di Riccardo Barbero *
A breve distanza di tempo dalla mobilitazione in
favore della Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione del 10 ottobre scorso si è
tenuto, sempre a Torino, un interessante convegno “Science and the future-2” presso il
Politecnico e il Campus Einaudi. Si è trattato in realtà della seconda edizione
(la prima fu nel 2013) di un incontro di carattere internazionale al quale
hanno partecipato scienziati (tra gli altri è intervenuto come relatore il
rettore del Politecnico) sia italiani che esteri e accademici dell’area
giuridica, economica e sociale. È stata un’occasione importante per avere un
quadro aggiornato della situazione ambientale e per verificare la compatibilità
dell’attuale modello socioeconomico con il sistema della natura.
Come sappiamo nel dicembre 2015 con l’accordo di
Parigi i principali Paesi hanno deciso di cercare di mantenere l’innalzamento
della temperatura media dell’atmosfera ben al di sotto di 2°C o meglio fino a
1,5°C entro il 2030. Secondo il report 2018 dell’IPCC (Intergovernmental Panel
on Climate Change):
«oggi il riscaldamento prodotto dalle attività umane
ha già raggiunto il livello di circa 1°C rispetto al periodo pre-industriale.
Nel decennio 2006-2015 la temperatura è cresciuta di 0,87°C (±0,12°C) rispetto
al periodo pre-industriale (1850-1900). Se questo andamento di crescita della
temperatura dovesse continuare immutato nei prossimi anni, il riscaldamento globale
prodotto dall’uomo raggiungerebbe 1,5°C intorno al 2040. […] Per limitare il
riscaldamento globale a 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, il mondo dovrà
affrontare una serie di trasformazioni complesse e connesse. Se alcune città,
regioni, stati, aziende e comunità stanno già portando avanti transizioni per
diminuire le emissioni di gas serra, sono poche le realtà che sono attualmente
in linea con l’obiettivo di 1,5°C. Rispettare questo limite richiederà
un’accelerazione nella dimensione e nel ritmo del cambiamento, soprattutto nei
prossimi decenni. Sono molti i fattori che influiscono sulla fattibilità delle
diverse opzioni di adattamento e di mitigazione che possono contribuire a
limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e di adattarsi con successo alle
relative conseguenze. […] Gli impatti dei cambiamenti climatici riguardano
tutti i continenti e gli oceani. Tuttavia, non sono distribuiti sul pianeta in
maniera uniforme: nelle varie regioni gli impatti dei cambiamenti climatici si
manifestano in maniera diversa. Tra i molti impatti possibili, un riscaldamento
medio globale di 1,5°C aumenta il rischio di ondate di calore e piogge
intense».
Sono cronaca di questi ultimi mesi i grandi incendi in
California, dove da anni persiste una forte siccità, e, all’opposto,
l’alluvione a Petra in Giordania in piena zona semi desertica; e in ambito
locale le mareggiate sulle coste italiane, le alluvioni in Sicilia e i forti
venti che hanno distrutto le foreste del Friuli. Questi fenomeni non devono
stupire: a fine ottobre l’Agenzia europea per l’ambiente ha diffuso un rapporto
sul tema dell’inquinamento atmosferico che, come sappiamo, è causa primaria
dell’innalzamento della temperatura. L’Italia è il secondo Paese europeo, dopo
la Germania, per decessi prematuri dovuti all’inquinamento da polveri sottili
(più di 60 mila morti nel 2015); è invece al primo posto in Europa per le morti
premature connesse all’inquinamento da biossido di azoto (20.500) e da ozono
(3.200). Secondo l’Agenzia oltre 47 milioni di europei (8,9% del totale) sono
esposti al rischio determinato dagli sforamenti di almeno due dei limiti delle
polveri sottili, del biossido d’azoto o dell’ozono. All’interno di questo folto
gruppo, però, 3,9 milioni di cittadini vivono in zone a “super rischio” dove gli
sforamenti riguardano tutti e tre i fattori: di essi 3,7 milioni, cioè il 95%,
abitano le aree urbane della Pianura Padana. Ma anche dal punto di vista del
terreno la Pianura Padana è messa male: nel convegno citato è emerso che la
nostra pianura è la meno fertile in Europa a causa dell’agricoltura intensiva
del mais, in particolare.
In sostanza, secondo gli scienziati che sono
intervenuti a Torino, c’è un evidente e insanabile conflitto tra l’economia
circolare della natura e l’economia della crescita continua: basta anche solo
pensare, oltre all’enorme consumo energetico attraverso la combustione (che in
natura non esiste se non per piccole eccezioni), al tema dei rifiuti e del loro
necessario, ma difficile riciclo. A questo proposito è emerso durante il
convegno un dato interessante: quando si parla di rifiuti generalmente ci si
riferisce ai rifiuti urbani. Essi, però, sono solo una piccola parte del volume
molto più grande di rifiuti prodotti dalle diverse attività economiche: la
parte principale dei rifiuti è dovuta infatti all’attività edilizia. Viene da
chiedersi quanto fossero informati su questi dati ambientali i partecipanti
alla manifestazione di Piazza Castello a Torino.
I relatori del convegno di Torino si sono soffermati
altresì sugli aspetti economici e sociali del modello attuale per dire
innanzitutto che l’idea di una crescita economica continua e illimitata è priva
di fondamenti scientifici: la curva dell’economia reale non è, dunque, quella
esponenziale che sognano alcuni economisti, ma molto più realisticamente una
curva logistica che all’inizio cresce rapidamente per poi rallentare e
stabilizzarsi lungo un asintoto superiore.
Anche il tema delle disuguaglianze sociali, che è oggi
scoperto e trattato persino dai fautori della crescita illimitata perché temono
che esso possa portare a una stagnazione economica (che in realtà è già in
atto) e a un forte conflitto sociale e internazionale, è stato affrontato dai
relatori. È stato detto che in una logica economica di crescita continua e di
competizione esasperata l’aumento delle disuguaglianze è inevitabile. Infatti,
se la curva che meglio interpreta l’economia attuale è quella logistica, allora
esistono due curve logistiche: quella della minoranza dei più ricchi, che segue
l’andamento descritto prima per l’economia in generale, e quella della
maggioranza via via più povera che inizialmente sale quasi parallela a quella
dei ricchi, ma che poi declina molto prima e continua a scendere
stabilizzandosi lungo un asintoto inferiore molto basso. Su questo aspetto
almeno i partecipanti alla manifestazione di piazza Castello a Torino erano
sicuramente informati e coscienti, visto che si sono dichiarati in continuità
con la marcia del 40 mila del 1980 contro gli operai di Mirafiori. La loro
speranza è sicuramente quella di restare appesi alla curva logistica dei ricchi
e di non precipitare su quella dei poveri.
Se la situazione economica, ambientale e sociale è questa,
non resta che sperare nell’innovazione tecnologica perché ci salvi dalla
distruzione ambientale e dal degrado sociale. Ma anche qui le osservazioni che
ci arrivano dal convegno “Science and the future-2” non sembrano confortare
questa speranza.
Qual è la curva che descrive meglio i rendimenti non
solo economici delle innovazioni tecnologiche? Non è in questo caso la
logistica – che non andrebbe neanche male – ma quella detta di Seneca che, a
fronte della complessità crescente della società, vede crescere inizialmente i
benefici sociali per poi rallentare e raggiungere un massimo, dopo il quale la
curva inizia rapidamente a scendere. Un esempio che descrive bene questo
andamento è la scoperta della penicillina e degli antibiotici: inizialmente ha
portato a un rapido miglioramento delle condizioni sanitarie; poi l’effetto si
è stabilizzato e ora incomincia a decrescere. Questa interpretazione dei
rendimenti decrescenti delle innovazioni tecnologiche è stata suffragata con
l’analisi degli effetti socioeconomici delle tre grandi rivoluzioni
industriali: del vapore, dell’elettricità e del digitale. In tutti e tre i casi
i dati dei principali Paesi mostrano l’andamento suindicato.
Provando a tirare le fila di quanto fin qui detto,
risulta evidente che occorra mettere mano alla costruzione della proposta di un
modello socioeconomico diverso da quello attuale, superando la parzialità dei
singoli movimenti che si occupano della salvaguardia dell’ambiente, se non
addirittura di un suo specifico elemento (l’aria, l’acqua, i rifiuti ecc.)
oppure dell’opposizione a grandi opere o grandi eventi finalizzati solo al
doping di un’economia stagnante oppure ancora alla difesa della dignità sociale
ed economica di chi vive o vorrebbe vivere del proprio lavoro.
Certo un intento di questo genere non può essere
esente da dubbi, incertezze e anche vere contraddizioni, ma una certezza su
tutte ci rimane: nessuno dei partecipanti alla manifestazione di piazza
Castello a Torino vorrà e potrà contribuire a un progetto del genere.
* da volerelaluna.it 27 novembre 2018