28 dicembre 2018

Spagna: «Podemos, la terza opzione»


Intervista. Lo choc del voto in Andalusia, la finanziaria, le prossime elezioni europee, un incontro con Pablo Echenique, numero due del partito

di Francesco Campolongo e Loris Caruso  *

Al termine di un’altra giornata politica incandescente nel parlamento spagnolo in cui Podemos ha difeso le ragioni del dialogo tra il governo e i partiti catalani per salvare la maggioranza e la nuova legge finanziaria, poco prima della pausa natalizia, incontriamo nel congresso dei deputati Pablo Echenique. Nonostante l’ora, il responsabile dell’organizzazione di Podemos e numero 2 del partito ci parla a lungo della situazione spagnola, del suo partito e delle europee alle porte.



Finora la Spagna era stata un’eccezione, perché non c’era un’estrema destra forte. Cos’è successo in Andalusia? C’è ancora un’eccezione spagnola?
La Spagna continua a essere un’eccezione. L’estrema destra che si è espressa in Vox prima era interna al Partito Popolare e a Ciudadanos. Ora Vox ha preso voti per metà dal Pp e per metà da Ciudadanos, niente da sinistra e quasi niente dai nuovi votanti. Fondamentalmente Vox è una scissione del partito Popolare, della sua componente più franchista, machista e razzista. Nel passato avevano scrupoli a esprimere pubblicamente queste posizioni. Ora, grazie alla radicalizzazione del discorso politico delle destre spagnole portata avanti da Pp e Ciudadanos e all’acutizzazione del conflitto catalano, le loro posizioni hanno ottenuto cittadinanza.
Se in Italia Salvini è cresciuto anche perché i media parlano da anni di immigrazione e sicurezza, in Spagna succede lo stesso con Vox, cresciuto soprattutto per la centralità che i media hanno dato al conflitto con la Catalogna, descritto come pericolo effettivo che «la Spagna si rompa». Vox non emerge, quindi, dal nulla, e non costituisce una novità radicale. Per questo penso che la Spagna continui a essere un’eccezione. Il nostro spazio politico è ancora intorno al 20%, quindi la possibilità di un’alternativa da sinistra resta concreta.

In Italia si è guardato con molta attenzione alla legge di bilancio concordata tra Psoe e Podemos. Quali sono i suoi contenuti principali?
I provvedimenti che abbiamo strappato al Psoe, e “strappare” è davvero il verbo giusto, se approvati, miglioreranno le condizioni di vita di milioni di persone. Il salario minimo sarà alzato a 900 euro (misura già anticipata con un decreto legge, ndr), un aumento del 20% decisivo per centinaia di migliaia di lavoratori poveri. Aumentiamo del 40% la spesa per l’assistenza sanitaria domiciliare. Abbiamo ottenuto un aumento del 38% delle spese statali per abitazioni pubbliche e una legge che ostacoli la crescita illegale del prezzo delle case. E per ultimo, ed è un punto decisivo, abbiamo strappato un innalzamento delle tasse per grandi imprese e grandi fortune e abbassato le tasse alle classi popolari e alle piccole imprese. Con questo siamo riusciti a evitare le sanzioni europee, perché non abbiamo fatto come il governo italiano che vuole aumentare le spese ma abbassare le tasse ai ricchi. Siamo riusciti a conciliare la volontà di Sánchez di rispettare i vincoli europei con la scelta di aumentare la spesa e la giustizia sociale, grazie all’innalzamento delle tasse ai ricchi e alle grandi imprese.

Quali sono le possibilità che la finanziaria venga approvata?
La chiave ce l’hanno gli indipendentisti catalani, che hanno fatto un errore, quello di subordinare il consenso alla finanziaria al fatto che il governo mostri avanzamenti sulla questione territoriale. È un errore perché questi partiti possono portare avanti le proprie rivendicazioni, che noi non condividiamo ma che sono legittime, nello stesso tempo in cui permettono che i provvedimenti sociali della finanziaria siano approvati. Ma Sánchez non si sta sforzando per ottenere il loro appoggio. Lo si era già visto con la mozione di sfiducia a Rajoy, che lo ha portato al governo. L’appoggio degli indipendentisti si deve molto più al nostro lavoro politico che al suo. Sulla finanziaria vediamo lo stesso schema: noi facciamo ogni sforzo perché sia approvata, Sánchez ha un atteggiamento passivo. Sembra che il Psoe non veda male il fatto che non venga approvata, per poter usare questo pretesto e convocare elezioni anticipate.

A livello europeo avete firmato il Patto di Lisbona, insieme a France Insoumise e Bloco de Esquerda. Che obiettivi ha il Patto, e come pensa di collocarsi tra le sinistre europee?
È vitale portare in Europa l’idea che non ci siano solo due opzioni, austerità neoliberista o fascismo, che indirettamente, tra l’altro, si sostengono a vicenda. Noi siamo per una terza opzione. Chiave dell’unità europea non sono l’euro, la circolazione delle persone o le radici cristiane, ma lo stato sociale. Per gli spagnoli l’Europa ha sempre rappresentato una garanzia di modernità che per noi è una rottura con il passato franchista, ma soprattutto una promessa di prosperità economica. Se questo si perde, si perde l’Europa, e bisogna salvare l’Unione europea da questa involuzione antidemocratica e antisociale. Questo è l’obiettivo fondamentale, anche con differenti prospettive nazionali tra noi. Tra noi alcuni fanno parte del Partito della sinistra europea e altri no, dobbiamo articolare una posizione comune sul modo in cui saremo presenti nel parlamento europeo, ma credo che non avremo nessun problema.

Come vi ponete rispetto al dibattito sull’uscita dall’Euro?
Noi non proponiamo un’uscita dall’euro e dall’Europa. Però pensiamo che la governance europea vada cambiata radicalmente. Non pensiamo che il problema sia l’euro, ma il modo in cui la politica economica europea si sottrae al controllo democratico. Se l’Europa non si rende conto delle conseguenze delle sue politiche sui popoli e sul Sud Europa, non avrà futuro. Noi vogliamo che lo abbia, e che si possa esercitare un controllo democratico sulle sue politiche. Ma pensiamo anche che, come ha dimostrato la vicenda della Grecia, prima di entrare in conflitto con i poteri europei bisogna accumulare forza politica e assicurarsi di avere una sufficiente forza popolare. Al momento i poteri europei sono più forti di noi. Sono un Leviatano. E al Leviatano non interessa la giustizia, gli interessano i rapporti di forze. Non li si può contrastare con la forza di un paese solo, per quanto grande possa essere.

Qual è lo stato di salute di Podemos?
Non è male. Abbiamo raggiunto molto più di quanto pensavamo. Ad ogni passaggio abbiamo avuto più forza di quella che immaginavamo.
Ora siamo preoccupati per la situazione politica che si va configurando. Siamo ancora nella situazione in cui le cose sembrano difficili, ma abbiamo accumulato un’enorme esperienza. Stiamo dimostrando che siamo capaci di governare meglio degli altri, prima a livello municipale, ora a livello statale. E abbiamo la pelle molto indurita dagli attacchi degli avversari. All’inizio ti destabilizzano, ora abbiamo imparato a difenderci. Per questo penso che non siamo in un brutto momento. Non sono riusciti a distruggerci, e questo non era scontato.
Partiamo da una base solida, e ora dobbiamo convincere molta più gente delle nostre posizioni e per farlo dobbiamo affrontare il circo mediatico, che adesso parla solo di Vox e di Catalogna. Con l’esperienza accumulata possiamo riuscirci. Dalla società arrivano segnali interessanti. La mobilitazione dei tassisti è riuscita a contrastare il bombardamento mediatico che li descriveva come corporativi e di destra. Loro hanno visto che l’unico partito che li ha difesi siamo noi. Pochi mesi fa c’è stata una grandissima mobilitazione delle donne: un movimento che difende un’architettura sociale più giusta ed egualitaria. Sono vittorie di popolo che ci fanno essere ottimisti. Bisognerà lavorare di più e continuare a combattere. Ma se dovessi scommettere, scommetterei che vinciamo.

Nelle foto:  Pablo Echenique e sotto Podemos dopo le elezioni del 2015

* da il manifesto – 27 dicembre 2018

Francia, la petizione ecologista sfida lo Stato. È «l’affare del secolo»


Clima. Quattro ong chiedono il rispetto degli impegni presi con la Cop21, altrimenti si rivolgeranno alla giustizia. Raccolte 1,8 milioni di firme in dieci giorni, un record storico. Il ministro dell'Ecologia riceverà le associazioni a gennaio

di Anna Maria Merlo  *

Non si sono ancora esauriti gli effetti della petizione contro l’aumento delle tasse sui carburanti, che hanno scatenato il movimento dei gilet gialli, che già un’altra petizione – più potente come numero di firme raccolte in soli 10 giorni, un record storico – scuote di nuovo governo e presidente: L’Affaire du siècle ha raccolto 1,8 milioni di firme per un ultimatum alle autorità, a cui viene chiesto di rispettare gli impegni della Cop21 sulla lotta al riscaldamento climatico. Il testo della petizione è stato spedito all’Eliseo, a Matignon e ai parlamentari il 18 dicembre e se non ci saranno risposte soddisfacenti le 4 organizzazioni ecologiste all’origine dell’iniziativa a marzo si rivolgeranno al tribunale, per denunciare lo stato per «carenza colpevole».
L’iniziativa è partita dalla Fondation pour la Nature e l’Homme (fondata da Nicolas Hulot, ex ministro dell’Ecologia), da Notre Affaire à tous, da Greenpeace France e da Oxfam France, la diffusione sulle reti sociali è stata immediata, anche grazie alla partecipazione di nomi noti del mondo dello spettacolo, come le attrici Marion Cotillard e Juliette Binoche. La petizione, che mette lo stato con le spalle al muro rispetto all’azione contro il riscaldamento climatico, «rimette al centro del dibattito questo argomento occultato dalle questioni sociali con i gilet gialli – spiega Audrey Pulvar, ex giornalista presidente della Fondation pour la Nature – ma noi non opponiamo le due cose». La minaccia di denunciare lo stato non è una novità: già l’Olanda è stata condannata due volte, a partire da iniziative analoghe, per non aver messo in atto la riduzione delle emissioni di Co2, mentre nella stessa Francia, in passato, lo stato ha ricevuto una condanna per la proliferazione delle alghe verdi in Bretagna, per la carenza di protezione dall’amianto (la Francia è molto in ritardo rispetto all’Italia su questo fronte) e per la mancata applicazione di una direttiva Ue sulla qualità dell’aria. Quest’autunno ci sono state tre marce per il clima in Francia, molto seguite, a settembre, ottobre e dicembre (in pieno movimento dei gilet).

Il ministro della Transizione ecologia, François de Rugy, riceverà le ong della petizione a gennaio. De Rugy ritiene che «il successo di questa petizione è forse una replica al movimento dei gilet gialli che a volte parlano dell’ecologia come di un problema». Ma per de Rugy «non è un tribunale che può abbassare l’effetto serra, non tocca ai giudici forzare il governo». Le ong interrogano il governo sul rispetto dell’Accordo di Parigi e intendono verificare se è stata intrapresa la strada per ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra del 14% e del 20% il consumo di energia, aumentando contemporaneamente del 23% le energie rinnovabili.

La Francia pretende di rispettare meglio di altri i parametri e di dover fare meno sforzi, ma se c’è minore emissione di Co2 di altri paesi Ue è dovuto al peso del nucleare (71% dell’energia elettrica).
nella foto: Manifestazione per il clima a Parigi

* da il manifesto - 28 dicembre 2018

In difesa della sanità pubblica


In difesa della sanità pubblica


Ricordate John Q, film del 2002 di denuncia del sistema sanitario statunitense? Racconta la storia (vera) di un bambino che ha bisogno di un intervento salvavita, un trapianto di cuore, ma non viene inserito nella lista di attesa perché l’assicurazione non copre le enormi spese per l’intervento (oltre 250.000 dollari) e la famiglia fatica a trovare i soldi che l’ospedale pretende in contanti.
Vorresti vivere in un Paese in cui se tuo figlio avesse improvvisamente bisogno di un trapianto di cuore potresti essere costretto a lasciarlo morire, nonostante la medicina sia assolutamente in grado di salvarlo? Perché esistono Paesi che consentono tali drammatiche situazioni? Non sarebbe preferibile adottare sistemi di protezione sanitaria che eliminino all’origine la possibilità di trovarsi di fronte a un tale rischio? Pare non sia così facile. Soprattutto perché chi prende le decisioni occupa posizioni molto meno svantaggiate di quella di John Q.

Proviamo a spiegarci con un esempio. Se ognuno di noi non conoscesse la propria condizione economica e di salute (compreso il fatto di nascere figlio di un milionario o di un diseredato, in un Paese sviluppato o in un Paese povero, con una buona dotazione di salute o con disabilità fisiche e cognitive) e dovesse esprimersi a favore di uno dei tanti sistemi di welfare che esistono, è molto probabile che si esprimerebbe a favore di un sistema che tratta tutti alla stessa maniera, indipendentemente dalla condizione economica e sociale del singolo. Il rischio di trovarsi concretamente in una posizione drammatica renderebbe infatti ogni individuo immediatamente consapevole della necessità di minimizzare la probabilità di trovarsi in un Paese che non si preoccupa di chi non può pagarsi le cure mediche. Il caso John Q non sarebbe possibile.
Facciamo un altro esempio. Se ogni cittadino italiano fosse costretto a considerare il rischio concreto di dover risiedere (o nascere) in una regione con un servizio sanitario mal organizzato è molto probabile che voterebbe a favore di politiche di welfare che si propongano di migliorare le condizioni generali dei servizi pubblici in tutte le regioni italiane. Guarderebbe probabilmente con minor favore le politiche volte a sanzionare chi è inefficiente perché, pur considerandole un incentivo al miglioramento della qualità dei servizi, si renderebbe conto che penalizzano i cittadini delle regioni meno mature aggiungendo, alla bassa qualità dei servizi, anche il peso delle maggiori imposte (necessarie per coprire i disavanzi). Un tema delicato e difficile da dipanare, ma che spesso viene affrontato con la prospettiva di chi sta meglio e non di chi sta peggio.
Chi non si preoccupa di chi sta peggio è perché sa di non appartenere a quella categoria. Se un qualunque individuo non avesse la certezza di non essere svantaggiato, perché completamente ignorante rispetto alla propria posizione di partenza, è molto probabile che preferirebbe salvaguardare il proprio futuro dichiarandosi a favore di sistemi che non sono indifferenti ai bisogni di chi sta peggio e alla necessità di garantire a tutti gli stessi servizi. 

La malattia può colpire tutti e se, oltre alla sofferenza, devi anche affrontare costi catastrofici (o anche solo rilevanti) è possibile che il bilancio familiare non regga: i sistemi sanitari devono essere strutturati in modo da garantire a tutti, indistintamente, le cure necessarie. Se coperti dal velo di ignoranza, tutti vorremmo vivere in un Paese che adotta politiche sanitarie che non lasciano soli coloro che potrebbero aver bisogno di cure mediche: il Servizio sanitario nazionale risponde a tale requisito.
È la soluzione migliore.

 Quanto potrebbe costare un ricovero?
Nel 2016, il SSN ha erogato oltre 72.000 ricoveri ad alto costo, ovvero con tariffa superiore a 20.000 euro per caso di ricovero (di cui 13.600 con tariffa superiore a 50.000 euro).
Fra gli altri, sono stati erogati:
• 16.051 ricoveri per interventi su valvole cardiache, con cateterismo (tariffa: 24. 675 euro);
• 12.623 ricoveri per interventi su valvole cardiache, senza cateterismo (tariffa: 20.487 euro);
• 5.113 ricoveri per trapianti di midollo osseo (tariffa: 59.806 euro);
• 103 ricoveri per trapianto di cuore (tariffa: 62.602 euro);
• 7.469 ricoveri per ricoveri su neonati gravemente immaturi (tariffa: 30.738 euro);
• 1.154 ricoveri per trapianto di fegato (tariffa: 62.648 euro).
Fonte: elaborazione dati Ministero della salute, Rapporto Sdo, 2016

Uno dei luoghi comuni più abusati nel dibattito sul sistema sanitario italiano è il costo – considerato eccessivo e insostenibile – della nostra sanità pubblica e la conseguente necessità di contenerne la spesa e introdurre forme alternative di finanziamento, sostitutive o integrative di quelle pubbliche.
I dati disponibili mostrano invece, ormai da molto tempo e senza alcuna possibilità di smentita, che la spesa sanitaria pubblica dell’Italia non può essere considerata eccessiva né rispetto agli altri Paesi dell’Europa continentale, né rispetto alle dinamiche degli ultimi anni, né rispetto al finanziamento annuale dello Stato. I dati OECD indicano per il 2017 una spesa sanitaria pubblica nettamente inferiore a quella dei Paesi con i quali è ragionevole confrontarsi: 6,6% del PIL, tre punti in meno di Germania (9,6%) e Francia (9,5%) e molto meno di Svezia (9,1%), Olanda (8,2%) e Regno Unito (7,6%). Solo Spagna e Grecia hanno una spesa inferiore alla nostra (rispettivamente 6,3% e 5,1%) oltre a molti Paesi dell’Est. Persino i Paesi con un sistema sanitario affidato in maniera rilevante al finanziamento privato spendono, per la sanità pubblica, molto più di noi (7,7% in Svizzera).

Nonostante il basso livello di spesa, l’Italia occupa i primi posti fra i Paesi sviluppati quanto a livelli di efficienza in termini relativi rispetto ai Paesi con i migliori risultati. Ormai da tempo, tutti gli studi sulla performance complessiva dei sistemi sanitari moderni confermano il giudizio positivo sull’Italia. Dal rapporto dell’OMS del 2000 (che colloca l’Italia al secondo posto al mondo, dopo la Francia), alle analisi dell’OECD del 2010 (l’Italia è superata solo da Francia e Islanda) fino alle recenti valutazioni di Bloomberg (che pongono l’Italia al quarto posto al mondo), tutti gli studi concludono con un giudizio più che positivo, soprattutto rispetto alle risorse impiegate. Alcuni lavori possono essere considerati parziali (quanto a variabili considerate) o eccessivamente sintetici, ma pare innegabile che il nostro sistema sia uno dei pochi che riesce a produrre buoni risultati con poche risorse.

Non solo il livello, ma anche la dinamica della spesa pubblica non è di per sé motivo di preoccupazione. L’insieme degli strumenti di governance introdotti da oltre un decennio fra lo Stato e le Regioni, puntualmente fatti rispettare dal Ministero dell’economia, hanno consentito un significativo rallentamento della dinamica della spesa, tanto che attualmente questa può essere considerata ai limiti del tollerabile. Con le restrizioni imposte alla sanità pubblica negli ultimi anni la spesa, rispetto al PIL, è passata dal 6,8% del 2011 al 6,6% del 2017; e la percentuale è destinata a ridursi ulteriormente (per il 2020 è previsto il 6,3%). Lo stato della finanza pubblica e gli spazi di miglioramento sono comunque tali da richiedere una continua attenzione al contenimento delle inappropriatezze e delle inefficienze.
Infine, la spesa sanitaria pubblica non può essere considerata eccessiva neanche rispetto al finanziamento annuale. Secondo la Corte dei Conti, nel 2017, «tutte le Regioni si trovano in sostanziale equilibrio finanziario una volta contabilizzate le entrate fiscali regionali a copertura della spesa sanitaria». Inoltre, tra il 2009 e il 2016, le Regioni in Piano di rientro sono passate da una perdita di oltre un miliardo a un avanzo di circa 750 milioni. Nello stesso periodo sono stati riassorbiti i disavanzi che derivavano da esercizi precedenti per poco meno di 2 miliardi. Sono dati che danno la misura del lavoro svolto da Regioni e Amministrazione centrale per riportare il sistema in equilibrio.

( L’articolo è parte del libro  È tutta salute. In difesa della sanità pubblica - Edizioni Gruppo Abele, 2018 - ).

Nerina Dirindin è professoressa di economia pubblica e politica sanitaria presso l’Università di Torino. È stata direttrice generale del Ministero della Sanità, assessore alla Sanità della Regione Sardegna e senatrice. Tra i suoi libri “È tutta salute. In difesa della sanità pubblica” (Edizioni Gruppo Abele, 2018), “Conflitti di interesse e salute. Come industrie e istituzioni condizionano le scelte del medico” (con Chiara Rivoiro, Il Mulino, 2018), “In buona salute. Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica” (con Paolo Vineis, Einaudi, 2004).

* da volerelaluna.it - 23 dicembre 2018

Leggi anche: Salute – La disuguaglianza più odiosa (Controlacrisi.org  20 marzo 2018 )

 (nota mm : il contributo pubblicato sul tema non comporta da parte mia la condivisione completa dell’intervento )