Il
caso della metro 2 di Torino, delle auto elettriche e dei monopattini
di
Massimo Marino
Il
ministro Costa è sparito. Secondo me lo hanno rapito le Brigate Rosse ma ce lo tengono
nascosto.
Per
quanto sia un discreto frequentatore degli anfratti più nascosti dei media
l’ultima volta che ne ho sentito parlare è stato per una sua eventuale
candidatura a presidente della Regione Campania. L’ipotesi era troppo intelligente
e Zingaretti, fra un rimbrotto e l’altro ai 5Stelle che sarebbero tiepidi sulle
alleanze locali, l’ha subito lasciata cadere. Zingaretti mi ricorda una vecchia
battuta di un leader di altri tempi degli ecologisti europei.
“Dobbiamo trovare insieme un leader che
vada bene per tutti. Pongo solo una condizione, che sia io.”
(E
così, aggiungo io, grazie anche a Zingaretti ci siamo ribeccati De Luca e
famiglia con le solite liste-cespuglietto attorno).
Che
sia chiaro, il Ministro Costa mi sembra un buon ministro. L’attivismo del
Ministero è quasi stupefacente se si pensa ai Ministri degli ultimi 15 anni (Altiero
Matteoli dal 2005, Pecoraro dal 2009, Stefania Prestigiacomo dal 2011, Clini
dal 2012, Andrea Orlando dal 2014, Gianluca Galletti dal 2016).
In
gennaio, con la legge di Bilancio è stato formalmente lanciato il Green New
Deal italiano. Nei primi 4 mesi del Conte 2, in era pre-covid ( sett-
gennaio ) è stata approvata la Legge sul clima ( un decreto da 450
milioni di euro in tre anni ). Dentro ci sarebbe di tutto: 255 milioni per
rottamare auto E3 e vecchi motorini e comprare biciclette o abbonamenti ai bus,
20 milioni ai Comuni per scuolabus elettrici, 40 milioni per corsie preferenziali
dei bus, 20 milioni ai commercianti per farsi l’angolo green, 30 milioni per
piantare alberi. Il ministro indica il decreto solo come primo pilastro di
un edificio (realisticamente direi quattro mattoncini lego) le cui
fondamenta sono nella legge di Bilancio, nel Collegato ambientale
che dovrebbe affrontare finalmente con rapidità le bonifiche dei siti inquinati
che si trascinano da 15 anni, nella legge Salvamare per favorire la
raccolta di plastica e altri rifiuti in mare, fiumi, laghi e spiagge, in Cantiere ambiente
per il potenziamento e la velocizzazione degli interventi di mitigazione del
dissesto idrogeologico e la salvaguardia del territorio. Per dare l’idea che si tratta però di risorse
davvero scarse la Germania su temi simili (sostenibilità e digitalizzazione ) ha appena stanziato 50 miliardi. Ma riguardano
il 2021, non i prossimi 15 anni.
Dopo
8 mesi di rinvii in agosto sono state avviate le consultazioni per il taglio
dei sussidi dannosi per l'ambiente (soprattutto quelli al gasolio agricolo e
per l'autotrasporto) a seguito anche del rimbrotto della Corte dei conti secondo
cui al Governo manca una strategia chiara sul taglio ai sussidi fossili. Si
dovrebbe vedere qualche decisione a fine ottobre.
Con la legge di
bilancio sarebbero messi a disposizione 33 miliardi diluiti nei prossimi 15
anni a cui si aggiungerebbero altre risorse da Titoli di Stato e Obbligazioni green
per il contrasto al cambiamento climatico e la protezione dell’ambiente
attraverso Bei, Cdp e sistema bancario. Gli argomenti, ma per il momento sono solo
titoli: economia circolare, decarbonizzazione, riduzione delle emissioni,
risparmio energetico, sostenibilità ambientale e progetti di carattere innovativo.
Nel
Green new deal sono compresi anche contributi alle Regioni. Sono contributi per
la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, per interventi di
viabilità, per la rigenerazione urbana e la riconversione energetica verso
fonti rinnovabili. Inoltre, contributi per lo sviluppo di sistemi di trasporto
pubblico ecologici (vedremo quali). Si parla in tutto di 5 miliardi e mezzo nel
periodo 2021-2034. Tralascio il tema delle abitazioni, su cui interverrò
prossimamente. Nell’insieme però, sotto la voce allettante del Green, si tratta
di risorse di “quasi” ordinaria amministrazione, pregevoli solo perché nelle
legislature precedenti, dove la voce Ambiente arrivava buon’ultima nel Bilancio
dello Stato, erano ancora più irrisorie.
Si
tratta quindi di voci e contributi di dimensione modesta, diluiti nel corso di parecchi
anni, in ogni momento modificabili, in particolare con il NADEF, la Nota di
aggiornamento al bilancio che arriva ogni anno verso fine settembre, e
naturalmente possono essere rivisti nel caso di eventuali cambi di maggioranza
o di Governo.
Davvero
si può considerare questo un approccio adeguato all’avvio di un cambio di
scenario nella società italiana banalizzando un dibattito in contenuti e cifre
modeste e chiamandolo però Green New Deal?
Un dibattito che alla luce delle previste risorse che dovrebbero
arrivare nei prossimi anni con il Recovery Fund (209 miliardi), dovrebbe invece
avere le gambe e il respiro (i soldi e le idee ) per decollare davvero?
Mi
dispiace deludere chi, magari ritenendo come me che il governo attuale sia il
migliore possibile del momento, si è fatto però qualche illusione di troppo.
Per
primo va notato, con
preoccupazione, che fino a qualche tempo fa tutti gli obiettivi previsti o
supposti per aggredire la crisi climatica e tutto quanto le gira intorno,
venivano datati al 2025 o al 2030. Saltati in modo evidente anche in Italia
tutti gli impegni, come ci ricorda la voce inascoltata della giovane Greta
Thumberg e dei milioni di giovanissimi comparsi con lei sulla scena degli
ultimi 2 anni, oggi ci si riferisce sempre più al 2050, data che per molti
scienziati oltre che per i giovani attivisti neoecologisti sembra essere fuori
tempo massimo per arrestare la crisi. Triste affermarlo, ma l’unico fattore che
ha frenato un po’ i tempi della crisi ambientale negli ultimi anni è stato la
comparsa del Covid-19.
Per
secondo ci si deve
chiedere come si discuterà dell’uso delle risorse del Recovery Fund. Per il
momento sottolineo gli argomenti già in vetrina:
1)
il rilancio dei cantieri e la semplificazione delle procedure autorizzative.
Quali cantieri e quali semplificazioni sarà il centro della battaglia imminente,
cioè dopo il voto di metà settembre e spero non si svolga solo fra PD e M5S. Richiederebbe
un punto di vista strategico di compatibilità ambientale e di vigilanza sulla
spesa che non vede al momento un abbondare di protagonisti seri.
2)
i tentativi, già evidenti, di replicare il caso TAV della Val di Susa: cioè
l’invenzione di grandi opere, di scarsa o nulla utilità come il TAV, di tempi e
di costi incerti come il TAV, che vengono dichiarate, con una opportuna
pressione mediatica, assolutamente fondamentali. È il caso, come esempio, del
Ponte sul lo stretto di Messina. È preoccupante che su questo
approccio pericoloso all’uso delle risorse l’attuale Ministra ai Trasporti,
forse la figura più discutibile dell’attuale governo, abbia acconsentito a fare
da megafono invece che da dissuasore di sciagurate tentazioni di prenotare il
malloppo. Dunque, il Ministro Costa ed il
suo apprezzabile attivismo dovrebbero coniugarsi meglio con un approccio di
Conversione ecologica dell’economia e della società, che è l’anima di un
progetto di Green new deal. Insomma, se ci sei batti un colpo, ma vero, non per
finta.
Faccio
solo l’esempio della mobilità, probabilmente il più rilevante e decisivo
aspetto della Conversione, sul quale andrebbe finalmente espresso quale è l’obiettivo
strategicamente decisivo.
Dobbiamo avere
il coraggio di dichiarare che l’automobile, come vettore prevalente della
mobilità delle persone è un lussuoso e affascinante rottame del secolo scorso
oggi superato, che nel corso dei prossimi 20 anni non possiamo più permetterci di
usare come mezzo prevalente per muoversi a nessuna latitudine del pianeta. Tranne
che si scelga lucidamente di suicidarsi. Che sia chiaro, nessuna demonizzazione
dell’auto: è il mezzo da usare quando è indispensabile (per trasporto di pesi,
di bambini e neonati numerosi, di persone con handicap ingestibili, di
situazioni di emergenza, di percorsi inusuali). Ma portare a spasso tutte le
mattine 900 kg di ferro e plastica per trasportare 1 o 2 persone bruciando
petrolio e spargendo polveri sottili in parte da freni e pneumatici oltre che dalla marmitta, non possiamo più
permettercelo. Chiarisco che neppure
penso che il suo sostituto possano essere in prevalenza autobus o tram o
monopattini a gestione elettrica che, è bene ricordare, vanno tutti a
petrolio. Cioè alla fonte c’è sempre prevalentemente un netto consumo di
fossili, magari nella forma più conveniente e aggraziata delle auto elettriche
o dei simpatici monopattini. Questi ultimi addirittura aumentano, non
diminuiscono, i consumi elettrici e quindi prevalentemente di fossili perché
difficilmente sono alternativi alle auto ma perlopiù alle biciclette o alle
gambe. Per non parlare del problema, da tutti glissato, della gestione entro
alcuni anni di milioni di batterie esaurite da rottamare e della scarsità di
litio e cobalto.
L’alternativa
strategica alle auto sono le reti di metropolitane in tutte le città di
grande o media dimensione, in diretto collegamento con le stazioni ferroviarie
di traffico locale, regionale o nazionale. Su questi vettori di traffico,
insieme a quanto possono essere usate le biciclette e altre forme meno
energivore di mobilità, dovrebbe spostarsi almeno l’80% della mobilità, capovolgendo
le proporzioni attuali, per attuare un vero percorso di conversione ecologica,
che una volta esteso potrebbe competere in alcuni casi persino con il trasporto
aereo. L’Italia è indietro in Europa di circa 100 anni e servirebbero
urgentemente almeno 1000 km di metropolitana in una trentina di città italiane se
si vuole convertire il modello di mobilità del secolo scorso.
*
Tantopiù
con la prospettiva delle risorse previste dal Recovery Fund ci aspetteremmo un
coro di voci che rivendicano la conversione e invece assistiamo ad episodi
deprimenti.
A
Torino un monocolore 5Stelle dopo più di quattro anni per arrivare ad un
progetto esecutivo ha messo da parte il progetto di metropolitana già presente
nelle ipotesi di 15 anni fa che prevedeva una linea 2 estesa di circa 33 km
totali ( con eventali biforcazioni agli estremi) i cui poli principali di
partenza erano nelle aree di prima cintura di San Mauro-Settimo a nord-est e di
Orbassano-Beinasco a sudovest della città (praticamente ormai appendici del
capoluogo torinese). E’ stato invece ripreso il vecchio elaborato ridimensionato
dopo il 2006 dai quasi monocolore governi PD (per capirsi Castellani, Chiamparino,
Fassino) con un percorso a cui si sono tagliate le ali (quelle che invece contano
in senso trasportistico) partendo da Rebaudengo, una zona interna alla città
che all’epoca con la variante 200 (giustamente cancellata dalla giunta
Appendino all’ avvio della legislatura) avrebbe dovuto perlopiù soddisfare qualche
costruttore di periferia. Per dare l’idea ancora oggi si prevederebbe a San
Mauro (Pescarito) un parcheggio per 5mila auto, a Rebaudengo per 500 !
In
nessun paese dell’Europa si sceglierebbe oggi un progetto del genere e tutti hanno
imparato da tempo a progettare e proiettare le linee rapidamente
verso l’esterno della città per ovvie ragioni. Il progetto, nelle diverse versioni, comunque
era di fatto finito su un binario morto ( interessava di più la TAV ) e
incredibilmente è stato resuscitato solo nel 2015 proprio dai 5Stelle che avevano
riaperto in Regione il tema urgente della metro 2 dai banchi dell’opposizione.
Neppure
l’aggregato di associazioni e comitatini di vago orientamento ambientalista,
riuniti dal 2016 per la primavera (fallita) dei 12 referendum in un
coordinamento (Rete Clima), si sono accorti della situazione. Cioè che il più
importante progetto di mobilità dell’area torinese del dopoguerra (che si
ritiene sia la città più inquinata d’Europa) stava partorendo il topolino
chiamato Rebaudengo. Il topolino dovrebbe essere confermato dalla maggioranza 5Stelle
in Consiglio Comunale in settembre malgrado che da mesi seppure con grande
timidezza e ritardo, 22 sindaci della cintura torinese (compresi in prima linea
alcuni 5stelle) abbiano ripetutamente richiesto di riprendere il progetto
completo. Naturalmente si rimanda ad un
futuro ( indefinito) il completamento del progetto, ma si tratta di un incerto
impegno difficile da mantenere. Fuori dalle risorse in arrivo del Recovery
Fund la linea 2 completa non ha un ragionevole futuro. Secondo me ora o
mai più. In realtà soltanto una sindaca piddina della cintura torinese sembra forse
aver compreso davvero fino in fondo quale occasione storica si stava perdendo e ha
alzato lievemente il tono della voce, mi sembra però con scarsi risultati. È da
notare che il caso torinese non è comunque isolato. Tutti i progetti di metro
che da anni, in certi casi da decenni, vivacchiano in varie città italiane a cominciare da Roma a Palermo,
da Torino a Napoli, o procedono in forma ridotta e con scarse risorse o sono di
fatto fermi. Insomma, non c’è nulla che faccia pensare nel campo della mobilità
pubblica ad un vero progetto di conversione.
In
realtà qualcosa si muove ma non è esattamente quello che servirebbe. Si tratta
delle auto elettriche.
Non
ho mai capito come possano le auto elettriche affascinare qualche ambientalista
un po’ distratto una volta verificato che la ricarica avviene per lo più da
energia elettrica da fonti fossili, malgrado le promesse e i tentativi falliti
di Elon Musk e di altri. Anche qui nessuna demonizzazione: una fettina di auto
elettriche, che hanno alcuni pregi innegabili, nella nazione del pianeta con il
più alto rapporto auto/abitanti non è certo irrilevante. Di fatto però le
auto elettriche sono la risposta delle multinazionali al pericolo che si cambi
in modo significativo il vettore della mobilità a favore delle reti
metropolitane che sono letteralmente espulse dalla discussione sui media. Le
elettriche sono anche un modo per ciucciare, con gli incentivi, un bel po’ di soldi allo Stato. Ma
la platea di auto quotidianamente circolanti, di qualunque tipo, deve
urgentemente essere ridotta, perché non è più compatibile con la galoppante
crisi ambientale. Non vuol dire necessariamente comprarne di meno ma di sicuro usarle molto meno, fra l'altro risparmiando per gli utenti un bel pò di soldi. Non si capisce perché
lo Stato possa arrivare a finanziare con i nostri soldi, comprendendo anche i bonus
locali, l’acquisto di auto elettriche da parte di una fascia di ceto medio
alto, visto che hanno costi nella fascia city car e oltre di almeno 30mila
euro, ma spesso sopra i 40mila. Con contributi che in alcuni casi possono
superare i 5mila euro e arrivare anche a 10mila. Avallando così la insana
convinzione che qualche miliardo di auto elettriche nel mondo ( magari fra 50
anni) siano la risposta alla crisi climatica per la quale ci dicono che i
prossimi 10 anni saranno decisivi. Non a caso non c’è nessun segno di flessione
significativa nella produzione e consumo di petrolio e fonti fossili. Né in
Italia, né in Occidente, ne sull’ intero pianeta.
Proprio Torino, con la sua assenza di rete metro (13 km della linea 1 in
tutto! ) è il simbolo di una battaglia
persa, forse neppure cominciata. L’ambientalismo un po’ all’acqua di rose,
prima di evaporare in mille rivoletti, si è dilettato con le domeniche ecologiche e le targhe
alterne. Tuttalpiù abbiamo chiesto le piste ciclabili. Che sono un’ottima cosa
e vanno ragionevolmente diffuse ma non sostituiranno mai le 400-450mila auto
che tutte le mattine si mettono in movimento nella conurbazione urbana
mediamente con 1,5 passeggeri a bordo beatamente rassegnati in coda a chattare
al proprio cellulare. Singolare che anche la nostra Appendino, su cui abbiamo
riversato grandi speranze, si impegni a inaugurare seminari sull’ auto a guida
autonoma, sia sensibile al monopattino diffuso ( che è davvero strafigo da
guidare) ma meno si preoccupi di
ascoltare i 22 sindaci, fra i quali in prima linea i pochi ancora in piedi del
proprio movimento che la vorrebbero convincere a non fare il più clamoroso errore
del suo mandato comunale. Dovrebbe invece forzare e aprire i cantieri a San Mauro e magari ad
Orbassano e modificare il progetto Rebaudengo che segna simbolicamente
l’omologazione e forse il triste declino della giunta Appendino che a me appare in lento, evidente,
esaurimento. Entro qualche giorno, forse qualche settimana, il Consiglio
comunale dovrebbe definitivamente approvare un progetto gravemente sbagliato. Speriamo
che cambino idea.
Possibile
che i due protagonisti principali del momento ( M5S e PD) che hanno a Roma i
propri referenti fra loro alleati, che almeno per un po’ risolveranno insieme il rebus su come distribuire 209 miliardi fra molte centinaia
di diversi progetti, dal ponte sullo stretto in giù, non siano in grado di
porre in campo forse il più significativo, anche simbolicamente, progetto di
mobilità pubblica del dopoguerra ? Sostenibile, economicamente contenuto (4-5
miliardi) e diluito in 8-10 anni? E che il Ministro dell’Ambiente non sembri
neanche sfiorato dal problema?
foto 1
- il Tracciato della metro 2. In blu quello, in parte finanziato, da Rebaudengo.
In
verde quello, rinviato, da San Mauro-Pescarito sul quale nasce gran parte del
traffico quotidiano. In
rosso l’altro tracciato escluso verso Beinasco-Orbassano.
foto 2
- la Renault ZOE, la più economica e venduta fra le city car elettriche nel
2020 (circa 30mila euro preincentivi )
foto 3
- il Monopattino di successo Xiaomi MI
M365PRO elettrico (costo circa 500 euro) con bonus fino al 60%, come per le
biciclette.
Il
commento della settimana (3) – 20 settembre 2020