di Chiara Brusini
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Da quando la crisi ha travolto i redditi delle
famiglie, le visite specialistiche sono diventate un lusso. Nel 2013 la spesa
sanitaria privata è scesa del 5,7% perché molti rimandano o rinunciano. E il
Servizio sanitario nazionale copre solo in parte i trattamenti più richiesti.
Le strutture nate per assistere i migranti si sono adeguate alla nuova domanda:
nel poliambulatorio di Emergency a Mestre ormai il 20% dei pazienti è italiano,
così come il 50% delle persone che si rivolgono al progetto di assistenza di
Medici senza frontiere
Mentre il governo studia una riforma del ticket e prepara una riorganizzazione del sistema sanitario che punta
esplicitamente sull’integrazione con le assicurazioni private,
sempre meno italiani hanno accesso alle cure. Lo dicono gli stessi dati
dell’ultima indagine condotta dal Censis
per Unipol a supporto
dell’ingresso delle compagnie nel settore: lo scorso anno la spesa sanitaria privata, che tra il
2007 e il 2012 era lievitata, è calata del 5,7 per cento. Segno che molti
cittadini che pagavano di tasca propria le visite specialistiche ora, per
arrivare a fine mese, ci rinunciano. Un assist che il ministro della
Sanità Beatrice Lorenzin ha colto al volo per annunciare come, incassato il via
libera al Patto per la salute, il prossimo passo consisterà nel riorganizzare il
sistema facendo della sanità integrativa il “secondo pilastro”.
Peccato che nel frattempo una fetta crescente di popolazione sia già tagliata
fuori. E non si tratta solo dei 6 milioni di italiani che l’Istat definisce “poveri assoluti”, ma anche di quelli
che semplicemente perdono il lavoro e non hanno risparmi. Per loro da un giorno
all’altro i trattamenti dentistici, che il Servizio sanitario nazionale copre solo in parte, diventano
proibitivi. Così come le visite dallo psicologo o la fisioterapia. Lo sanno
bene le associazioni di volontariato e le organizzazioni non governative,
da Emergency a Medici senza frontiere a Intersos, passando per Opera San Francesco e Naga, che hanno messo in campo
iniziative per tamponare l’emergenza cercando al tempo stesso di stimolare asl
ed enti locali a farsi carico del problema. Il minimo comune denominatore è che
le visite, anche specialistiche, sono totalmente gratuite.
Nell’ambulatorio
Emergency di Marghera italiano il 20% dei pazienti - Emergency il primo poliambulatorio lo ha aperto a Palermo nel 2006
soprattutto per garantire assistenza ai migranti. Ma in breve l’ong di Gino Strada ha giudicato necessario
avviare un vero e proprio “Programma Italia”. “I nostri utenti
appartengono alle fasce vulnerabili della popolazione”, spiega il responsabile Andrea Belardinelli, responsabile del
programma. “I migranti, certo. Ma negli ultimi due anni il numero di italiani è
costantemente cresciuto: oggi rappresentano circa l’8% degli accessi. E a Porto
Marghera la percentuale raggiunge il 20%”. Nel cuore del Nord Est la crisi
della petrolchimica ha fatto schizzare il tasso di disoccupazione e i risultati
si vedono: oltre 4.200 le visite fatte nella struttura nei primi sei mesi di
quest’anno, contro le 4mila dello stesso periodo dello scorso anno. Ma ai
residenti, soprattutto se senza mezzi, non pensa il Servizio sanitario
nazionale? “In teoria sì”. In pratica, molte prestazioni prevedono un contributo proibitivo. Il caso di scuola è quello della “protesi mobile“, cioè la dentiera. “Chi si rivolge alle strutture
pubbliche, anche se indigente,
deve farsi carico del costo dei materiali. A Marghera chiedono circa 700 euro”.
Non per niente questo è uno degli interventi più richiesti al poliambulatorio.
Al quale nel 2013 si è affiancato quello di Polistena (Reggio Calabria),
mentre un altro aprirà i battenti a Ponticelli, periferia di Napoli, entro
fine anno. Belardinelli tiene però a chiarire che “tutto il programma si
inserisce in un quadro di protocolli e convenzioni con le amministrazioni
locali, le prefetture e le asl”, e l’obiettivo finale “non è rendere permanenti
le strutture ma far sì che diventino inutili”. Sia facendo prevenzione e
informando gli utenti su quello che possono ottenere dal sistema sanitario, sia
“sensibilizzando le amministrazioni, mettendo in luce i problemi e le possibili
soluzioni”. Ma per ora gli ambulatori, che si reggono sul lavoro di medici
volontari e costano circa 160mila euro l’anno tutti a carico del bilancio di
Emergency, sono tutt’altro che “inutili”. Così come le quattro
cliniche mobili che girano per la Campania, la Sicilia e la Puglia per
intercettare lavoratori stagionali e rom ma anche italiani in situazioni di
disagio.
La struttura
di Medici senza frontiere diventerà pubblica -
Anche Medici senza frontiere punta a “rendere inutile” il suo progetto
di assistenza medica ai senza dimora partito a Milano in collaborazione
con Fondazione Progetto Arca. ”A
fine anno contiamo di ritirarci lasciando che a gestire e finanziare la
struttura siano Regione Lombardia e Comune”, racconta Gianfranco De Maio, medico volontario di Msf e coordinatore della
struttura aperta a gennaio. “Se tutto va bene, insomma, diventerà parte
dell’offerta pubblica, come accade in tutti i Paesi avanzati”. Oggi il 55% dei
fondi arriva invece dalla ong, anche se ufficialmente è la asl ad avere la
titolarità dell’intervento. Che si rivolge a chi viene dimesso dall’ospedale ma
è ancora esposto a ricadute o peggioramenti, molto più probabili se si vive in
strada. La soluzione sta in quei 20 posti letto con cure garantite 24 ore al
giorno. “Circa metà degli utenti sono italiani, in media più anziani e in
condizioni di salute più precarie rispetto agli homeless stranieri”.
Da Opera San
Francesco farmaci e visite specialistiche – Opera San Francesco, onlus milanese
creata dai frati Cappuccini, ha all’attivo 17 anni di gestione di un
poliambulatorio. E, tra 1996 e 2013, ha visto crescere la domanda di quasi
dieci volte. “Siamo arrivati a 200 visite al giorno e oltre 40mila prestazioni
l’anno”, racconta la responsabile, suor
Annamaria Villa. Gli stranieri sono ancora predominanti, ma il bisogno
dei residenti è aumentato. “Non sono più solo persone appartenenti alle fasce a
rischio tradizionali, come homeless, ex carcerati e tossicodipendenti e pazienti
con fragilità cognitive. Negli ultimi anni a loro si è aggiunto chi ha “solo”
un problema di povertà e ha bisogno di farmaci
di fascia C oppure di cure odontoiatriche o psicologiche che anche nella sanità
pubblica avrebbero un costo troppo alto”. Oggi a chiedere questi servizi sono
“per il 20-25%” cittadini italiani. Che, per gli interventi dentistici urgenti,
si mettono in fila dall’alba. “Per le prime visite non prendiamo appuntamento:
solo così riusciamo a tener liberi spazi per poter rispondere alle emergenze”,
spiega Villa. Il poliambulatorio conta su 178 medici di base e specialisti (dal
ginecologo all’oculista) che lavorano come volontari più quasi 50 persone che
gestiscono il servizio farmacia. L’attività vive grazie alle donazioni e ai
medicinali messi a disposizione da privati e Banco farmaceutico. “Il Comune dà un
contributo simbolico, mentre la Regione finora ha pagato un’infermiera
professionale specializzata in malattie infettive, ma ci ha fatto sapere che
dal prossimo anno non potrà più garantirla”.
I Fratelli di
San Francesco curano sempre più pensionati e disoccupati – Si finanzia con le donazioni e con un contributo simbolico di 5 euro
chiesto a ogni nuovo utente la struttura “gemella” dei Fratelli di San Francesco, nata dieci anni fa sempre nel capoluogo
lombardo. Qui (zona Turati, nel centro di Milano) le visite sono oltre 50mila
all’anno e tra gli utenti sono in crescita pensionati e disoccupati italiani.
Sempre nel capoluogo lombardo un’altra struttura storica nel campo dell’assistenza
medica, dove però non lavorano medici odontoiatri, è l’ambulatorio
dell’associazione di volontariato Naga,
aperto dal 1987 e rivolto soprattutto agli stranieri senza permesso di
soggiorno. “Ma tra i pazienti schedati c’è anche un centinaio di italiani”,
spiegano dalla sede.
A Crotone
intervento di Intersos per stranieri e residenti –
Appena partito, infine, il progetto Mesoghios di Intersos: a fine giugno è stato aperto a Crotone un primo
poliambulatorio rivolto a migranti, richiedenti asilo e italiani che
vivono in condizioni di marginalità. Obiettivo, anche qui, “supportare e
integrare” il sistema sanitario pubblico e “incidere positivamente” sulle
politiche pubbliche stesse. L’intervento è infatti frutto di un protocollo di
intesa con l’azienda sanitaria provinciale, la cooperativa Agorà Kroton, Kroton Community, Baobab
onlus, la Lega italiana per la
lotta contro i tumori e l’Auser. La
scelta di Crotone come prima tappa non è casuale, spiegano dalla sede dell’organizzazione
umanitaria che solitamente lavora in contesti di emergenza o di conflitto:
“Questa provincia oggi registra un tasso di disoccupazione che supera il 25% e
un numero di disoccupati che raggiunge i 15mila. In più ospita il secondo
centro di accoglienza per richiedenti asilo d‘Europa, il Cara di Sant’Anna, in
cui oggi sono presenti oltre 1.500 persone”.
* da ilfattoquotidiano.it - 31 agosto 2014