Una narrazione a suon di bombolette e spray che per gli attivisti va
tutelata e protetta.“Vogliono cancellare la nostra memoria questo non è degrado
urbano, quei muri rappresentano un museo a cielo aperto”, afferma Ganzeer, 30
anni, tra gli street artist più famosi
Tra le nuove operazioni di immagine del presidente egiziano Mohammed
Morsi c’è anche il restyling dell’ormai storico luogo della rivoluzione, Piazza
Tahrir. Nell’ultimo mese, infatti, la rotonda e i marciapiedi che portavano
i segni delle diverse guerriglie urbane degli ultimi due anni sono in
ristrutturazione. I lavori, però, prevedono anche la pulizia dei graffiti nelle
vie vicino la piazza, anche loro ormai passati alla storia. Alcune settimane fa
gli operai hanno ripitturato Mohammed Mahmoud, la strada nota per gli
scontri dello scorso novembre e dello scorso febbraio dove rimasero uccise
decine di manifestanti. La mossa in notturna ha mobilitato immediatamente in
rete gli attivisti rivoluzionari che alcune ore dopo hanno immediatamente
rigraffitato l’intera strada.
“Vogliono cancellare la nostra memoria questo non è degrado urbano, quei
muri rappresentano un museo a cielo aperto”, afferma Ganzeer, 30 anni, uno dei
graffitari più famosi e che i primi di ottobre terrà la sua prima mostra al
Cairo. Per chi si trovasse a passare per le vie vicino a Tahrir, infatti, la
sensazione è che in quei disegni sia contenuta la storia della rivoluzione
egiziana. Dai visi dei martiri agli slogan, passando per i personaggi del
vecchio regime rappresentati come dei mostri, una narrazione a suon di
bombolette e spray che per gli attivisti va tutelata e protetta. Un’arte che
dopo il 25 gennaio 2011 è diventata parte di quella cultura alternativa esplosa
tra i giovani egiziani e che comprende anche la musica rap, la pittura e il
cinema. Ganzeer, per esempio, ha iniziato a fare i graffiti proprio il primo
giorno dell’occupazione di Tahrir, quando ancora nessuno poteva immaginare che
quelle sommosse avrebbero portato alle dimissioni di Hosni Mubarak.
“Quel giorno sono sceso in piazza e con una bomboletta ho scritto ‘Mubarak
vattene” su un pannello pubblicitario al centro di Tahrir – ci spiega – da
allora ho cominciato a raccontare con i miei stencil le proteste e i motti di
rivolta sino a oggi”.
Così dai giorni della rivoluzione, il movimento si è allargato raccogliendo
soprattutto i giovanissimi come Hussem e Ziad, studenti universitari.“Ci siamo
conosciuti durante uno dei giorni più duri della rivoluzione – spiega Ziad –
entrambi eravamo rimasti feriti e siamo stati portati in una casa di amici
comuni. Così abbiamo iniziato la nostra collaborazione e, prendendo spunto da
alcuni stencil in rete, siamo usciti con le bombolette e gli spray a graffitare
durante le proteste”. Che i graffiti siano ormai un mezzo con cui raccontare la
storia è confermato anche da un libro in uscita in questi giorni. Un tomo di
400 fotografie che raccoglie i murales più importanti della città prodotti dal
gennaio 2011 a oggi. E il movimento, ormai, ha dimostrato di avere raggiunto un
grande seguito e consenso nel paese. “Lo scorso inverno – racconta Hussem –
abbiamo chiamato tramite i social network la gente a raccolta per pitturare i
muri costruiti dalla polizia dopo gli scontri avvenuti a febbraio e abbiamo
registrato una partecipazione enorme. Tante persone che non avevano mai fatto
graffiti sono venuti muniti di bombolette e ci hanno chiesto di imparare”. Per
gli addetti al restyling del centro ripulire i muri attorno, dunque, non sarà
facile. Le storie di Tahrir, per ora, non si cancellano.
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da
ilfattoquotidiano.it 30 settembre 2012