24 febbraio 2012

In Italia soltanto un edificio su dieci ha l'indice di prestazione energetica


di Simone Muscas *

Sarà che da noi si è sempre poco attenti alle tematiche ambientali o sarà che sino a quando non arrivano le sanzioni serie noi italiani cerchiamo sempre di farla franca o ancora perché su quest’argomento c’è ancora tanta confusione a livello legislativo con regolamenti differenti da Regione a Regione, fatto sta che per il momento l’introduzione dell’obbligatorietà della certificazione energetica per la compravendita delle case sembra ancora una questione per pochi.

Infatti, secondo un’indagine del sito Immobiliare.it, condotta su un campione di oltre 700mila annunci di compravendita (quindi non certo pochi), emerge come attualmente soltanto il 12,7% degli immobili in vendita abbia un certificato di efficienza energetica valido. Dal primo Gennaio 2012 infatti, per chi non lo sapesse, chi vuol vendere una casa o un qualsiasi altro fabbricato deve riportare l’indice di prestazione energetica nelle “offerte di trasferimento a titolo oneroso di edifici o di singole unità immobiliari”, come stabilito dalla normativa sulla certificazione energetica.

Insomma tanto ancora da lavorare per rendere realmente efficace un’iniziativa che si propone di introdurre l’aspetto energetico, questo sconosciuto, fra i parametri da monitorare nel momento in cui si decide di acquistare un’abitazione. Da parte del Governo ovviamente servirà tanta attenzione sia perché tale legge venga rispettata sia perché non vi siano speculazioni nei prezzi per le analisi energetiche, evitando quindi che questa norma possa mettere ulteriormente in crisi un mercato, quello immobiliare appunto, che non sta sicuramente vivendo i suoi migliori giorni.

Per far questo sarà importante innanzitutto fare in modo che a livello regionale vi sia maggiore chiarezza nelle norme di certificazione energetica, ma anche maggiore controllo per quei territori in forte ritardo di recepimento delle norme nazionali.

La cosa però non sarà presumibilmente semplice: se da un lato abbiamo infatti Province abbastanza virtuose in questo senso (per esempio Bolzano ha fatto registrare un valore pari a 25,6%) e sulle quali presumibilmente non vi saranno grosse difficoltà d’intervento, d’altro canto bisogna fare i conti con realtà che sembrano essere completamente avulse da quest’argomento: è il caso di Palermo per esempio che, con appena l’1% di edifici certificati nel proprio territorio, rappresenta la maglia nera fra le Province italiane. Su realtà come questa urgono ovviamente interventi efficaci che contemplino sanzioni di un certo tipo, onde evitare che la norma per la certificazione energetica diventi un orpello per i soliti pochi fanatici.

* da www.eco.it ... 21 febbraio 2012

22 febbraio 2012

L’auto a energia solare che sta facendo il giro del mondo


Si chiama Solar World Gt la macchina messa a punto da un gruppo di 30 studenti tedeschi che percorrerà la distanza da record di 21 mila miglia.

Il giro del mondo su un’auto sportiva senza spendere un centesimo di carburante. Sì, perché l’auto in questione si chiama Solar World Gt e va ad energia solare. Un gruppo di 30 studenti dell’ Università di scienze applicate Bochum in Germania sta portando avanti quest’impresa da qualche mese e si propone di percorrere la distanza record di 21 mila miglia (quasi 34 mila chilometri) a bordo di un auto a energia solare.
Durante il viaggio la Solar World Gt si farà ambasciatrice del trasporto sostenibile, senza l’utilizzo di carburanti inquinanti derivati da combustibili fossili.

Partiti da Darwin in Australia il team di giovani ingenieri è sbarcato da poco in California e dopo aver attraversato gli States sarà la volta di Europa e Asia.
Se tutto procede secondo i calcoli ci vorrà il prossimo autunno per vedere il Solar Team raggiungere l’Australia e così concludere il suo giro intorno al globo.
Il gruppo tiene sul web un diario di viaggio sul sito dell’università e una documentazione fotografica del viaggio.

fonte: www.hochschule-bochum.de ( auto solare )

9 febbraio 2012

Chi c’è dietro le campagne presidenziali negli Stati Uniti


da www.geopoliticamente.wordpress.com 3 febbraio 2012

Cosa hanno in comune Obama e Romney? Entrambi vantano, tra i propri fans, una folta schiera di miliardari. I quali non lesinano ricche donazioni per sostenere l’immagine dei propri beniamini in vista delle presidenziali di novembre.
Cerchiamo di capire di chi i candidati alla casa Bianca sono i burattini.

Questo articolo del Washington Post rivela che Romney ha ricevuto 42 donazioni alla sua campagna da parte di miliardari. Obama non è molto indietro, con almeno 30 sostenitori a nove zeri. Rick Perry (ritirato) e John Huntsman seguono rispettivamente con 20 e 12. Nessuno ha puntato su Ron Paul.
Il più ricco donatore di Romney è il finanziere John Paulson, 16 miliardi di dollari di patrimonio e oltre un milione donato all’ex governatore del Massachusetts; seguono l’immobiliarista Donald Bren (12 miliardi) e l’editore Sam Zell (5 miliardi).

Il più ricco donatore di Obama è l’industriale di origine russa Len Blavatnik (10,1 miliardi), il quale ha foraggiato anche Romney. Altri sovventori sono Peter Lewis, presidente della compagnia di assicurazioni Progressive, l’ex CEO di Google Eric Schmidt (7 miliardi) e il finanziere John Doerr (2,2 miliardi). Tuttavia il contributo maggiore è giunto da un non miliardario, e precisamente dal produttore di Hollywood Jeffey Katzenberg, 800 milioni di patrimonio, che ha donato al presidente in carica ben 2 milioni.

In ogni caso, non è un mistero che il mondo di Wall Street abbia scelto Romney.
Che una campagna elettorale più “ricca” possa far pendere l’ago della bilancia per un candidato piuttosto che per un altro è risaputo, soprattutto negli Stati Uniti. Come non è un mistero che i donatari, una volta eletto il proprio favorito, si aspettino un “dividendo” politico dal loro investimento.
I ragazzi di Occupy Wall Strett ci ricordano che nel 2010 il 94% dei candidati vincitori delle elezioni di mid-term aveva avuto a disposizione più soldi rispetto agli avversari sconfitti. Questo offre un’idea dell’importanza del fattore $ nel processo democratico d’oltreoceano. E non vi è dubbio che un ruolo di primo piano nella macchina del consenso spetti alle cosiddette lobby.

Oggi a Washington sono registrate 1.900 società di lobbying nelle quali lavorano oltre 11.000 lobbisti a tempo pieno. Tutto alla luce del sole, in virtù di quel primo emendamento della Costituzione che garantisce a tutti i cittadini la libertà di stampa e d’espressione. O meglio, di una interpretazione estensiva di tale norma affermata dalla Corte Suprema in una controversa pronuncia del 21 gennaio 2010, in cui si dice che non c’è limite ai finanziamenti elettorali da parte delle grandi aziende. Unica condizione: deve avvenire tutto nella massima trasparenza, ragione per cui dati di cui sopra sono perfettamente reperibili da chiunque. Ma le lobby sanno come aggirare anche questo limite.

La decisione della Corte ha contrariato lo stesso Obama, secondo cui “questa sentenza offre alle lobby un potere ancora superiore a Washington, mentre indebolisce l’influenza dei semplici cittadini che possono versare solo modesti contributi ai loro candidati”. Solo nel 2009, ad esempio, i lobbisti hanno speso per influenzare la politica 3,49 miliardi di dollari. Cifre di cui la gente comune non potrà mai disporre.
In altre parole la Corte Suprema, i cui giudici sono a maggioranza filorepubblicani perché nominati in passato da Reagan e da Bush padre e figlio, ha incluso nel concetto di libertà d’espressione il diritto delle multinazionali di finanziare i candidati al Congresso o alla Casa Bianca, pagando di tasca propria tutti gli spot necessari a farli eleggere.
Sono così nati i Super-PAC. I PAC (Political Action Committees) sono dei comitati d’azione politica attraverso i quali i cittadini possono contribuire allo svolgimento delle elezioni federali. Fino al 2010 potevano ricevere finanziamenti limitati, ma la sentenza della Corte Suprema ha aperto la strada ad una valanga di soldi privati. I Super PAC sono attivamente impegnati nelle primarie repubblicane in corso, pur non avendo alcun legame ufficiale con i singoli candidati. E proprio in virtù di questa distanza formale possono permettersi di fare cose che i candidati stessi non farebbero, come attaccare e distruggere in tv l’immagine dei propri avversari: pensiamo alla martellante campagna denigratoria che Restore Our Future, il Super PAC vicino a Romney, ha scatenato contro Newt Grinrich.

Ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che, per una serie di cavilli legali, i Super PAC possono mantenere segreti i nomi dei finanziatori fino a dopo le elezioni, alla faccia della trasparenza.
Ancora più controversi sono i legami tra lobby economiche e il Tea Party, movimento populista anti-Stato e anti-regole che condivide con il capitalismo il solo obiettivo di far fuori Obama. C’è chi lo chiama Koch Party, dal nome dei due magnati meno trasparenti del capitalismo americano: le loro aziende guadagnano tanto, inquinano tantissimo, non sono neppure quotate in borsa. E sottobanco finanziano l’agitazione popolare nato dalla pancia dell’America delusa. C’è da riflettere.
L’azione dei Super PAC comporta effetti facilmente immaginabili. Da un lato, il sistema democratico viene di fatto drogato dall’iniezione di finanziamenti senza eguali, dietro i quali si celano grossi centri di interesse, più o meno gli stessi che questa crisi l’hanno provocata. Dall’altro, la qualità del confronto politico si sta “italianizzando”, ossia sta scadendo a mero scontro frontale senza contenuti.
Conscio di questa realtà, per mantenere la sua aura trasparenza (e per ingraziarsi quel cosiddetto 99% di OWS) Obama ha annunciato che non accetterà più donazioni da lobby. Tuttavia si tratta di fumo negli occhi per due ordini di ragioni. Primo, dipende dalla definizione che lo stesso Obama vuole dare al termine “lobbysta”. Secondo, i gruppi di interesse e lo avevano abbandonato già da tempo.

D’altra parte il presidente in carica non è immune da colpe. Nel 2008 rifiutò di accontentarsi del finanziamento pubblico della sua campagna elettorale per sfruttare la straordinaria mobilitazione di base a sostegno della sua candidatura. Se avesse rinunciato alle donazioni, la sua scelta avrebbe vincolato lo sfidante repubblicano McCain a fare lo stesso. Invece Obama accettò a man bassa dei contributi che arrivavano copiosi, polverizzando tutti i record in termini di piccole elargizioni di cittadini, ma aprendo la strada anche a quelle grandi da parte di soggetti più facoltosi.
Molti si stupiranno nell’apprendere che le vituperate BP, Exxon, Chevron, Goldman Sachs e le Big Pharma, solo per fare alcuni nomi, hanno dato più soldi ad Obama che McCain. E quando Obama ha cercato di riformare la norma sui finanziamenti questo è stato il risultato.

Lo zucchero? Tossico e dannoso come il fumo e l’alcool


di Verdiana Amorosi *

E’ calorico, fa aumentare la pressione, cambia il metabolismo, provoca problemi al fegato e fa’ gli stessi danni del fumo e dell’alcool: non stiamo parlando dell’ultimo menu lanciato nei fast food, ma – più semplicemente - dello zucchero!

A rivelare la nocività di questo ingrediente è un gruppo di esperti dell'università di San Francisco, che in un articolo pubblicato dalla rivista Nature dal titolo "Sanità pubblica: la verità sulla tossicità dello zucchero" ha messo in evidenza come i danni provocati da questo alimento siano molto simili a quelli dati dall'alcolismo.
“Lo zucchero è molto lontano dall'essere soltanto un fornitore di calorie – hanno spiegato Robert Lustig, Laura Schmidt e Claire Brindis - al livello consumato in occidente cambia il metabolismo, alza la pressione, altera i segnali ormonali e causa danni significativi al fegato. I pericoli per la salute sono largamente simili a quelli che si hanno bevendo troppo alcol, che non a caso deriva dalla distillazione dello zucchero”.

E c’è di più: secondo gli scienziati che hanno condotto lo studio questo ingrediente – così usato e diffuso in tutto il mondo – è uno dei principali responsabili dei 35 milioni di morti l'anno per malattie come il diabete o problemi cardiocircolatori. Naturalmente, come spesso accade, anche in questo caso a fare la differenza sono soprattutto le quantità; un caso su tutti: negli Stati Uniti l'apporto quotidiano di calorie date esclusivamente dallo zucchero è spesso pari o superiore alle 500 unità. Ciò vuol dire che più di un terzo delle calorie ingerite ogni giorno dagli americani deriva solo da questo ingrediente.

Il problema dunque è che nel mondo, e specie in alcuni Paesi ricchi come gli Usa, se ne assume troppo, tanto che negli ultimi 50 anni il consumo medio pro capite è addirittura triplicato. E questo può portare nel tempo a malattie anche gravi, che tendono ad “uccidere lentamente”.
“Non stiamo parlando di proibire lo zucchero – hanno concluso gli esperti - ma questa deve diventare una preoccupazione dei governi. Si dovrebbe rendere il consumo di zucchero meno conveniente, e allo stesso tempo far capire il messaggio alla popolazione”.
Oltre allo zucchero poi, ci sono una serie di altre “varianti” e derivati, come il fruttosio o l’aspartame, presenti comunemente in tanti cibi, che non sono meno pericolosi del classico zucchero. Come confermando gli studiosi, “una crescente mole di prove scientifiche mostra che il fruttosio può innescare processi tossici per il fegato e favorire molte altre malattie croniche”.

E allora come prevenire le pericolose malattie derivanti da un consumo eccessivo di questo ingrediente? Sicuramente limitandone il consumo - imparando a mangiare e bere cibi e bevande meno zuccherate – e cercando di optare comunque per i dolcificanti naturali, come la stevia, finalmente legale anche in Europa, o il miele, che a parità di quantità hanno un potere dolcificante superiore a quello dello zucchero!

* da greenme.it - 3 Febbraio 2012

3 febbraio 2012

Presidenziali in Finlandia: un ecologista al ballottaggio


di Massimo Marino

Il 5 febbraio si svolgerà il ballottaggio per l’elezione del Presidente della Repubblica di Finlandia dopo che nel primo turno del 22 gennaio è emerso che a fronteggiare Sauli Nimisto, della destra liberale moderata (KOK), non sarà ne il candidato di centro Paaro Vayvynen , ne il socialdemocratico Paavo Lipponen, ma il verde Pekka Haavisto.

Se Nimisto ha raggiunto il 37%, al di sotto delle aspettative, Haavisto ha inaspettatamente superato, con quasi il 19% Vayvynen, fermo al 17,5%, mentre Lipponen si è fermato al 6,7%. Per quanto non sia facile, l’eventuale elezione di un verde alla Presidenza, sarebbe il primo caso in Europa di un Presidente apertamente omosessuale regolarmente unito civilmente al suo compagno. Ma la presenza di un candidato gay alla presidenza è passata pressocchè inosservata nel corso della campagna elettorale senza che se ne facesse argomento di scontro. La stessa Presidente uscente, la socialdemocratica Tarja Halonen, si era più volte schierata in difesa dei diritti LGBT, sostenendo apertamente anche i matrimoni omosessuali, resi legali nel paese dal 2002.

Le vere novità del voto sono altre: la prima di tutte il forte ridimensionamento delle forze antieuropeiste, nazionaliste e xenofobe che solo un hanno fa, nelle elezioni politiche, avevano avuto un notevole successo con il forte risultato degli euroscettici populisti, più noti come Veri Finlandesi, il cui candidato Timo Soini si è fermato al 9,5 %, meno della metà del risultato ottenuto un anno fa. Negli ultimi anni l’equilibrio fra i partiti di centro e di sinistra moderata e lo scontro con le emergenti coalizioni di estrema destra ed euroscettiche ha portato all’alleanza di quattro partiti , verdi compresi, al governo del paese.
La seconda novità è la conferma della crisi dei socialdemocratici che hanno più che dimezzato i voti, mentre i verdi li hanno raddoppiati ed un discreto successo, specie fra i giovani, l’ha avuto anche l’Alleanza di Sinistra che ha raggiunto con Paavo Arhimäki il 5,5%.

I giornali estoni, norvegesi, inglesi, parlano del voto soprattutto come di un referendum a favore dell'Unione Europea, scrivendo che la crisi economica e la tradizione di solidarietà e pragmatismo dei paesi nordici stanno già ridimensionando le tentazioni euroscettiche e xenofobe di partiti che comunque non sono mai stati ammessi al governo.

Il verde Pekka Haavisto, che è stato già ministro nel governo di grande coalizione ed è da tempo uno dei leader della Lega verde, è una figura nota in Europa. Il candidato dei verdi ha una lunga carriera politica alle sue spalle; oltre che il ruolo di ministro ha avuto un percorso di alto profilo all’interno dell’Onu.
Haavisto è stato un membro del parlamento dal 1987 fino al 1995. È stato segretario della Lega Verde dal 1993 al 1995 e ministro dell'ambiente durante il Governo Lipponen tra il 1995 e il 1999. È stato il primo ministro europeo a rappresentare un partito verde. Tra il 1999 e il 2005 Haavisto ha lavorato per le Nazioni Unite. Ha condotto il gruppo di ricerca per il programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) in Kosovo, Afghanistan, Iraq, Liberia, Palestina e Sudan. Ha inoltre coordinato le investigazioni dell'ONU circa gli effetti dell'uranio impoverito in Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia e Erzegovina. Nel 2005 è stato inserito come speciale rappresentante dell'Unione Europea in Sudan dove ha partecipato alle trattative di pace nel Darfur. Nel 2007 e nel 2011 Haavisto è stato rieletto nel parlamento dal distretto elettorale di Helsinki dove i Verdi avevano ottenuto nel 2000 fino al 23%.

Sul problema del nucleare c’è un dibattito aperto nel paese e fra gli ecologisti, che per dissidi sul tema per un certo periodo hanno abbandonato il governo. Nel paese sono presenti due impianti con quattro reattori e sono abbastanza note le vicissitudini dell’impianto in costruzione a Olkilmoto, i cui costi e tempi di realizzazione continuano a essere spostati in avanti fino al punto che una delle due società coinvolte, la Siemens , ha abbandonato il progetto rimasto tutto in mano alla EDF francese.

I risultati del primo turno, in buona parte inaspettati , dicono che la crisi delle destre ed un sostegno compatto ad Haavisto rendono ancora aperto il risultato al ballottaggio nel secondo turno, malgrado il distacco fra i due candidati. Sarebbe un buon segno per l’Europa, in attesa delle elezioni in Germania del 2013 dove una coalizione rosso-verde resta al momento vincente nei sondaggi e riporterebbe i Grünen al governo dopo dieci anni, mandando a casa Angela Merkel che ha annunciato che si ricandiderà per la terza volta.

( nella foto il Parlamento Finlandese di 200 membri eletto nel 2011)

1 febbraio 2012

Polemica sulle elettriche: peggiorano l’inquinamento


di Vincenzo Borromeo *

“Le elettriche aggravano lo smog senza rinnovabili”: E’ di nuovo polemica: secondo l’Istituto per la ricerca ecologica Oeko-Institut il problema della produzione di energia l’immissione sul mercato di un milione di vetture entro il 2022 taglierebbe l’attuale livello di emissioni di CO2 del 6%, mentre con la diffusione di motori a benzina più efficienti la riduzione sarebbe pari al 25%.

E chi è già pronto a contestare questa teoria sappia che è stata confermata dallo scorso rapporto indipendente commissionato lo scorso anno congiuntamente da Greenpeace, Friends of the Earth Europe e Transport & Environment. Le organizzazioni ambientaliste denunciarono come l’auto elettrica “potrebbe addirittura far aumentare le emissioni di CO2, a meno che non sia alimenta a energia verde”.
“Le automobili elettriche - ci ha spiegato Andrea Lepore, responsabile della campagna Clima di Greenpeace - sono un importante strumento per la transizione verso un modello di trasporto sostenibile ma il loro sviluppo deve essere accompagnato da un adeguato impegno per garantire la loro alimentazione con energie rinnovabili”.

Secondo il rapporto, dal titolo “Energia verde per le auto elettriche”, la normativa europea in materia di emissioni dalle automobili è inadatta perché il meccanismo dei “super crediti” consente ai produttori di usare la vendita di veicoli elettrici per compensare la continua produzione di automobili a elevate emissioni: per ogni auto elettrica venduta, i costruttori possono vendere oltre tre veicoli ad alta emissione senza conteggiarli ai fini del calcolo delle emissioni di CO2. Un aumento del 10% nelle vendite di auto elettriche potrebbe portare in Europa a un aumento del 20% delle emissioni di CO2 nel settore automobilistico.
“Chiediamo – spiegano le organizzazioni ambientaliste – che i “super-crediti” siano eliminati nelle attuali e future normative sulle emissioni di CO2, a partire da quella, ora in discussione, per la regolamentazione delle emissioni dei furgoni. Inoltre, tutte le auto elettriche vendute sul mercato europeo dovranno essere dotate dei cosiddetti “contatori intelligenti”, strumenti che consentono ai veicoli di essere in carica solo quando sono disponibili eccedenze di energia, per lo più da fonti rinnovabili”.

Ma torniamo alla ricerca, commissionata dal ministero dell’Ambiente di Berlino, che ha rivelato come “l’immissione sul mercato di un milione di vetture entro il 2022 taglierebbe l’attuale livello di emissioni di CO2 del 6%, mentre con la diffusione di motori a benzina più efficienti la riduzione sarebbe pari al 25%”.
Tutto dipende insomma da come si produce l’energia elettrica. Secondo uno studio Fiat – l’unico disponibile al momento, ad una vettura elettrica che circoli (sempre non alimentata da rinnovabili) andrebbe addebitata un’emissione di C02 pari a 60 g/km in Italia e 40 g/km in Francia o Germania, paesi che notoriamente producono energia in modo più pulito del nostro.
Insomma, a rendere poco ‘verdi’ le auto elettriche sarebbe l’alto consumo di corrente da fonti non rinnovabili. Il risparmio di emissioni per l’ambiente sarebbe effettivo solo se l’aumento nel consumo di energia elettrica fosse coperto da elettricità prodotta dalle rinnovabili. Non è un caso che la Smart, per il suo progetto di fortwo elettriche, prima ancora di cominciare a vendere le sue auto, abbia fatto in accordo con l’Enel per dimostrare che tutte le sue auto a noleggio sono ricaricate con rinnovabili.

Soluzione? Per il ministro dell’Ambiente tedesco, Norbert Roettgen, le auto elettriche devono potersi approvvigionare da energia rigenerativa: “Un semplice spostamento della produzione di CO2 dai tubi di scappamento alle centrali elettriche sarebbe un autoinganno”, ha detto a proposito della polemica.


* da Motori blog su la Repubblica online 31 gennaio 2012
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