9 novembre 2018

Un tedesco per la Commissione Ue. Il Ppe sceglie Weber, Merkel ringrazia


Verso le elezioni. Il congresso dei popolari europei a Helsinki incorona il cristiano-sociale per la corsa alla successione di Jean Claude Juncker. Tra i sostenitori anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán


I popolari europei incoronano il cristiano-sociale Manfred Weber come candidato di punta per la prossima Commissione Ue. Ieri a Helsinki il congresso Ppe ha nominato ufficialmente il suo capogruppo a Bruxelles per la corsa alla successione di Jean Claude Juncker nel maggio 2019.
A lui il 79,2% dei voti dei delegati che lo hanno preferito ad Alex Stubb, vice presidente della Banca europea per gli investimenti ed ex premier della Finlandia fino al 2015.
«È un successo per tutti noi: non la vittoria di un singolo ma dell’intero Ppe» è stata la prima dichiarazione di Weber insieme alla promessa di «un’Europa ambiziosa» e al sogno di conquistare «la maggioranza all’Europarlamento».

Festeggia la cancelliera Angela Merkel («il mio cuore batte per lui») suo principale sponsor, senza cui il candidato tedesco non avrebbe avuto neppure mezza chance nella sfida interna fra democristiani. Ma batte le mani (al ritmo dell’Inno alla Gioia suonato al termine del congresso) anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che lo ha sostenuto nonostante le ripetute critiche alla sua politica ultra-nazionalista.
«Colmare il divario con i cittadini» è la parola d’ordine dello spitzkandidat incaricato di risollevare le sorti del Ppe prima ancora che dell’Europa in balìa delle forze centrifughe. La sua nomina, tra gli addetti ai lavori, è tutt’altro che una sorpresa, e si incastra perfettamente nella strategia dei popolari per mantenere il timone della Commissione anche dopo l’era-Juncker.
Fuori dal congresso, con buona pace delle smentite bilaterali, Merkel e il premier francese Emmanuel Macron avrebbero già stabilito che il prossimo presidente Ue sarà tedesco. Non succedeva dal 1967, con Walter Hallstein silurato proprio da Parigi dopo il primo mandato. E Weber da questo punto di vista è davvero l’uomo opportuno al momento giusto, anche se fino a ieri quasi nessuno aveva sentito parlare di lui al di fuori della Baviera o delle Commissioni Ue Giustizia e Affari costituzionali di cui è stato membro.

Classe 1972, cattolico praticante, una laurea in ingegneria prima di diventare il leader della Junge Union e nel 2003 il più giovane deputato al Parlamento di Monaco. Legato al leader Csu Horst Seehofer, nel pieno della crisi estiva tra la cancelliera e il ministro dell’Interno non ha esitato a schierarsi con Mutti a fianco della sua «soluzione europea» all’immigrazione. Come si è rivelato capace nell’impresa semi-impossibile di trattenere nelle fila del Ppe gli 11 eurodeputati ungheresi del partito euroscettico Fidesz già con un piede fuori dalla “casa” dei popolari. Certosino del compromesso politico, ha costruito la sua carriera sulla capacità di miscelare le ragioni degli alleati con quelle degli avversari, anche interni. Un vero e proprio “pontiere” anche se i socialisti europei hanno già fatto sapere che fra sei mesi non voteranno certo per lui. «La campagna elettorale inizia oggi. Siamo costruttori di ponti e useremo lo “slancio” di Juncker e Tajani per vincere a maggio 2019» ha spiegato ieri Weber, secondo cui «c’è tanto da raccontare, a partire dall’Europa forte e stabile» ereditata dal presidente lussemburghese.

Eppure non basteranno i 492 voti (su 619 validi) conquistati ieri a Helsinki a convincere gli scettici che fanno notare come il suo profilo non sia per niente «normale». Weber mastica un po’ di francese, se la cava maluccio con l’inglese e, soprattutto, non ha mai ricoperto una carica governativa in Germania né è mai stato ministro del suo Land.
Un pesce fuori dall’acqua di Bruxelles, anche se è immerso in ciò che la Deutsche Welle definisce «burocrazia tentacolare europea» e ha imparato a nuotare nel mare magnum degli oltre 30 mila funzionari Ue. Da equilibrista avrà meno problemi di Juncker a barcamenarsi tra le correnti politiche sottomarine alla Commissione, mentre da moderato sarà comunque più adatto di lui a contenere le anime euroscettiche del Ppe che non sono poche. Mentre il sostegno, più o meno manifesto, di Parigi pare già assicurato dalla promessa (anche questa smentita da Merkel e Macron) di affidare la Bce alla Francia quando scadrà il mandato di Mario Draghi.

* da  il manifesto  9 novembre 2018

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