In questi giorni c’è un gran parlare
di fanghi..
Leggo informazioni confuse e alcune non corrispondenti al vero.
Sergio Costa ( Ministro dell'Ambiente )
È necessario quindi fare chiarezza. Non parliamo di FANGHI INDUSTRIALI! Parliamo solo ed ESCLUSIVAMENTE di FANGHI provenienti dalla depurazione delle acque reflue derivanti da scarichi civili e da insediamenti produttivi dell’agroalimentare.
È necessario normare questi fanghi, in quanto fino ad oggi non sono mai stati
adeguatamente controllati, e nelle maglie larghe di questa normativa non
completamente aggiornata con le attuali conoscenze scientifiche, nei campi
potevano finire anche sostanze inquinanti.
Data la loro composizione, gli
idrocarburi presenti nei fanghi non sono necessariamente pericolosi, basti
pensare, ma solo ad esempio, che quelli naturali sono contenuti nel burro, nel
grasso delle carni o nell’olio d’oliva, tutti prodotti di uso alimentare
quotidiano.
A essere pericolosi sono solo determinati idrocarburi di origine minerale, come ad esempio gli IPA, abbreviazione di idrocarburi policiclici aromatici. Questi sì che vanno individuati e misurati proprio per evitare che criminali senza scrupoli possano spandere qualunque cosa nei campi, come potenzialmente poteva avvenire prima, senza che nessuno avesse mai gridato allo scandalo.
Nell’articolo 41 del decreto “Genova
e altre emergenze” sono stati attribuiti dei parametri agli idrocarburi e nel
successivo lavoro parlamentare di questi giorni il testo è stato migliorato
inserendo altre sostanze specifiche come diossine, furani, selenio, berillio,
cromo, arsenico e altri microinquinanti pericosi come toluene e Pcb. Tutte queste sostanze servono a “marcare” la
qualità del fango, e a capire se la sua provenienza è dubbia. Infatti questi
parametri servono come riferimento perchè, qualora fossero individuati dai
controlli delle agenzie ambientali regionali, le Arpa, dall’Ispra o dalle forze
di polizia, permetteranno di scoprire l’esistenza di un inquinamento e ad
individuarne il colpevole.
Ecco che la norma serve a proteggere
il cittadino e non, come troppe volte si è scritto, ad avvelenarlo. Non è
l’autorizzazione ad inquinare, ma l’esatto contrario. L’articolo 41 e le
successive integrazioni parlamentari servono a bloccare chi fino ad oggi ha
sparso veleni nei campi. Il valore individuato per gli idrocarburi (naturali o
minerali) è pari a 1000 mg/kg. Basti pensare che quello proposto dalla regione
Lombardia in un decreto, poi bloccato dal Tar, era 10.000. Quindi anche in
questo caso parliamo di un miglioramento.
C’è chi critica la norma nuova
paragonando il valore fissato ai 50 mg/kg indicati per i terreni dalla Corte di
Cassazione. Ma è come mischiare le pere con le mele. Stiamo parlando di due
cose diverse! Da una parte c’è il fango, dall’altra il campo. E il fango non va
sparso così com’è nel terreno quindi quel valore riscontrato nel rifiuti
trasformato in fertilizzante non si ritroverà mai una volta sparso, nei campi. Anche
perchè ci sono dei paletti allo spandimento stabiliti per legge: secondo il
decreto legislativo 99/92 l’agricoltore può cospargere fanghi per un massimo di
15 tonnellate per ettaro in tre anni, cosa accettata da 26 anni da tutti,
perchè ragionevole, e gli stessi agricoltori non se ne sono mai lamentati.
Altri divieti riguardano terreni soggetti a esondazioni, con falda affiorante,
destinati al pascolo o a colture foraggere nelle 5 settimane antecedenti il
pascolo o la raccolta. Tutti questi limiti servono solo a proteggere e a
tutelare. Altro che avvelenare, altro che esperimenti chimici su tutti noi! Questi
fanghi sono ricchi di sostanze organiche e vengono usati come ammendanti: è lo
stesso concetto del compost che anche a casa possiamo realizzare. Chi mischia i
valori dei fanghi con quelli del suolo o ignora completamente ciò di cui parla
o è in cattiva fede.
Al centro della nostra azione di governo c’è il benessere dell’ambiente e del cittadino: è il nostro - e il mio - faro e mai potremmo perderlo di vista. ( 23 ottobre 2018 )
Legambiente promuove la nuova
norma sui fanghi
Non è
dell’uso dei fanghi in agricoltura in Lombardia di cui ci dobbiamo preoccupare
e nemmeno della norma Gava-Lucchini contenuta all’interno del decreto Genova. A
dirlo non sono le aziende che trattano fanghi né tantomeno la politica, bensì
un articolo de “La nuova ecologia”, rivista edita da Legambiente. In un
articolo scritto da Damiano Di Simine, ex presidente di Legambiente Lombardia e
ora responsabile per il suolo dell’associazione ambientalista, si descrive
l’iter che ha portato all’attuale situazione, con un assoluzione pressoché
totale di quanto si sta facendo in materia di fanghi.
“La vicenda è più
complessa di quanto sembra”, scrive Di Simine, analizzando come la cosiddetta norma
Gava-Lucchini, ribattezzata “il codicillo infangato”, abbia in realtà salvato i
depuratori lombardi introducendo un grado di sicurezza in più nell’utilizzo dei
fanghi in agricoltura. Nell’articolo si spiega come, fino a pochi giorni fa, la
quantità di idrocarburi presente nei fanghi veniva analizzata soltanto in
Lombardia, mentre ora si fa in tutta Italia. In precedenza, al di fuori della
nostra Regione, si consideravano soltanto i metalli pesanti. La sentenza del
Tar, giudicando troppo permissivi i limiti inizialmente imposti dal Pirellone,
aveva preso a riferimento un quantitativo che la legge contempla per i
quartieri residenziali e i parchi giochi per bambini, ossia 0,050 grammi per
metro cubo. Forse un eccesso di zelo, si dice nell’articolo della rivista di
Legambiente, anche se subito dopo si ammette che non sta al giudice stabilire
il limite, bensì alla politica, che ha poi agito stabilimento un grammo per
metro cubo come quantità massima di idrocarburi nei fanghi. In maniera poco
elegante perché la norma è stata inserita nel decreto per Genova, scrive Di
Simine, “Ma l’emergenza c’era e far finta di niente avrebbe significato
riempire le discariche di fanghi, anzi cercare discariche all’estero per
mandarci un materiale che fino al giorno prima veniva utilizzato, in condizioni
rigorosamente controllate, per fertilizzare i nostri campi”. L’alternativa era
spegnere i depuratori.
L’articolo si conclude affermando che i controlli per
l’utilizzo dei fanghi in agricoltura ci sono, ma che la normativa del settore
va rivista. L’esponente di Legambiente, infatti, lancia l’allarme gessi: fino a
quando si parla di fanghi, i controlli ci sono. Ma basta un semplice processo
chimico e i fanghi si trasformano in gessi, che per la legge vengono
considerati fertilizzanti. A quel punto i controlli spariscono, con tutti i
rischi del caso. La proposta dell’associazione ambientalista è quindi quella di
estendere ai gessi la stessa disciplina di controllo che vige per i fanghi.
da Telepavia On Demand 16 ottobre 2018
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