28 gennaio 2013

La partita e i manifesti elettorali



di Giovanni Chiambretto *

A volte i dettagli spiegano più dei grandi ragionamenti ed a volerli leggere al di là delle apparenze, in questa campagna elettorale possono  aiutarci a comprendere più di quanto sembra.

Dal piccolo al grande

Cominciano ad apparire in tutte le città d’Italia i manifesti elettorali.

Nella fase nascente della Repubblica erano prevalentemente scritti, brevi compendi di programmi politici; scritti con caratteri grandi, leggibili, un po’ come i proclami ottocenteschi del Governatore del Lombardo-Veneto. Il popolo che si fa governatore, una forma di espressione che i partiti di massa mutuavano dal potere ottocentesco che andavano a sostituire.  I manifesti  erano spesso accompagnati da vignette, spesso un po’ dilettantesche, che però sintetizzavano punti di vista netti. ( I cosacchi al Tevere, Garibaldi con il Fronte Popolare, lo Scudo crociato che difende, etc.). In ognuno il simbolo del partito. Che fosse la falce e martello, la fiamma tricolore o lo scudo democristiano erano una firma, quasi un messaggio subliminale dove il pubblico associava lo scritto o la vignetta ad una parte politica specifica. Si badi bene: quel simbolo aveva un grosso valore in quanto a sua volta, sintetizzava un pezzo della storia italiana, un pezzo di storia che era stata vissuta nella guerra, nella partecipazione alla resistenza, come nella repressione della stessa, nell’appartenenza ad un movimento cattolico o ad  altro.

Passati alcuni decenni  le scritte si sono ristrette allo slogan, i simboli sono diventati più grandi. Lo slogan è ancora una sintesi di qualcosa, forse una sintesi di una sintesi, certo è che i partiti hanno cominciato a perdere la capacità di parlare al pubblico. Mentre i simboli sempre più grandi erano un disperato appello, non alla ragione, ma all’appartenenza. 


Infine hanno cominciato a comparire i volti. All’inizio timidamente, tipo le foto formato tessera di tutti i candidati ad un consiglio comunale, poi, piano piano le foto si sono fatte più grandi, più grandi dei simboli, sempre meno collegiali e sempre più individuali fino a quei manifesti trionfali alla Berlusconi tipo “il presidente operaio” in formato  anche 6 metri per 4; non più solo affissi negli spazi elettorali, ma in quelli pubblicitari e fino sui ponteggi degli edifici in costruzione.

Si è trattato di una evoluzione lenta, ma inesorabile, che ha visto il tramonto del messaggio politico e l’ascesa della commercializzazione del protagonista, dell’attore che bisogna vendere sul mercato.

I simboli sono rimasti ed abbastanza grandi, ma non perché riassumano alcunché, piuttosto per vendere anche quelli. Infatti dal momento che si disintegrano le vecchie tradizioni politiche i simboli di oggi non hanno più una storia, cambiano in continuo, non simboleggiano un’appartenenza, ma si riducono a contingente segnale di un’aggregazione di personalità a volte con clientela al seguito, più spesso  personali: il partito con un padre-padrone. Il partito di un leader non il leader di un partito.

Quasi ad ogni elezione politica i simboli cambiano anche perché cambiano le contingenti aggregazioni ed un nuovo brand deve essere conosciuto se si vuole che l’elettore si ricordi dove mettere la croce. A questi cambiamenti nell’apparenza fenomenologica ha corrisposto un cambiamento più profondo.


Per esempio alle regionali (dove si può ancora  esprimere la preferenza)

Una volta era il partito ad organizzare il grosso della campagna elettorale, era un gruppo coeso con sue regole e dinamiche, adesso è il singolo che, una volta ottenuto il brand nazionale si fa la sua personale campagna. Una volta era il partito che pagava (quasi tutto) oggi è il singolo che si paga la campagna o fornisce una grossa integrazione. In alcuni casi emerge che per candidarsi deve pagare.

Questo fatto non ha conseguenze da poco. Ad esempio per ciascuno il costo della campagna deve essere coerente con quanto pensa poi di incassare durante il mandato. Non si può pensare di spendere 300.000 euro per la campagna e poi incassare solo 400.000 euro di indennità nel corso del mandato. Non vale la pena. E se poi uno non è eletto, ha speso i soldi per niente. A volte si pensa che questi della casta siano un po’ troppo avidi, ma hanno le loro ragioni.

Un altro modo è farsi dare dei soldi da altri. Se va, va, se non va, non ci ho rimesso niente. Va da se che se va bisognerà pure porgere una contropartita equivalente, durante il mandato, a chi ci ha sponsorizzato. Quindi l’eletto deve guadagnarci ma anche  far guadagnare qualcosa ad altri.

E’ poi chiaro che l’eletto che ha fatto tutto da solo si sente un po’ un self made man, uno che sa impegnarsi, che non l’ha aiutato nessuno, è molto autonomo, sa che la sua carriera dipende solo da se stesso, dalla sua intraprendenza e non da altro. In altre parole non si sente espressione di un gruppo o di un progetto condiviso. Anche perché in genere a destra al centro a sinistra non c’è nessun vero progetto. C’è una feroce contesa durante la campagna elettorale per occupare uno spazio, lo stesso spazio in genere.. 


Ecco anche come nasce quella figura molto diffusa nella politica italiana che è il parlamentare free lance. Sono centinaia in questi anni che, simulando (ma neanche tanto) crisi ideologiche, passano da un partito all’altro con la disinvoltura di un libero professionista che si dispone dove il mercato tira di più. Nella precedente legislatura, alla regione Sicilia, su 80 deputati regionali 32 hanno cambiato partito (e qualcuno anche più di una volta). Nel Parlamento in scadenza più di 130 su un migliaio hanno cambiato casacca ( in tutte le direzioni sia chiaro.. ).

Ecco quindi perchè cambiano le forme della pubblicità, perché non è più propaganda politica, ma è pubblicità per vendere un prodotto, per convincere che è meglio questo. I manifesti si fanno sempre più raffinati, accattivanti, suggeriscono, ma in realtà non dicono niente del prodotto. Come uno spot pubblicitario in televisione, che adesso è la preferita. Il protagonista paga e vuole dall’agenzia pubblicitaria che gli cura il pacchetto completo il massimo, come una primadonna della lirica. Molti candidati vanno a Milano presso celebri studi di fotografi a farsi fare degli album fra cui scegliere gli scatti più adatti alla loro pubblicità ( un po’ come le più celebri modelle di Dolce & Gabbana). Una manna per i pubblicitari. Ci vorrebbe un’elezione politica tutti gli anni.


Quindi nel manifesto troneggia la foto del modello, c’è, ci deve essere, un simbolo (è un fatto tecnico, se no l’elettore dovrebbe leggersi i nomi di tutti i candidati del collegio per capire dove mettere la croce), ma non basta. Ci vuole il nome (fondamentale) e un motto (che dovrebbe rimanere impresso).

Una volta c’era Cynar, contro il logorio della vita moderna, oggi i ritmi sono più intensi, il motto deve essere stringato, essenziale, ma evocativo.

Questi sono i primi scampoli della campagna imminente (e chissà che sorprese ci farà Silvio):




LA LOMBARDIA IN TESTA. Ambiguo: la Lombardia è prima nella gara ciclistica o io ho l’idea fissa della Lombardia? In fondo va bene per tutte e due.

UNA REGIONE COME TE. Questo ha il merito di poter essere riciclato all’infinito.

IO CI SONO. Un candidato del centrodestra (Fratelli d’Italia) che ha nostalgia del molto più esplicito PRESENTE! di mussoliniana memoria.

UNA BUONA REGIONE. Anche questo riciclabile per qualunque schieramento e qualunque regione. Gioca sull’ambiguità ragione e regione. Vagamente dannunziano. Lascia in sospeso il lettore nell’interpretazione. Un po’ come PER NON DORMIRE o IO HO QUEL CHE HO DONATO del Vate di Gardone. (gran pubblicitario, il D’Annunzio).




FORTI PERCHE’ LIBERI. Nel dubbio di non essere stato abbastanza chiaro e dal momento che nel più sta il meno, il candidato governatore della Lombardia ha deciso di non farsi mancare niente ed ha anche aggiunto fare, coraggio, legge, regole, volontà,  europa, costruire, dovere, futuro, ambiente, impresa, lavoro, famiglia, comune, insieme, dovere, costruire, futuro, consapevolezza, responsabilità, politica, limpidezza, sanità, onestà, etc…, andate voi a leggervi gli altri. Accuratamente privo di un senso preciso o di un impegno per qualcosa di definito.

Fotografi e pubblicitari hanno clienti di tutte le parti “politiche”, clienti spesso narcisisti che vogliono vedere risultati nelle vendite. Alla fine la campagna di uno è intercambiabile con la campagna dell’altro e quello che fa la differenza di fronte al pubblico è il messaggio gestito dal brand nazionale cui fa riferimento il candidato locale in franchising. Disorienta vedere come tutte queste facce stiano appostandosi in ogni angolo: sui fianchi degli autobus, nelle zone che fino a ieri erano riservate a COMPRO ORO o DOMENICA APERTO o  COMPRI 3 E PAGHI 2.



Ma veniamo alle politiche.

Qui è più facile dal momento che non ci sono le preferenze. Il messaggio subliminale deve colpire per promuovere la lista. Gli eletti,  al 90%, sono già decisi nel momento in cui si compila la successione dei nomi. La cosa si fa seria e deve essere gestita in modo molto professionale al fine, per alcuni di superare le soglie di ingresso (4% alla Camera, 8% al senato), per altri di riuscire a fare scattare il premione di maggioranza ( avere un voto più degli altri per ottenere secchi 340 deputati indipendentemente dai voti presi ).

Il candidato si è già giocato tutto nel momento in cui si sono decise le posizioni  nella lista, adesso deve solo aspettare e, caso mai dare una mano se proprio glielo chiedono. Va da sé che, salvo alcuni personaggi con un particolare charme mediatico (atleti, attori ) o con un comprovato seguito clientelare che possono portare consensi alla lista, ( tipo mafioso di zona ), tutti gli altri sono stati inseriti per meriti di fedeltà di cordata.


Per primi  i candidati premier:



L’ITALIA GIUSTA. E’ il capolavoro di Bersani. Dice talmente tutto che non dice niente. Ma i manifestoni  del candidato premier sono anche l’apoteosi dell’arte fotografica. L’atmosfera e l’espressione nella fotografia almeno a me  sembrano ispirate al George Clooney della pubblicità di Nespresso.


Il messaggio nazionale è veicolato dal mainstream mediatico (che in buona parte è pagato da tutti noi cittadini con il canone Rai, i finanziamenti pubblici per l’editoria e i “rimborsi elettorali”). Non c’è un conduttore di rete, di talk show, di caffè del mattino, di mezzoretta del dopo pranzo o della buonanotte che non abbia la tessera di un partito in tasca (alcuni come nel gioco delle tre carte la cambiano all’occorrenza).

 Il direttore di una rete TV ( pubblica ) ci ha assillato per giorni e settimane sulle primarie piddine, (lo stesso servizio ripetuto 10 volte al giorno ) un altro ( sempre di una rete pubblica) ci ha invaso sulla ridiscesa in campo del difensore dai comunisti ( quasi avesse qualcosa di urgente da comunicarci ). Entrambi in modo insistente , ripetuto , pesante, inutile. E dopo poche settimane  o addirittura qualche giorno ce li siamo trovati entrambi capilista nei due partiti di riferimento. Non c’è un solo paese del continente europeo, di quello americano ne di quello africano o asiatico dove possa succedere qualcosa di simile. E per molti, a destra, centro e sinistra  è diventato normale


Che parlamento dobbiamo aspettarci questa volta? Con questo metodo di selezione e promozione di una classe dirigente perché stupirsi che esista e si consolidi una Casta?



Grandi ma modesti


Ci hanno abituato poco per volta a quella che è ormai una mutazione antropologica della classe dirigente italiana e ad una alterazione sostanziale dei criteri della scelta della stessa. Tanti, parlando di elezioni, sono rimasti nella ottusa convinzione che le elezioni siano sempre Le Elezioni, senza rendersi conto che non sono più elezioni e che lo spirito e la sostanza di questo rito sono sostanzialmente alterati. I sudditi elettori non sono più chiamati a scegliere su di una prospettiva comune, ma a partecipare di tifoserie (fintamente) contrapposte.

Percependo in superficie la questione qualcuno si stufa. L’astensionismo non è utile all’Italia ed è utilissimo alla casta, ma testimonia di una inconscia consapevolezza: che con queste regole non sarà mai possibile cambiare.

Chi si ostina a svolgere esercizi di ingegneria politica ( secondo cui se cresce I, V dovrà spostarsi più a “sinistra” (?) per cui M  non può più temere che B si accordi con I sulla base di una desistenza al Senato per cui dando una rappresentanza  a V  che superi la soglia alla Camera, etc. etc… ) vive in un suo mondo onirico di desideri e paure che non ha nulla a che vedere con la realtà empirica ed i meccanismi giuridici vigenti. L’antipolitica dei partiti vive , oltre che su molte decine di migliaia di stipendiati , su qualche milione di incalliti sognatori .

Oggi non esistono le precondizioni per libere elezioni che possano trasferire nelle istituzioni gli equilibri sociali del paese.


Riprendiamoci la politica, almeno proviamo a non regalarla


Non esiste una vera informazione degli elettori; è scoraggiata, se non impedita, la partecipazione; i meccanismi elettorali sono addirittura ridicoli prima ancora che iniqui. Se con il 35% prendo il 55% e gli elettori votanti sono 36 milioni quanti hanno chiaro che il voto di  7, 2 milioni di elettori andrà a partiti diversi se non opposti a quelli che mi aggradano, ai quali regalo 130 deputati che spetterebbero a me ? E che nell’altra Camera il mio voto dipende invece dalla Regione in cui abito?  Il porcellum ( e il suo rovescio al Senato ) l’altra volta lo ha voluto Berlusca, questa volta Bersani ( ma non si deve capire..); ma non sapevano tutti che è una porcata ?

Chi si straccia le vesti lamentando l’incompletezza di quei copia ed incolla che circolano svogliatamente e che passano sotto il nome di Programmi Elettorali, o si gode i ”10 punti irrinunciabili di programma “ provvisori della mia lista provvisoria del momento, non si rende conto che prima di quelli esiste, e drammatico, un problema di vera agibilità politica che è negata alla maggioranza della popolazione. Se non si affronta questo, il resto è gossip o filosofia per intellettuali mediocri.

L’unica lista che sembra voler dare corpo e fare qualcosa su questo sconcio  e ridare un senso alla politica è quella del Movimento 5 Stelle di Grillo. Non per nulla l’antipolitica la accusa di “populismo”. Con tutti i limiti del caso, che sono enormi,  questa lista sta svolgendo un ruolo storico in Italia per permetterci di riappropriarci del voto, in particolare in questa tornata elettorale: dare voce agli esclusi e tentare di aggredire i meccanismi che ci impediscono l’esercizio dei nostri diritti costituzionali. 


Poi, dopo il voto, si vedrà che fare. Certo sarà dura.


*  del Gruppo delle Cinque Terre (Lombardia)

23 gennaio 2013

Quell’inutile contributo alla lobby delle armi



di Fabio Mini *

Non capisco tutta la buriana sugli F35, anche se sono sicuro che questo è il momento migliore per buttare tutto in politica. Ma quest'ultima polemica sulla questione dei fulmini è chiaramente strumentale. Non si può pretendere che un aereo invisibile sia anche invulnerabile o che una macchina volante che trasporta tonnellate di esplosivo non corra il rischio di esplodere in un temporale estivo. Ormai tutti sanno che l'F-35è inferiore ai suoi concorrenti russi (e forse perfino ai cinesi) nel duello aereo, che non assicura la superiorità nemmeno per i prossimi cinque anni, non fa niente di più di un vecchio aereo nelle operazioni militari in corso, sarà già vecchio per quelle del prevedibile futuro e costa una barca di quattrini.

Embè? Nessuno ha considerato queste quisquilie quando abbiamo cominciato a impegnare soldi che non avevamo per questo e altri programmi onirici. Eppure i segnali che potesse finire così c'erano già. Il fatto è che tutti i programmi concepiti dopo il crollo del muro dovevano solo servire a mantenere una pletora di lobbisti industriali e forze armate ridondanti a prescindere dalla loro funzione. La loro utilità stava soltanto nell'assicurare i programmi e gli impegni di spesa. Che l'F.35 dovesse servire a far volare meglio, in sicurezza e in assoluto dominio dell'aria, era solo l'illusione dei giovani piloti giustamente interessati alla qualità del giocattolo.
Questi aerei non servono alle esigenze operative, semmai le creano, e che poi servano veramente è solo un caso o una conseguenza. Abbiamo già avuto un precedente di questo genere con la Lockheed e i C.130. La commessa serviva a far intascare soldi a pochi avventurieri e far fare carriera a qualche politico e alla sua cordata di militari. Se non avessimo avuto i C.130, saremmo stati a piedi in tutte le missioni internazionali mendicando e facendo l'autostop.

Con l'F-35 sta succedendo la stessa cosa, solo che questa volta la riuscita è in dubbio prima ancora dell'uscita. Ma lui, il caccia, il suo mestiere l'ha già fatto. A meraviglia.
Prima ancora di farsi vedere. Dal 1996 a oggi, lobbisti e vertici politici e militari in Italia e nella Nato si sono perfettamente integrati giurando fedeltà all'F-35. Dotarsi dell'F-35B, la versione a decollo corto, ha giustificato l'allestimento della portaerei Cavour e viceversa. Se ora la versione B non viene costruita, saremo gli unici al mondo ad avere due portaerei senza aerei. Comprare gli F-35 ha permesso alla Nato e ai nostri strateghi di creare "falsi futuri" e inventarsi le minacce. Inoltre, spendere tanto denaro in tempo di crisi per gli aerei ha fornito la certezza che la crisi non esiste, oppure che i nostri governanti se ne fregano.
In ogni caso sono certezze che di questi tempi valgono un patrimonio. E cosa si vuole di più da un onesto aereo? Di questo passo qualcuno pretenderà che voli.

* archivio Repubblica, 22 gennaio 2013

Fabio Mini  è un militare e saggista italiano, comandante della missione in Kosovo KFOR dal 2002 al 2003. Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica e l'Espresso; è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica ed è autore di diversi libri.

nella foto : la portaerei italiana Cavour entrata in servizio nel 2009

20 gennaio 2013

Germania: il voto in Bassa Sassonia ci dirà chi governerà il paese?

di Massimo Marino

Si vota oggi nel Land della  Bassa Sassonia (Niedersachsen), quarta regione della Germania per numero di abitanti,   attualmente governata da un premier democristiano, David McAllister, succeduto a Christian Wulff, dopo la sua elezione a Capo dello Stato. I sondaggi indicano che la CDU, pur perdendo consensi, dovrebbe rimanere primo partito, staccando di sei-sette punti percentuali l’SPD. Vista però l’estrema debolezza degli alleati  liberali, sul limite del quorum del 5% sotto il quale non ci sono eletti, come per i Piraten i e l’estrema sinistra della Linke (dati ciascuno tra il 3 e il 4%), il nuovo parlamentino potrebbe essere composto da tre sole forze politiche: cristianodemocratici, socialdemocratici e verdi. 

Il Land è uno dei tre rimasti alla CDU nell’intera parte occidentale del paese. I numeri per un’alleanza rosso-verde sotto la guida dell’attuale sindaco di Hannover, Stephan Weil, potrebbero quindi esserci. Si tratta dell’ultimo voto prima delle elezioni politiche di settembre ed un test soprattutto per definire il vero problema del paese : quello delle alleanze e del programma per la futura Germania che in questo paese sono ancora temi veri di discussione. In Germania regna una calma apparente  per quanto riguarda gli apparentamenti politici per le elezioni federali in programma per il 22 settembre 2013. Ad Hannover,  capoluogo del Land , prima la CDU e poi la SPD hanno infatti tenuto il loro congresso federale; la Merkel nella CDU è stata nuovamente rieletta alla guida del partito con  il 98% dei consensi; Peer Steinbrück nell’SPD è stato confermato candidato al Kanzleramt ( la sede della Cancelleria) con il 93% dei voti dei delegati. In entrambi gli appuntamenti è stata  esclusa l’ipotesi, molto discussa dai media, di una nuova Große Koalition tra i due principali  partiti. 

La Germania non è il Giappone. Se a Tokyo il recente successo dei conservatori ha rimesso in pista il nucleare dopo l’addio tentato all’indomani della tragedia di Fukushima, il ministro dell’Ambiente tedesco Peter Altmaier, ha già chiarito che non c’è nessuna probabilità di tornare indietro. L’affermazione di Altmeier, oltre che dal timore di aumentare lo spazio dei Grünen, abbastanza stabili attorno al 15%,  è rafforzata dal nuovo record conquistato dal fotovoltaico tedesco, arrivato ormai a coprire il 5% dei consumi elettrici nazionali aumentando nel  2012 di  7,6 GigaWatt di potenza, ( 7,5 GW e 7,4 GW nel 2010 e nel 2011 ). Un aumento quasi tre volte superiore ai 2,5-3,5 GW ritenuti dal governo l’incremento annuo ideale per la sostenibilità finanziaria degli incentivi mentre viene da tutti accettata la stima  che provvisoriamente le rinnovabili portino nella famiglia media un aumento da 60 a 185 euro l’anno.

La novità della politica tedesca è ultimamente la posizione  della SPD ed anche dei Grünen che chiedono una regolamentazione dei mercati finanziari, con misure volte al controllo del sistema bancario, separando le banche d’affari dalle banche commerciali che gestiscono i risparmi dei cittadini, proibendo i derivati pericolosi, le manovre speculative sulle materie prime e l’energia,  limiti alla possibilità di bolle speculative immobiliari, moralizzazione dei bonus per i dirigenti e maggiori regolazioni in tutti i settori.
Al contrario  dei Verdi, che dopo l’abbandono di Joschka Fischer e alcuni anni sui banchi dell’opposizione hanno trovato un punto di incontro tra le due anime, quella pragmatica dei Realo e quella più radicale degli Sponti, l’SPD è invece paralizzata dalle divisioni interne fra l’ala moderata liberista  e quella più radicale che convivono con difficoltà. Il trauma viene da lontano, si chiama Hartz IV, la riforma dello stato sociale voluta testardamente da Schröder, introdotta dal governo rosso-verde nel 2005 . Una riforma che per alcuni rappresenta uno dei pochi successi della socialdemocrazia continentale europea, per altri ancora ad oggi mai accettata. La paralisi fra le due anime SPD  potrebbe oggi fare l’ennesima vittima: Stephan Weil, il candidato regionale dell’SPD che potrebbe pagare la crisi crescente della candidatura al Bundestag di  Peer Steinbrück esponente dell’ ala moderata della SPD che dovrebbe battere la Merkel in settembre e che sta andando malissimo.

La novità degli ultimi mesi è infatti che l’ipotesi di una maggioranza SPD- Grünen per la nuova Germania si sta rapidamente allontanando. Mentre i Grünen tengono nei sondaggi, fra il 14 e il 16%, la SPD sta crollando addirittura al 23% mentre la CDU è risalita al di sopra del 40%. In parte il successo dipende dallo svuotamento degli alleati  Liberali che potrebbero restare fuori dal Parlamento non raggiungendo il 5% , ma non basterebbe la tenuta dei Verdi per avere una maggioranza alternativa e l’unica altra forza che probabilmente potrebbe passare il 5% è la Linke, fuori dai giochi delle alleanze e comunque dilaniata da forti contrasti interni. Da tener conto che in Germania i sondaggi, come gran parte dei commentatori dei media, sono cosa seria, non ispirata, come in Italia, dai diversi partiti, e quindi abbastanza indipendenti e attendibili. 

Un discorso a parte vale per i Piraten, che dopo il grande successo delle elezioni a Berlino più di un anno fa, sono in grandi difficoltà. I guai dei pirati tedeschi sono diventati evidenti nel novembre 2012  quando si è tenuto a Bochum, il loro congresso. Il Piratenpartei Deutschland è stato fondato nel 2006 e negli scorsi anni era riuscito ad ottenere numerosi successi, portando diversi rappresentanti nei parlamenti degli stati federali di Berlino, Nord Reno-Westphalia, Schleswig-Holstein e Saarland; ma sembra diviso da numerosi scontri interni. Julia Schramm, membro del consiglio direttivo del partito, ha fatto dividere il partito quando la casa editrice con cui aveva pubblicato un suo romanzo ha cominciato a chiedere la rimozione delle copie illegali che giravano su internet, questione spinosissima nel partito del software libero e la Schramm ha annunciato che non si candiderà alle prossime elezioni. Anche Marina Weisband, ex direttrice politica del partito, ha deciso di non correre alle prossime elezioni per via dei continui scontri interni. Il suo successore, Johannes Ponader, è stato criticato per usufruire dei programmi di aiuto statale per i disoccupati; ha chiesto più volte al partito di dargli uno stipendio, non potendo sopravvivere fornendo un  contributo volontario. Segnali di un successo troppo veloce, il  13% dei consensi a livello nazionale è rapidamente crollato fino a scendere sotto il 5%, sia nazionale che in  Bassa Sassonia. Ancora una volta il sistema proporzionale tedesco con il quorum al 5% funziona perfettamente. Gli elettori hanno ben chiaro gli effetti del proprio voto: chi non si dimostra all’altezza viene penalizzato, chi da fiducia e mostra programmi chiari viene premiato ed il ricatto del voto utile è praticamente inesistente. 
  
Per Steinbruck,  il candidato dell’SPD contro la Merkel le cose si stanno mettendo davvero male:  il partito lo aveva appena  designato  che subito sono trapelate  notizie sui lauti compensi da lui  intascati per interventi a forum e convegni aziendali: dal novembre 2009 circa 1,25 milioni di euro. In aggiunta risultando assente alle sedute del Bundestag. Particolarmente sconveniente il compenso ricevuto dalla municipio di Bochum,  sull’orlo del fallimento, che gli aveva corrisposto 25 mila euro. Anche la scelta del proprio portavoce per la campagna elettorale è risultata avventata: il prescelto è l’ex portavoce di un hedge fond, fondi speculativi di investimento, fortemente ostile  agli occhi di molti elettori  socialdemocratici. Tutte cose che in Italia a destra e a sinistra valgono al più un trafiletto sui giornali ma qui possono affondare un partito ( il portavoce è stato sostituito di corsa ). L’ultimo svarione è stato il tranello di un giornalista che ha chiesto a Steinbrück dello stipendio che compete a un cancelliere tedesco ( che è la metà dell’ omonimo  italiano ); al quale ha risposto che lo trovava del tutto inadeguato, visto che i direttori di banca spesso guadagnano di più. Nessun cancelliere mai, Merkel compresa, se ne è lamentato. La risposta ha fatto infuriare la base più popolare del partito con qualche celata soddisfazione della Merkel che vede il proprio avversario scavarsi la fossa da solo. C’è chi non esclude che un insuccesso, fino a ieri non previsto in Bassa Sassonia e non dovuto ai leader locali, potrebbe portare alla sostituzione dell’antagonista della Merkel all’ultimo minuto, anche se gli effetti sarebbero probabilmente comunque disastrosi.

La situazione più tranquilla sembra essere quella dei Verdi. Anche loro a congresso in novembre hanno superato l’esperimento verde delle primarie con una bella scossa però subito  riassorbita e questa assenza di litigiosità è gradita dagli elettori. Tra i quindici candidati l’hanno spuntata Jürgen Trittin, primo con il 72 % dei consensi, e Katrin Göring- Eckardt, seconda con il 47 %. Saranno loro, dunque, insieme a Peer Steinbrück della SPD, a sfidare la Merkel alle elezioni federali. Trittin, l’ex ministro dell’ambiente durante il governo rosso-verde di Gerhard Schröder di 10 anni fa, era il favorito; una sorpresa invece Göring- Eckardt, che ha battuto la berlinese Renate Künast  e la storica coportavoce Claudia Roth. La Künast, dopo le ultime elezioni di Berlino nel settembre del 2011, dove mancò l’elezione a sindaco della capitale, sembra essere in crisi, mentre Claudia Roth, l’attuale presidente del partito insieme a Cem Özdemir, durante la campagna per le primarie ha preferito evitare qualsiasi forma di conflitto. E forse ha pagato il fatto di essersi candidata mentre presiedeva la carica di leader del partito, carica che  non intende lasciare. Secondo i commentatori la base del partito ambientalista ha votato in parte la tradizione rappresentata da Jürgen Trittin, e in parte lo spirito progressista e innovatore rappresentato dalla Göring-Eckardt che rispecchierebbe l’elettorato verde più borghese e razionale. La Göring- Eckardt proviene dal Land orientale della Turingia, aderendo al Bundnis 90, il movimento per i diritti civili confluito nei Grünen dopo la caduta della Repubblica Democratica. Dal 1998 è parlamentare nel Bundestag e nel 2009 ha assunto la carica di presidente del sinodo della chiesa evangelica tedesca. Sarebbe un segnale del superamento della fase movimentista dei Grunen, come i più recenti successi dei Verdi ( ad esempio la straordinaria vittoria nel Baden-Württemberg, dove governa un ministro-presidente verde), ottenuti dagli esponenti cosiddetti “realisti”. La scelta per Trittin e Göring-Eckardt ha dato il via a nuove speculazioni su future alleanze, perché lo sfacelo della SPD apre l’ipotesi di un futuro governo di  coalizione conservatrice-ambientalista. Ma l’alleanza con la SPD resta quella più naturale e preferita. 

I problemi per i Grünen sono fuori dal paese: il Partito verde europeo è più che altro un coordinamento dove sono collocate figure marginali, mentre le figure più significative sono tutte nel gruppo parlamentare europeo. In Italia i Verdi sono una finzione, questione ben nota ai Grünen, in Spagna e Grecia sono al lumicino, in Gran Bretagna il sistema elettorale, di fatto bipartitico,  li massacra, e le cose vanno malissimo in Francia dove l’alleanza di Europe Ecologie con Hollande è stata disastrosa.  Cohn Bendit, attaccando frontalmente la Douflot, oggi ministro non si sa bene di cosa, non si è più riscritto al partito. La questione diverrà esplosiva solo per le elezioni europee del 2014 dove c’è il rischio che gli ecologisti diventino una componente politico-culturale, magari di successo, del solo centro-nord europeo. In realtà il vecchio ambientalismo degli anni ’80 non sembra in grado al momento di rinnovarsi per essere all’altezza della crisi, specie nei paesi dove questa si manifesta in modo più duro e dove la questione della conversione ecologica diventa una sfida che se non manifesta concretezza e idee nuove mette nell’angolo i vecchi partitini verdi.

Resta il fatto che la Germania è oggi l’unico paese nell’Ue in cui l’economia va bene: il tasso di disoccupazione si è dimezzato, e oggi è sotto il 7 %; il fisco per il 2012 ha incassato 6 miliardi di euro più del previsto. Inoltre  sta lentamente ma puntualmente uscendo dal nucleare e, primo paese al mondo, prefigurando un sistema energetico, un sistema dei trasporti, un sistema di tutele ambientali e di tutele sociali che non ha paragoni in nessun’ altra area del pianeta.

nella foto: la sede della Cancelleria  ( Kanzleramt ) a Berlino