31 ottobre 2013

Ilva, a Taranto giustizia a chilometro zero




Era un pecorino a chilometro zero, di quelli che lo vai a prendere dal pastore per fare un bel regalo.
Era buonissimo. Un gusto favoloso. Un po’ pesantuccio: 48,5% di grasso. Ma aveva un altro problema ben più preoccupante: conteneva diossine e PCB sopra i limiti di legge. Tre volte sopra. Sul web trovate i certificati di prova di cinque anni fa e le spiegazioni che realizzammo allora per spiegare cosa è la diossina.

Quello che vedete in foto è il pecorino da cui è nata l’inchiesta che oggi ha portato Nichi Vendola alla ribalta nazionale. Il pecorino della foto è stato prodotto con il latte delle pecore che hanno pascolato attorno all’Ilva. Il pastore che ce lo ha dato è morto di cancro al cervello. Subito dopo la foto, portai le analisi in procura assieme al mio amico Piero, ex operaio dell’Ilva che si era procurato il formaggio alla diossina. Era il 27 febbraio 2008.   
Così cominciò tutto.
Qualche settimana dopo venne dato ordine di setacciare le masserie attorno all’area industriale e di controllare latte e carne. Nel giro di pochissimo a Taranto anche i bambini e gli anziani avevano imparato quella parola: diossina.
Se valori di quel pecorino erano di quasi 20 picogrammi per grammo di materia grassa, nella carne delle pecore e della capre fu rinvenuta una quantità anche dieci volte superiore: 200 picogrammi. Un disastro che nessuno aveva ipotizzato fino ad allora e che veniva alla luce grazie all’esposto in Procura di PeaceLink. Pochi giorni prima era già scoppiato in Campania lo scandalo della mozzarella di bufala alla diossina.

Nichi Vendola minimizzò subito l’allarme sul pecorino tarantino alla diossina e disse: “Non siamo in provincia di Caserta, abbiamo disposto il fermo sanitario solo per un’azienda zootecnica di Statte. La produzione di latte e derivati nelle aziende del tarantino è assolutamente normale per i dati da inquinamento da diossina”.
Si parlò di “psicosi diossina”. Adesso Vendola dovrà spiegare molte cose. La situazione a Taranto non era “assolutamente normale” come sosteneva il Presidente della Regione. Era anzi così anomala che diverse masserie furono fermate e per un raggio di venti chilometri attorno al polo industriale venne vietato il pascolo libero su aree incolte: troppa diossina nel terreno. Lì dove c’era una antica civiltà contadina ricca di risorse ora c’è l’abbandono e la distruzione mortale della diossina, uno dei più pericolosi cancerogeni in assoluto che si accumula e persiste per decenni. Un agente genotossico che può modificare il Dna che i genitori trasferiscono ai figli. A Taranto abbiamo un chilometro zero malconcio ma una giustizia a chilometro zero sanissima, tanto che con diversi decreti l’hanno voluta azzoppare.

Nel frattempo la magistratura ha fatto quello che una buona amministrazione avrebbe dovuto fare da tempo: verificare lo stato di salute della popolazione. Nella perizia epidemiologica è stato appurato che fino al 2010 sono morte almeno 30 persone all’anno per inquinamento industriale, compiendo calcoli conservativi depurati da effetti confondenti.
A Taranto si vive nell’attesa irreale del futuro. Attesa di improbabili buone notizie ambientali mentre piovono gli avvisi di garanzia. Ammettiamo che l’inquinamento industriale sia sceso del 90%: possiamo accettare che invece di 30 persone ne muoiano 3 all’anno? 

* da ilfattoquotidiano.it,          30 ottobre 2013       Commenti (17)

29 ottobre 2013

Siamo gli ultimi in Europa. Ma non è colpa delle spie: è il risultato dell'ipocrisia di Stato.



di Sergio Di Cori Modigliani *

Che cosa fa, tutto il giorno, Emma Bonino nel suo ufficio? Sarebbe bello saperlo.

E' probabile che al mattino si dedichi alla caccia dei secondi, dei minuti, delle ore. Cioè sta cercando di prendere tempo. Al pomeriggio, invece, infila una comoda tuta, un giubbotto di sicurezza, un solido casco e si inerpica sulle cornici delle splendide specchiere della Farnesina. Cioè si arrampica sugli specchi.
La immagino così, che non sa come e quando poter dare alla nazione l'annuncio ufficiale di informazioni che ci riguardano, scritte su un foglietto che le è stato recapitato. In un paese normale, invece di star qui a perdere tempo sulla Pascale e compagnia bella, da almeno dieci giorni l'intera nazione dibatterebbe, si confronterebbe e argomenterebbe, alla ricerca di una soluzione su un tema fondamentale, che il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Affari Esteri, insieme, avrebbero comunicato ufficialmente alla nazione.  Da noi, invece, e' stato censurato, sottaciuto, nascosto. Occultato all'attenzione generale.
Perchè da noi tutto è sempre occulto, nascosto, clandestino, opaco. Mai trasparente. Si tratta di un aspetto puramente tecnico-formale, dotato però di una furibonda carica simbolica, che sottende una tragica sostanza che dovrebbe indurre tutti, nessuno escluso, a interrogarsi sul futuro della nostra nazione.


La notizia è la seguente: "nel rispetto della consueta procedura, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale e l'ufficio economico del Consiglio d'Europa, hanno comunicato formalmente al governo italiano che al prossimo G8 il nostro paese non parteciperà perchè non verrà contemplata la sua presenza". Discriminazione? Complotto? Ce l'hanno con gli italiani e con l'Italia? Assolutamente no. Per la prima volta, dopo trentatrè anni, l'Italia -come potenza economica mondiale- viene retrocessa al decimo posto.  E' ufficiale. In verità lo era già da diciotto mesi.

Ma grazie ad alchimie diplomatiche (chissà quello che ci deve essere costato e nessuno verrà mai a dircelo) era stato posposto, con la complicità dei brasiliani (sono loro a prendere il nostro posto) che evidentemente avevano accettato di rimandare l'evento. Non solo.


I dati ufficiali sono impietosi: dal 2015 (praticamente domani) l'Italia non parteciperà più neppure al G10. La nona potenza ben accolta sarà la Russia, e la decima l'India. Forse, gli italiani, prima di accorgersi dell'impatto spaventoso che questo inarrestabile trend sta provocando nella gestione collettiva degli affari di Stato, aspettano il 2020, anno in cui, continuando così, non parteciperemo neppure al G20. A quel punto, è probabile, qualcuno si sveglierà. Ma ormai, conteremo talmente poco, ma talmente poco, da non essere più in grado di far ascoltare la nostra voce. La Storia, che non fa sconti a nessuno, ci condannerà alla periferia della civiltà, identificati nel gruppo di nazioni regredite, quelle che non hanno più possibilità di riprendersi, come un malato collassato. Nel 1949 l'Italia era distrutta.
Povera per davvero, priva di una spina dorsale industriale funzionante, senza infrastrutture, con un analfabetismo intorno al 70%, una disoccupazione pari al 65%. Eravamo al 29esimo posto nel ranking mondiale.
Nel 1959, solo dieci anni dopo, un'accorta classe politica dirigente e imprenditoriale ci aveva fatto risalire fino al 12esimo. Nel 1969 eravamo diventati la prima industria manifatturiera d'Europa e raggiungevamo la decima posizione. Nel 1979 eravamo ottavi. Il 1 giugno del 1980 entravamo -e ce lo eravamo conquistati- nel cosiddetto G8. Nel 1983 eravamo settimi. Nel 1985 eravamo sesti.Nel 1987 eravamo quinti. La Gran Bretagna, la Germania, la Francia, schiumavano dall'invidia: questa piccola nazione scombiccherata era leader nel mondo in almeno 25 segmenti di mercato su 100.
E non era mitomania. Si trattava di fatti reali accertati.
Poi, l'8 novembre del 1989, è crollato il muro di Berlino ed è finita un'altra guerra europea. Quella fredda.
Il fatto che fosse fredda non vuol dire che non fosse, pur sempre, una guerra vera e propria.
E la Storia dimostra che le nazioni in grado di riprendersi dopo una guerra, magari persa, sono quelle in grado di fare i conti con se stessi, di elaborare il lutto, di leccarsi le ferite, di approfittare dell'occasione per liberarsi dalle zavorre strutturali. Soprattutto capaci di avere una grande visione globale del nuovo ordine mondiale.
Perchè quando una poderosa guerra finisce, gli assetti geo-politici cambiano.
Dovunque è stato fatto: in Russia, in Germania, in Francia, in Gran Bretagna, in Usa. Da noi no.
Nel 1999, dieci anni dopo, dopo una spruzzata di ipocrisia giustizialista inutile quanto spettacolare, la classe dirigente politica italiana era la stessa del 1989. Con nomi nuovi, identità fittizie, subdole manipolazioni, ma sempre la stessa era. La tendenza trasformista e doppiogiochista della nostra etnia, invece di essere dibattuta, curata e superata, per evolversi ad un livello superiore attraverso un gigantesco psico-dramma collettivo, diede vita alla struttura portante del Gran Regno d' Ipocritania.
Si imbarcarono tutti a vicenda, altro che resa dei conti. Nel 1999 in Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Russia, non esisteva nessun soggetto politico attivo nelle classi dirigenti che fosse lo stesso o affiliato o apparentato con i sistemi politici precedenti al 1989. Neppure uno.


Da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, da Massimo D'Alema a Fabrizio Cicchitto, da Umberto Bossi a Fausto Bertinotti, da Mario Monti a Pierferdinando Casini, da Giulio Tremonti a Corrado Passera (giusto per nominare i più noti) si sono passati l'un l'altro la palla con la caratteristica (questa sì tutta italiana) di non assumersi mai nessuno (nel senso di neppure uno, una volta, magari per caso) la responsabilità di una propria colpa, un proprio errore, un proprio vizio. Tutte queste persone insieme hanno collaborato attivamente e consapevolmente, con macabra lucidità e serena superficialità da incoscienti infantili, al varo di un programma di regressione collettiva della nazione Italia, i cui risultati stanno sotto gli occhi di tutti.

In un tragico (ma interessante) articolo scritto da Luciano Parente su Il sole24ore di qualche giorno fa dal titolo "Non solo Merkel: ecco perchè l'Europa ci mette sul banco degli imputati" il giornalista spiega la squallida immagine  che l'Italia offre di se stessa al resto d'Europa. Dice l'articolista: "L'Italia è pesantemente in ritardo nell'attuazione delle regole imposte a livello comunitario. Lo scorso anno sono stati 36 i nuovi dossier aperti da Bruxelles contro il nostro Paese. Il risultato peggiore dell'intera Unione europea..... a rilevarlo è il monitoraggio annuale della Commissione europea appena diffuso. Si potrebbe pensare che è il risultato negativo di un anno magari magari frutto della necessità di tamponare a livello legislativo gli effetti della crisi economica e finanziari. E invece no. Perché al nostro Paese i primati in questo senso non solo piace raggiungerli ma anche consolidarli. Già perché a fine 2012 erano ben 99 le procedure ancora aperte contro l'Italia per il "vizio" di rallentare il passo quando si tratta di rinnovare regole e metterle al passo con gli altri partner comunitari o di non rispettare le regole del diritto comunitario..... il ritardo dell'Italia emerge anche da un altro dato: il problema è avvertito non solo dai vertici della Commissione ma anche dagli stessi cittadini. Le "lamentele" che arrivano dal basso a Bruxelles riguardano prevalentemente ambiente, giustizia, mercato interno e concorrenza. Ebbene la maggior parte sono indirizzate contro l'Italia (438). Tutto questo mentre a livello complessivo l'Unione europea ha visto ridursi le procedure di infrazione ancora aperto per ritardi o mancato ricevimento. Un calo del 25% tra 2011 e 2012 (si è passati da 1775 al 1343): segnale evidente che alcuni nuovi strumenti per pungolare gli Stati adottati negli ultimi anni ed evitare lunghe querelle stanno dando i loro risultati.....il problema va ben oltre il dato numerico, perché ritardi nell'attuazione comportano una legislazione meno aggiornata su molti temi che impattano anche con la competitività del Paese e che, quindi, finiscono con il creare disparità rispetto a chi si è già adeguato....".

Se l'Italia non stesse dentro l'Europa come stato membro, gli europei non la considererebbero neppure una nazione civile. Banche con bilanci falsificati, non è stata rispettata nessuna procedura prevista già per il 2002, 2006, 2009, 2011, 2012 per ciò che riguarda il problema delle carceri, l'agricoltura, l'innovazione tecnologica, l'applicazione del reddito minimo di cittadinanza garantito (siamo soltanto due paesi in Europa a non averlo, noi e la Grecia). Se non fosse stato per l'Europa molti cittadini italiani non avrebbero mai saputo neppure che l'Ilva esisteva e che a Taranto c'era un tragico problema. Non solo. Dieci giorni fa è partita l'ultima denuncia da parte sia del Consiglio d'Europa che della Commissione Europea contro i ministri dell'ambiente del governo Monti e di quello attuale, per non aver risolto il problema rispettando la consegna europea. La lista sarebbe lunghissima. La responsabilità non è della Merkel, di Hollande, di Cameron o di Mario Draghi.


Se uno vuole contrattare e discutere un contratto deve poterselo permettere.
Due anni fa il governo brasiliano prese a schiaffi quello italiano rifiutandosi di consegnare l'ex brigatista Battisti, condannato per omicidio. Era una prova di forza del Brasile che (guarda caso proprio in quei giorni) vedeva per la prima volta nella Storia il proprio pil superare quello italiano. Identica vicenda con i marò indiani. L'India tiene duro per dimostrare di essere una potenza che merita di stare nel G10 scalzando l'Italia che si fa tranquillamente scalzare: abbiamo sempre qualcosa da farci perdonare.
Tutto ciò per rispondere alle continue sollecitazioni di commenti e rimbrotti di sovranisti, complottisti vari, tutti furiosamente anti-europeisti.


Non è vero che l'Europa ha fatto declinare l'Italia: è falso. E' vero il contrario. E' stata l'Italia, paese fondatore dell'Unione Europea, ad aver dato un solido contributo al declino dell'Europa, perchè non è stata in grado di produrre, negli ultimi 23 anni, uno straccio di classe dirigente politica e imprenditoriale che fosse un minimo presentabile e quindi in grado di poter dettare legge, Leggi, normative a favore della propria nazione e dare anche un solido e serio contributo a spostare l'ago della bilancia dalla finanza speculativa alla battaglia sui Diritti Civili, per far rispettare il sociale e gli interessi della collettività, per creare un'Europa diversa.  E i più forti e prepotenti hanno approfittato della corruzione endemica della nostra nazione per espoliarci facendo i loro interessi. Perchè mai avrebbero dovuto fare i nostri?
Quando un mese fa la Merkel si è incontrata con i "nemici" della SPD e hanno deciso insieme di fare un governo, il leader socialdemocratico le ha risposto" devo varare prima un referendum tra gli iscritti per sapere se sono d'accordo o meno". E lo ha fatto: on-line.


Quando ha avuto la cifra (il 59% erano a favore con l'elenco delle condizioni), per diciannove giorni, hanno discusso, trattato, negoziato, su sponde diverse e spesso antagoniste, con un unico obiettivo: fare gli interessi della Germania. Se noi non siamo in grado di fare questo, non è colpa di Mario Draghi nè di Angela Merkel. E' colpa del fatto che l'Italia non ha rappresentanza.


La nostra ultima speranza per fermare questa catastrofe già iniziata sono le prossime elezioni europee.
Da oggi  tutti dovremmo cominciare a discutere sui temi veri che ci riguardano, con l'obiettivo di spedire a Strasburgo e poi a Francoforte e Bruxelles una divisione agguerrita (una pattuglia non basta più, è troppo tardi) di italiani innamorati dell'Italia che vadano a combattere in prima linea con la consapevolezza che stanno giocando un ruolo storico decisivo. Soprattutto definitivo. Per cambiarla, questa Europa.


Noi italiani l'abbiamo costruita. Noi italiani l'abbiamo distrutta. Spetta a noi la responsabilità di rimetterla in piedi.



da sergiodicorimodiglianji.blogspot.it   -  venerdì 25 ottobre 2013

25 ottobre 2013

Reddito garantito: 1.300 euro al mese in Danimarca, 460 in Francia



Mentre in Italia giacciono in Parlamento proposte di legge mai discusse, nel resto d'Europa sono in vigore forme di sostegno e sussidi non destinati solo ai disoccupati. Dal modello scandinavo all'esperimento francese, ecco come funzionano e quanto valgono. Ma il primato va all'Alaska (grazie al petrolio). In Brasile povertà dimezzata con il piano di Lula


L’ultima ad entrare nel club è stata l’Ungheria, nel 2009. Tutti gli altri paesi dell’Europa a 28 (tranne Italia e Grecia) hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa, così come l’Europa chiede fin dal 1992. Strumento pensato per alleviare la condizione di insicurezza di chi vive al di sotto della soglia di povertà, in caso di perdita del lavoro il reddito minimo scatta quando è scaduta l’indennità di disoccupazione (che in Italia è l’ultima tutela disponibile) e il disoccupato non ha ancora trovato un nuovo impiego. Ma nell’Ue ne beneficia anche chi non riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro. Negli ultimi anni la tendenza generalizzata, secondo il rapporto The role of minimum income for social inclusion in the European Union 2007-2010 stilato dal Direttorato generale per le politiche interne del Parlamento Ue, è stata quella di razionalizzare i vari sistemi, cercando di legare più che in passato il sostegno a misure per rafforzare il mercato del lavoro in modo da creare occupazione e ridurre il numero dei beneficiari. Ma il reddito minimo continua ad assolvere alla sua funzione: quella di ultimo baluardo garantito dagli Stati contro l’indigenza.

DANIMARCA - Il modello scandinavo. Informato ai principi dell’universalismo, il sistema danese è tra i più avanzati del continente ed è basato su un pilastro principale: il Kontanthjælp, l’assistenza sociale. Il sussidio è tra i più ricchi: la base per un singolo over 25 è di 1.325 euro (escluso l’aiuto per l’affitto, che viene elargito a parte), che arrivano a 1.760 per chi ha figli. I beneficiari che non hanno inabilità al lavoro sono obbligati a cercare attivamente un’occupazione e ad accettare offerte appropriate al loro curriculum, pena la sospensione del diritto. A differenza della maggior parte degli altri paesi, il sussidio è tassabile. E se ci si assenta dal lavoro senza giustificati motivi, viene ridotto in base alle ore di assenza. Fino al febbraio 2012, poi, esisteva lo Starthjælp, letteralmente “l’indennità di avviamento ad una vita autonoma”, il cui contributo minimo era di 853 euro: il beneficio è stato abolito in un tentativo di riorganizzazione e razionalizzazione del sistema.

GERMANIA – Il modello centroeuropeo. In Germania lo schema di reddito minimo è basato su 3 pilastri: l’Hilfe zum Lebensunterhalt, letteralmente un “aiuto per il sostentamento“, un assegno sociale per i pensionati in condizioni di bisogno (Grundsicherung im Alter) e un sostegno ai disoccupati con ridotte capacità lavorative (Erwerbsminderung). Dal 1° gennaio 2013 il contributo di primo livello (il più alto) è di 382 euro per un singolo senza reddito. Sussidi per l’affitto e il riscaldamento vengono elargiti a parte, come le indennità integrative per i disabili, i genitori soli e le donne in gravidanza. Lo Stato pensa anche alla prole: 289 euro per ogni figlio tra i 14 e i 18 anni, 255 euro tra i 6 e i 14 anni, 224 euro da 0 a 5 anni. La durata è illimitata, con accertamenti ogni 6 mesi sui requisiti dei beneficiari, a patto che chi è abile al lavoro segua programmi di reinserimento e accetti offerte congrue alla sua formazione. Ne hanno diritto i cittadini tedeschi, gli stranieri provenienti da paesi Ue che hanno firmato il Social Security agreement e i rifugiati politici.

REGNO UNITO – Il modello anglosassone. Oltremanica il reddito minimo è garantito da un complesso sistema di sussidi basati sulla “prova dei mezzi”, la misura del reddito dei richiedenti. L’Income Support è uno schema che fornisce aiuto a chi non ha un lavoro full time (16 ore o più a settimana per il richiedente, 24 per il partner) e vive al di sotto della soglia di povertà. Il sostegno ha durata illimitata finché sussistono le condizioni per averlo e varia in base ad età, struttura della famiglia, eventuali disabilità, risorse che i beneficiari hanno a disposizione: chi ha in banca più di 16mila sterline non può accedervi e depositi superiori alle 6mila riducono l’importo del sostegno. Le cifre: i single tra i 16 e i 24 anni percepiscono 56,80 pound a settimana, gli over 24 arrivano a 71,70 (per un totale di circa 300 sterline al mese, pari a 330 euro, contro le 370 del 2007). Un aiuto dello stesso importo garantisce la Jobseeker Allowance, riservata agli iscritti nelle liste di disoccupazione: “Per riceverlo il candidato deve recarsi ogni due settimane in un Jobcenter e dimostrare che sta attivamente cercando lavoro”. Lo Stato aiuta chi ha bisogno anche a pagare l’affitto e garantisce alle famiglie assegni per il mantenimento dei figli.

FRANCIA – Esperimento di reddito modulare. A due diversi tipi di sostegno rivolti ai disoccupati, si è aggiunto nel 1988 il Revenu Minimun d’Insertion, sostituito nel giugno 2009 dal Revenu de Solidarité Active. Ne ha diritto chi risiede nel paese da più di 5 anni, ha più di 25 anni, chi è più giovane ma ha un figlio a carico o 2 anni di lavoro sul curriculum. Un singolo percepisce 460 euro mensili (in aumento dai 441 del 2007), una coppia con 2 figli 966 euro. E il sussidio, che dura 3 mesi e può essere rinnovato, aumenta con l’aumentare della prole. Perché il sostegno non si trasformi in un disincentivo al lavoro, il beneficiario deve dimostrare di cercare attivamente un’occupazione, partecipare a programmi di formazione e l’importo del beneficio è modulare: man mano che cresce il reddito da lavoro, diminuisce il sussidio, ma in questo modo il reddito disponibile aumenta.

BUONE PRATICHE

Belgio. Quello belga è un sistema rigido, ma generoso: 725 euro il contributo mensile per un singolo. Con l’inizio della crisi Bruxelles ha, inoltre, aumentato le tutele, adottando nel luglio 2008 per gli anni 2009-2011 l’Anti-Poverty Plan, un’ulteriore serie di misure per garantire il diritto alla salute, al lavoro, alla casa, all’energia, ai servizi pubblici. Inoltre il Belgio è tra i paesi che, con Germania e Danimarca, consentono di rifiutare un lavoro perché non congruo al proprio livello professionale senza vedersi sospeso il sussidio (idea affine a quella proposta in Italia da M5S e Sel): un meccanismo studiato per contrastare quella fascia di lavori a bassa qualificazione che prolifera in conseguenza dell’obbligo di accettare un impiego per non perdere il sostegno.

Irlanda. Anche quello irlandese figura tra i sistemi più generosi: 849 euro il contributo massimo per un singolo. E grazie al Back to Work Allowance nell’isola un disoccupato che intraprende un’attività lavorativa continua ad usufruire dei sussidi per diversi mesi dopo l’avvio del lavoro. Anche se si riprendono gli studi si può richiedere un sostegno al reddito grazie al Back to study Allowance. 

Olanda. I Paesi Bassi, invece, oltre ad avere un sistema di manica larga con singoli (617 euro il contributo mensile massimo) e famiglie (1.234 euro, sia che si tratti di coppie sposate che di coppie di fatto, con figli e senza) hanno messo a punto il Wik, una misura specifica per gli artisti, studiata per garantire una base economica a chi si dedica alla creazione artistica.
 
RISULTATI. Secondo uno studio commissionato dalla Commissione Europea basato sui report nazionali dello Eu Network of National Independent Experts on Social Inclusion, sono rari i casi in cui il reddito minimo “riduce sensibilmente i livelli aggregati di povertà”: “i paesi che meglio riescono ad elevare le condizioni dei loro cittadini più deboli verso la soglia di povertà sono Irlanda, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca”. Svolge, invece, un ruolo importante “nel ridurre l’intensità della povertà”. 

ESPERIMENTI NEL MONDO: IL REDDITO DI CITTADINANZA IN ALASKA E BRASILE. A differenza del reddito minimo, il reddito di cittadinanza, in inglese basic income, è una forma universalistica di sostegno del reddito garantita dallo Stato a tutti i cittadini maggiorenni a prescindere dai loro averi e dalla loro disponibilità a lavorare. Secondo la Global Basic Income Foundation, l’unico paese al mondo in cui esiste un reddito di cittadinanza è l’Alaska. Dal 1982 l’Alaska Permanent Fund, nel quale confluisce almeno il 25% dei proventi dei giacimenti di petrolio e gas dello Stato, garantisce un dividendo a tutti i cittadini residenti da almeno un anno. L’importo varia in base a proventi annui del settore minerario: nel 2011 è stato di 1.174 dollari, nel 2008 aveva toccato i 2.100. E si tratta di un sostegno individuale, quindi una famiglia composta da 5 persone riceverà 5 sussidi. Il Brasile, invece, si è dotato di un basic income, la Bolsa Familia, con la legge n. 10.835/2004 promulgata dal presidente Lula l’8 gennaio 2004. In base ai dati della Banca Mondiale, in questi anni la percentuale di persone che vivevano sotto la soglia della povertà (fissata nelle parti più ricche del mondo emergente a 4 dollari al giorno) è scesa dal 42.84%, del 2003 al 27.60% del 2011. E, secondo il Ministero per lo Sviluppo Sociale, il budget per il programma sarà portato dai 10,7 miliardi di dollari del 2012 a 12,7 nel 2013.

 * da ilfattoquotidiano.it ,  24 ottobre 2013