30 agosto 2022

Crisi climatica, il cambiamento parte dalle scuole

 

di Guido Viale *

Riusciranno le 100mila firma raccolte da Repubblica in calce alla “lettera-appello degli scienziati alla politica” perché prenda atto della gravità della crisi climatica a spostare in prima pagina, e tutti i giorni, dal ghetto redazionale di Green&Blue, gli articoli sulle cause della scomparsa del Po, dello scioglimento dei ghiacci, degli incendi di metà delle foreste del pianeta, delle ondate di calore che si alternano ad alluvioni devastanti, ecc.? E quand’anche quelle firme facessero l’effetto cercato, chi mai si occuperà di realizzarla, la conversione ecologica? La fantomatica agenda Draghi, fatta di guerre, armi, gas e Grandi Opere? Cingolani, che pensa solo ai gassificatori e ad allungare la vita della Ferrari? Il ministro Giovannini, alfiere dello “sviluppo sostenibile” con Alta Velocità e nuove autostrade (e ora anche con il Ponte sullo Stretto)? Oppure “l’agenda Meloni”: Dio, patria e famiglia? Quella sì che ci metterà al sicuro dal disastro!

Basta pensarci per capire che senza una radicale sostituzione di tutta la classe dirigente presente e in arrivo – non solo in Italia, ma in tutto il mondo – non ci si schioderà dalla deriva che ci sta portando alla catastrofe. Ma chi può mai prendere il posto di un establishment bollito in tutte le sue versioni?

Una nuova classe dirigente

Un candidato c’è. Sono le nuove generazioni sotto i cui piedi la Terra brucia, si dissecca, si dissesta, preparando loro, nel migliore dei casi, una vita d’inferno. Che se ne siano accorte lo dimostra, prima e soprattutto dopo la comparsa di Greta, il movimento Fridays for Future e gli altri movimenti fratelli. Ma per formarsi come nuova classe dirigente nei tempi stretti che rimangono, non basta manifestare, protestare, appellarsi alla “Scienza”. Occorre sperimentare e cominciare a praticare delle vere alternative. A partire da dove il movimento è nato con gli scioperi del venerdì.

Le scuole sono punti nevralgici di ogni possibile ricomposizione di una comunità di umani, di territori e di altri esseri viventi alleati per salvaguardare i rapporti reciproci che li tengono in vita. Le scuole dovrebbero essere i luoghi deputati a trasmettere tra le generazioni saperi frutto di decenni, secoli e millenni di esperienze. Ma la generazione presente, quella adulta, sta dimostrando ben poca attenzione per quello che le succede intorno. Ha imparato ben poco dalle generazioni precedenti (relegandolo nelle soffitte di un’Accademia fine a se stessa) e non ha quasi più niente da trasmettere alle nuove generazioni, se non tecniche avulse dalla consapevolezza delle conseguenze della loro applicazione.

Nuove generazioni: Davide contro Golia

Per questo è nelle scuole, innanzitutto, che occorre invertire rotta: fare sì che siano le nuove generazioni – quelle che hanno capito o capiscono che ne va del futuro di tutti – a trasmettere alle generazioni precedenti questa loro consapevolezza. Promuovendo un cambio radicale dei programmi scolastici; delle pratiche didattiche; dei rapporti tra allievi e docenti; di quelli tra interno (alla scuola) ed esterno (innanzitutto le rispettive famiglie); di quelli tra vita quotidiana e istituzioni. E soprattutto del rapporto tra gli esseri umani e il resto del mondo: alla scoperta del fatto che siamo parte di questo mondo, ma anche che il resto del mondo fa parte di noi. E poi battersi, perché la scuola sia aperta a tutti, tutto il giorno, abbia pannelli solari, pompe di calore, coibentazione dei muri, orti didattici nelle pertinenze. Perché sia di esempio per tutti.

E’ dalle scuole che deve iniziare l’abbandono di quella cultura antropocentrica che ha dominato gli ultimi secoli in Europa e poi nel mondo e delle attività che ne sono conseguite: quelle che con l’avvento dell’Antropocene stanno portando all’estinzione la specie umana e non solo.

Un compito da Davide contro Golia, ma gli attivisti di Fridays for Future e i loro compagni di mobilitazione devono avere il coraggio di farsi Davide contro il Golia di un sistema di dominio che fino ad ora ha irriso – o solo finto di prendere sul serio, il che è ancora peggio – la loro irrilevanza, la loro “minore età”, la loro “incompetenza”. Loro sì, invece, che sanno il da farsi … E’ già successo in un non lontano passato che un confronto del genere si verificasse, sconvolgendo per qualche tempo i saperi e i poteri costituiti, ma quel compito non è riuscito ad arrivare a buon fine. Ora però il tempo stringe e “non c’è alternativa”.

Le scuole possono diventare un punto di accumulo delle forze necessarie a invertire l’attuale deriva, per poi riverberarsi, anche attraverso un salutare shock nelle famiglie, sui quartieri, sul territorio, sulle aziende, sulle fabbriche, sulle istituzioni. Non si può pretendere che le classi dominanti e i governi alle loro dipendenze cambino completamente le loro stupide agende senza che i veri interessati a questo cambiamento dimostrino di essere capaci di farlo loro: per lo meno nel loro ambiente naturale, che è la scuola. Una scuola aperta, dove ci sia posto per tutte le persone di buona volontà ecologica.

* dal blog - 12 agosto 2022

28 agosto 2022

Caro energia, altro che transizione ecologica: le utility dei servizi puntano ai dividendi

 di Dario Balotta *

Il cda di A2A ha proposto, come gli anni passati, all’assemblea lauti dividendi di € 0,0904 per azione, che per il Comune di Brescia significano circa € 73.000.00, per il Comune di Milano circa € 73.000.000, per i privati – compresi i fondi – circa € 146.000.000. Un totale di circa € 292.000.000 a fronte di utili netti di € 504.000.000 per il 2021. 

I I ricavi in salita del 33% per Enel e del 69% per A2A resi noti in questi giorni evidenziano che tutto il settore energetico (produzione e distribuzione) da Eni ed Edison, Hera ed Acea e Snam godono di ottima salute. Se il governo cerca di tassare (con un misero 10%) gli extra profitti delle aziende energetiche per compensare i rincari, i due produttori controllati da società pubbliche (A2A ed Enel) hanno già deciso di far passare all’incasso i loro azionisti prima di eventuali interventi regolatori del governo, che è anche il titolare delle concessioni.

Forse è arrivato il momento che come per le concessioni di aeroporti, Sea di Milano e Adr di Fiumicino, e delle autostrade il governo definisca un modello di regole che corregga queste distorsioni. Se un solo tetto agli utili potrebbe essere eccessivamente lesivo degli interessi delle aziende, allora stabilisca un price cup concordato all’inizio del periodo concessorio o della convenzione con le aziende. Le tariffe devono tener conto della produttività, dell’innovazione di processo e di prodotto e spingere agli investimenti piuttosto che alla rendita. Il price cup avrebbe effetti di ammodernamento di tutto il settore dei servizi italiano, oggi tra i meno efficienti d’Europa. I dividendi sono dovuti invece alla continua crescita dei prezzi dell’energia, che incide negativamente sul reddito delle famiglie, sui conti delle imprese e sulla crescita dell’inflazione.

Enel ed A2a sono i principali gestori degli impianti idroelettrici italiani, affidati in concessione dallo Stato e da tempo ammortizzati, che contribuiscono a generare gli ingenti extraprofitti delle due aziende. A2A fa sapere che l’incremento degli utili a 540 milioni non è derivato solo dalla maggiore redditività delle rinnovabili, venduta allo stesso prezzo di quella più costosa generata da petrolio e gas, ma anche da “l’ottimo andamento del mercato dei servizi di dispacciamento”, cioè dei servizi di trasmissione e distribuzione di energia a Milano – in particolare acquistati da Terna (il gestore della rete distributiva) per il mantenimento del bilanciamento dei flussi energetici sulla rete.

Anche il teleriscaldamento ha prodotto enormi introiti per A2A, poiché si è verificata una crescita significativa dei prezzi del servizio allineata all’incremento delle quotazioni del gas naturale. L’Arera (Authority dell’energia) ha deciso di aprire un’inchiesta su questo fenomeno ritenuto ingiustificato, perché il servizio di teleriscaldamento è erogato in regime di monopolio “da un unico esercente verticalmente integrato”. A2A gestisce la maggior rete di teleriscaldamento nazionale di cui 700 km a Brescia e 200 km a Milano, il cui calore è generato al 70% dalla combustione dei rifiuti e solo il 30% dal metano. Calore che essendo prodotto dai rifiuti permette ricavi sia per l’energia prodotta che per il costoso incenerimento dei rifiuti.

A2A si dice pronta per la riattivazione della centrale a carbone di Monfalcone e a sospendere le forniture alle industrie energivore. Anziché mettere in campo ogni alternativa ed accelerare gli investimenti nelle rinnovabili per allontanare questa prospettiva, la multiutility si mette subito a disposizione del governo. Prima gli utili, i dividendi, poi l’emergenza con il ritorno al passato. Altro che transizione ecologica.

·        *  esperto di trasporti e ambiente - da FQ 26 marzo 2022

leggi anche: Ripresa e caro energia fanno bene ai bilanci dei produttori. Nel 2021 volano i ricavi e i profitti di Enel ed A2a

Germania: Caro energia, come è andato il biglietto da 9 euro: un tedesco su 5 ha sostituito l’auto col treno

 Pregi e difetti della misura La misura pensata per aiutare le famiglie tedesche ad affrontare la crisi energetica ed economica è iniziata a giugno e scadrà con la fine di agosto: è stato un successo in termini quantitativi, con 21 milioni di ticket venduti solo nel primo mese e un +56% in più di viaggi in treno rispetto al 2019. I problemi invece riguardano il costo dell'investimento - quasi 4 miliardi - e l'inefficienza delle infrastrutture di fronte a un grande afflusso di utenti. Ma a Berlino e Amburgo i presidenti dei Länder già valutano una proroga, almeno fino a dicembre

di Daniele Fiori  *

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo ha definito “una delle migliori idee che abbiamo avuto”. Per tre mesi la Germania ha sperimentato il 9-Euro-Ticket, un biglietto mensile a 9 euro per poter viaggiare sulle reti di trasporto pubblico regionali e locali. Una misura pensata per aiutare le famiglie tedesche ad affrontare la crisi energetica ed economica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, puntando al contempo a incentivare l’utilizzo di treni e bus al posto dell’auto. Con la fine di agosto, però, i tre mesi di prova sono terminati: il governo ora si interroga su come proseguire in questa direzione. Da un lato ci sono i costi dell’iniziativa – circa 3,7 miliardi totali, di cui 2,5 dalle casse federali – e le lacune emerse nelle infrastrutture tedesche, che necessiterebbero di ulteriori investimenti. D’altra parte, però, ci sono i dati che dimostrano quale sia stato l’impatto della misura sulle abitudini dei tedeschi: l’Associazione delle compagnie di trasporto tedesche (VDV) ha comunicato che solo nel mese di giugno sono stati venduti 21 milioni di biglietti. Mentre da un sondaggio YouGov condotto per l’agenzia dpa emerge che un tedesco su cinque (il 18%) ha dichiarato di aver completamente sostituito la propria auto con il trasporto pubblico locale.

Il sondaggio – Il biglietto da 9 euro scade mercoledì prossimo, 31 agosto. Un drastico ritorno alla normalità: da giugno, infatti, i passeggeri hanno potuto utilizzare tutti i trasporti locali in Germania per un mese per nove euro. La misura faceva parte di un pacchetto di aiuti approvato dal governo tedesco per contrastare il forte aumento dei prezzi dell’energia, contribuendo a far calare l’utilizzo delle vetture private, visto il costo della benzina. Secondo la rilevazione di YouGov, circa il 31% degli adulti ha affermato di aver utilizzato frequentemente il biglietto promozionale su percorsi che altrimenti avrebbero svolto in auto. Un ulteriore 18% ha dichiarato appunto di aver sostituito l’auto con bus o treni. Un altro 22% ha utilizzato il biglietto scontato solo di rado su percorsi dove altrimenti avrebbe viaggiato in auto. Non è comunque chiaro l’impatto a lungo termine della campagna per i trasporti pubblici. Circa il 18% degli intervistati ha dichiarato a YouGov di voler utilizzare autobus e treni più spesso in futuro, ma il 22% non pensa di farlo. La maggioranza – il 55% – desidera farlo solo se un biglietto con un prezzo simile sarà nuovamente disponibile.

I pregi – L’Associazione delle compagnie di trasporto tedesche ha comunicati che 21 milioni di biglietti sono stati venduti a giugno e 17 milioni a luglio. Inoltre, ci sono dieci milioni di abbonati che hanno pagato solo nove euro al mese invece del prezzo normale. I calcoli dell’Ufficio federale di statistica dimostrano che nei primi giorni dopo l’introduzione del biglietto a 9 euro, a giugno, ci sono stati fino al 56% in più di viaggi in treno rispetto al 2019, l’ultimo anno pre-pandemia. E la frequenza di utilizzo, calcolata sui dati dei telefoni cellulari, non è diminuita a luglio e neanche nelle prime tre settimane di agosto. Inoltre, il 9-Euro-Ticket ha centrato l’obiettivo di essere un “vero vantaggio” in particolare per le famiglie più povere: questo è quanto sostiene Ulrich Schneider, direttore generale del Paritätischer Wohlfahrtsverband (associazione che si batte per la parità nel welfare). Molti hanno potuto “fare una gita al mare o in montagna per la prima volta dopo tanto tempo”, ha sottolineato alla Zdf. “Erano viaggi che hanno a che fare con i bisogni primari dell’esistenza umana. Vale a dire mobilità e contatti sociali“, ha aggiunto Schneider.

Le criticità – Uno studio del Centro aerospaziale tedesco (DLR) fa emergere infatti come le persone abbiano utilizzato la nuova opportunità soprattutto per viaggi di piacere, in particolare nel fine settimana (il 60%), mentre solo una piccola parte (il 18%) ha deciso di utilizzare il biglietto a 9 euro per recarsi sul posto di lavoro. Una tendenza confermata anche dal sondaggio di YouGov: metà degli intervistati ha spiegato di avere utilizzato il biglietto mensile principalmente per viaggi privati, mentre poco meno di un quarto lo ha sfruttato principalmente per andare in ufficio. L’utilizzo relativamente basso del biglietto a 9 euro da parte dei pendolari è uno degli argomenti utilizzati da chi in Germania ritiene che la misura non porti a un concreto vantaggio. Ma le vere criticità riguardano due aspetti. In primis, il costo della misura: i trasporti sono competenza dei Länder, le cui casse però sono già state spremute nel corso degli ultimi due anni per via della pandemia. Il successo in termini di vendite da solo non basta, l’investimento resta oneroso: poco meno di 4 miliardi per soli tre mesi. Inoltre, la grande affluenza su treni e bus ha fatto emergere un altro problema: lo stato delle infrastrutture tedesche. Molti convogli devono essere rinnovati, per non parlare dei mezzi su gomma che dovranno essere sostituiti con veicoli meno impattanti dal punto di vista ambientale. Inoltre, come altri settori della sua economia, la Germania fatica anche a reclutare nuovo personale per le ferrovie.

Le iniziative – Per questi motivi il governo federale si è preso del tempo per valutare come riproporre la misura, probabilmente a partire da inizio 2023. Si valuta un prezzo calmierato ma più alto rispetto ai 9 euro: i Verdi propongono 29 euro al mese per il trasporto regionale e 49 per quello nazionale, mentre i liberali di Fdp vorrebbero fermarsi a 69 euro mensili per muoversi all’interno di un Land. In mezzo il cancelliere Scholz e la sua Spd, che spinge per la misura. In particolare a livello locale: Franziska Giffey, presidente dello Stato di Berlino, ha già proposto agli alleati – Verdi e Linke – una proroga del biglietto scontato fino a dicembre almeno nella capitale. Il prezzo deve essere ancora discusso, l’obiettivo è aiutare le famiglie meno abbienti a muoversi in città in modo economico. Anche ad Amburgo, Land amministrato dai socialdemocratici in coalizione con i Verdi, si ragiona sulla possibilità di una proroga del biglietto da 9 euro: per riuscirci, però, servono i contributi dello Stato centrale. Intanto oggi nella stessa Amburgo e in altre città della Germania, come Magonza, centinaia di cittadini hanno organizzato una prima manifestazione a sostegno della proroga della misura: “9-Euro-Ticket-Weiterfahren” è lo slogan che ha riunito Fridays for Future, associazioni ambientaliste come Greenpeace e le organizzazioni giovanili di Verdi, Spd e Linke.

·  FQ 28 agosto 2022

21 agosto 2022

Elezioni 2022: contro la ''clanizzazione'' della politica si candida Roberto Scarpinato

 Il magistrato è stato cercato dal M5S di Conte il quale gli ha assicurato la centralità della lotta antimafia

(intervista da Antimafia Duemila - 19agosto 2022 )

L’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato sarà capolista del Movimento 5 Stelle in Calabria e Sicilia (collegio 1) per il Senato.
Intervistato da Giuseppe Pipitone il magistrato ha spiegato la ragioni della sua discesa in campo: "Il primo è che nel gennaio scorso ho cessato di essere un magistrato a seguito del mio pensionamento e ho quindi riacquistato un diritto prima incompatibile con il mio ruolo. Il secondo è la consapevolezza che se tu non ti occupi della politica, la politica si occupa comunque di te".
"Non avevo mai ricevuto proposte da alcun altro partito - ha continuato - E a dire il vero non sono io che ho scelto i 5 Stelle, ma loro che hanno scelto me, proponendomi una candidatura. Per me si è trattato di una scelta difficile e sofferta". "Una parte di me aveva bisogno di pace e tranquillità, ma alla fine ha prevalso l’altra parte, quella che ha fatto propria la lezione degli antichi greci": "se la Polis si ammala, se la democrazia avvizzisce, se la prepotenza si autolegittima rivestendosi della forza della legge, se l’ingiustizia sociale diventa normalità quotidiana e se non hai l’anima del prepotente o del servo, non vi sono vie di uscita e di salvezza individuali".
Scarpinato ha inoltre voluto specificare che manterrà comunque la sua indipendenza: "Mi consideravo come un candidato indipendente e che, quindi, mi riservavo il diritto di esprimere sempre le mie idee e di manifestare il mio eventuale dissenso da scelte che non dovessi condividere. L’indipendenza ha segnato tutta la mia pregressa carriera di magistrato e mi è rimasta cucita nell’anima. Una indipendenza che è garanzia che la funzione pubblica – magistrato ieri, forse parlamentare domani – viene esercitata nell’esclusivo interesse e al servizio dei cittadini, facendo barriera insormontabile a interessi e pressioni di gruppi di interesse".
Rispondendo alle domande di Giuseppe Pipitone, l'ex procuratore generale di Palermo ha detto che il leader del M5S Giuseppe Conte gli ha assicurato che "la questione mafia, cancellata in questa campagna elettorale dall’agenda degli altri partiti, sarebbe rimasta invece centrale in quella dei 5 Stelle, come del resto dimostra sia il fatto che la scuola di formazione politica del Movimento è stata inaugurata a Palermo con un seminario sul tema dei rapporti tra mafia e politica proprio mentre altri celebravano il ritorno in campo di Dell’Utri e Cuffaro o restavano silenti, sia l’impegno profuso dai 5 stelle in Parlamento per mettere a punto una riforma dell’ergastolo ostativo che scongiurasse il rischio di una fuoriuscita dal carcere di pericolosi boss mafiosi".

Le accuse a Scarpinato
I detrattori di Scarpinato - ha ricordato Salvo Palazzolo in un’intervista su 'Repubblica' - hanno detto che la candidatura dell’ex pg palermitano è “la prova che le inchieste svolte dal magistrato Scarpinato erano orientate politicamente".
"Mi pare una accusa puerile - ha risposto il magistrato - tenuto conto che tutte le inchieste che ho svolto sui rapporti tra mafia e politica, mafia ed istituzioni sono antecedenti alla fondazione del Movimento Cinque Stelle. Si tratta della stessa accusa rivolta a Falcone dopo che arrestò i cugini Nino ed Ignazio Salvo, esponenti di punta della potentissima  borghesia mafiosa del tempo. Un'accusa ripetuta  costantemente contro tutti i magistrati che nel corso della storia della Repubblica hanno svolto indagini e celebrato processi a carico di esponenti di vertice del sistema politico ed economico. I veri magistrati politicizzati sono altri. Quelli che fanno carriera proprio perché si guardano bene dal portare avanti indagini e processi sgraditi al modo del potere".  

La Patria del Gattopardo
Durante l'intervista il magistrato ha parlato anche di una regressione della politica che "alcuni politologi definiscono come il ritorno della clanizzazione della politica". "Il moderno stato costituzionale - ha continuato - nasce dal superamento dei clan, cioè dei gruppi di potere locali che prima si contendevano a proprio esclusivo vantaggio le risorse dei territori. Oggi, venuti meno i grandi progetti collettivi, la contesa politica reale rischia di regredire a competizione tra clan sociali, gruppi di interesse, ristrette oligarchie interessate solo a spartirsi le risorse collettive".
Secondo Scarpinato questa situazione è dovuta ad una pluralità di concause, "alcune endogene legate cioè alla storia nazionale, altre esogene dovute a fattori di carattere internazionale. Quanto alle cause nazionali, basti ricordare che lo Stato italiano è sorto con molto ritardo rispetto ad altri stati europei, e, anche per questo motivo, ha sempre sofferto una fragilità strutturale. Ancora più fragile è la nostra democrazia, sempre a rischio di involuzione autoritaria".
Involuzioni spesso accompagnate da fatti di sangue come la strage "politico mafiosa" di Portella della Ginestra fino ad arrivare a quelle del 1992 - '93.
"Questi e altri eventi - ha continuato sul 'Fatto' dimostrano che nel nostro paese la lotta politica si è svolta su un duplice livello. Al livello palese e legalitario delle competizioni elettorali, della dialettica parlamentare e istituzionale, delle manifestazioni di piazza, si è intrecciato il livello occulto di una lotta politica condotta dietro le quinte dalle componenti più retrive delle classi dirigenti da sempre tenacemente ostili alla Costituzione e che non hanno esitato a mettere in campo la violenza stragista, nonché l’alleanza con le mafie ed altri specialisti della violenza, per condizionare a proprio vantaggio il gioco politico e per sabotare l’evoluzione democratica del Paese".
"È in corso un inquietante processo di restaurazione del passato di cui si colgono tanti segnali. Nella patria del Gattopardo, il passato rilegittimato e giustificato, un passato di convivenza tra Stato e mafia, un passato di occulte transazioni tra Stato legalitario e Stato occulto, un passato di rimozioni e di amnistia permanente tramite amnesia collettiva, sta tornando ad essere la cifra del presente e del futuro". Alla luce di questo quadro è logico che la questione giustizia è diventata centrale per quanto riguarda la sopravvivenza della stessa democrazia.


È noto che nell'anno in corso si sono verificati fatti gravissimi come il ritorno in campo di alcuni protagonisti della politica" condannati "per collusione con la mafia e per altri gravi reati. Si celebra nelle aule del Senato la memoria di vertici dei Servizi Segreti, come il generale Gianadelio Maletti, condannato per avere depistato le indagini sulla strage di Piazza Fontana. Si normalizza la cultura dell’omertà giustificando come motivazione eticamente condivisibile la scelta di non collaborare con lo Stato dei mafiosi stragisti irriducibili e depositari di segreti scottanti che chiamano in causa i complici eccellenti delle stragi del ’92 e ’93, autorizzando così con la riforma dell’ergastolo ostativo la loro fuoriuscita dal carcere solo alla condizione che sia provato che hanno deposto definitivamente le armi. Si approvano leggi che riportando indietro l’orologio della storia ai tempi del primo Novecento, ripristinano il trionfo della gerarchia nella magistratura e introducono surrettiziamente forme di controllo e di condizionamento della politica sull’attività giudiziaria".

Fonte: ilfattoquotidiano.it e palermo.repubblica.it

20 agosto 2022

De Santoli: “Cingolani senza idee, la transizione italiana ha perso troppo tempo”

 Candidato con i 5 Stelle. “Ai grandi proclami quasi mai sono seguite azioni adeguate”. “Il ministero della Transizione ecologica di Cingolani manca di strategia, non è stato nemmeno aggiornato il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, rischiamo di non poter rispettare gli impegni


di Elisabetta Ambrosi *

– “Il ministero della Transizione ecologica di Cingolani manca di strategia, non è stato nemmeno aggiornato il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, rischiamo di non poter rispettare gli impegni sulla decarbonizzazione che abbiamo preso in Europa. Per non parlare di certe affermazioni su ‘lacrime e sangue della transizione ecologica’ che non hanno alcun fondamento scientifico”. A parlare è il professor Livio De Santoli, prorettore alla sostenibilità dell’Università La Sapienza di Roma, presidente del Coordinamento Efficienza Energetica e da oggi candidato M5S: “Mi candido – spiega – per mettere a disposizione il mio bagaglio di conoscenza sui tema della sostenibilità e dell’energia. La crisi ambientale è anche una crisi sociale, per questo la politica deve intervenire su entrambi gli aspetti”.

A proposito di energia e clima. Che giudizio dà sul governo Draghi?

Il lavoro complessivo è stato fatto con impegno, ma le azioni sono state troppo ondivaghe e ai proclami sono seguite timide attività. L’impegno a riprendere la curva delle installazioni verso i famosi 8 GW l’anno per tagliare le emissioni cosiddette climalteranti del 55% entro il 2030 non è stato mantenuto. I decreti fondamentali per la decarbonizzazione, come l’attuazione della direttiva sulle rinnovabili innovative o la definizione delle aree idonee alle installazioni rinnovabili, non sono mai stati emanati. Abbiamo perso tempo preziosissimo.

Dalla destra al centro tutti parlano di ritorno al nucleare e di rigassificatori…

L’impegno sul nucleare va mantenuto in termini di ricerca, ma le prime centrali della cosiddetta quarta generazione potranno essere realizzate solo tra 15-20 anni, per non parlare del nucleare pulito. È un progetto inattuabile al momento. Quanto ai rigassificatori, il messaggio deve essere quello per cui il gas fossile deve essere sempre meno acquistato e quindi gli approvvigionamenti devono avere vita breve. In 3-4 anni il gas russo può essere sostituito da biometano, installazioni di rinnovabili e incremento dell’efficienza energetica. La rigassificazione, dunque, deve essere coerente con questo programma.

Quali sono le priorità in termini energetici e insieme climatici?

Serve immediatamente il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, come abbiamo detto, ma anche assicurare il pieno sviluppo, in termini innovativi e di incentivazione, per le comunità energetiche, il biometano, le rinnovabili innovative, l’agrivoltaico.

La difesa del paesaggio, e i no delle soprintendenze, sono un problema per lo sviluppo delle rinnovabili?

Il tema delle semplificazioni per le autorizzazioni deve essere prioritario. È un tema complesso, ma l’Europa con il recente “RePowerEU” chiede agli stati membri di limitare a uno o due anni al massimo gli iter autorizzativi per gli impianti rinnovabili. La differenza con quanto accade oggi (almeno cinque anni o più) è inaccettabile. Senza aggredire il nostro patrimonio, crediamo che l’indicazione europea possa e debba essere seguita.

Cosa pensa del superbonus?

La prima versione ha avuto un forte impatto sul settore edilizio, ha avuto un grande effetto sull’economia e sulla riqualificazione energetica degli edifici, ma inevitabilmente ci sono state distorsioni, che vanno eliminate con versioni aggiornate. Bisogna migliorarlo, non abbandonarlo: sarebbe un grave errore strategico.

Come vede questa campagna elettorale rispetto al tema della transizione ecologica e della lotta alla crisi climatica?

La lotta al cambiamento climatico è la grande assente della programmazione politica, quando invece tutto deve partire da lì. Il tema della sostenibilità deve essere affrontato con un cambiamento culturale, per recuperare quell’atteggiamento di ciascun individuo nei confronti di una visione complessiva delle cose persa in una società globalizzata. Ritrovare il valore dell’impegno e della responsabilità individuale in chiave sociale è uno dei temi centrali della sostenibilità. Ad esempio le comunità energetiche abbracciano insieme sia gli aspetti di riduzione dei consumi – altro tema fondamentale di cui non si parla – sia quello dell’importanza dell’autoconsumo energetico, sia quello della disparità sociale.

Cosa pensa, infine, dei Fridays for Future, o cosa vorrebbe dire loro?

Vorrei proporre loro un’assemblea aperta per discutere non tanto e solo della crisi climatica, ma soprattutto delle soluzioni ad essa. Il loro coinvolgimento è troppo importante per non ritagliarci uno spazio di ascolto permanente. Spero accettino questa proposta.

*  da ilfattoquotidiano – 18 agosto 2022

Livio De Santoli: «Non si può sostituire il gas con altro gas, basta ambiguità sulle rinnovabili»

Intervista al Prorettore alla sostenibilità dell’Università La Sapienza candidato alle politiche con il M5Stelle 

«C'è bisogno di arginare il pericolo di avere vecchie soluzioni. Faccio un appello ai Friday for future: sono pronto a coinvolgerli da subito per andare avanti insieme»

Candidato con i 5S Livio De Santoli, prorettore alla Sostenibilità dell’Università La Sapienza di Roma, presidente del Coordinamento Free – Fonti rinnovabili efficienza energetica.

Molti partiti si richiamo all’agenda Draghi, come giudica il lavoro del ministro Cingolani?
L’attività svolta negli ultimi anni, non solo negli ultimi due, è stata ondivaga. Tutti hanno sempre affermato l’importanza di prendere una strada decisa verso la decarbonizzazione ma nei fatti, quando si trattava di mettere in piedi delle soluzioni, non sono arrivate. C’è una grande confusione sul tema dell’energia e del clima anzi del clima se ne parla molto poco. Ci deve essere la volontà di tutti, a partire dal prossimo governo, per affrontare in tempi concreti l’uscita dalle fonti fossili, un processo lungo che a maggior ragione va cominciato subito.

La destra, Calenda e Renzi propongono il nucleare.
Non è praticabile come soluzione a breve termine. Abbiamo un impegno con l’Ue: tagliare di più del 50% le emissioni entro il 2030. Mancano solo 8 anni perciò dobbiamo utilizzare le tecnologie esistenti. Le uniche che possono dare una mano in termini di costi, operatività, finanziamenti privati sono le rinnovabili. Elettricità futura ha spiegato che si possono fare 8 gigawatt di rinnovabili l’anno a costo zero con elettrico, termico e il contributo dei privati. La funzione dello Stato deve essere quella di semplificare le procedure: se siamo ancora qui, con un rateo di miglioramento inferiore a un gigawatt l’anno, vuol dire che non arriveremo mai ai target che siamo chiamati a fare. E poi dobbiamo impegnarci sul fronte dell’efficienza energetica, di cui nessuno parla. Le rinnovabili devono andare di pari passo con la riduzione dei consumi.

Servono oppure no i rigassificatori?
La posizione sul punto deve essere netta: non possiamo sostituire il gas con altro gas. Lo potremo fare in un piccolo periodo transitorio ma si devono gettare le basi per l’uscita da questa fonte fossile, se non cominciamo subito perderemo solo tempo. Abbiamo un problema con il gas russo da eliminare e quindi è chiaro che nell’immediato occorre sostituirlo con le forniture algerine. Ma, senza una strategia che guardi a un futuro sostenibile, elimineremo il problema con la Russia per averlo domani con l’Algeria. Probabilmente, in una fase transitoria e limitata, occorrerà un rigassificatore ma non è la soluzione, che va cercata nelle nostre risorse: il sole, il vento, le rinnovabili.

Quali sono le politiche più urgenti?
Serve subito il Piano nazionale integrato di energia e clima, stiamo aspettando l’aggiornamento da più di un anno e mezzo, occorre farlo e occorre che sia coerente con il percorso di uscita dalle fonti fossili. Bisogna anche spingere sulle semplificazioni, lo dice anche l’Ue: tutti i paesi membri devono assicurare le autorizzazioni per gli impianti delle rinnovabili entro i 2 anni; noi ci mettiamo 4, 6 anni di media. Dobbiamo individuare aree non vincolate e renderle libere da tutti i freni burocratici.

Insistere con soluzioni arretrate è un blocco allo sviluppo?
L’agrivoltaico, ad esempio, così come le comunità dell’energia sono fondamentali per dare una valenza sociale al settore. La transizione è una rivoluzione anche culturale e include la valutazione delle disparità sociali che esistono in Italia. Le comunità dell’energia consentono la partecipazione dei cittadini al vantaggio economico del rendere rinnovabile un condominio o un paese. L’agrivoltaico dà una mano alle aziende agricole per migliorare la loro produzione con i proventi dell’energia.

I detrattori affermano che la transizione fa perdere posti di lavoro.
Una cosa che non si può proprio sentire, ci sono degli studi e io sono pronto a mostrarli, anche del mio dipartimento, che spiegano il vantaggio in termini di occupazione che uno sviluppo coerente, integrato e idoneo delle rinnovabili può comportare. Non è vero che i posti che si perdono sono maggiori di quelli che si acquisiscono, anzi è il contrario. Non bisogna proporre dati sbagliati all’opinione pubblica, questa storia non è suffragata da niente. Se dovessimo raggiungere gli obiettivi previsti per il 2030, 70/80 gigawatt di rinnovabili in più, potremmo avere oltre 100mila nuovi posti permanenti più quelli temporanei.

Perché ha accettato la candidatura?
C’è bisogno di arginare un pericolo, quello di proporre vecchie soluzioni. Occorre competenza e l’apporto della società civile. Per questo mi metto a disposizione, è un momento drammatico e se perdiamo altro tempo ci ritroveremo a leccarci le ferite. Faccio un appello ai Friday for future, che stanno lamentando l’assenza del loro coinvolgimento: sono pronto a contattarli da subito, facciamo tavoli tecnici per spiegarci, noi da un lato e loro dall’altro, per capire come andare avanti insieme.

·         da il manifesto - 17 agosto 2022

7 agosto 2022

Energia: Non siamo alla canna del gas, ci stanno solo spennando per bene

di Massimo Marino

1) Se volete farvi un’idea approssimativa su come davvero vanno le cose della transizione ecologica, tema che i media vi offrono a colazione, pranzo e cena con una sfilata di leader politici di destra e di sinistra, esponenti confindustriali, editorialisti di primo piano della carta e della rete tutti a modo loro per la sostenibilità, lasciate perdere i sostenuti. Riguardatevi invece le tappe del recente giro d’Italia con le riprese dall’alto di decine di paesini, medie e grandi città da nord a sud. Difficilmente avvisterete un tetto fornito di pannelli per la autoproduzione da solare fotovoltaico. Come è possibile? Come stanno le cose?

A dicembre 2018 gli impianti istallati (sui tetti e a terra) erano circa 670mila, a dicembre 2019 erano 880mila (210mila in più). Due anni dopo (i due anni iniziali del covid) erano poco più di un milione (136mila in più). Considerate che gli edifici disponibili, tetti di abitazioni e di capannoni industriali e agricoli, trascurando le possibilità a terra, pur non facili da stimare, sono in Italia sicuramente più di 10 milioni. Se volessimo porci l’obiettivo strategico di attrezzarne la metà nell’arco di 10 anni dovremmo collocare circa 500mila impianti all’anno che, se ci fosse la volontà politica, sarebbe assolutamente fattibile. Con il contributo pubblico si giustificherebbe l’avvio di una sana autarchia, un segmento produttivo nazionale autonomo nella produzione ed istallazione, economicamente virtuoso per tutti (cioè per i cittadini, le imprese, l’occupazione, il PIL e l’ambiente).

2) L’introduzione del superbonus 110% ha aggiunto una grande potenzialità agli interventi di efficientamento energetico. Presentato dal governo Conte II nel DL Rilancio del maggio 2020 e avviato dal luglio rende efficienti energeticamente abitazioni e aziende a costo quasi zero. Ostilità politica e boicottaggi, eccessi burocratici dei diversi enti locali, aumenti speculativi dei costi, scarsa collaborazione delle banche, qualche inesperienza di troppo nel testo del decreto base e nelle varianti seguite, hanno messo in ombra i risultati. Non solo lo straordinario successo dal punto di vista edilizio con 173mila progetti finanziati (33 mld stanziati fino a tutto il 2022 risultano già finiti da maggio) ma anche il grande impatto ambientale che può portare fino ad un risparmio dell’80% dei consumi energetici complessivi di un fabbricato. Invece di semplificare le procedure, razionalizzare i controlli e i costi e allungare l’iniziativa oltre il dicembre 2023 a tutto il decennio 2020-2030, il rischio è che invece in autunno il boicottaggio dell’iniziativa targata 5Stelle-Conte, riesca definitivamente, spostando le risorse verso altri capitoli di spesa più redditizi sul piano delle clientele, rendendo così ridicola qualunque dichiarazione di impegno verso la transizione ecologica da parte dei prossimi governi.

3) È singolare che nel dibattito sulla transizione energetica che negli ultimi mesi si è aggrovigliato con i problemi dei costi delle fonti, della guerra e di una scarsità del gas che non c’è mai stata, sia scomparso il peso dei trasporti e della mobilità, determinanti insieme alle abitazioni e alle aziende per il fabbisogno e la qualità dei consumi energetici. Nella più totale indifferenza dei media nei mesi passati sono stati diffusi i dati di fine 2021 sulla quantità di auto circolanti per abitante nel nostro paese. Siamo a più di 670 auto ogni 1000 abitanti (700 in parecchie aree urbanizzate) ancora in aumento rispetto al 2020 e con una età media dei mezzi salita dai 7,9 anni del 2009 agli 11,8 anni attuali. Addirittura, quasi a 900 su 1000 se si somma tutti gli altri mezzi a motore endotermico tipo moto e furgoni. Una vera follia, il dato di gran lunga più alto d’Europa e dell’intero pianeta se si considera anche la densità abitativa.

Da tempo sostengo che c’è un’unica alternativa a questa tragica deriva, dove tranne i bambini, già da piccoli però circondati da giochi e figurine che rappresentano le auto, quasi tutti gli italiani possiedono e si muovono su un veicolo a motore endotermico spendendo, spandendo e sprecando soldi, gas inquinanti, tempo di vita e stress.

L’alternativa è la diffusione capillare di reti metropolitane in tutte le città di grande e media dimensione. Tutto il resto, andare a piedi, le biciclette, il car pooling ed il car sharing, i monopattini, la vita solitaria in casa da santone indiano, sono utili e sacrosante alternative, gettoni per guadagnarvi il paradiso, ma il loro impatto sui grandi numeri della mobilità, specie nelle aree metropolitane è quasi irrilevante. Servono vettori pubblici e collettivi a corsie dedicate, cioè metropolitane a rete nella città che si proiettino fuori dalle aree urbane e si colleghino a treni regionali o interregionali che si estendano con una ragionevole alta velocità, in tutto il territorio nazionale dove non ci sono.

Con l’eccezione di Milano le reti metropolitane sono dimenticate o messe nell’angolo e di fatto messe da parte perfino da molti ambientalisti, plagiati dal dibattito irreale sulla diffusione delle auto elettriche. A Roma un ulteriore estensione della linea C ed il progetto di una linea D sembrano una chimera. I progetti suggeriti dalla Raggi e i finanziamenti chiesti sono stati apertamente boicottati. A Torino purtroppo l’Appendino in 5 anni è riuscita solo a riesumare il progetto sbagliato PD del 2006 che parte da Rebaudengo e taglia fuori le parti più rilevanti del traffico proveniente dall’area esterna di nord-est e di sud -ovest della città (San Mauro e Orbassano) rimandate ad un indefinibile futuro. Un desolante errore, una scelta gravissima che a mio parere andrebbe cancellata ricominciando rapidamente da capo partendo dai due estremi. A Bologna le difficoltà di mobilità nelle zone centrali e in quella universitaria non prevedono alcun progetto di metro vera e propria ma metrobus e biciclette. Nulla a Firenze dove si progetta una linea che non è dedicata e sembra prevedere semafori. A Genova la piccola tratta di metro esistente sembra aver chiuso la partita con due modesti segmenti da aggiungere. In molti sostengono, affrettatamente, che la conformazione delle aree cittadine non consente facili interventi, dimenticando che le metro nel mondo sono dappertutto: sottoterra, a raso, sopraelevate, sotto i fiumi e i viadotti. La metro di Parigi è arrivata anche sotto la Senna dal 1903! A Napoli le linee esistenti hanno circa 20 km di estensione e si spera nella linea dal Centro alla stazione AV di Afragola. A Palermo e Cagliari la costruzione di una vera rete cittadina con propaggini fino ad oltre le periferie non è stata presa in considerazione fino a pochissimi anni fa. Nelle città di media dimensione, intendo sopra i 100mila abitanti, che sono all’incirca 50, l’ipotesi di tratte metro non viene neppure pensata. Si trascura l’importanza decisiva dei tracciati dedicati e della rete, che è la caratteristica che non a caso definisce la metro e moltiplica in modo da tutti inaspettato il numero degli utenti. Ad oggi siamo a meno di 300 km di linee metro funzionanti (comprese le cosiddette metro leggere) spesso solo tratte spezzate che ne riducono le potenzialità di utenza. Tutte hanno un successo clamoroso e non sono sostituibili dal potenziamento di bus e tram, vettori del secolo scorso da eliminare in gran parte, oggi affogati e ingombranti nell’ intenso traffico cittadino, con enormi costi di manutenzione, carburanti e personale, inquinamento, rumore.

Tutto il rarefatto dibattito sulla mobilità, l’inquinamento e le emissioni di gas serra provocato da 40 milioni di auto nel nostro paese è in gran parte costituito da generiche chiacchiere in tv dove nessuno osa dichiarare che l’auto è un simpatico rottame tecnologico del secolo scorso abbellito da navigatori, schermi video, splendidi audio, smartphone incorporati, che va usata solo quando insostituibile e da chi non può farne a meno. Per il resto facendo quattro passi da casa si deve entrare nella rete che deve portarti ovunque. Se a qualcuno sembra fantascienza consiglio un giro turistico in un bel numero di metropoli europee e di parecchi altri paesi occidentali e asiatici.

Invece la ricetta avvelenata che ci suggeriscono per non cambiare nulla va a parare nella diffusione delle auto elettriche, il cui principale obiettivo è quello di dare una boccata d’aria con gli incentivi al settore dell’automotive. Si stima che realisticamente al 2035, quando la vendita (non la circolazione!) di nuove auto a fossili dovrebbe essere vietata in tutta Europa, difficilmente più del 15-20% delle auto circolanti sarà elettrica. Ed è già prevista una verifica con possibili deroghe in ambito UE nel 2026.Cingolani l’ha già chiesta. Insomma, ci stanno prendendo in giro. Ancora nel 2050 potremmo avere sulle strade una prevalenza di motori endotermici.

Dovremmo invece avere già aperto da anni i cantieri in decine di città per la costruzione di reti metro con l’obiettivo di raggiungere in 10 anni almeno 1000 km in più di binari e ritirare dal traffico quotidiano il 50% delle auto, di qualunque tipo siano. Se le reti ci fossero gli utenti le prenderebbero d’assalto, mollerebbero le auto e risparmierebbero un sacco di soldi. Stimando 100-150mila euro al km si tratta di un investimento di 10-15 mld all’anno per 10 anni.

4) Quando negli anni ’90 si svolsero i primi appuntamenti internazionali per il clima (il Summit per la Terra di Rio de Janeiro nel 1992 e la COP1 di Berlino nel 1995, apparve evidente che il principale paese dell’occidente inquinatore, gli USA, non erano disponibili a impegni e ratifiche di accordi che potessero modificare “lo stile di vita americano”. La Russia, la Cina, l’India, il Giappone, non mostrarono alcuna disponibilità a fare quello che non facevano gli USA. Singolare la battuta di Putin che l’aumento delle temperature era un’ottima notizia per la Siberia che avrebbe consumato meno legna per scaldarsi. Nella COP3 di Kyoto nel 1997 vari paesi europei fra cui l’Italia e pochi altri firmarono un Protocollo in cui si indicavano impegni di riduzione delle emissioni entro il 2012 con una seconda tappa prevista al 2020.  Nessuna adesione ne ratifica però dai paesi più importanti. Anzi nel 2011 il Canada ritirò la firma.  Nel 2012 alla COP 18 di Doha si rinnovarono le adesioni al Protocollo in scadenza ma i firmatari (Europa, Australia e poco altro) rappresentavano meno del 20% delle emissioni totali. Un passo in avanti arriva nel 2015 alla COP21 di Parigi dove 196 nazioni accettano un patto globale e condiviso che impegna a mantenere l’aumento di temperatura al disotto di 2 gradi e se possibile a 1,5. La ratifica del Patto dai singoli paesi da allora procede quantificando l’impegno dei singoli e i piani d’azione per attuarlo. A Glasgow la COP 26 del novembre 2021 ridefinisce nuovi obiettivi minimi di decarbonizzazione: un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 2010, da attuarsi entro il 2030, e zero emissioni nette “intorno” alla metà del secolo. Scompare dal documento finale l’impegno alla dismissione dei combustibili fossili ed a cancellare il loro sostegno con contributi economici. È noto che nessuno dei percorsi e degli obiettivi, almeno su scala planetaria, è davvero in divenire. Aumenta il consumo di fossili, aumentano le emissioni, la CO2 ha raggiunto l’incredibile record di 415 ppm. Era sotto i 400 quando iniziarono le COP negli anni ‘90.

5) Per l’Italia gli obiettivi di riduzione definiti a Kyoto nel 1997 sembrarono nei primi anni mantenuti. Addirittura, nel 2012 gli aggiornamenti al 2020 sembrarono raggiungibili in anticipo di qualche anno. I governi Prodi, Berlusconi IV, Monti (maggio 2006/aprile 2013) vedono un lento ma graduale aumento dei consumi finali attraverso rinnovabili. Nel 2011 si parla addirittura di boom del solare. Anche la mafia si accorge che il solare fotovoltaico è redditizio. Con il DL del marzo 2011 scatta l’obbligo (direi presto dimenticato) di installare impianti a fonti rinnovabili per edifici nuovi e in ristrutturazione. Confronto ad altri paesi anche europei l’Italia almeno sulle rinnovabili sembra vada sulla direzione giusta.

Poi sorprendentemente tutto si ferma.

Dati e osservatori concordano che dal 2014-2015 In Italia la situazione è di stasi totale: la decarbonizzazione del sistema energetico si è praticamente arenata. Rapporti dell’Enea affermano che la quota di Fer (rinnovabili) sui consumi finali potrebbe perfino ridursi perché è in stallo intorno al 17,5% del 2015. Installiamo qualche centinaio di MW all’anno invece di qualche GW mentre i costi delle rinnovabili diventano del tutto competitivi con qualunque altra fonte e i tempi di attuazione dei progetti sono di gran lunga i più rapidi. Avremmo dovuto accelerare alla grande invece è successo il contrario. È emerso di recente che progetti presentati da quegli anni ad oggi per un totale di quasi 90 GW non sono stati approvati o comunque restano fermi da anni presso i Ministeri (per capirsi si tratta circa dell’equivalente di 90 centrali nucleari da 1000 MW). Nel 2021 le FER sono arrivate appena al 19%.

Confesso che per anni mi sono chiesto senza trovare risposte perché tutto si è fermato. Incompetenza e ignoranza? Burocrazia e localismi? Subordinazione della politica a petrolieri e ostilità verso gli ambientalisti, in Italia peraltro docili e miti come agnellini? Le lobby che estraggono e vendono lingotti d’oro nero e riempiono le nostre strade di insostenibili SUV ne hanno distribuiti qualcuno in giro?

6) Solo negli ultimi mesi mi sono dato qualche risposta, per certi versi davvero desolante.

Dall’aprile 2013 al giugno 2018 si sono susseguiti tre governi: Letta, Renzi, Gentiloni.

Nel maggio 2014 l’ENI (30% dello Stato) annuncia in 10 righe la firma di un accordo con GAZPROM ( la società di stato russa per il gas) con cui si revisionano i prezzi dei contratti pluriennali ( arbitrariamente agganciati a quelli del petrolio all’epoca sopra i 100 $) e si aumenta massicciamente l’importazione di gas dalla Russia di fatto a discapito di altri fornitori: Algeria, Libia ed altri paesi dell’area mediorientale-africana. Lo sconto ottenuto sul momento sembra essere del 7% ma il petrolio crollerà nei prezzi rapidamente. L’Italia si trova così ad aumentare decisamente la dipendenza energetica dalla Russia. Qualcosa di simile avviene anche per la Germania della Merkel. Va ricordato che all’epoca l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder dell’SPD, perse le elezioni contro Merkel nel 2005, era divenuto consulente di Putin entrando nel board della società che gestisce il gasdotto russo-tedesco (da lui approvato come Cancelliere) e membro del consiglio di vigilanza del gigante energetico russo Rosneft, attività che sembra aver cessato meno di due mesi fa per non incappare anche lui nelle sanzioni antirusse.

Poche settimane prima dell’accordo si svolge il contestato referendum in Crimea (16 marzo 2014) per il passaggio dall’Ucraina alla Russia, che solleva proteste in molti paesi europei e molto meno in Italia. Siamo nel pieno della guerra civile nel Donbass che porterà alle due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk dopo che i due protocolli di Minsk del settembre 2014 e febbraio 2015 non vengono rispettati da nessuno. 

I principali capi di governo europei, Merkel, Cameron, Hollande oltre a Obama avevano disdetto la partecipazione ai giochi di Soki di febbraio (le olimpiadi invernali russe). Unico presente Letta che dopo un convegno con Putin a Trieste aveva annunciato la sua presenza in Russia dichiarando che lì avrebbe espresso il suo dissenso... per le leggi antigay della Duna del 2013. Le conseguenze dell’accordo ENI-GAZPROM rendono (quasi) tutti felici. Costi un po’ abbassati, quantità abbondanti perché Putin ha bisogno di cash, sembra che il gas russo sia anche meno umido di quello algerino. L’accordo è annunciato da De Scalzi ex vice di Scaroni che ha appena sostituito alla guida dell’ENI su nomina di Renzi appena subentrato a Letta (febbraio 2014).

Così da 8 anni i nostri atlantisti versano parecchie decine di miliardi all’anno a Putin che addirittura nella seconda parte del 2021 ci ha aumentato le quantità e sembra ci abbia diminuito un po’ i prezzi del gas che invece sul mercato sono schizzati verso l’alto da settembre. Sarà che avevamo tanto gas a buon prezzo, o altro che non capisco, ma invece di riempire gli stoccaggi l’ENI si è messa pure a rivendere un po’ di gas. A fine anno Putin con una battuta ha affermato che in Europa e in particolare in alcuni paesi come l’Italia qualcuno si sta arricchendo con il gas russo. L’impennata dei costi del gas e dei prodotti petroliferi nella seconda parte del 2021 che ha terrorizzato mezza Europa, è durata 2 mesi, è stata una sorpresa e sui media si sono sentite le più incredibili panzane di commentatori, esperti e politici che allibiti non sapevano che dire parlando genericamente di speculazione. E’ comunque del tutto indipendente dalla guerra russo-ucraina di febbraio 2022.

Poi qualcuno ha sussurrato l’ipotesi più credibile.

Le multinazionali del settore, a cominciare dai fondi di investimento che a Londra e nel nord Europa determinano parte dei prezzi del mercato, fino alle società nazionali come l’ENI e ai trafficanti che comprano e vendono prodotti energetici, hanno dovuto ridurre i propri guadagni a seguito della crisi epidemica e dei lockdown e riduzioni dei consumi del 2020 e parte del 2021. Hanno così deciso, ignoro in quale sede e con quali protagonisti responsabili e complici, di provocare l’esplosione senza alcuna giustificazione dei prezzi, che forse gli è anche sfuggita di mano perché “la speculazione” è diventata attraente a tutti i livelli. Togliendo gioiosi dalle nostre tasche nell’inverno passato quanto non avevamo speso nel 2020-2021. (Solo sei mesi dopo è arrivato Putin che ci riduce le scorte in funzione anti sanzioni e per avere qualche arma in mano rallentando il pieno delle scorte invernali, con la minaccia di lasciarci al freddo).

Come esempio i ricavi ENI sono passati da circa 69 mld del 2019 a 44 del 2200 e sono risaliti a 77 mld nel 2021. Per il 2022 ENI ha dichiarato nella semestrale di fine luglio:” Il risultato netto adjusted è stato positivo per 7,08 miliardi di euro, risultato che si confronta con gli 1,2 miliardi contabilizzati nel primo semestre del 2021, grazie al miglioramento dell'utile operativo…”. E se pensate alla tassa sugli extraprofitti (all’inizio proposta per le rinnovabili) state tranquilli: ad oggi il nostro drago non ha tagliato praticamente niente a nessuno ( tranne noi ovviamente) e forse dovrà sanzionare anche l’azienda di cui ha il 30% e i diritti di Golden Share.

In conclusione, abbiamo perso otto anni preziosi.

In questi anni si è abbandonata qualunque azione concreta per la transizione, si è permessa una dipendenza energetica inaccettabile, si è messa da parte, non so quanto consapevolmente o no, la scelta delle rinnovabili. Dopo Letta, Renzi, Gentiloni, primi responsabili, con i governi Conte I e II il cambiamento annunciato è stato comunque minimo. Si è persa un’occasione che difficilmente si ripresenterà. 

- Dovremmo avere 500mila nuovi tetti produttivi all’anno, - semplificare quanto necessario il superbonus edilizio ed estenderlo all’intero decennio, - attivare decine di cantieri per ridurre drasticamente le auto circolanti a favore di alcune centinaia di km di metro. Ci farebbero risparmiare un sacco di soldi, tempo e inquinamento, promuovendo le tante altre piccole azioni diffuse di risparmio utili alla transizione che si presenta sempre più urgente. Invece attorno al PNRR dobbiamo sentire improbabili divagazioni sulla CO2 da insufflare nel sottosuolo, l’idrogeno dei vari colori, i SUV e i BUS elettrici, il nucleare di quarta generazione, la fusione.

Dal Summit di Rio sono passati esattamente 30 anni e ogni quarto d’ora un gruppo di esperti, di scienziati, di associazioni e comitati, praticamente ignorati, fa un appello che sottolinea la crisi ambientale. Raramente però si indicano le cose concrete che qui ed ora andrebbero fatte. Così gli appelli non hanno il seguito necessario. Le tre azioni indicate sopra sono necessarie e irrinunciabili, non ne conosco altre realisticamente fattibili e accettabili nel prossimo decennio. Chi parla d’altro restando nel vago, che sia nero, verde o rosso, di destra o di sinistra vi racconta balle.  Qualunque protagonista che si candidi a proporre l’alternativa le dovrebbe sostenere senza disperdersi in chiacchiere inutili sulla sostenibilità.

Gli altri non sanno bene di che parlano, alcuni si stanno arricchendo in silenzio, ma stanno giocando con il nostro futuro. Viva l’Italia!