di Alberto
Tarozzi *
Dicono che
Macron, presentando il suo Piano energetico, volesse tendere una mano al
movimento di protesta dei “gilet gialli”, ribadendo però i suoi intenti
ambientalisti. A sentire le prime reazioni, riportate a Rai radio1 dalla
validissima Cecilia Rinaldini, reduce dall’avere respirato sugli Champs Elisées
i gas sparati dalla Police, pare sia avvenuto il contrario. Gli ecologisti non
danno segni di consensi significativi, mentre sul fronte delle manifestazioni
in giallo se ne preannuncia una per sabato, col rischio montante di una forte
egemonia da destra, se la sinistra non si sveglia.
Quali i
contenuti del Piano. Retorica come se piovesse: si parla e straparla di
“ecologia popolare” centrata sul confronto con la popolazione e le associazioni
(“Changeons ensemble” cambiamo insieme è lo slogan). Viene fatto riferimento a
Commissioni qualificate incaricate di sciogliere i nodi più delicati.
Condizioni necessarie, certo, alla soluzione dei problemi. Ma non garantiscono
che i pareri del popolo, una volta ascoltato, abbiano un seguito anziché
rimanere lettera morta. E quanto alle commissioni la storia della nostra prima
repubblica è inzuppata di commissioni che anziché risolvere i problemi li hanno
insabbiati. Pregiudizio malevolo il nostro? Probabilmente sì, se pensiamo alle
reiterati bidoni che il nostro, col sorriso sulle labbra, ha cercato di
rifilare all’Italia.
Ma anche
stando alle voci d’oltralpe qualche nostro sospetto pare confermato. Partiamo
dai toni ecologisti. Chiusura delle centrali a carbone per il 2022. Tutto bene,
ma non pare una grande novità. Novità invece sul fronte del nucleare.
Ridimensionamento della dipendenza dal nucleare del 50% e relativa chiusura
delle centrali più degradate.
A volerla prendere con un po’ di senso
dell’umorismo, Macron si mantiene fedele alla linea di Hollande. Il buon
François appema eletto, nel 2012. promise il ridimensionamento “da qui a 13
anni”, vale a dire nel 2025. Macron va oltre e promette il ridimensionamento
“da qui a 17 anni”, vale a dire nel 2035. La prossima esternazione è attesa tra
sei anni. Una particolare attenzione è come allora riservata alla madre di
tutte le centrali: quella di Fessenheim, in Alsazia, non lontana dalla valle
del Reno. Venne costruita nel 1978, dopo una dura contestazione della
popolazione locale, nella speranza che venti amici portassero i residui tossici
al di là dei confini, alleviando le tensioni. In realtà venne creata una forte
dipendenza economica di quei territori dalla centrale che rende particolarmente
difficile un suo smantellamento senza destabilizzare l’economia regionale.
Anche qui, assoluta e reiterata “fedeltà” alla linea Hollande. François nel
2012 parlò di uno smantellamento “entro pochi mesi”. Stessa affermazione fatta
dai governi successivi: due anni fa si parlò di smantellamento nel 2018; ancora
l’altra settimana si faceva riferimento al 2019. Nel Piano energetico appena
uscito Macron fa riferimento al 2020 (anche se, bontà sua, nell’estate).
Restiamo in attesa degli aggiornamenti.
Al tirar
delle somme si può capire che gli ecologisti, soprattutto quelli delle
campagne, più prossimi alle centrali, non abbiano brindato champagne alle
parole di Emmanuel.
Veniamo
allora alla mano tesa ai manifestanti in giallo. Scontata la separazione tra
chi manifesta civilmente e chi sfascia le vetrine. Peraltro i “casseurs” che
durante le manifestazioni più turbolente, non importa come orientate, se ne
approfittano per fare rifornimento di gioielleria e materiali di pregio lungo i
Grands Boulevards, a Parigi, sono una novità datata di 40 anni. Altrettanto scontata,
ma addolcita da toni paternalistici, la ramanzina ambientalistica “Io vi
ricevo, tramite il ministro preposto alle questioni ambientali, ma non potete
proclamarvi difensori dell’ambiente se rifiutate un aumento della benzina
decretato per scoraggiare l’uso dell’auto e fare cassa per progetti
alternativi”. Forse a qualcuno saranno girate un po’ le scatole, visto che, con
lo smantellamento delle linee ferroviarie periferiche in atto, l’uso dell’auto
è divenuto sempre meno un optional, per andare al lavoro, come per andare in
ospedale o al supermercato. Ma anche per loro Macron ha avuto una parola buona.
Ha fatto cioè un riferimento autocritico alla macchinosità col quale viene
erogato un “assegno energia” a chi è comunque costretto all’uso dell’auto. Più precisamente
ha riconosciuto che nemmeno lui ci ha capito poco, vista la macchinosità delle
procedure richieste per ottenere l’assegno. Due domande: 1. “non ci potevi
pensare prima?”; 2. “e adesso come facciamo?”. Sì perchè di potenziamento del
trasporto pubblico nelle periferie del paese, dove la situazione è drammatica,
non se ne parla, vista la già citata dismissione delle stazioni ferroviarie.
Ragione per la quale, delle belle parole, i manifestanti di Bretagna e Savoia,
che vedono decurtarsi del 20% il loro salario per costi di trasporto non sanno
che farsene. E meno male che il nostro ci ha risparmiato la manfrina sui
riccastri viziati che non rinunciano all’uso dell’auto nemmeno per andare a
prendere il caffé. Ricordiamo per inciso che, dalle nostre parti, il primo a
sottolineare come il costo del trasporto per recarsi al lavoro costituisse una
riduzione del salario, fu un grande economista di taglio marxista, come il
sindaco di Bologna Renato Zangheri.
Riassumendo
pare proprio che i gilet gialli, alle parole di Macron, non si siano espressi
con parole di giubilo. Pare tra l’altro che si stia incattivendo un rapporto
tradizionalmente più conflittuale in Francia che altrove. Quello tra le
periferie di campagna e il grande centro urbano parigino. Una campagna di
destra, se pensiamo alla storia della Vandea reazionaria durante la rivoluzione
francese. ma che non è detto si debba mantenere sempre tale, considerando
quanto disse sul rapporto città-campanga, certo in altri luoghi e occasioni, un
certo Mao Tse Tung.
Di certo,
sempre a sentire la Rinaldini, che le sue cronache, a differenza di tanti/e
collghi/e le fa sempre dal vivo, gli slogan che si stanno diffondendo non sono
intrisi di segnali di pace e indicano piuttosto la tendenza del paese a
spaccarsi in due. Oltre all’ormai abusato “Macron, ladro, dimettiti”, vale la
pena di segnalare la rivisitazione di un vecchio slogan degli operai americani
rivolto agli ecologisti: suonava “non si può vivere di aria pulita”. Nella
versione francese odierna il senso cambia di poco. “Voi parlate di fine del
mondo, noi non arriviamo a fine mese”, un grido rivolto non contro
l’ambientalismo, ma contro un certo tipo di ecologia, quella della borghesia
parigina, che mangia bio, gode della metro migliore del mondo e, se vuole
spostarsi in periferia dal centro, ci può arrivare in poche ore grazie alla
grande velocità. Per la sinistra e per gli ecologisti è una sfida che deve
essere assolutamente raccolta.
Per Macron
un caloroso invito ad andarsene.
+ da alganews.it - 29 novembre 2018
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