di Luca
Pisapia *
Il documentario ambientalista prende
il nome dal suo ultimo libro e sarà nelle sale italiane il 2 dicembre. E
proprio domani si apre nella capitale francese la conferenza sul clima: “Quando
entrano in gioco il potere dei soldi e la corruzione ogni paletto messo
all'inquinamento risulta inefficace”, ha detto il regista e marito della
scrittrice, Avi Lewis
“Siamo una specie avida e ottusa, e se questo
è vero non c’è speranza. Per fortuna però durante questo cammino ho incontrato
persone che lottavano, e ho capito che il problema non sono gli umani ma una
storia che siamo andati avanti a raccontarci per 400 anni. E questa storia è il
capitalismo”. Non potrebbe essere più chiara Naomi Klein, la celebre
autrice di No Logo, voce narrante di This Changes Everyting, documentario
ambientalista che prende il nome dal suo ultimo libro e che sarà nelle sale
italiane il 2 dicembre. Frutto di quattro anni di lavoro in giro per il
mondo, racconta dalle battaglie contro l’estrazione di bitume nelle foreste
del Canada, la fratturazione idraulica in Nord America, le centrali a
carbone in India, le miniere in Grecia. Il documentario assume ancora più
importanza in vista della conferenza sul clima Cop21 che si apre
domenica a Parigi.
Proiettato
ad Amsterdam sui muri di una vecchia centrale a carbone, ad Atene
alimentato dall’energia cinetica delle biciclette, a Roma in anteprima
nell’Aula dei Gruppi Parlamentari di Montecitorio alla presenza della
presidentessa Laura Boldrini, che ha detto: “Alla Cop21 di Parigi
dovranno essere gettate la basi per una possibile convivenza in questo
pianeta”. Non è stato molto d’accordo il regista Avi Lewis, marito di
Naomi Klein, che ha ricordato come a Parigi “non si discuterà nemmeno dei
limiti di estrazione di energia fossile, che sono oggi il problema più
stringente”. Sempre Avi Lewis a proposito della tragedia del climate change non
ha lesinato critiche alla “mancanza di lungimiranza dei governi che
parlano bene ma poi agiscono male”, e non si è nemmeno risparmiato una stoccata
al governo italiano per le trivellazioni nel mare Adriatico.
Tra comunità
di indigeni che lottano in nome di diritti ancestrali sul territorio e
piccoli villaggi che si ribellano alla corruzione dei loro politici, il
documentario ovviamente simpatizza con gli ultimi della terra, che sono poi i
primi a subire le conseguenze della devastazione ambientale. “Crescita è il
nome che più si avvicina oggi a una divinità globale. In nome di una
cultura consumistica occidentale che sfrutta e inghiotte tutte le risorse della
terra”, dice infatti Naomi Klein, che poi ricorda: “In Canada dove stiamo
combattendo contro l’estrazione di bitume abbiamo scoperto che il governo
sorveglia gli attivisti, una grave violazione dei diritti civili, e poi
condivide le informazioni con le multinazionali. Ma nonostante ciò siamo
riusciti a ottenere le nostre vittorie, come quando poche settimane fa Obama
ha dovuto sospendere la costruzione della Keystone Pipeline, l’oleodotto
che dal Canada doveva arrivare negli Stati Uniti”.
Per ogni
vittoria locale però, c’è l’ennesima decisione presa a discapito delle
popolazioni e delle loro battaglie. Per questo dice ancora Avi Lewis a ilfattoquotidiano.it:
“Per ottenere dei risultati vanno abbattuti i pilastri centrali del
neoliberismo, oggi in particolare quelle leggi internazionali che diventano
lo strumento che permette agli investitori stranieri, e quindi alle
multinazionali, di citare in giudizio un governo perché le sue leggi locali
potrebbero privarli di guadagno. Ovvero il cuore di trattati come il ttip,
tisa e ttp. Non è possibile che comitati di presunti esperti non eletti
dalle popolazioni possano poi decidere in favore delle multinazionali e dei
loro guadagni invece che della tutela delle persone e dell’ambiente. E’ la
logica mortale del libero scambio”.
C’è poi un
ultimo rischio, quello del cosiddetto capitalismo verde. “L’ideologia
della crescita verde è una battaglia critica in termini di narrazione del
problema, se vogliamo pensare di migliorare il sistema così come è o di cambiarlo
– continua Avi Lewis -. I trattati oggi in vigore permettono alle grandi
compagnie di continuare a inquinare, in cambio di piccole multe, e già
le multinazionali si sono impossessate dell’economia delle energie rinnovabili.
Il problema principale di conferenze come quelle della Cop21 di Parigi infatti
è che non si tocca nemmeno lontanamente il problema della ridistribuzione
della ricchezza, senza cui ogni paletto messo all’inquinamento risulta
inefficace, perché poi entrano in gioco il potere dei soldi e la corruzione”.
* da ilfattoquotidiano.it magazine 28 novembre 2015