di Massimo Marino
Si dice che con il voto del 4 marzo siamo entrati
nella Terza Repubblica. Quella dei Cittadini, aggiungono alcuni di area 5Stelle,
quella dei Populismi, sibilano preoccupati i sostenitori dei perdenti, quella
degli Italiani sostiene la destra postfascista.
Per adesso non siamo entrati da nessuna parte,
sostengo io, perchè l’unica cosa chiara è che è saltata non solo la possibilità
di avere una coalizione vincente ( in realtà mai esistita) ma anche il piano B,
l’accordo Renzi-Berlusconi, tenuto di riserva in nome della governabilità e dei
barbari alle porte. PD e Forza Italia, per
giunta senza gregari disponibili, non sono in grado di inventare un governo. Con
un sistema in buona parte proporzionale semplicemente gli elettori gli hanno
tolto i voti necessari. Non è solo il fatto,
di per sé di scarso rilievo, che si è conclusa l’epoca di Berlusconi e di
Renzi. Si trovano sempre nuovi attori per la prima fila. È l’alleanza sociale
che occupava il centro della scena, che ho chiamato la palude di centro, che di fatto li esprimeva, che sta dando segni di
disgregazione. In quale direzione però è tutto da vedere. Per capire meglio è
necessario conoscere esattamente come, dopo il preavviso del referendum
costituzionale del dicembre 2016, il voto del 4 marzo 2018 ha chiuso un’epoca. E capire quali scenari, belli o brutti, si
possono aprire.
I risultati del 4 marzo
Per cominciare: nessuno
ha sedotto il partito più forte, quello dell’astensione, che al contrario di
quanto si crede è ancora aumentato rispetto al 2013. Nel 2018 gli aventi diritto
al voto sono lievemente aumentati a 50,8
milioni totali di cui circa 4,2
all’estero. Con riferimento alla Camera hanno espresso una scelta per una delle
liste presenti 33,9 milioni di
elettori pari al 66,7% contro il 72% circa del 2013 ( i dati ufficiali
sono più alti perché conteggiano sempre bianche e nulle e saltano il voto estero ). Partendo
dal 2001 si tratta della quinta scadenza nazionale consecutiva dove il numero
di votanti scende di almeno 3-4 punti ad ogni elezione. Siamo a quasi 17 milioni di astenuti. Che fino ad
oggi sono stati la vera quinta colonna del sistema.
La coalizione di CDX (
4 liste) è passata da 10 a 12,1 milioni di voti ( circa il 37%).
La coalizione di CSX ( 4 liste) è passata da 10 a 7,5 milioni di voti
( circa il 22,8%) . Il M5Stelle è passato da quasi 8,7 a 10,7 milioni di
voti (quasi il 32,7% ). E’ bene
ricordare che era assente una coalizione “di centro” che nel 2013, molto sostenuta
dai media , in nome dell’austerità aveva ottenuto 3,6 milioni di voti ( i montiani di Scelta civica) e poi era rapidamente
scomparsa. Era un megafono del momento utile alla burocrazia europea, con la
faccia di Monti e della Fornero. In qualche modo è stato 5 anni dopo riproposto
frettolosamente con la lista +Europa
della Bonino che si è guadagnata per la dodicesima volta un seggio in un
Parlamento in cambio del regalo, non avendo raggiunto il quorum, di 830mila
voti al PD alla Camera e 700mila al Senato. Resta il mistero di chi ne abbia
finanziato la costosa campagna elettorale.
Nessuno dei tre poli
ha raggiunto il 51% degli eletti per il quale, come avevo già indicato
nell’articolo citato servivano almeno 13-14
milioni di voti. Fuori dai 3 poli solo LeU ha superato, seppure di poco, il quorum
del 3% ( ma l’obiettivo dichiarato da
alcuni era il 10% ) con 1,1 milioni
di voti. Potere al Popolo, come
previsto, ha buttato al vento circa 700
mila voti totali nelle due Camere. Pochi di più di Casapaund rimasta al di
sotto dell’ 1 %.
Il Rosatellum, congeniato
per permettere qualunque risultato
tranne che il successo del M5S, in particolare utile per un nuovo patto di centro fra PD e Forza Italia, non è riuscito a
sconfiggere le leggi della matematica. Nel 2013 la somma di PD e Forza Italia
alla Camera era di 16 milioni di
voti ( 8,6 + 7,4) , ai quali secondo logica andrebbero sommati gran parte di
quelli del centro montiano ( 3,6 mil
) . Nel 2018 i due partiti, pur in assenza di una coalizione di centro, sono crollati a 10,7 mil ( 6,1 + 4,6) cancellando qualunque ipotesi di rilancio del
patto, ma soprattutto indicando che il cuore della vecchia alleanza sociale, con il
conflitto simulato del bipolarismo CDX contro CSX, sembra essere stato rottamato
dagli elettori attivi.
Le cose andranno per
le lunghe. La scemenza che il giorno dopo il voto bisogna sapere chi governa, una
delle battute preferite di Renzi, può andare nel paese dell’islamofascismo di
Erdogan o in un sistema peronista, non in una società complessa dell’occidente
europeo. In Germania ci hanno messo sei mesi e non hanno discusso solo di
poltrone. Il programma del nuovo governo è di 180 pagine e punto per punto
tocca tutti gli aspetti della società tedesca.
I tre poli di cui i
media ci presentano i risultati sono il risultato di leggi elettorali del
passato, non una proiezione della
società italiana dove non esistono affatto. Infatti la vera governance era da tempo “ la palude di
centro”.
Il CDX si compone di tre
pezzi tenuti insieme da un calcolo di matematica elettorale, siglato da qualche
frettolosa paginetta di programma, dove i diversi contraenti rappresentano
strati sociali e culture anche divergenti. Il cosiddetto CSX è una cooperativa
di interessi, non di idee, accomunati ormai solo dalla necessità di continuare
a occupare lo stato per spartirsi i benefits possibili. Dopo il voto questi due
poli non si sono formalmente disfatti solo perché fra tre mesi potrebbe esserci
il bis.
I 5stelle rappresentano segmenti i più diversi della società, si
portano dietro un sacco di limiti, errori, ingenuità, ma in questo momento
politico sono uniti e sostenuti in quanto aprono il varco per passare dalla
seconda alla terza repubblica. Non è indispensabile amarli alla follia per
sostenerli.
Il risultato del 4
marzo potrebbe chiudere davvero la seconda Repubblica, iniziata con Mani Pulite
nel 1992, con l’imposizione del sistema maggioritario nel ‘94, con le leggi che
hanno smantellato i diritti del lavoro ( Treu ’97, Biagi ‘02, Fornero ’11, Renzi
’15 ) e con le leggi più recenti che hanno impedito l’avvio di una possibile
conversione ecologica: potenziamento degli inceneritori, sviluppo delle
trivellazioni petrolifere, ridimensionamento del settore delle rinnovabili a
favore dei fossili, tutela del vettore auto nella mobilità e abbandono delle
reti pubbliche, avvio della TAV e rilancio dell’ipotesi del Ponte dello Stretto.
Vizi privati e pubbliche virtù del Rosatellum
Che nessuno, lista o coalizione,
abbia vinto le elezioni, nel senso di avere la maggioranza per governare, era
abbastanza ovvio. E’ chiaro però chi ha clamorosamente perso (PD e Forza Italia),
chi ha avuto un successo maggiore del previsto ( M5S e Lega), chi ha avuto un
risultato deludente ( LeU e lista della Bonino ). Gli altri, da Potere al Popolo
alla Lorenzin, dai socialisti-verdi-postdipietristi di Insieme fino alla quarta
gamba del centrodestra di Italia-UDC erano fuori gioco dall’inizio. Perfino la
Meloni, per quanto sovraesposta sui media in funzione anti5stelle, è stata
ridimensionata.
Per quanto
proporzionale solo per due terzi il Rosatellum ha funzionato abbastanza bene,
mostrando con chiarezza cosa hanno scelto gli elettori.
Anche l’assenza delle
preferenze, che continuo a pensare sia il
male minore da scegliere, ha colto di sorpresa le cosche mafiose e ndranghetiste
e in genere i venditori di clientele che non hanno potuto più di tanto
organizzare pacchetti di voti e di preferenze. L’assenza delle preferenze al
Sud è stata fondamentale nel depotenziare il voto di clientela. Ne è uscito un
Parlamento un po’ più pulito. Con le preferenze sarebbe stato molto ma molto
peggio. Non comprendo quei bontemponi presenti nella sinistra, compresi alcuni
del fatto quotidiano e dei comitati referendari che continuano a dire che se si
potesse scegliere con le preferenze fra 4 cloni scelti da Renzi, Berlusconi o
Salvini invece delle liste bloccate, gli elettori “potrebbero scegliere.. “. Scegliere
cosa ?
Mi sembra positiva
anche la impossibilità di esercitare il voto disgiunto, altro meccanismo
strampalato inventato qualche anno fa per poter scegliere di qua e di là liste
e candidati divergenti fra loro.
Confermo più che mai la
mia opinione che il limite del 3% è troppo basso e sono convinto che con il 5%
ci sarebbe stato un ben più serio percorso a sinistra e alla fine maggiori
possibilità di successo con un'unica lista, sempre che non sia il solito
cartello elettorale degli ultimi tre mesi.... Adesso invece ci trascineremo LeU
e PaP per un bel po’ di mesi o magari 1-2 anni ( si vota ancora in 5 regioni nel 2018 e alle europee nel 2019
) fino alla prossima invenzione pre-elettorale ( arriva De Magistris, poi Pizzarotti
e chissà chi altri.. ) . Magari di una nuova sinistra ne riparliamo fra un po’
di anni...
Per intanto il
Rosatellum ha dato il più giovane Parlamento mai avuto (media 44 anni alla Camera
) e con il più alto numero di donne elette ( 35% ). Da alcuni punti di vista il
Rosatellum ha mostrato le sue pubbliche virtù e necessiterebbe quindi di poche
correzioni: ridurre al 25% o eliminare la parte uninominale, alzare al 5% il
quorum, eliminare le pluricandidature, allungare un po’ le liste delle singole circoscrizioni proporzionali, limare le ingiuste regole speciali per le province
autonome e quelle del voto all’estero.
L’imbroglio del
Rosatellum invece sta nel meccanismo delle coalizioni prevoto, che andrebbero
semplicemente abolite. Sono una truffa verso
gli elettori i quali pensano di
scegliere all’interno di una coalizione che invece dalla sera del voto di fatto
non esiste più o comunque i coalizzati non
hanno alcunché che li costringa a restare insieme.
La logica delle
coalizioni prevoto è simile a quella di una cosca malavitosa: tu vieni con me
che sono il più forte e in cambio ti do o ti prometto qualcosa. Concluso
l’affare e incassato il malloppo, ognuno va per conto suo e fa quello che gli
pare.
Dubito che si riconosceranno
le virtù e si correggeranno i vizi del Rosatellum. E’ da sperare che il M5Stelle
mantenga la sua originaria posizione proporzionalista con gli opportuni
correttivi, che è chiarissima, e non si faccia ammaliare dalle
affascinanti sirene del premio maggioritario,
tantomeno del doppio turno.
Perché è possibile che si rilanci il pericoloso ricatto
della governabilità ritornando al peggio: premi di maggioranza, doppi turni,
voti disgiunti, preferenze. Tutti i
meccanismi della casta saltellante fra destra, centro e sinistra degli ultimi
20 anni. Per altro si tratta proprio di un’illusione, nella più totale
incertezza su chi alla fine nello scenario di oggi ci guadagnerebbe
davvero.
Superato il voto per i
presidenti delle due Camere inizieranno le trattative per trovare un governo. I
partiti sono costretti a fare in fretta, meno lo sono i 5stelle. E’ bene
chiarire che il governo Gentiloni resta in piedi. E se qualcuno proponesse di
portare al voto delle Camere o degli Uffici di Presidenza nascenti il dimezzamento dello stipendio dei
parlamentari o un taglio dei vitalizi e magari qualche norma di emergenza
anticorruzione? Un simulacro di attività parlamentare sotto gli occhi dei
cittadini: reggerebbero i vecchi poli ?
Quando si tornerà al
voto, che ritengo probabile a giugno o a ottobre, comunque tutti riconosceranno
che rispettando il voto degli elettori è fattibile dopo le elezioni formare le
maggioranze possibili costruendo alleanze serie. Dove ci si confronta e si
cerca una convergenza sul programma delle cose da fare, sulle riforme vere che
servono al paese. Lo fanno normalmente in altri paesi. Gli elettori saranno
liberi di scegliere. Il sistema politico si adeguerà. O verrà definitivamente
travolto.
La terza Repubblica
può essere sorprendente o deprimente
I risultati a sorpresa
del voto sono una conferma della
incapacità di tutti noi di comprendere cosa avviene nel profondo della società
italiana. Dei sondaggi non dico nulla per pietà. Nella campagna elettorale i media hanno
sottolineato il ritorno trionfale di Berlusconi come leader indiscusso del CDX
( invece, superato da Salvini, Forza Italia ha perso altri 2,8 milioni di voti
). Si sosteneva la possibile tenuta del PD renziano dato sempre di qualche
punto appena sotto i 5stelle ( è finita 18 a 32 ). Hanno massacrato per un mese
i grillini per le mancate donazioni di alcuni, per i candidati massoni, per la
supposta insostenibilità del reddito di cittadinanza etc... ma parte degli
elettori ha letto, per fortuna, il messaggio esattamente al contrario: i
grillini fanno subito fuori quelli non in regola mentre gli altri se li tengono
stretti, propongono un reddito-salvagente per quei 5-10 milioni di persone che,
specie al sud, non sono in grado di galleggiare invece dei bonus preelettorali,
non rubano e comunque fanno rispettare le norme etiche che si sono dati, etc.
...
E così hanno votato di
conseguenza. In 8 regioni del Sud il M5S ha superato il 40% (Sicilia, Sardegna,
Calabria, Puglia, Campania, Basilicata, Molise, Abruzzo) e stravinto nella gran
parte dei corrispondenti collegi uninominali. In 5 regioni ha superato comunque
il 25% (Lazio, Marche, Emilia R., Liguria, Piemonte). E’ stato appena al di
sotto del 25% in 4 (Toscana, Veneto, Friuli, Val d’Aosta ).
Soltanto in Lombardia e Trentino AAST si è fermato intorno al 20%. Al
contrario del 2013 si tratta di un voto molto differenziato fra sud e nord del paese,
sovrapponibile in pieno ai livelli differenziati di reddito da sempre noti.
Il successo del CDX, sopra
il 40%, si è confermato nelle tre regioni del nordest (Lombardia, Veneto, Friuli)
ma l’espansione della Lega è arrivata inaspettata anche in Piemonte. La
proposta della flat tax, nella versione della tassa unica al 23% (Forza Italia)
o al 15% ( Lega) al posto dell’IRPEF, per quanto confusa è di fatto l’esatto contrario del reddito di cittadinanza: tutela
ricchi e ceti medio alti, ma insieme al
leghismo intollerante contro l’immigrazione, ha trovato nuovi, provvisori,
sostenitori.
Il PD ha superato il
30% soltanto in Toscana ed Emila R. Al governo ha prodotto numeri incerti
sull’occupazione e una manciata di bonus preelettorali ( dal bebè all’anziano
d’annata). Uno studio della UIL ne ha identificati 19 per un totale di 12,2 mld
cioè circa i due terzi del costo della proposta dei 5stelle ma tutti provvisori
in funzione platealmente preelettorale.
Alla Camera il M5S ha
ottenuto il 36% dei seggi, poco meno al Senato. E’ un fatto che, al di là del
risultato, i grillini hanno imposto di
gran lunga tutti i propri temi all’attenzione sia durante la campagna
elettorale sia dopo il voto.
Il reddito di
cittadinanza visto come soglia minima di sopravvivenza dignitosa, a cui si
affiancano inevitabilmente e non si contrappongono le problematiche del lavoro
( precarietà dei contratti, salario minimo orario, automazione e orario di
lavoro) può riaprire dopo 25 anni una
stagione di dibattito sulle riforme ( quelle vere, non le controriforme
delle ultime 6 -7 legislature). E’
evidente che la riforma per un reddito minimo ( 20 mld almeno all’anno) presuppone
una diversa ridistribuzione della ricchezza prodotta nel paese, una nuova
concezione dei centri per l’impiego, la cancellazione del clientelismo, del
lavoro nero, di quello schiavizzato e sottopagato. Per le risorse necessarie,
circa l’1% di quelle totali, non si
tratta di appellarsi al taglio degli sprechi, che non esistono nel bilancio dello Stato. Gli sprechi da usare sono in realtà risorse
distribuite malamente per tenere insieme un sistema di alleanze sociali
attraverso una ingiustificata distribuzione di reddito o di progetti e
investimenti per regalarlo.
Nella scia degli altri
partiti purtroppo minore è stata l’attenzione dei 5stelle ai temi ambientali,
in particolare alla crisi del traffico e dell’inquinamento nelle aree del Nord.
Che presuppone una elaborazione chiara di proposte di lungo periodo su mobilità
e fonti energetiche che metterebbe inevitabilmente in discussione tutto il
ciclo dell’auto, la qualità dell’urbanistica e degli stili di vita. Questioni
su cui il Movimento 5Stelle è incerto e decisamente indietro pur avendole nei
titoli principali del proprio programma. A
me sembra una delle cause della “assenza” nella campagna elettorale in vaste
aree del Nord e del conseguente risultato.
Sempre più si
chiarisce che il M5Stelle nella nuova
versione Di Maio si colloca al centro dello schieramento politico, esprime
un riformismo radicale incerto ma sincero ed al momento resiste alle aggressioni
ed ai tentativi di normalizzarlo per renderlo “uguale agli altri”. E’ quello di
cui abbiamo bisogno ma non è affatto detto che riesca e non fallisca . Se dalle
trattative dei prossimi mesi ne uscisse malamente, con l’idea di un governo con
chiunque ed a tutti i costi dove contenuti e spirito riformatore vengono un po’
alla volta messi da parte, si tornerebbe al voto in autunno lasciando il varco
al radicalismo sovranista nella versione Lega. La terza Repubblica invece che sorprendente potrebbe diventare
deprimente.
La questione è stata
perfettamente sintetizzata da Grillo: “Adesso
la responsabilità di tutti è dare all’Italia una visione per i prossimi
vent’anni. Governare è affrontare il futuro con chi condivide una visione, non
dividere le poltrone e poi scoprire di non avere una visione, tantomeno comune...
l’Europa deve rimettersi insieme, ma in modo nuovo. Il problema non è lo spazio
comune, ma il modo in cui viene interpretato. Noi siamo un po' democristiani,
un po' di destra, un po' di sinistra, un po' di centro. Possiamo adattarci a
qualsiasi cosa. A patto che si affermino le nostre idee... “
18 marzo 2018