di Guido
Gentili *
Si vota a
febbraio. Poi, tolto il cappotto, ci sarà l'elezione del nuovo Presidente della
Repubblica. Il 2013 si annuncia colmo di novità. Tant'è vero che il 2012 si
chiude all'insegna di un lavorìo politico che non ha precedenti in Italia. Né
per stagionalità né per intensità del confronto-scontro personale (Monti,
Bersani, Berlusconi, Grillo) e per differenza di impostazioni strategiche.
Poca
attenzione viene invece dedicata al fatto che Agenda Monti o no, vittoria di
uno schieramento o di un altro, dalla primavera 2011 (Governo Berlusconi) al 20
dicembre 2012 (Governo Monti già sul binario delle dimissioni) il nostro legame
con l'Europa si è rinsaldato. Qualcuno dice "a torto", perché ci
saremmo così legati le mani (e la crescita) per compiacere la Germania di
Angela Merkel. Qualcun altro dice "a ragione", perché questa era e
rimane l'unica strada possibile.
Ci sono buoni motivi per discutere, in un senso e nell'altro, se il confronto è libero e non viziato dagli opposti pregiudizi. Ma non è questo il punto. È il dato sotto la crosta delle polemiche che fa testo: ancorché, sembrerebbe, quasi "a sua insaputa", per stare a una formula di successo, la classe politica italiana ha abbracciato il "vincolo" europeo e ha scommesso sul suo futuro rispetto. Punto, e il resto sono per ora chiacchiere.
Ci sono buoni motivi per discutere, in un senso e nell'altro, se il confronto è libero e non viziato dagli opposti pregiudizi. Ma non è questo il punto. È il dato sotto la crosta delle polemiche che fa testo: ancorché, sembrerebbe, quasi "a sua insaputa", per stare a una formula di successo, la classe politica italiana ha abbracciato il "vincolo" europeo e ha scommesso sul suo futuro rispetto. Punto, e il resto sono per ora chiacchiere.
Aveva cominciato il Governo Berlusconi-Tremonti, ha continuato il Governo Monti con la sua "strana" maggioranza. Six-pack e Fiscal compact, insomma il pacchetto delle nuove e stringenti regole cui l'Italia si è adeguata, non sono passati in Parlamento come oggetti non identificati. Il pareggio di bilancio (pur col limite di un saldo che non distingue sul mix dei livelli di spesa e di entrate) è entrato in Costituzione. La riduzione del debito pubbico di 1/20 per anno della parte eccedente il 60% del Pil (come da parametro fissato dal Trattato di Maastricht nel '92) è in pista. Con tutto quello che ne consegue in termini di aggiustamento e di manovre, compresa la necessità di conseguire nel corso di diversi anni un avanzo primario (cioè al netto delle spese per interessi) pari a 4-5 punti del Pil.
Siamo,
insomma, sulla soglia di una sfida formidabile, se non interverranno fatti
nuovi (deroghe o rinvii concordati a livello europeo), per chiunque uscirà
vincente dalle elezioni e avrà l'onore e l'onere di governare. La stessa
Commissione Ue, nel suo rapporto finale del 2012, può affermare che l'Italia
non è a «rischio di stress di bilancio nel medio periodo». Vero, ma a
condizione che si rispettino i duri vincoli europei. E quanto al lungo periodo,
si vedrà quanto è sostenibile una simile impresa.
A ben vedere, questo è il dato di fondo che il 2013 eredita dal 2012. Quanto il sistema politico dei partiti, al di là delle croccanti polemiche di posizionamento in vista delle elezioni, possa sostenere di aver compiuto una scelta del tutto meditata è difficile dirlo. Per rassicurare l'Europa, il leader del Pd, Pierlugi Bersani, in testa nei sondaggi elettorali, ha dichiarato con parole chiare al "Financial Times" che non intende rinegoziare il Fiscal compact né nessuno degli accordi raggiunti nel 2012.
Ma un certo imbarazzo, in generale, è tuttavia visibile, e trapela nitido dalle pagine dei resoconti parlamentari, come nel caso della legge "rinforzata" per l'attuazione del pareggio di bilancio, approvata al Senato a maggioranza assoluta, in serata e in tutta fretta, il 20 dicembre (votanti 226, 222 sì e 4 no).
Dal Pdl al
Pd emerge il rammarico per non aver approfondito come meritava il problema, che
ci sono diverse riserve e punti critici ma che comunque la legge non poteva che
essere approvata subito. Nonostante, per esempio, il pasticcio fatto
sull'authority sui conti pubblici (una triarchia invece di un organo
monocratico designata dai presidenti di Camera e Senato sulla base di dieci nominativi
avanzati dalle Commissioni parlamentari competenti). Più o meno convinti, alla
fine il "sì" è stato quasi unanime. E da domani, con la grande
soddisfazione già espressa da Berlino, il Fiscal compact è attivo.
·
da
il sole24ore, 31 dicembre 2012
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