29 aprile 2024

Shimon Adaf, lo sguardo manicheo sulla guerra

INTERVISTA. Parla il poeta, scrittore e musicista israeliano. «Dopo il 7 ottobre le mie opinioni non sono cambiate, né la mia posizione sulla questione palestinese. Credo nella convivenza in uno spazio multinazionale e multireligioso »

di Olga Dalia Padoa * 

A più di sei mesi dal 7 ottobre Shimon Adaf, poeta, scrittore e musicista israeliano nato da una famiglia di origine marocchina a Sderot, una delle città sfollate nel sud di Israele all’inizio della guerra a Gaza, non accetta di dover «continuare a vivere sempre in guerra», e allo stesso tempo è deluso dall’ostilità dei partiti progressisti europei. Secondo Adaf, la criminalizzazione dello Stato ebraico «alimenta la retorica della destra israeliana, già convinta che tutto il mondo sia contro di noi; per non parlare della destra mondiale che spesso usa Israele in maniera strumentale per portare avanti i propri obiettivi».

Come vive questa situazione la sinistra israeliana, con le accuse di genocidio e gli studenti universitari in piazza che chiedono il boicottaggio?

La sinistra israeliana ha sempre fatto riferimento ai movimenti progressisti e liberali di tutto il mondo, ma ora la sensazione è che ci abbiano lasciati soli: è come se ci fosse una rimozione totale delle perdite israeliane ed esistessero solo quelle palestinesi. Ciò ovviamente non significa che le critiche a Israele non siano legittime, ma ignorare il fatto che la gente di qui sia stata uccisa e bruciata nelle proprie case, non riconoscere la sofferenza degli ostaggi, delle donne violentate, mi sembra disumano – nella stessa misura in cui sono disumane le azioni di Israele in questa guerra.

Come giudica la polarizzazione che si è creata nel dibattito pubblico sul conflitto in Medio oriente?
Siamo pervasi da un pensiero dicotomico, hollywoodiano, in cui l’impero del male conquista una minoranza mansueta e pacifica, e noi spettatori ci identifichiamo con i guerrieri per la libertà. Ma fatta eccezione per casi molto particolari, questo non è mai avvenuto nel corso della storia. È una fantasia in cui l’Occidente continua a cullarsi, forse per liberarsi dei sensi di colpa dovuti al suo passato colonialista. A mio parere la questione è invece di tipo pratico. Se cominciamo ad andare indietro nel tempo, concentrandosi sulla questione di chi abbia più diritti su questa terra anziché su come trovare una soluzione, non si arriva da nessuna parte. E il prisma del colonialismo non aiuta a capire quello che succede qui, perché è una situazione molto più complessa: non sono le colonie francesi in Algeria, né quelle inglesi in India. Gli ebrei che sono arrivati 60, 80 o 100 anni fa qui non sono gli emissari di un impero immaginario, e non hanno un luogo in cui tornare.

È un tema che affronta anche nel suo ultimo racconto, in cui parla di una famiglia sfollata di Sderot che torna nel proprio appartamento e che si sforza di non guardare nella crepa che si è creata con questa guerra. Solo una bambina ha il coraggio di voler capire cosa sta succedendo. Perché?
Ho scelto il punto di vista di una bambina perché penso che nei bambini ci sia un senso della giustizia istintivo, a volte anche selvaggio, che pretende il rispetto delle regole, dei principi, del prossimo. Gli esuli descritti nel mio racconto sono gli israeliani sfollati dalle proprie case ma anche i profughi di Gaza, sono tutti coloro che sono stati colpiti da quest’inferno. Gli adulti spesso usano molte scuse e sovrastrutture per non comportarsi in modo etico, ma non si può dire che ci sia una giustizia per una popolazione che vive sotto occupazione e un’altra per la popolazione occupante.

Cosa pensa delle proteste e delle manifestazioni contro Netanyahu che si susseguono ogni settimana?
Ironicamente, il tentativo di Netanyahu di manomettere il sistema politico e giudiziario ci ha insegnato che non si può separare la concezione economica da quella politica, quella securitaria da quella nazionalista: fanno parte dello stesso continuum. Proprio durante l’anno della cosiddetta “riforma giudiziaria” sono stato coinvolto in un progetto presso l’Istituto Vanleer di Gerusalemme sul tema del post-capitalismo: ci siamo dati la libertà di immaginare una società post-nazionalista e post-capitalista in Medio Oriente. Un ordine sociale, culturale ed economico in cui il principio di cittadinanza prescinde dall’appartenenza nazionale o religiosa. In questo momento sembrerebbe un orizzonte utopico o addirittura messianico, ma l’immaginazione precorre sempre la realtà, e il ruolo della letteratura e dell’arte è imprescindibile.

Gli israeliani sono disillusi sulla possibilità di siglare una pace con la leadership palestinese?
Molti dicono di essere stati ingenui, credendo che la pace fosse possibile. Ma se gli si chiede, «Allora cosa è possibile? Qual è la soluzione?» non trovano una risposta. Tutta la concezione politica del centro-destra consiste nel creare un ristagno, sostenendo che in assenza di una soluzione non si può fare altro che tirare avanti, continuare a risolvere piccole o grandi crisi. Ed è una sensazione è molto diffusa. Ma allora cosa facciamo, accettiamo di vivere in guerra per sempre? Io questo non lo concepisco.

Cosa è cambiato in lei dopo lo shock del 7 ottobre?

Le mie opinioni non sono cambiate, così come la mia posizione riguardo alla questione palestinese. Credo nella convivenza in uno spazio multinazionale e multireligioso. Non sono ingenuo a riguardo. Si tratta di un processo lungo e pieno di sfide. Ciò che invece mi ha deluso sono le teorie politiche degli ultimi decenni. Il fatto che si traducano molto facilmente in dogmatismo omicida a destra e a sinistra dimostra che non sono più in grado di descrivere la realtà e tanto meno di apportarvi un miglioramento.

* da il manifesto - 29 aprile 2024

28 aprile 2024

Elettori: segnali di fumo dalla Basilicata

di Massimo Marino

Se c’è un aspetto positivo nella trafila di continue elezioni locali ogni due mesi, è che si comprende sempre meglio il pensiero degli elettori, travisato dalla litania di chiacchiere, sondaggi, previsioni pre e post voto che ci sommerge. I risultati di Sardegna, Abruzzo e adesso Basilicata risultano incomprensibili se ci fermiamo solo ai commenti dei media.

Dunque vediamo dai numeri veri cosa emerge dai risultati della Basilicata, che sono particolarmente significativi.

1)           Incredibilmente con la Basilicata le astensioni continuano ad aumentare: rispetto alle regionali  del 2019 sono ancora aumentate di ben 4 punti. Per i Presidenti i votanti non sono il 49,8% ( che comprende anche bianche e nulle ) ma 47,60% contro 51,49 del 2019 (-3,9%) cioè 282mila nel 2024 vs 296mila del 2019. Quindi altri 20mila votanti in meno considerato che allora c’erano 5mila votanti totali in più. Per le Liste sono il 46,50% contro 50,40 (13 liste vs 14 nel 2019 ). Cioè 53 elettori su 100 (contro 49 del 2019), non hanno votato per nessuno. Un dato davvero impressionante, che sovrasta tutte le chiacchiere su chi ha vinto e chi ha perso.

2)           Vi do una notizia: il CDX ( o se preferite il destra-centro dei soliti tre + listarelle di contorno ) ha perso voti, più di 10 mila (112mila nel 2024 contro 122mila del 2019 ). Grazie solo al sistema elettorale, non agli elettori, ha vinto quindi il “campo largo di CDX “ con i nuovi alleati di Calenda (Azione con 19 mila voti) e Renzi (Orgoglio Lucano con 18mila voti ). Da notare che i due da soli in Sardegna con Soru, altro diversamente PD, non avevano eletto nessuno e “ il campo giusto”, come lo ha chiamato Conte, ha vinto.

In Basilicata è rilevante in Azione il successo personale di Marcello Pittella (7200 preferenze oggi, 8800 nel 2019 ) fino a 5 anni fa Presidente della Regione come esponente di punta del PD, ( partito che fino ad allora aveva sempre governato la Basilicata negli ultimi decenni ), messo un po' di lato per qualche problema con la Giustizia.

Così il neo vincitore Bardi II ha vinto con 153mila voti contro 114mila voti del piddino Marrese  (CSX + 5stelle). Il Bardi I del 2019 aveva vinto con 125mila voti. In pratica con 283mila votanti e 286mila a casa i 38mila voti di Calenda/Renzi ( su 568mila elettori totali sono il 6 % ) grazie al sistema elettorale  sono risultati determinanti per dare al vincitore il 60% dei 20 seggi.

3)           La conclusione apparente che sembra  ovvia ma è sbagliata, è quindi quella che gli orfani di un PD “ piglia tutto e combina nulla” si ostinano a riproporre sulle varie reti dei media con crescente difficoltà di ragionamento: con questi sistemi elettorali ( quello delle Regioni, a turno unico, è il più aberrante)  chi fa il campo più largo  vincerebbe ( e chi se ne frega di cambiare qualcosa di serio). Peccato che non è così e la Sardegna lo smentisce: chi decide davvero sono le sterminate divisioni dell’astensionismo, in particolare di “ astensionisti militanti ” che a mio parere in Italia sono almeno un quarto del totale degli astensionisti ( cioè 5-6 milioni di elettori).

Il caso Sardegna, se ce ne era bisogno,  sembrerebbe proprio indicarci che non è così semplice. Il campo più largo o più stretto è solo un illusione ottica per gli allocchi. Milioni di elettori, delusi, incazzati o disperati, moderatamente ormai qualunquisti e a modo loro populisti non si concedono più a nessuno dei soliti noti. Non votano a destra (per fortuna), non votano a sinistra, se non sentono odore di novità vere non votano neppure 5stelle come hanno fatto in massa  fino al 2018. Da questo punto di vista “il campo giusto” di Conte mi è sembrato particolarmente azzeccato anche se non mi è chiaro quanti e quanto nel gruppo dirigente dei 5stelle hanno capito fino in fondo i segnali di fumo degli elettori e le conseguenze che ne derivano. L’idea che ci voglia una Alessandra Todde e il metodo sardo per vincere ad ogni appuntamento elettorale ( seppure oggi  per un pelo) fa impazzire tutti. Per primo l’intero CDX che ha ben chiaro di essere una minoranza di sbruffoni che sopravvive e vince  confidando sulla volontà prevalente nel PD di raggiungere l’obiettivo della eliminazione dei residui 5stelle, l’unica cosa che unisce tutte le sue componenti interne e i suoi fiancheggiatori nei media.

4) Invece di modificare gli indecenti sistemi elettorali del rosatellum e dei suoi fratellini nelle Regioni e nei Comuni, anche il PD e i suoi gregari ( verdi, sinistra, radicali ) dalla estinzione definitiva del grillismo immaginano di riprendere un po' di ossigeno per  respirare. Per governare quando e con chi non è dato sapere.

Penso da  tempo che la formuletta per produrre una alternativa nel nostro paese sia ormai quella del proporzionale con soglia alta che porti al 20/20/10 (20% al PD, 20% a 5stelle o suo successore, 10% ai rossoverdi o verdirossi  (che è quello che potenzialmente si esprime nella società italiana ma è soffocato da sistemi elettorali e leader sciagurati ).

Se continuiamo a stare invece dentro l’attuale schema di gioco, una visione miope ed autolesionista dei gruppi dirigenti ma drammatica per il paese,  a me sembra evidente che ci terremo la Meloni, e la schiera di suoi alleati vecchi e nuovi che compongono il CDX, per i prossimi 15-20 anni. Le imminenti elezioni europee sembrano confermare il mio lagnoso pessimismo visto che si rischia che ben 5 liste, nessuna di centrodestra, possano restare sotto il quorum del 4% (AVS di Fratoianni/Bonelli, Azione di Calenda, Stati uniti di Europa di Renzi/Bonino, Pace e Terra di Santoro, Libertà di Cateno De Luca e altri ).

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Non si può affidare a piccoli manipoli di portatori di voti i destini del paese, consegnarsi a piccoli gruppi rappresentanti di grandi interessi privati e a volte anche pubblici, simulando che tutto sia normale gioco democratico. Visto che ormai stabilmente questo schema lascia fuori più della metà degli elettori a gradi diversi estranei ad un gioco evidentemente truccato che esclude qualunque vero progetto di cambiamento. Per la verità ci sarebbe da chiedersi cosa sarebbe cambiato in Basilicata se invece di un CDX allargato avesse vinto un CSX annacquato dagli amici di Renzi e Calenda. Sarebbe davvero bastato l’eventuale cambio di faccia del Presidente per offrire (ad esempio sulla sanità, sull’assetto energetico, sulla mobilità, sulla precarietà ) una alternativa alla Regione ?

Confermo quanto ho più volte sostenuto: almeno al momento non c’è nessuna onda nera ne vento di destra nel nostro paese. Ci sono ovvi rimescolamenti interni ma continua a governare una minoranza che vince per mancanza di alternative convincenti che portano ad una anomala valanga di astensioni. Il CDX ha avuto il voto di 24 elettori su 100 alle Politiche del settembre 2022  e stragoverna solo grazie ai collegi uninominali inventati dal rosatellum piddino. Il Bardi II della Basilicata governerà con il voto di 22 elettori su 100 delle liste di CDX che diventano 27 su 100 con i voti del duo Renzi/Calenda.

Per comprendere i segnali di fumo che il popolo delle astensioni invia è necessario comprendere la condizione ed il ruolo del M5Stelle. Sono convinto che oggi i sondaggi sovrastimino di molto, al contrario del passato, il voto attuale previsto per i 5stelle. La Basilicata conferma la mia convinzione. I 4 sondaggi ufficiali nella Regione davano ai 5stelle  il 9,8/16/15,9/11 %. Dopo mesi di controversie e l’accettazione alla fine per sfinimento del candidato proposto dal PD, i 5stelle hanno ottenuto il 7,7 % ( 20mila voti contro i 58mila delle regionali del 2019 e i 139mila delle Politiche del 2018 ). 

Al contrario degli altri partiti, che per lo più si presentano e vengono finanziati  come aggregati portatori di interessi ristretti ma ben rappresentati e sostenuti dai media e da storici apparati organizzati, garanti della sostanziale immobilità dei rapporti di forza nella società, il M5Stelle conserva ancora una potenziale enorme elasticità nella rappresentanza ( in particolare nelle periferie, nel precariato, fra i giovani elettori, fra le donne). Questa può variare facilmente dal 5 % al 30% a seconda del territorio, della credibilità delle figure, degli obiettivi, delle alleanze e del percorso preelettorale  che determinano il grado di partecipazione o astensione in ogni scadenza. Detto in sintesi un M5Stelle in funzione di gregario in più al PD come altri, senza garanzie sulle persone, i ruoli e gli impegni che si mettono in corsa, ha scarso interesse fra molti elettori. Questi non dimenticano facilmente il deludente approdo al governo Draghi, il trasformismo e la scissione Di Maio, il ruolo di guastatori di Renzi, Calenda e buona parte del PD. Hanno abbandonato in massa i 5stelle ma in gran parte non hanno cambiato voto e si rifugiano in un deluso spazio di astensionismo militante.

Se oggi non abbiamo il Salario minimo come nel resto di Europa, un decente Reddito di Cittadinanza rivisitato e controllato, l’avvio di una credibile ed accettabile Transizione ambientale, una Giustizia giusta ed efficiente, molti hanno chiaro che non dipende certo dalla Meloni che ha solo seguito e potenziato l’onda di ostilità di altri verso qualunque percorso riformatore di alternativa sociale e ambientale.     

Il M5Stelle nella versione 2.0 di Conte viene a volte accusato di trasformismo perché avrebbe governato prima con la Lega poi con il PD. Accecati dalla vetusta logica bipolare, dove due poli dovrebbero giustificare la propria esistenza simulando uno scontro per rappresentare in gran parte gli stessi interessi, sostenendo le stesse regole elettorali in un paese che è tutto tranne che bipolare, l’esistenza dei 5stelle spariglia le carte. Nessuno si sognerebbe in Germania di accusare di trasformismo i Verdi o i Socialdemocratici che governano normalmente  con interlocutori diversi il paese e i singoli  Lander a seconda dei rapporti di forza, indicati prima dagli elettori, proponendo dopo un programma vero di legislatura di compromesso con una perfetta rappresentanza proporzionale e fenomeni di trasformismo molto rari. 

Vivo in una Regione dove la Giunta regionale di cdx e quella del capoluogo di csx potrebbero senza grandi difficoltà unirsi, tanto è difficile percepirne le differenze sulle questioni decisive ( clima, sanità, trasporti, precarietà, trasparenza). Ne sanno qualcosa i tanti comitati e movimenti che trovano ben pochi  interlocutori nelle istituzioni locali. E che le istituzioni contino nella vita delle persone me lo ricorda anche una singolare notizia uscita pochi giorni dopo il voto della Basilicata: secondo l’ undicesima edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile di ISTAT (Bes)  l’ aspettativa di vita in buona salute è di 14 anni in meno in Basilicata ( e in Calabria)  rispetto a Bolzano.  

leggi anche: Sardegna, Abruzzo ed altri animali fantastici

16 aprile 2024

Attenti al metano: la responsabilità dell’industria estrattiva è stata a lungo sottovalutata

 di Renzo Rosso *

Sappiamo che il metano (CH4) è un gas serra molto più attivo dell’anidride carbonica, come si legge perfino nel primo capitolo di un testo elementare pubblicato esattamente 30 anni fa in tema di effetto serra. Si sa da sempre che il metano è molesto: ogni molecola di CH4 intrappola il calore terrestre 28 volte meglio di una molecola di CO2. Sul lungo periodo, il CH4 è perfino assai più attivo: 34 volte più efficace su un orizzonte centennale. La presenza del metano in atmosfera può anche influenzare altri gas serra, come l’ozono, il vapore acqueo e la stessa anidride carbonica.







 






Mentre le concentrazioni di metano nell’aria sono circa 200 volte inferiori a quelle dell’anidride carbonica, al metano viene imputato almeno un terzo del riscaldamento globale di origine antropica dall’inizio della rivoluzione industriale. Anche se si tratta di una sostanza presente in natura, oltre la metà del metano atmosferico è dovuto ad attività umane. Solo per i due quinti ha origini naturali, prodotto soprattutto dalle zone umide e dagli incendi; mentre i tre quinti sono di origine antropica. E, negli ultimi due secoli, le concentrazioni di metano nell’aria sono più che raddoppiate.

Il rapporto del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Ipcc) pubblicato nel 2014 attribuiva più del 70 percento delle emissioni antropogeniche alle città. Poiché le città di tutto il mondo continuano a crescere, gli abitanti delle città venivano ritenuti i maggiori e crescenti responsabili delle emissioni. Per mitigare il cambiamento climatico, scienziati e politici ritenevano indispensabile stimare le emissioni urbane con maggiore precisione, individuare le loro fonti in modo affidabile e agire di conseguenza. Si è scoperto dopo che, almeno nell’Unione Europea, la metà delle emissioni di metano è legata all’agricoltura.

In realtà, la responsabilità dell’industria estrattiva è stata a lungo sottovalutata e, forse, sottostimata. Un nuovo studio, pubblicato di recente su Nature, rivela che l’estrazione e la successiva lavorazione dei combustibili fossili emettono molto più metano di quanto si credesse, almeno negli Stati Uniti. Lo studio ha tracciato le emissioni di metano da giacimenti di petrolio e gas, gasdotti e impianti di trattamento in sei regioni di produzione dei combustibili fossili negli Stati Uniti. Questi risultati si aggiungono al numero crescente di verifiche che indicano le emissioni di metano molto maggiori di quanto creduto.

Sia attraverso misure da remoto, sia tramite stime locali per le fonti troppo piccole da essere rilevabili dall’alto, lo studio rivela che le aree esaminate emettono circa 6,2 milioni di tonnellate di metano all’anno, pari al tre percento della produzione totale di combustibili fossili in quei siti. Tutto ciò comporta circa un miliardo di dollari in perdite per le industrie della filiera dei combustibili fossili, che hanno finanziato la ricerca. E vale una gran bella fetta delle emissioni totali di metano degli Stati Uniti.

Le fonti di emissione sono molteplici e variegate. Innanzitutto, ci sono le torce di combustione dei campi petroliferi, che hanno lo scopo di bruciare il gas in eccesso e ridurre gli inquinanti contenuti nel gas stesso, ma permettono invece una abbondante fuoriuscita di gas incombusti. Ma tutta la filiera di approvvigionamento fa acqua (anzi, gas) da tutte le parti, dalle valvole di rilascio della pressione nei pozzi alle infrastrutture intermedie. Più della metà delle perdite è dovuta alle centrali di compressione, agli impianti di trattamento del gas e ai gasdotti. Rimediarvi sarà parecchio complesso e costoso.

La riduzione di queste emissioni è l’obiettivo del Global Methane Pledge, firmato da più di 150 paesi che hanno accettato di ridurre le emissioni di metano del 30 percento entro il 2030. Tra i campioni di questo sforzo ci sono proprio gli Stati Uniti che, con le nuove norme in vigore dal prossimo maggio, mirano a tagliare 58 milioni di tonnellate di emissioni di metano nei prossimi 15 anni. È un obiettivo assai arduo da raggiungere se, come rivelano questi studi, l’industria nazionale del petrolio e del gas emette tre volte più metano di quanto oggi stimato ufficialmente. E il costo delle perdite di gas sale a 9,3 miliardi di dollari all’anno se si considerano gli effetti sul riscaldamento globale e la qualità dell’aria.

Se l’entità delle perdite industriali registrata negli Stati Uniti fosse trasferibile a livello mondiale, come peraltro verosimile, l’attuale quadro sulle fonti di emissione del metano andrebbe rivisto. Nel 2023, la domanda petrolifera globale ha proseguito nel suo trend di crescita arrivando a toccare i 102 milioni di barili al giorno, con un aumento del 2 e mezzo per cento rispetto all’anno precedente. È uno degli aumenti più elevati degli ultimi 50 anni. E nel 2023 l’industria petrolifera degli Stati Uniti ha battuto ogni record produttivo grazie al fracking e alle piattaforme off-shore (vedi figura 1).

* docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano

da il fattoquotidiano.it - 16 aprile 2024