di Massimo Marino
Singolare risultato delle elezioni del 15 settembre in Danimarca dove si sono svolte le elezioni parlamentari che hanno decretato la vittoria del centrosinistra con 89 seggi a fronte degli 86 della coalizione di centrodestra.
Le elezioni hanno visto fronteggiarsi due schieramenti:
La coalizione di centro-sinistra, formata da 4 partiti: Socialdemocratici, Partito Popolare Socialista, Sinistra Radicale, questi ultimi più moderati dei Socialdemocratici e l’ Alleanza Rosso-Verde.
La coalizione di centro-destra costituita da 5 partiti: Partito Liberale Danese (primo partito del paese), Partito Popolare Danese ( di estrema destra) , Alleanza Liberale, Partito Popolare Conservatore, Cristiani Democratici.
Il nuovo primo ministro è per la prima volta una donna, ovvero la socialdemocratica Halle Thorning Schmidt, già membro del Parlamento Europeo e del Parlamento danese uscente. Già nel 2007 aveva tentato, senza riuscirci, la scalata a premier del paese.
Questa volta la campagna elettorale è stata dominata dalla crisi economica. Dopo circa 10 anni una coalizione di centro-sinistra ritorna al potere ma il suo principale partito, quello socialdemocratico, ottiene il peggiore risultato dal 1903. La partecipazione al voto, come sempre in Danimarca, è stata molto alta, oltre l’87 % dei circa 4 milioni di elettori.
La vittoria della coalizione di centro-sinistra è dovuta a due altri partiti della coalizione (guidati entrambi da donne) i radicali di Margrethe Vesteger, partito di centro, e Enhedslisten-De Rød-Grønne, o Partito dell’Unità, nato nel 1989 dall’unione di due partiti comunisti, due socialisti e successivamente dall’apporto di vari ambientalisti, che ha addirittura raddoppiato i propri seggi sotto la guida di Johanne Schmidt Nielsen. Quest’ultima ha unito tutta la sinistra radicale e verde nella Lista Unitaria (chiamata appunto Alleanza Rosso-Verde), facendo numerosi comizi per le strade invocando una riforma importante della politica sull’immigrazione danese, attualmente considerata la più severa in Europa e permettendo, insieme alla Sinistra Radicale di ottenere la vittoria della coalizione.
La destra estrema xenofoba del Partito Popolare Danese ( PPD ), Pia Kjærsgaard, ha perso parecchi punti scendendo al 12,3% ( 22 seggi). Per per 10 anni aveva condizionato il governo del Paese guidato dai Liberali conservatori, che restano il primo partito con il 26,7% (47 seggi, 1 in più) e il cui premier uscente, Loekke Rasmussen, dopo la sconfitta, si è dimesso dai suoi incarichi. Recentemente il PPD, che resta il terzo partito del paese, aveva imposto al governo di sospendere il trattato di Schengen e di reintrodurre i controlli alle frontiere con gli altri paesi europei.
Il Parlamento danese ( Folketinget ) è eletto con il sistema proporzionale, vigente in gran parte del nord Europa ( ad eccezione della Gran Bretagna ) ed è formato da 179 membri eletti ogni quattro anni. L’elezione avviene a due livelli. Dei 179 membri, 135 sono eletti a livello proporzionale in 17 circoscrizioni elettorali, mentre gli altri 40 sono spartiti, sempre in modo proporzionale, in base al numero totale di voti ottenuti da ciascun partito a livello nazionale. Le Isole Fær Øer e la Groenlandia eleggono altri 2 parlamentari ciascuno.
Helle Thorning-Schmidt ha 44 anni, è laureata in scienze politiche ed è sposata con Stephen Kinnock, direttore del Forum Economico Mondiale di Ginevra e figlio del politico britannico Neil Kinnock, il leader dei Laburisti inglesi negli anni Ottanta. Era stata membro del parlamento europeo dal 1994 al 2004, prima di essere eletta nel parlamento danese nel 2005. I giornali l’hanno spesso attaccata durante la campagna elettorale accusandola d’incompetenza per quanto concerne la politica interna e di indossare abiti troppo costosi – alcuni l’hanno per questo chiamata Gucci Helle – e di avere privilegi famigliari poco chiari. Il marito Stephen Kinnock, ex lobbista a Bruxelles, era stato accusato di evasione fiscale in Svizzera per il mancato pagamento delle tasse poiché residente in Danimarca.
L’economia danese non sta andando bene, con un disavanzo che nel 2011 arriverà al 4,6 % del PIL. Un dato comunque inimmaginabile per l’Italia, ma molto rilevante per l’economia danese, abituata a ben altri parametri. Questo deficit corrente si traduce, nelle ricette economiche dei liberal-conservatori, in tagli al welfare che i danesi – nonostante l’alta pressione fiscale – non sembrano affatto pronti a sottoscrivere. Il sistema bancario nazionale ha subito duramente i contraccolpi della crisi iniziata nel 2008 e negli ultimi tre anni nove banche sono state salvate dai fondi pubblici e nazionalizzate.
Con la destra che vuole tagliare il welfare ( presentando agli elettori una scelta secca: debito incontrollato o tagli allo stato sociale) e i socialisti che puntano sulla crescita con proposte incerte, la stampa del paese, che alcuni chiamano popolare altri populista, ma che è in gran parte indipendente, ha attaccato entrambi gli schieramenti accusandoli di non avere idee per affrontare la crisi economica.
Il premier uscente, Loekke Rasmussen, è stato battuto infatti soprattutto per la sua incapacità di proporre un credibile progetto di riforma economica. La Danimarca è in recessione dall’inizio del 2011. Rasmussen aveva proposto un piano di rilancio basato su tagli alla spesa pubblica e innalzamento delle tasse. La Schmidt ha invece proposto un programma basato su interventi pensionistici e un “piano” di crescita, criticato da diversi fronti, che comporta tra l’altro un aumento delle ore lavorative: secondo la Schmidt l’aumento della giornata lavorativa di 12 minuti, aumentando la produttività risolverebbe tutti i problemi. Una proposta che non ha convinto lasciando i socialdemocratici al 24,9% e secondo partito del paese. I socialpopolari, centristi che appoggiavano fortemente la proposta, hanno perso addiritura 7 seggi.
Ma la coalizione aveva anche concordato un impegno a investimenti pubblici, energie rinnovabili, fondi a educazione e sanità ed una riforma sostanziale della legge sull’immigrazione contro la legislazione di centro-destra che aveva infatti adottato una delle leggi anti-immigrazione più restrittive tra i paesi europei.
A distanza di due mesi dalla tragedia norvegese di Oslo e Utøya del 22 luglio in cui persero la vita 100 persone per mano del fanatico razzista Anders Behring Breivik, si prevede quindi una riforma importante della politica sull’immigrazione danese opposta a quanto ispirava Breivik il cui atto sembra invece aver punito le forze xenofobe e di estrema destra nell’ appuntamento elettorale del paese confinante. Anche se la nuova maggioranza avrà vita difficile con il 51,1% e 89 dei 179 seggi totali , con soli 3 seggi di vantaggio e con profonde differenze fra i 4 partiti della coalizione.
Il partito della Schmidt è in posizione molto debole (ha perso 1 seggio) a favore dei rosso-verdi che hanno raddoppiato i propri seggi, ottenendone 12 con il 6,7%. Nel cosiddetto “Blocco rosso”, contrapposto al “Blocco blu” dei liberal-conservatori, ci sarà dunque una competizione interna per il “peso” politico tra le varie formazioni. Rosso-verdi e social-liberali (radicali) divergono sulle politiche economiche (con i primi critici rispetto alla piattaforma socialdemocratica e i secondi favorevoli) mentre concordano su quelle per l’immigrazione, dove però sono in disaccordo con i socialdemocratici e i social-popolari.
I socialdemocratici, rischiano di trovarsi in una situazione paradossale: vincere le elezioni perdendo voti, portare una donna alla guida del governo per la prima volta della storia danese, ma nello stesso tempo avere il peggior risultato della propria storia elettorale ed aver perso di fatto totalmente l’egemonia sulla coalizione.
La Danimarca dal gennaio 2012 sarà il presidente di turno dell’UE, in un momento cruciale per la vita economica e politica dell’Unione. L’importante risultato danese, insieme alla prospettiva altamente probabile di una coalizione rosso-verde vincente in Germania il prossimo anno e all’arresto dell’espansione delle forze xenofobe in alcuni paesi europei potrebbero aprire la strada a un complessivo cambiamento nell’insieme del continente europeo, in particolare a riguardo delle direzioni da prendere per uscire dalla crisi economica e finanziaria generale.
Nella foto: Asmaa Abdol Hamid, 25 anni, candidata alle politiche in Danimarca nella Lista dell'Unita'. E’ una giovane assistente sociale di origine palestinese che portera' il suo hijab, il fazzoletto che copre il capo delle donne musulmane, anche in Parlamento. E’ stata la prima presentatrice televisiva a presentarsi sugli schermi con lo hijab. Ha sollevando una serie di critiche, anche nel suo partito, anche perche', in base alla sua religione, si astiene dal salutare dando la mano alle persone dell'altro sesso. Sostiene di battersi per le rappresentanti di diversa origine etnica, che devono essere lasciate libere di scegliere fra le possibilita' a loro disposizione.