di Massimo Marino
Si è calcolato che
nell’anno che è al termine circa 4 miliardi di persone sono state coinvolte in
scadenze elettorali di rilievo. Difficile fare una sintesi dei risultati e dei
cambiamenti più rilevanti per il futuro del pianeta. Azzardo tre conseguenze di questa
travagliata annata, che possono avere effetti di lungo periodo per noi e per le
future generazioni. Conseguenze che rendono evidente la inadeguatezza delle
forme della politica ereditate dal secolo scorso: sia fra destra e sinistra in affannato
bipolarismo in tutto l’Occidente ed in alcune altre aree del pianeta, sia fra bande
etniche o religiose in competizione in molti altri paesi. Forme che sembrano inadeguate
per molti e ci impongono di trovare nel nuovo secolo strade virtuose per costruire una alternativa riformatrice:
1) La forma prevalente
di soluzione dei dissidi o delle tensioni fra nazioni, gruppi etnici o religiosi, soggetti economici
multinazionali, correnti politiche organizzate, sembra orientarsi sempre più
verso l’uso dell’ insulto, della violenza e della forza, fino all’estremo delle
guerre e guerriglie locali e regionali. Sempre
minore è la ricerca della convivenza e
della soluzione pacifica dei conflitti. La conseguenza più evidente è il
declino dell’ONU, l’antidoto inventato dopo la tragica esperienza della
seconda guerra mondiale che ha causato 68 milioni di morti per quasi due terzi
civili. L'organizzazione internazionale nacque con l’accordo di tutte le
nazioni nel 1945 per mantenere la pace e
la sicurezza internazionale, favorire relazioni amichevoli tra le Nazioni e
favorire migliori condizioni di vita, di progresso sociale e dei diritti umani.
(1)
A fine anno si contano
invece 56 conflitti armati di rilievo nel mondo fra i quali 6 hanno provocato
nell’anno in corso almeno 10mila morti. Oltre quello russo-ucraino e
arabo-israeliano, la guerra civile in
Sudan, quella in Myanmar, quella nel Maghreb-Shael (Mali, BurkinaFaso, Niger e
altri ). Per ultimo fra i più rilevanti la guerra della droga contro i Cartelli
in Messico ( Sinaloa e Jalisco ) con
decine di migliaia di morti solo negli ultimi anni. Pochissimi ormai i casi
di conflitti locali che si risolvono con accordi di pace stabili. I
conflitti tendono a diventare cronici, ad allargarsi, aumentare il livello
tecnologico delle armi a disposizione e il numero di armati coinvolti. I
profughi in fuga in questo anno che non hanno più una residenza stabile sono difficili
da valutare ma di certo sono superiori ad almeno 100 milioni di persone.
2) Mentre gli effetti
della crisi climatica ed in generale dell’inquinamento del pianeta sembrano
accentuarsi, il peso di organismi, associazioni, movimenti politici che hanno
la conversione ecologica e la tutela del pianeta come obiettivi prioritari
sembra essere in declino, forse non tanto per l’attacco delle lobby e dei
cosiddetti negazionisti che hanno scarso peso, ma quanto per la mancanza di
elaborazione e proposte concrete ed adeguate ad ottenere almeno in Occidente il
consenso, anche elettorale, necessario per cambiare paradigma. Come conseguenza
nell’ultimo anno si è rafforzato l’attacco mediatico ostile dei soggetti
economici interessati allo status quo, fino all’aggressione dei difensori dell’ambiente
che in varie aree del pianeta ( Asia, Africa, America latina) arriva all’eliminazione
fisica degli attivisti della tutela ambientale, e comunque all’aperta contestazione
e opposizione a qualunque forma di conversione.
3) Si accentua nel mondo lo squilibrio economico fra
gruppi ristretti che aumentano la loro quota di ricchezza posseduta e il livello di povertà della maggioranza. Sistemi
elettorali iniqui facilitano lo squilibrio, si diffondono forme di
presidenzialismo che consegnano il potere ad un manipolo di miliardari che occupano direttamente lo
Stato, controllano i media in prima persona, piegano partiti e istituzioni alla
tutela degli interessi di pochi. C’è chi sostiene che “ la crisi della democrazia liberale ha raggiunto un
punto tale da rendere quasi indistinguibile il confine tra democrazia e
autoritarismo”. Il dato sconfortante degli ultimi anni è infatti che molte
figure istituzionali o presidenziali assumono crescenti caratteristiche
autoritarie abbandonando qualunque parvenza democratica. La rappresentanza
elettorale iniqua favorisce la tendenza all’astensionismo rinunciatario,
l’ultima forma di ribellione, segnale di sfiducia e di assenza di una possibile
rappresentanza reale che sia affidabile.
*
Le elezioni in USA
Un sistema elettorale
che da 240 anni impone un forzoso bipolarismo e impedisce qualunque pluralismo
e rappresentanza proporzionale ha raggiunto il culmine del degrado. Le elezioni
di novembre sono costate circa 1 miliardo di dollari per Trump e 1,5 per la
Harris, mentre altri 3-4 candidati non avevano alcuna possibilità di accesso né
ai media nazionali, né all’insieme dei collegi, né al voto per posta. A
differenza dell’ alta partecipazione al voto del 2020 che permise a Biden di
prevalere su Trump, i votanti sono scesi da 158,4 a 151,2 milioni ( Nel
2016 nella sfida Trump - Hillary Clinton erano stati 137 milioni). Rispetto al 2020 nel novembre scorso Trump ha
ottenuto nel voto popolare 1,6 milioni di voti in più di quelli del
2020 ( da 74,2 a 75,8 ) mentre la
Harris ha avuto circa 8,4 mil. in meno di Biden nel 2020 ( da 81,3 a
72,9 ). Con 3 milioni di “ voti popolari” in più, assolto di fatto per i
fatti di Capitol Hill, con il pieno controllo di Camera, Senato e Corte Suprema,
sostenuto da un manipolo di miliardari e personaggi dell’estremismo politico
destrorso, con un sistema politico nel paese sempre più miserrimo, c’è chi ha definito gli USA “ un
paese del terzo mondo, con una potenza militare egemone e un sistema politico ridicolo
e desolante”. Trump questa volta cerca di azzerare l’intero apparato
istituzionale politico americano. Nessuno oggi è in grado di valutare fino a
dove e in che direzione si spingerà nel
suo imprevedibile estremismo, quanto si discosterà, nella politica estera, nei
diritti civili e sociali e nella già precaria sensibilità ambientale, dai suoi
diversi predecessori e dalla tradizione del bipolarismo americano. Difficile
fare più danni dei Democratici, specie sul clima e nella politica estera, ma
Trump ci proverà.
La Transizione
ecologica è la madre delle riforme
Come era ormai
largamente prevedibile la COP 29 a Baku, definitivamente occupata e gestita dai
petrolieri, con l’assenza di numerosi capi di stato o di governo, ha chiuso definitivamente qualunque
possibilità di usarne il dibattito come occasione di confronto sul futuro del
pianeta. Dopo Sharm El Sheik (COP27) e Dubai (COP28) sarebbe stata necessaria l’organizzazione in
uno dei principali paesi inquinatori dell’Occidente di una COP Alternativa
per approfondire proposte e percorsi di una Transizione ecologica che riguarda
per primi i paesi occidentali. Per quanto in molti ne parlino la transizione oggi
non è sostenuta neppure dagli ecologisti
con proposte chiare all’altezza dello scontro politico che ha un
carattere planetario. I difensori dello status quo, sostenuti o tollerati con
poche sfumature di diversità da gran parte delle destre e delle sinistre, tendono
a impedire qualunque reale alternativa all’uso delle fonti fossili, a ostacolare
la decarbonizzazione, a rallentare la potenziale egemonia economica delle rinnovabili.
Pur di contrastare la transizione, la riforma centrale dei prossimi decenni nel
mondo, si torna addirittura a riproporre l’uso della fonte nucleare ormai
destinata alla scomparsa per la sua insostenibilità economica oltre che per il
rischio ambientale. Oppure si ripesca gli argomenti del negazionismo climatico,
rassicurante per gli sprovveduti ma allettante per le lobby perché porta a
concludere che va tutto bene e quindi non c’è da mettere in discussione nulla. In
aggiunta alle COP di fatto è vietato discutere di mobilità perché l’Automotive
ha saturato almeno tutto l’Occidente, barcolla ma è intoccabile, ed anzi dopo
la crisi del COVID insieme ad altri soggetti ha imparato ad accumulare impunemente
superprofitti mai ottenuti in passato ( come nell’energia, negli armamenti,
nella speculazione finanziaria e bancaria, nei farmaci e vaccini).
Sembra impossibile mettere
in discussione la centralità dell’auto. L’obiettivo non è solo quello di mantenere l’uso dei motori a combustione e
dell’auto come principale vettore ancora
per decenni ma di mantenere elevato il livello degli utili dei vettori
e dei carburanti con detassazioni e
contributi pubblici. Di fatto anche molti ambientalisti sono in una condizione subordinata.
Perlopiù difendono l’elettrificazione della attuale mobilità individuale ( le
cosiddette auto elettriche ) invece di battersi per l’estensione delle reti
pubbliche, collettive, allargate, di trasporto metropolitano su percorsi
dedicati, separati e prevalenti. Servirebbero alcune migliaia di km di metropolitane,
ancora assenti o minimali in centinaia
di aree urbane medie e grandi. Servirebbe riportare il verde dentro le città e
rimuovere ovunque possibile asfalto, bitume, catrame e cemento, servirebbe
aumentare le zone pedonali e fluidificare il traffico privato ridimensionato in
corsie dedicate e separate. I limiti di velocità a 30 all’ora sono un
palliativo inventato da qualche sindaco furbastro per far felici con poco gli
ambientalisti e per nascondere il mancato cambio di paradigma che rimane fisso
sull’auto. Nello stesso modo la produzione energetica da rinnovabili è assente
su centinaia di milioni di tetti, capannoni, aree agricole incolte. Ne viene ridimensionata
la convenienza economica con il freno delle autorizzazioni per eolico e
fotovoltaico ( che disturberebbero il paesaggio ) mantenendo gas, olio
combustibile e carbone e costringendo l’utente finale a pagare in ogni caso i suoi consumi al prezzo più alto, quello del gas.
La crisi politica in
Germania
Nella crisi generale
che coinvolge gran parte dell’Occidente e sembra condannare al declino e all’
irrilevanza la sua parte europea, la crisi politica che porterà alle elezioni
anticipate in Germania del 23 febbraio mi sembra particolarmente preoccupante
per diverse ragioni: è di fatto il paese più grande dell’Unione Europea,
apparentemente il più avanzato sul difficile percorso della transizione
ecologica e dell’equità sociale, forse con il migliore e più libero sistema elettorale del mondo con il quale ha
sperimentato forme virtuose di stabilità politica. Ha gestito la fuoriuscita
dal nucleare, attuato un decente sistema di accoglienza e di integrazione di
milioni di immigrati. Da anni ha un sistema politico consolidato con una
rassicurante presenza pluridecennale di movimenti molto attivi e di un consistente
partito verde che fino a ieri ha di fatto occupato un ruolo di peso nello
schieramento politico. Ha contenuto più di altri la spesa per gli armamenti e
la presenza militare all’estero. Eppure la coalizione semaforo a tre
(Socialdemocratici, Verdi e Liberali) non ha retto alle contraddizioni interne
e la presenza dei Verdi ( con 5 ministri su 12 nel governo) non è stata in
grado di imporre una svolta di alternativa e
di riforme che consolidasse il sostegno popolare. Come i 5stelle in
Italia e Podemos in Spagna nel coinvolgimento al Governo, imbrigliati in
coalizioni indigeste, subendo inerti la guerriglia mediatica mentre nel paese
si attendono comunque cambiamenti radicali ma insieme sicurezza ed efficienza, la
politica del temporeggiare si paga con la perdita del sostegno della parte più
attiva dei propri sostenitori. L’implosione in atto nei Grünen, dopo almeno
cinque decenni di storia, avrà effetti dirompenti sull’intero scenario europeo.
Il movimento 5Stelle non
si muove più
A differenza di altri
paesi l’Italia vive una singolare situazione politica che vede governare una
coalizione di cdx nettamente minoritaria nel paese ma stabile ed egemone
perlopiù per il continuo crescere dell’assenteismo e per il comune intento
della destra e della sinistra di mantenere a qualunque costo un rigido assetto politico
bipolare. Intento che presuppone la cancellazione o almeno il ridimensionamento
fino all’irrilevanza del terzo polo fino a ieri rappresentato dal M5Stelle che per almeno 5
anni ( 2014-2019) aveva di fatto imposto l’agenda politica del paese ed aveva
anche iniziato con Torino, Roma e alcuni altri Comuni di rilievo nel 2017, la
conquista di amministrazioni locali di peso. Le 12 elezioni regionali degli
ultimi 2 anni indicano invece il consolidarsi di un assenteismo che chiamerei
in parte “ militante” e che è valutabile oggi a 24-26 milioni di
elettori su circa 50 milioni totali. Il CDX alle politiche del settembre
2022 ha ottenuto meno di 12,5 mil di voti ( circa 25 elettori su 100 )
mentre le variegate “ forze di opposizione “ quasi 16 mil. di voti. In
pratica il vero vincitore è stato il rosatellum, in particolare con la sua
quota di collegi uninominali. Si pensi che in varie altre occasioni il CDX ha avuto risultati ben
migliori, fino al 2008 quando l’alleanza Popolo delle Libertà e Lega hanno
ottenuto 17,4 mil di voti su 47,3 totali ( 37 elettori su 100),
senza contare 2 mil di voti dell’UDC. Nelle ultime scadenze regionali anche il
CDX inizia a subire un moderato ridimensionamento ma minore del CSX ed in
particolare del declino progressivo del M5S che sia da solo che in alleanza da sei anni continua ad alimentare gradualmente
l’astensionismo. I votanti totali sono stati 35 mil. nel 2018 poi 29,2 nel
2022. Il M5S da circa 11 mil di voti del marzo 2018 è arrivato ai 4,5
mil del settembre 2022. Difficile valutare se ad oggi il M5S possa superare i 4
mil di voti in una scadenza nazionale. Nelle europee del giugno 2024 è rimasto
al di sotto dei 2,5 mil.. Il M5Stelle in sei anni ha perso circa 7
mil. di voti. A mio parere si sono
ridistribuiti ad altri partiti non più di un quarto di questi voti. Almeno
5 mil. di elettori del 2018 hanno smesso
di votare 5stelle e non hanno votato nessun altro, la competizione tende a zero. La delusione sembra dovuta
prevalentemente all’abbandono da parte degli eletti degli obiettivi promessi ma
mancati nelle diverse esperienze di governo
e dalla inaffidabilità di molti eletti che per una supposta convenienza
personale (che alla prova dei fatti non si è per la verità prodotta), hanno
cambiato partito.
Mi sembra però che la
sensazione che si è diffusa è che i 5stelle, ma anche i loro alleati o competitori
specie della sinistra non abbiano in
realtà una opinione precisa ed efficace
su parecchie questioni vitali: il sistema elettorale, i migranti e la
sicurezza, i bassi salari e la povertà, l’evasione fiscale e gli extraprofitti.
Temi sui quali la destra specula abilmente, la sinistra nelle sue varie
sfumature è ferma da tempo ed è singolare che anche i 5 stelle su alcuni di
questi temi siano assolutamente fermi e a rimorchio degli altri.
Molti dei cambiamenti ottenuti
negli anni passati sono stati annullati o sono in fase di demolizione da destra
e sinistra insieme in accordo più o meno esplicito ( reddito di cittadinanza,
bonus a valenza ambientale, indennità e finanziamento della politica e dei
media, freno alle spese militari, maggiore autonomia da USA e Nato, corruzione e giustizia).
Il salario minimo,
che avrebbe coinvolto 4-5 milioni di precari super sfruttati, proposto già dal
2015 con la prima versione del Reddito di Cittadinanza, con il benevolo appoggio della Confindustria è
stato prima boicottato da PD e Sindacati ( indimenticabili gli attacchi al
RDC di Landini e di almeno due segretari
del PD) quando era possibile avviarlo, poi
ripescato nel momento in cui tanto non era più possibile imporlo.
Si aggrava invece il
disimpegno nella sanità pubblica iniziato dal 2010. Di fatto, tranne un
peggioramento con i governi Renzi e Letta e un lieve miglioramento con il Conte
I, a parte l’anno del Covid praticamente la spesa sanitaria unitaria aggiornata
all’inflazione ( ha un senso misurarla per abitante e non rispetto al PIL come
va di moda ) è stata pressoché costante con una lenta tendenza a decrescere da
più di 10 anni in modo indipendente dai governi e dai ministri di destra o di
sinistra come ci ha confermato ancora di recente il rapporto annuale Gimbe.
Lentamente in una decina di anni si sarebbero sottratti al SSN almeno 37 mld. Oggi
servirebbero almeno 10-12 mld di maggiore impegno annuale nel SSN ( che si aggira sui 130-134 mld) praticamente
recuperabili solo frenando la privatizzazione e con interventi consistenti di bilancio su
extraprofitti nel settore energetico e bancario, spesa militare, evasione
fiscale, aliquote fiscali. Settori dove mi sembra si stia andando esattamente
nella direzione opposta da alcuni anni.
L’assemblea
ri-costituente
di novembre dei 5stelle ha deviato come era prevedibile sui due nodi interni:
il limite dei due mandati e il ruolo del Garante. Giusto sciogliere i nodi ma
il resto è diventato di contorno e malgrado le molte decine di interventi
collettivi e almeno 22mila contributi individuali, avendone letti una buona parte mi è sembrato che non si
siano quasi neanche sfiorati alcuni
nodi decisivi del futuro dell’Italia e
dell’intera Europa:
1) Quando si impone un confronto pubblico su un nuovo
sistema elettorale proporzionale ?
2) Quando si propone
una nuova gestione sui migranti basata su corridoi umanitari gestiti dallo Stato
eliminando gli scafisti, invece della zuffa disastrosa fra xenofobia e il
liberi tutti delle ong venduta come scontro epocale fra la destra e la sinistra
per gestire la crisi migratoria ?
3) Siamo sicuri che la
difesa a caro prezzo del settore auto (in parte saturo e in parte decimato
dall’automazione) sia più conveniente di interventi radicali per accelerare
decarbonizzazione e mobilità alternativa all’auto ?
4) Come si concilia la
spinta al riarmo europeo nella Nato, che crescerà con l’avvento di Trump, con
l’ipotesi, condivisibile ma complessa, dell’esercito europeo che è ovviamente
alternativo all’attuale rigido legame con la Nato e inevitabilmente sensato
solo se connesso ad un nuovo percorso federativo europeo ?
*
Il riformismo radicale
che ci manca da tanti anni deve
occupare il centro del sistema politico, proporre la propria agenda fatta
di soluzioni chiare ed efficaci per ogni problema e su queste conquistare la
maggioranza e costruire compromessi accettabili in piena autonomia dalla
sinistra, dalla destra, dal moderatismo di centro. Se ci si sottrae dalla
scenografia mediatica dove chi non è di destra è di sinistra e chi non è
di sinistra non può che essere di destra
e si riportano le alleanze sociali alla
soluzione dei temi irrisolti che
emergono dalla società reale l’Alternativa è proponibile alla grande parte
dell’intera società italiana. Ci si
deve allontanare dal tradizionale scontro bipolare sempre meno vissuto come
reale da parti consistenti della
società. Serve certo un apparato di
militanti e leader più competenti, ma più immersi nella società reale e più inclini
a disamorarsi con facilità dai propri
ruoli.
dicembre 2024
(1) I morti nella IIa guerra
mondiale furono 25 mil. in Unione Sovietica, 19,6 in Cina, 7,4 mil. in
Germania, 5,6 mil. in Polonia, 4 mil. in Indonesia, 2,6 mil. in Giappone, 1,6 mil. in Jugoslavia, 1,5 mil. in India.
Almeno mezzo milione in Francia e quasi mezzo milione in Italia. Quasi 6
milioni di ebrei di vari paesi
dell’Europa sono stati sterminati.
Bibliografia
Wikipedia: Vittime
della seconda guerra mondiale
Dataroom:
tagli al Servizio sanitario nazionale, chi li ha fatti e perché –
marzo 2020
Andrea
Degl'Innocenti: Ecco quante e quali sono le guerre nel mondo – aprile 2022
Luca
Ricolfi: Può esistere un partito sia di destra sia di sinistra? - settembre
2024
Milano
Finanza: Auto elettriche, la rivincita di Marchionne - settembre 2024
Maurizio Pallante: Perché noi ecologisti
abbiamo uno scarso consenso politico - ottobre 2024
Donatella
Di Cesare: Il progressismo è solo per l’élite occidentale - novembre 2024
Massimo
Cacciari: L’egemonia dell’Occidente non esiste più - novembre 2024
Tomaso
Montanari: Votare non salva più nessuno: lottare è la “nuova” politica -
novembre 2024
Barbara
Spinelli: Il sonno ipnotico della sinistra - dicembre 2024
Nicola
Armaroli, Gianni Silvestrini: Comunicare e gestire la transizione energetica -
dicembre 2024
L’Europa
in crisi e il futuro della democrazia -
dicembre 2024
Livio
De Santoli: Energie pulite, l’Italia non rinnova - dicembre 2024
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