetto è allettante soprattutto per i costi. Si parla all’epoca
di 2400 miliardi di lire che arrivano a 9000 miliardi per l’adeguamento dell’intera
linea fino a Lione. Come ricorda Mario Cavargna, valsusino esponente di Pro
Natura nelle 700 pagine in cui si fa la cronologia attenta degli ultimi 30 anni,
nessun soggetto privato ha mai espresso l’intenzione di mettere propri capitali
a disposizione dell’opera; che è urgente e indispensabile a condizione che la
paghiamo noi attraverso lo Stato oppure attraverso una partita di giro che non
tutti colgono: cioè sempre noi attraverso il parziale finanziamento dell’UE.
Recentemente la Corte dei Conti francese ha stimato che l’intera opera (che nel
frattempo è cambiata ripetutamente in tutto tranne che nei costi e nei tempi,
che restano entrambi elevati, costerebbe 21 miliardi di euro dei quali circa il
40% per il tunnel di base. Al momento il governo francese ha stabilito che
l’adeguamento della parte francese fino a Lione, che è uno dei tre segmenti del
progetto complessivo, sarebbe rimandata fino al 2038. Che è un modo per dire:
cominciamo a fare il buco poi si vedrà.
Non è obiettivo principale di questo scritto entrare nel merito
di tutti gli aspetti del progetto specifico su cui esistono migliaia di pagine
di approfondimento. Ma si vuole iniziare a fare dei confronti, per certi
aspetti singolari, sui criteri con cui negli ultimi decenni si sono impegnate
grandi risorse in cosiddette grandi opere o per lo meno per cominciare grandi opere. Che non vuol
dire che necessariamente ci si impegni per finire
le opere stesse. Gli esempi di
incompiute in Italia sono decine e decine ed hanno fatto le fortune di molte decina
di grandi contractors che, alla fine dei conti si riducono con nomi diversi e
infinite scatole cinesi ad una decina di famiglie che hanno ottenuto negli
ultimi decenni la gestione dei grandi progetti, delle più redditizie
privatizzazioni, del controllo diretto o indiretto dell’intero sistema dei
media, che hanno sedotto la gran parte di partiti e coalizioni di diverso
orientamento. E naturalmente hanno saccheggiato per decenni i bilanci dello
Stato.
Il caso piemontese è di gran lunga il più significativo ed
esemplare e per questo ne scrivo. È in quegli anni ’80 che prende forma quella
che ho recentemente chiamato la
cooperativa di affari torinese, fulgido esempio nazionale, che unisce
quattro soggetti in un inossidabile blocco sociale: l’Unione industriale ed
affini, il colosso bancario Intesa San Paolo e qualche altro gruppo minore, Il
Partito Democratico con alcuni gregari alla sua destra e sinistra, il sistema
dei media locali con a capo la redazione regionale della RAI ed i due
quotidiani di punta cioè La Stampa e Repubblica.
Questa Cooperativa, i cui primi vagiti nascono in conseguenza
della marcia dei 40 mila con cui si chiuse di fatto la vicenda Fiat italiana, è
l’espressione di un esteso blocco sociale, di certo minoritario ma sempre
vincente fino a ieri. Soprattutto per l’assenza fino a qualche anno fa di altri
progetti politici di un qualche rilievo. Un’alleanza sociale, poi economica e
istituzionale, consolidatasi progressivamente negli ultimi 30 anni e appena
scalfita ultimamente quasi per un caso da un discutibile sistema elettorale
semi maggioritario. Quello del voto a doppio turno nei Comuni con il quale i
5Stelle hanno provvisoriamente conquistato Torino, altri 4 Comuni di media
grandezza del Piemonte (Venaria, San Mauro, Pinerolo, Acqui Terme) mentre la
nascita del Governo inevitabilmente ha
richiesto un accordo contrattuale con il vecchio partito leghista che
risulta particolarmente desolante nelle pianure sabaude.
La vecchia Cooperativa, dall’inizio sempre ferocemente ostile
alle novità portate dai grillini, sembra oggi aver fatto il suo tempo, come i
suoi rappresentanti storici nelle istituzioni locali (Castellani, Chiamparino, Fassino).
Il suo allargamento ad altri soggetti istituzionali compatibili (la Lega, Forza
Italia e la Meloni ) presenta gravi difficoltà e rischi e sembra, almeno fino
ad oggi indigeribile dagli elettori. All’appuntamento
europeo di maggio in Piemonte si aggiungono le elezioni della Regione e di
parecchi Comuni. Indirettamente ne può uscire anche una crisi della già
precaria tenuta della Città Metropolitana di Torino dove i 5Stelle hanno il
Sindaco Metropolitano ma non hanno la maggioranza. Nello scontro fra la
Cooperativa e i 5Stelle emergerà probabilmente il terzo polo del centro destra
a trazione leghista incredibilmente vendibile come una novità, con la
possibilità di rimettere apparentemente tutto in discussione. A condizione che si
riesca a far dimenticare il passato recente del governatore leghista Cota.
È da notare che 18 dei 19 Comuni piemontesi sopra i 15mila
abitanti che vanno al voto hanno coalizioni uscenti riferibili al PD o, in soli
due casi, a coalizioni civiche di centro-sinistra; ultimi scampoli di una
stagione finita. Fra questi Settimo, Rivoli, Collegno, Chieri, Beinasco,
Piossasco, Leini, Saluzzo, Alba, Bra e Fossano, Vercelli, Biella e Verbania. Ancora
una volta il Piemonte sembra candidato ad aprire una nuova fase seppure con
nuovi-vecchi protagonisti, decisiva per il futuro del governo.
Il M5Stelle sembra quasi
da per tutto fuorigioco. Essendo al
terzo mandato regionale non sono candidabili i vecchi referenti, ad esempio
alcuni legati alle vicende No Tav. Il nuovo candidato Presidente, poco noto, è
stato scelto con le solite “regionarie” che hanno visto 1800 partecipanti in
totale. Un PD locale praticamente a pezzi, pressoché decimato alla base, che in
assenza di alternative ripresenterà probabilmente il solito Chiamparino che si
è detto disponibile, nelle primarie di metà dicembre per eleggere il Segretario
e la Segreteria regionale, per quanto dimezzatasi la partecipazione, ha visto
13mila elettori presentarsi ai seggi.
Il problema del TAV sta diventando il principale terreno di
scontro preelettorale sul piano nazionale e potrebbe decidere il futuro del
M5Stelle e della tenuta dell’accordo di governo. Il PD, senza il quale da anni
non si parlerebbe più del progetto TAV, in realtà non ci guadagnerebbe nulla
dal prevalere dei SI TAV se non la crisi possibile del M5Stelle che avrebbe due
conseguenze probabili: il controllo di tutte le regioni dell’intero Nord Italia
da parte del centrodestra a trazione leghista prima. Il ritorno al governo dei
berlusconiani poi.
*
Della metropolitana a Torino invece si discute pochissimo per
quanto progetti di una rete con almeno tre linee siano comparsi quasi una
ventina di anni fa. È singolare che nel mezzo della pianura padana l’area
metropolitana che negli ultimi 20 anni in più occasioni è stata indicata fra le
zone più inquinate dell’Europa e addirittura nei primi posti nel pianeta, non
abbia una rete metropolitana di trasporto pubblico tranne una linea 1 estesa
meno di 15 km da qualche anno. Circa 50 anni in ritardo rispetto a Milano,
unico esempio italiano apprezzabile che iniziò la costruzione della prima linea
all’inizio degli anni ’60. Un ritardo di quasi 100 anni rispetto alle
principali metropoli europee (Berlino, Londra, Parigi, Madrid ). A Mosca la
costruzione della rete iniziò alla fine dell’’800 da parte dello Zar.
Oggi chi vive nelle 14 aree metropolitane del Paese (Bari,
Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo,
Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia) impiega per muoversi più del doppio del tempo di chi vive
a Parigi, Madrid, Berlino o Londra, dotate di reti di centinaia di km sempre
più protese verso l’esterno della città. Il risparmio possibile con un maggiore uso del trasporto pubblico
riguarderebbe non solo il tempo,
ma anche l'inquinamento atmosferico e acustico; a Torino poco
più del 20% della mobilità avviene su trasporto pubblico. Nelle principali
metropoli europee le reti pubbliche gestiscono dalla metà a oltre i due terzi
degli utenti. Un recente studio, dai più ignorato, conclude che una maggiore
efficienza del trasporto pubblico urbano, in particolare se basato su reti
metropolitane che si diramano verso le periferie e la prima cintura esterna di
Comuni, in linea con quello che è il quadro europeo, darebbe agli italiani anche un risparmio di almeno 6-7 miliardi di
euro all'anno.
Da più di dieci anni sono comparse ipotesi di percorso per una
linea 2 che dovrebbe incrociare in centro città (Porta Nuova) la prima linea. Il progetto non è mai stato
particolarmente spinto dalle giunte locali di centro-sinistra, malgrado che per
lunghi periodi il PD fosse al governo in tutte le istituzioni locali (Comune,
Provincia, Regione) e insieme al governo nazionale. Tutta l’attenzione era
rivolta al TAV.
Ma già nel 2008 compariva una ipotesi di progetto (che ho sempre
ritenuto sorprendente e incomprensibile) dove la linea 2, invece di dare la
priorità all’estensione verso l’esterno e protendersi verso la cintura in
direzione San Mauro, Settimo, Chivasso, ripiegava su se stessa in periferia a nordovest
verso la zona Rebaudengo utilizzando in parte un “trincerone” esistente,
rimandando ad un indefinito futuro lo sviluppo verso la cintura esterna in una
delle zone in realtà più congestionate dell’ingresso in città. È noto che
l’ipotesi Rebaudengo venne “inventata” semplicemente per favorire la
riqualificazione (cioè una schiera di nuove abitazioni) con la variante 200 del
Piano Regolatore. Variante giustamente subito messa in discussione e archiviata
dai grillini una volta conquistata l’Amministrazione nel giugno 2016. Ma
l’ipotesi Rebaudengo era stata inserita nel bando di gara per il progetto
preliminare da Fassino meno di tre mesi prima delle elezioni annunciando
addirittura che i primi cantieri si sarebbero aperti fra il 2017 e il 2018.
Praticamente una favola, raccontata perché c’è sempre qualcuno che ci crede.
Naturalmente l’ipotesi Rebaudengo ha trovato anche un comitatino di zona pronto
a sostenerla. Chi non vorrebbe la metro che passa davanti casa propria? E che
magari cacci i topi dal trincerone dove per l’incuria ventennale delle
amministrazioni hanno trovato un ottimo riparo? Singolare che questo comitatino,
sempre presente dappertutto, lo fosse anche alla manifestazione SITAV di Piazza
Castello. Come si dice: poche idee ma non chiare ...
In realtà la nuova amministrazione pentastellata, malgrado la
grande confusione interna che ha portato recentemente a procedere verso un
progetto esecutivo in cui la stupefacente ipotesi Rebaudengo permane e si somma
a quella alternativa verso la cintura (che però verrebbe dopo, probabilmente
quando questa amministrazione avrà esaurito il suo mandato) ha il pregio di aver riportato
all’attenzione di molti l’importanza di avere una parvenza di rete metro
diffusa. Adesso la vorrebbero tutti a casa loro: non solo il comitatino
scacciatopi di Rebaudengo, ma anche l’amministrazione pentastellata di Venaria,
quella dei loro colleghi di San Mauro (dove pure qualche esponente locale del
PD illuminato da un barlume di razionalità dà incredibilmente ragione agli
odiatissimi grillini). E addirittura qualche isolato eversore (fra i quali il
sottoscritto) osa parlare anche della urgenza di promuovere una linea 3 che
copra parte dell’uscita verso nord ovest dalla città e vada nella direzione
dell’aeroporto di Caselle.
In realtà hanno /abbiamo tutti ragione: gli scacciatopi, i
grillini locali in competizione e quelli un po’ in stato confusionale, ed
infine anch’io. La costruzione urgente di una rete pubblica metropolitana in tutte le
grandi e medie città italiane è una
priorità nazionale. E’ forse la
principale grande opera a cui
dovrebbe dedicarsi qualunque amministrazione o governo di cambiamento.
Non comprendo perché la nuova amministrazione di Torino non
abbia cancellato totalmente e da subito l’ipotesi PD e spinto, con l’aiuto ma
non con la supremazia dei soggetti tecnici, verso un unico e completo progetto
con le opportune biforcazioni a nord e a sud dai cui estremi partire con i cantieri chiedendo
al “ governo amico” un impegno pluriennale e urgente per una delle più utili
grandi opere del dopoguerra. Peraltro da sostenere in aperta contrapposizione con l’incerto progetto TAV che da 20
anni trova argomenti consistenti che ne contestano utilità e priorità. Confusione,
incertezza e boicottaggi rischiano di far perdere altro tempo e consumare 5
anni di mandato per passare dal progetto preliminare a quello esecutivo ( per
giunta pasticciato) invece di aprire depositi e cantieri in almeno due estremi
della linea. Con una certa inquietudine costato che viene considerata normale
l’idea che ci vogliano 10 anni almeno per fare una linea di metro di meno di 20
km. Insomma, ci sono grandi opere che servono agli affari di pochi e con
incerti sviluppi che si dichiarano irrinunciabili e grandi opere da sempre trascurate
che hanno benefici consistenti immediati e di lungo periodo che vengono messe
nell’angolo anche se nessuno ha mai messo in discussione la loro evidente
utilità.
Basta farsi un giro per l’Europa (nella foto le reti
metropolitane di Berlino, Londra, Parigi, Madrid ) e risulta evidente che le
reti devono protendersi per prima cosa il più possibile verso l’esterno delle
città per raccogliere e aumentare anche attraverso biforcazioni terminali
l’utenza che rende ogni giorno invivibili le porte di ingresso ai centri
cittadini. Le auto devono restare nei garage il più possibile ed essere usate
solo quando sono necessarie e indispensabili. In alcuni paesi del nord europa in questi
giorni si sta attuando la definitiva e totale chiusura alle auto dell’intera
area centrale delle città. Naturalmente questo non può essere imposto ma è il
risultato di un lavoro convinto di modifica progressiva della mobilità e di
risorse opportunamente impegnate con l’obiettivo di raggiungere questo
risultato che viene infine compreso e sostenuto dalla grande maggioranza della
popolazione.
*
Se non ora quando? Non si può più accettare un modello di
mobilità e di uso delle risorse così sciagurato. In un articolo del lontano
2012 Sergio Rizzo (Corriere della Sera) denunciava che la costruzione della
linea C di Roma (incompiuta) aveva raggiunto un record mondiale: il massimo dei
costi ( vicino ai 300 milioni/km) e dei tempi ( inizio nel 1990 mentre la linea
di Madrid era stata costruita in 36 mesi). La
solita musica di cominciare e mai finire perché così i costi lievitano e si
fanno più affari. Con la presenza di
un Contractor principale ( la società Roma metropolitane) e di circa 2500
imprese di subappalto (!!!). Si aggiungeva infine che era emerso anche che la
Società indicata finanziava incredibilmente anche le attività elettorali di
Berlusconi, di Alemanno e forse di altri.
Mi sembra che oggi qualcosa sia
cambiato e che sia ora di selezionare e scegliere con criterio. Avere il
coraggio di dire dei NO e indicare però in alternativa quanto è utile davvero e
definire quali sono i SI irrinunciabili.
La proposizione
di grandi o piccole opere diffuse, con l’obiettivo di iniziarle e finirle in
tempi ragionevoli, mostrandone senza contorsioni della verità la immediata
utilità, i tempi e i costi per i cittadini, è compito e dovere di qualunque
governo e amministrazione; che ne discute in modo preventivo con le popolazioni
locali ma poi si assume la responsabilità di decidere a prescindere da lobby e
interessi privati o locali in ballo. Sembra quasi naturale ma negli ultimi
decenni nel nostro paese non è mai avvenuto.
PS: E’ doveroso informare che la battaglia con i topi di
Rebaudengo ha avuto un rivoluzionario sviluppo. Un ignoto esponente della
giunta grillina (la Sindaca?) probabilmente esasperato dalla continua polemica sull’indifferenza
pentastellata per la popolazione locale insidiata da qualche topo ha inviato
una ruspa che in 2 giorni ha ripulito il trincerone. Così dopo 20 anni di un
centro-sinistra imbelle che ha ignorato
il trincerone e permesso ai topi (e ai costruttori) di influenzare il percorso
della metropolitana torinese una primo scoglio è stato superato. Speriamo che
adesso non ci si mettano anche le zecche...
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