25 febbraio 2023

Nigeria, milioni di giovani votano Peter Obi

 Oggi le presidenziali. Il più popoloso paese africano è anche quello con l’età media più bassa. Un fattore forse decisivo per il candidato del Labour party che sfida i veterani dei due principali partiti, Tinubu e Abubakar. Istruzione, diritti digitali e lotta alla corruzione al centro della sua campagna

 di Laura Burocco *

In Nigeria si vota oggi per le elezioni presidenziali e legislative, mentre il prossimo 11 marzo si rinnoveranno i governatori dei 36 stati (più la capitale federale Abuja) che compongono la Repubblica federale nigeriana. Le elezioni coinvolgeranno circa 95 milioni di elettori registrati in 176.846 sezioni elettorali.

DURANTE LA CAMPAGNA i candidati che aspirano alla presidenza dopo i due mandati di Muhammadu Buhari, si sono mostrati nei loro abiti tradizionali sui poster colorati che adornano le strade del paese e hanno illustrato i loro piani su varie piattaforme. Mentre da una parte i media tradizionali hanno fatto molto per informare sui programmi, oltre a funzionare da garanti, i social media hanno consentito di raggiungere più persone, soprattutto nelle aree remote che di solito restano ai margini. Questo ha aperto nuove opportunità alle fasce povere della popolazione per essere più consapevoli. Ci sono stati dibattiti, riunioni comunali, comizi che hanno permesso ai cittadini di interagire maggiormente con i candidati.

Malgrado finora la gran parte della campagna si sia concentrata più su discorsi di odio e discorsi politicamente irrilevanti, una delle novità di questa tornata elettorale sono le persone in fila per ottenere le schede elettorali, e quelle impegnate nelle campagne in strada e online. Ma ci sono state anche manifestazioni e marce ed è visibile un maggiore interesse da parte dei cittadini, soprattutto i giovani.

UNO DEI TEMI INFATTI È L’ETÀ dei candidati dei due maggiori partiti in corsa per la presidenza: Bola Ahmed Tinubu, (anni 70, anche se si crede ne abbia 86), dell’All Progressives Congress (Apc) e Atiku Abubakar (anni 75) del Peoples Democratic Party (Pdp). Kólá Túbòsún, linguista e scrittore nigeriano, liquida così la faccenda: «Entrambe le scelte non prevedonbo la possibilità che il prossimo presidente del paese più popoloso dell’Africa potesse appartenere a una generazione emergente, piuttosto che morente». La Nigeria non è solo il paese più popoloso dell’Africa ma anche uno con l’età media più bassa al mondo: i giovani rappresentano il 28% della popolazione, 52,2 milioni di persone di età compresa tra 18 e 35 anni. Nel 2022, l’età media in Nigeria era di 18 anni.

E anche per questo il terzo “nuovo” candidato, Peter Obi del Labour Party (anni 60), sta generando entusiasmo tra i giovani disincantati dagli ultimi decenni di governo dei due principali partiti. Secondo la coordinatrice della sua campagna, Aishat Yesufu, il candidato Obi ha quella che si dice mancare agli altri due candidati: empatia con i problemi delle persone comuni. La campagna di Obi si è concentrata sui giovani, sulla corruzione e su come i vecchi governanti abbiano rubato il futuro alle nuove generazioni. Lo slogan che ne deriva è «una nuova Nigeria è possibile attraverso i giovani».

COSÌ È NATO IL MOVIMENTO “Obidient” in appoggio al nuovo candidato. «Alla gente piace il suo atteggiamento frugale e il suo messaggio sulla riduzione dei costi di governance», dice Idayat Hassan, direttore del think thank del Centre for Democracy and Development.

Molti analisti ritengono che il movimento “Obidient” sia un seguito del movimento nazionale #EndSars del 2020, quando migliaia di giovani sono scesi in piazza chiedendo la fine dell’unità di polizia della Sars, nota per gli arresti indiscriminati seguiti da estorsioni, torture o uccisioni, di persone innocenti. Le proteste hanno raggiunto l’apice dopo il massacro di Lekki Tollgate, quando almeno 46 manifestanti disarmati sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Proprio come #EndSars, il movimento “Obidient” è decentralizzato, finanziato dalla comunità, non ha un leader chiaro e vede una forte partecipazione femminile, in risposta al desiderio dei giovani che le donne siano rappresentate meglio nella governance.

UN ALTRO ELEMENTO importante è stato il blocco di Twitter da parte delle autorità nel giugno del 2021; blocco poi dichiarato illegale e in violazione della libertà di espressione dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) nel luglio 2022. L’intenzione era proprio quella di controllare e reprimere il dibattito politico fra i giovani, che si erano dimostrati troppo abili con i loro dispositivi nell’utilizzo dei social media. Ed è per questo che i giovani nigeriani vogliono che il governo garantisca il rispetto dei diritti digitali, la libertà di Internet e il diritto di ognuno mantenere la sovranità sui propri dati digitali.

Altro tema centrale è il deterioramento sistematico del sistema universitario. Nel 2022 le università del Paese hanno perso quasi un anno a causa di una disputa tra il governo federale e i vari sindacati su questioni relative a finanziamenti, governance e welfare dei lavoratori.

SE ALLA FINE DEL 2022 il governo federale ha ottenuto un’ingiunzione del tribunale che ha obbligato i docenti a tornare al lavoro, le richieste alla base degli scioperi sono state appena sfiorate. E mentre due università nigeriane (Ibadan e Lagos) compaiono tra i nove migliori atenei del continente africano, secondo l’Unicef in Nigeria ci sono 10,5 milioni di bambini che non vanno a scuola. Ma nel paese sono più sentiti i problemi legati alla violenza diffusa, l’emergenza jihadista che affligge in particolare le popolazioni degli stati settentrionali, la disoccupazione al 33%, la corruzione.

LA NIGERIA è uno dei paesi più ricchi del continente, ma anche uno dei più corrotti, al 150mo posto su 180 paesi nell’indice di percezione della corruzione.

A questo proposito Obi raccoglie le speranze di molti, ha fama di aver smantellato la politica clientelare nello stato di Anambra, dove è stato governatore per due mandati fino al 2014 e i suoi soistenitori sono convinti che «farà lo stesso quando vincerà!». Incorpora i valori di equità, uguaglianza e giustizia – dice la campagna – essendo tra i pochi politici a poter affermare di non avere beneficiato personalmente della propria posizione di potere.

Il Partito laburista, creato nel 2002, non ha avuto grossi riscontri elettorali fino a quando Obi, in corsa come vice di Abubakar nel 2019, ha deciso di lasciare il Pdp in maggio per entrare nelle sue file. L’assenza di una consolidata struttura partitica, come quella di cui godono i due avversari, è mitigata dal grandissimo sostegno nelle zone urbane e sui social media, dall’età, ma anche dalla sua etnia, un fattore costante nella politica nigeriana. Abubakar è Fulani del nord, Tinubu è Yoruba del sud-ovest e Obi è Igbo da sud-est. Gli Igbo non detengono la presidenza dal 1966.

PER QUANTO SI CERCHI DI SMINUIRE l’importanza dell’etnia nella politica nazionale, l’appartenenza etnica persiste ostinatamente e i tre principali candidati ora rispecchiano le tre maggiori “nazionalità etniche” del paese. La Nigeria più divisa e polarizzata di quanto non sia mai stata, mostra le sue divisioni nella controversia sui candidati alla presidenza e sulla fede religiosa, nelle agitazioni separatiste del neo-Biafra nel sud-est e nella retorica etnocentrica, tossica e bigotta diffusa nei media mainstream e nei social media.

Mentre il potere normalmente si alterna tra nord e sud e tra musulmani e cristiani, stavolta il Pdp ha scelto Atiku, un musulmano del nord, e l’Apc punta su Tinubu, un musulmano del sud, dando la percezione di vedere emarginati i cristiani.

«Obi – aggiunge Idayat Hassan – non è solo il candidato dei giovani, potrebbe eventualmente essere un candidato della comunità cristiana». E a questo proposito il pastore Anthony Abakporo, uno dei predicatori più seguiti nel paese, dichiara: «Siamo stanchi. Da quando siamo nati, non abbiamo mai visto niente funzionare. Quindi, riteniamo che sia sempre stato il loro turno, ma ora è il turno della Nigeria. Non è Igbo, non è Yoruba, non è Hausa… è oltre la tribù».

ANCHE WOLE SOYINKA, drammaturgo, poeta e saggista nigeriano, Nobel per la letteratura nel 1986, ha invitato i politici nigeriani a cogliere l’opportunità di non inasprire il dibattito vista la situazione in cui la società nigeriana si dibatte. Le cause del conflitti in Nigeria sono molteplici e includono la competizione per le risorse naturali, il cambiamento climatico, le crisi di identità, l’attività dei diversi gruppi armati attivi in molte parti del paese. Conflitti guidati dalla povertà, dalla proliferazione di armi, dai confini porosi e dagli spazi non governati dal potere centrale.

*  da il manifesto 25 febbraio 2023

24 febbraio 2023

Il piano della Cina per la pace tra Russia e Ucraina: nei 12 punti il Cessate il Fuoco e il no alle sanzioni

di Redazione *

Le proposte di Pechino a Mosca e Kiev. E i droni kamikaze che le aziende cinesi vogliono vendere a Putin

Cessate il fuoco, no all’uso di armi nucleari e agli attacchi alle centrali atomiche. Questi sono i punti principali del piano della Cina per la pace tra Russia e Ucraina. Il documento presentato da Pechino si chiama “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”. E si profila più come un modo per raggiungere la de-escalation che un piano di pace o di mediazione. Pechino pubblica il testo nell’anniversario dell’«Operazione speciale» di Vladimir Putin. E lo fa in attesa dell’incontro tra Xi Jingping e lo Zar. Che nelle intenzioni di Pechino dovrebbe costituire un passo avanti nei negoziati di pace tra le due nazioni. La Cina rivendica la sua posizione di neutralità nel conflitto. E punta il dito sull’Occidente, colpevole di aumentare il livello del conflitto fornendo armi a Kiev.

Il testo include 12 punti e la prima dichiarazione d’intenti sulla sicurezza dei civili, sul rispetto del diritto internazionale umanitario e sulla contrarietà agli attacchi contro le centrali nucleari. Diffuso dal ministero degli Esteri, prevede il rigetto dell’uso e anche solo della minaccia di usare armi atomiche, la fine delle ostilità, la ripresa dei colloqui di pace e l’eliminazione delle sanzioni.

Al primo punto c’è il rispetto di sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti i paesi secondo le leggi internazionali riconosciute, compresi scopi e principi della Carta delle Nazioni Unite.

Al secondo l’abbandono della «mentalità da Guerra Fredda». Secondo Pechino la sicurezza di un paese non può andare a scapito di quella di altri. E «la sicurezza regionale non può essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari». Pertanto, serve un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile per la stabilità a lungo termine del mondo.

Il terzo punto afferma il cessate il fuoco e lo stop ai combattimenti. Per Pechino è necessario stimolare Mosca e Kiev affinché si incontrino. E riprendano il dialogo per arrivare a un cessate il fuoco globale.

Al quarto punto ci sono i colloqui e i negoziati: sono «l’unica via d’uscita praticabile».

Al quinto si affaccia la protezione dei civili e la creazione di corridoi umanitari per l’evacuazione dalle zone di guerra.

Mentre, al sesto punto, c’è l’invito a «rispettare rigorosamente il diritto umanitario internazionale». Evitando di attaccare civili e strutture e favorendo lo scambio dei prigionieri.

La Cina vuole un impegno per la sicurezza delle centrali nucleari e lo scrive nel settimo punto. No agli attacchi armati e sì al ruolo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

All’ottavo c’è il rigetto delle armi nucleari. Sia sull’uso sia sulla semplice minaccia. «Ci opponiamo allo sviluppo e all’uso di armi biologiche e chimiche da parte di qualsiasi Paese e in qualsiasi circostanza».

Le garanzie per l’export di cereali sono al nono punto: «Tutte le parti dovrebbero attuare l’accordo firmato da Russia, Turchia, Ucraina e Onu in modo equilibrato, completo ed efficace». Infine la Cina chiede uno stop alle sanzioni unilaterali e alle pressioni che «non solo non risolveranno i problemi, ma ne creeranno di nuovi».

Mentre all’undicesimo punto trova spazio l’appello per “la stabilità delle filiere industriali e di approvvigionamento” a tutela dell’economia globale.

Infine, l’invito a promuovere la ricostruzione postbellica.

Intanto secondo il media tedesco Der Spiegel proprio la Cina starebbe negoziando con la Russia l’acquisto di 100 droni kamikaze. Che potrebbero essere consegnati già ad aprile. L’esercito russo, scrive il giornale tedesco, è impegnato in negoziati con il produttore cinese di droni Xian Bingo Intelligent Aviation Technology.

* da Open – 24 febbraio 2023

22 febbraio 2023

Pendolaria 2023: il rapporto di Legambiente

Troppo lenta la transizione ecologica del trasporto su ferro. Ritardi infrastrutturali, treni poco frequenti, lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, risorse inadeguate restano i maggiori talloni d’Achille.

Nel Mezzogiorno un servizio non paragonabile con il resto del Paese. Ex linee Circumvesuviane, Roma-Lido e Roma Nord-Viterbo, la Catania-Caltagirone-Gela tra le linee peggiori d’Italia

 Legambiente: “Per rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, l’Italia acceleri il processo di riconversione dei trasporti e la cura del ferro con maggiori risorse economiche pari a 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030. Basta inseguire inutili opere faraoniche come il Ponte sullo Stretto.

 Al Ministro Salvini chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio delle grandi opere”.

Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica dei trasporti è ancora troppo lenta. A pesare soprattutto sul trasporto su ferro, con pesanti ripercussioni sul sud Italia, sono i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate. Dall’altra parte, il trasporto pendolare risente ancora degli effetti della pandemia: seppur cresciuto, il numero dei pendolari non raggiunge ancora i livelli del periodo pre-pandemico.

È quanto denuncia Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia – indietro rispetto agli altri Paesi europei – con un’analisi sul presente e futuro di questo settore. A parlar chiaro i dati raccolti: dal 2018 al 2022 le inaugurazioni di nuovi binari in città sono state inadeguate, parliamo di un ritmo di un chilometro e mezzo all’anno di nuove metropolitane. Nel 2018 sono stati inaugurati 0,6 km, nel 2019 e 2020 neanche un tratto di nuove linee, nel 2021 1,7 km, mentre nel 2022 il dato sale a 5,3 km grazie all’apertura della prima tratta della M4 a Milano. Anche sulle nuove tranvie il dato medio dell’ultimo quinquennio è da dimenticare, ossia 2,1 km all’anno: 5,5 km inaugurati nel 2018, 5km nel 2019, nessun chilometro aperto negli ultimi tre anni. Persistono le differenze nelle aree del Paese, e a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno, dove circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. Le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani (rispettivamente 10 e 5 milioni) con un’estensione inferiore a quella dell’isola. Emblematico è che tra Napoli e Bari non esistano, ancora oggi, treni diretti o che esistano situazioni come quella della linea Palermo-Trapani, via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone-Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) e della tratta Corato-Andria in Puglia (ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti). Sul fronte investimenti, negli undici anni dal 2010 al 2020, sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro. Stando ai dati del Conto nazionale trasporti, dal 2010 al 2020 sono stati realizzati 310 km di autostrade, a cui si aggiungono migliaia di chilometri di strade nazionali, a fronte di 91 chilometri di metropolitane e 63 km di tranvie. Oltre a questi dati, Legambiente nel rapporto Pendolaria 2023 torna anche con la classifica delle 10 linee peggiori d’Italia. Nelle prime posizioni le Ex linee Circumvesuviane, la Roma-Lido e Roma Nord-Viterbo, la Catania-Caltagirone-Gela, a seguire Milano-Mortara, Verona-Rovigo e Rovigo-Chioggia, Genova-Acqui-Asti, Novara-Biella-Santhià, Trento-Bassano Del Grappa, Portomaggiore-Bologna, Bari-Bitritto.

Un quadro quello di Pendolaria 2023 abbastanza preoccupante su cui, per superare ritardi e problemi, è necessario accelerare il passo avviando una vera cura del ferro. Per questo per Legambiente è fondamentale che il tema dei pendolari e del trasporto su ferro diventi davvero una priorità per il governo Meloni, prevedendo maggiori risorse economiche pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale (per acquisto e revamping dei treni) e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, recuperabili dal bilancio dello Stato specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili. L’Italia ha bisogno di aumentare sensibilmente il numero di passeggeri che viaggiano in metro e in treno, se vuole migliorare anche la qualità dell’aria e ridurre le emissioni di CO2 come previsto dall’Accordo di Parigi.

“Il processo di riconversione dei trasporti in Italia – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è fondamentale. Lo è se vogliamo rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, del taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050, visto che il settore è responsabile di oltre un quarto delle emissioni climalteranti italiane che, in valore assoluto, sono addirittura cresciute rispetto al 1990. Per questo è fondamentale invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per la “cura del ferro” del nostro Paese, smettendola di rincorrere inutili opere come il Ponte sullo Stretto di Messina.  Occorre investire in servizi, treni moderni, interconnessioni tra i vari mezzi di trasporto e con la mobilità dolce, in linee ferroviarie urbane, suburbane ed extraurbane, potenziando il servizio dei treni regionali e Intercity. Al Ministro Matteo Salvini l’associazione ambientalista chiede di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere”.

Cura per il sud
Si traduce con più treni per il Meridione, elettrificazione e collegamenti più veloci potenziando in primis il servizio Intercity e integrando l’offerta di servizio lungo le direttrici principali, per garantire almeno un treno ogni ora, attraverso un servizio cadenzato e nuovo materiale rotabile. Per Legambiente gli assi prioritari su cui intervenire sono: Napoli-Reggio Calabria, Taranto-Reggio Calabria, Salerno-Taranto, Napoli-Bari, Palermo-Messina-Catania. Servono poi collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola e va potenziato il trasporto via nave.

Risorse stanziate
Un punto dolente per il trasporto ferroviario è l’inadeguata attenzione da parte delle Regioni. Nel 2021 gli stanziamenti sono stati, in media, pari allo 0,57% dei bilanci regionali, in miglioramento rispetto allo 0,34% registrato nel 2020, ma in diminuzione rispetto allo 0,65% del 2019. Dall’altro lato c’è da dire che con la legge di Bilancio 2022 è stato istituito il Fondo per la strategia di mobilità sostenibile che ha una dotazione di 2 miliardi di euro per ridurre le emissioni climalteranti del settore dei trasporti con diverse azioni tra cui il rinnovo del parco circolante dei mezzi pubblici e la realizzazione di infrastrutture digitali per la gestione e il monitoraggio del traffico ferroviario. Inoltre sono state previste risorse per il Fondo per il Trasporto Pubblico Locale, aumentato per il 2022 di 100 milioni di euro e per il 2023 di ulteriori 100 milioni, rendendo strutturali gli incrementi, costanti fino al 2026, anno in cui il valore totale arriverà a poco meno di 5,3 miliardi (è un segnale positivo, anche se saremo ancora sotto di 900 milioni rispetto al 2009). Tra le altre buone notizie del 2022 ci sono anche i nuovi finanziamenti per l’acquisto di treni regionali e l’ammodernamento delle linee locali. Tutte risorse importanti, ma per Legambiente occorre fare uno sforzo aggiuntivo stanziando 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030.

Timidi miglioramenti
Nel 2022 “ritornano” i passeggeri sui treni nazionali regionali dopo oltre due anni di calo, dovuto alle disposizioni e restrizioni in contrasto alla pandemia e alle preoccupazioni dei cittadini. Trenitalia ha dichiarato un aumento complessivo di oltre il 40% dei passeggeri rispetto al 2021, con punte del 110% per quelli ad Alta Velocità. In aumento anche il numero di treni regionali in servizio, considerando tutti i gestori, anche se con notevoli differenze tra le Regioni: 2.788 i treni regionali in circolazione in Italia nel 2021, contro i 2.666 del 2020. Tra le altre note positive, grazie alle risorse europee, nazionali, regionali e di Trenitalia, attraverso i contratti di servizio, è in corso il rinnovo del parco dei treni circolanti: nel 2021 l’età media si è attestata a 15,3 anni, in leggero calo rispetto ai 15,6 anni del 2020 (nel 2016 era 18,6 anni).

Elettrificazione linee regionali
Uno degli aspetti più positivi degli ultimi anni riguarda gli interventi di elettrificazione della rete e di installazione di sistemi di controllo della sicurezza (SCMT, sistema controllo marcia treno, e SSC, sistema supporto condotta). Sono previste risorse sia nel Pnrr sia nel contratto di programma di RFI. Gli interventi interessano complessivamente oltre 1.700 km di rete, e porteranno la quota di rete elettrificata in Italia dal 70,2% del 2022 ad oltre il 78% a fine interventi. Si tratta di uno degli indicatori in cui l’Italia si mostra in vantaggio rispetto ad altri grandi Paesi europei. Ad esempio, in Spagna la rete elettrificata è circa il 63% del totale, mentre in Germania questa quota è ferma a poco più del 60%.

Buone pratiche
Infine Pendolaria 2023 raccoglie anche una serie di buone pratiche che mostrano come sia possibile avere un trasporto ferroviario che permetta ai cittadini, che ogni giorno prendono il treno, di avere una facile connessione con gli altri mezzi di trasporto, orari cadenzati e facili da memorizzare; ma anche la possibilità di portare con sé una bici e di usufruire di stazioni rinnovate; di viaggiare su treni nuovi, moderni ed efficienti.

>> scarica la versione integrale del report

Legambiente.it - 22 febbraio 2023


16 febbraio 2023

Auto 2035: L’autogol dei sovranisti a tutto gas

 Da quanto erano furibonde, ieri le destre sembravano le opposizioni davanti ai risultati delle elezioni regionali.

 di Gaetano Pedullà*

 Da quanto erano furibonde, ieri le destre sembravano le opposizioni davanti ai risultati delle elezioni regionali. Il Parlamento europeo aveva appena vietato l’immatricolazione a partire dal 2035 di nuove auto alimentate con carburanti di origine fossile, e i partiti che sostengono la Meloni già protestavano tutti contro i pasdaran dell’ambientalismo, folli distruttori dell’industria italiana delle quattroruote.

Ora, premesso che il settore dell’automotive italiano se n’è scappato in gran parte all’estero, su questa come su tutte le battaglie ecologiste le destre si confermano di una imbarazzante arretratezza. Un’area politica e culturale che si ispira alla modernità, e quindi alla supremazia del motore, del futuro, non ha capito che questa era la molla agli inizi del secolo scorso, quando la forza del pistone surclassava quella del cavallo, mentre oggi modernità significa tutt’altro, a partire da sostenibilità e digitale.

Quelli che si sentono moderni, insomma, sono rimasti indietro di cent’anni, e a furia di tutelare l’industria tradizionale ci hanno fatto perdere scommesse giocate da altri, a partire dalla Cina, dove trent’anni fa avevano meno capacità tecniche rispetto a noi, eppure sono diventati leader globali nel costruire batterie e pannelli fotovoltaici. Prodotti su cui adesso l’Italia sta investendo moltissimo, creando migliaia di posti di lavoro che la vecchia catena di montaggio ha perso per sempre

Il Green è perciò un’opportunità gigantesca, e non il capriccio dei “gretini” (da Greta Thunberg, simbolo delle battaglie per il clima) o di generici nemici del progresso. Esattamente come le case da ristrutturare per non disperdere il calore interno, presentate come una patrimoniale sul mattone, mentre è in gioco un adeguamento che valorizza l’immobile e abbatte i costi energetici.

Invece di difendere l’esistente, fossero anche case che cadono a pezzi, una destra moderna spingerebbe per far finanziare dall’Europa a un Recovery Fund ambientale, con cui sostenere le spese per le opere necessarie. Un Superbonus Green che porterebbe benessere a tutti. Ma per capirlo serve un minimo di visione del futuro. E di libertà dalle lobby del presente.

da lanotiziagiornale.it - 15 febbraio 2023


 

13 febbraio 2023

A Berlino hanno vinto i conservatori

La CDU ha ottenuto il suo miglior risultato in città degli ultimi vent'anni, mentre i Socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz il loro peggiore dal secondo dopoguerra


Il candidato dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU), il conservatore Kai Wegner, ha vinto le elezioni che si sono tenute domenica a Berlino per il rinnovo della Camera dei deputati, il parlamento della città, che è uno dei Land tedeschi. Per la CDU il 28,2 per cento e i 52 seggi ottenuti ieri sono il miglior risultato degli ultimi vent’anni. Il Partito Socialdemocratico (SPD) della sindaca uscente Franziska Giffey e del cancelliere Olaf Scholz ha subìto invece una pesante sconfitta: per la SPD si tratta del peggior risultato ottenuto in città dal secondo dopoguerra ad oggi.

Non vi è comunque alcuna garanzia che Wegner diventerà sindaco o che la CDU riuscirà a far parte del nuovo governo locale. L’attuale coalizione formata dal Partito Socialdemocratico (SPD), dai Verdi e dal partito di sinistra Die Linke ha infatti mantenuto la maggioranza alla Camera dei Deputati. Tutto dipenderà da come andranno le trattative nei prossimi giorni.

La CDU ha ottenuto circa il 28 per cento dei voti aumentando di dieci punti il risultato delle elezioni del 2021, poi annullate a causa di gravi irregolarità che impedirono a decine di migliaia di cittadini di votare. Al secondo posto sono arrivati i Verdi e la SPD, entrambi al 18,4 per cento.

È risultata in calo anche Die Linke, che ha ottenuto poco più del 12,5 per cento contro il 14,1 del 2021. L’estrema destra nazionalista dell’AfD è salita invece dall’8 al 9 per cento circa, mentre i liberali della FDP non hanno superato la soglia del 5 per cento necessaria per ottenere seggi.

Nonostante i risultati piuttosto netti, non è comunque chiaro chi guiderà ora il governo cittadino. Pur riconoscendo la sconfitta, la sindaca uscente (Giffey della SPD) ha detto che il suo obiettivo era quello di rimanere al governo: «Se avremo la possibilità di guidare un’alleanza cercheremo anche di organizzare una maggioranza politica stabile».

La candidata dei Verdi, Bettina Jarasch, potrebbe però rivendicare la carica di sindaca per sé e un ruolo di primo piano all’interno della possibile futura coalizione. Non ha comunque escluso la formazione di un governo con la CDU, spiegando che il suo partito è pronto e aperto a condurre «serie» trattative a patto che la CDU sia disposta a fare «forti concessioni» in tema soprattutto di ambiente e mobilità. Dopo i risultati, il candidato sindaco della CDU, Kai Wegner, ha detto che il suo partito ha ottenuto un «chiaro mandato di governo» e che inizierà i colloqui esplorativi con le altre forze politiche nelle prossime ore.

I giornali tedeschi e gli analisti politici sono piuttosto concordi nell’attribuire la sconfitta della SPD, che a Berlino ha sempre avuto un grande consenso, a un’amministrazione poco efficace e poco risolutiva rispetto a problemi quali l’aumento degli affitti in città, la cattiva condizione degli edifici scolastici e l’arretratezza dei trasporti pubblici. Come altre elezioni locali, quelle di domenica erano poi viste un po’ come un test per il cancelliere Scholz, la cui popolarità sembra essere in calo anche a causa della risposta, secondo molti debole e indecisa, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

L’insoddisfazione per la SPD non avrebbe invece inciso sulla bassa affluenza di domenica. Su quasi 2 milioni e mezzo di cittadini aventi diritto di voto, la partecipazione è stata del 63,1 per cento con un crollo del 12,3 per cento rispetto al 2021. Nel 2021, però, contemporaneamente alle amministrative si erano svolte anche le elezioni federali che, solitamente, attirano più elettori.

 

 immagine 1 : risultati e seggi 12 febbraio 2023 rispetto 2021

 immagine 2 confronto 2023 su 2021

da ilpost.it - 12 febbraio 2023


leggi anche
:

https://ilmitte.com/2023/02/elezioni-a-berlino-cdu-primo-partito-crollo-storico-per-lspd/

https://www.corriere.it/esteri/23_febbraio_12/berlino-passa-centro-destra-sconfitta-sindaca-uscente-spd-sostenuta-scholz-a0b1d19a-aaf7-11ed-a0ed-8f1430cfd08a.shtml

https://www.rainews.it/articoli/2023/02/berlino-schiaffo-al-cancelliere-scholz-lspd-al-18-il-peggior-risultato-dal-dopoguerra-fb7e975b-5613-4ac2-8da6-e778c4c8ebf3.html

11 febbraio 2023

Salute e disuguaglianze

Se la nostra Costituzione nell’articolo 32 tutela la salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», così non è nella realtà. Regione che vai, sanità che trovi. E la distanza fra le sanità regionali non pare destinata a diminuire con il recente disegno di legge della autonomia differenziata, come spiegano in questo articolo Eva Benelli e Maurizio Bonati.

Sul tema delle disuguaglianze sanitarie si è soffermato anche il convegno Privatocrazia: oltre il mantra della parità pubblico-privato in sanità, che si è tenuto all’Istituto Mario Negri di Milano lo scorso 6 febbraio, di cui riferisce Simonetta Pagliani in questa nota. La presenza sempre più pervasiva del privato in sanità ha reso il sistema più efficiente, equo e accessibile? si è chiesto nelle conclusioni del convegno Silvio Garattini, che ha riassunto il suo pensiero così: «Investire nel privato non giova alla salute pubblica». Il paradosso, prosegue Garattini nel suo intervento, è che «la sanità pubblica ha introdotto il privato anche in sé stessa», vale a dire nei suoi ospedali, con il cosiddetto “secondo pilastro”. Con il risultato, per esempio, che lo stesso medico che ti visiterebbe fra sei mesi se vai con l’impegnativa SSN, ti fissa l’appuntamento il giorno stesso se sei “solvente”. Ed è con lo scandalo dell’intramoenia che l’idea di equità di accesso si dissolve.


Alle diseguaglianze Scienza in rete ha dedicato anche un webinar lo scorso 8 febbraio, facendo discutere Paolo Vineis, che con Luca Carra ha scritto Il capitale biologico. Le conseguenze sulla salute delle disuguaglianze sociali (Codice edizioni, 2022), con Stefano Zamagni, che da economista ha allargato lo sguardo alle disuguaglianze di reddito, diritti e capacità.

 

* da scienzainrete - 10 febbraio 2023