di
Massimo Marino
Comunque
la si pensi e comunque vadano le elezioni europee del maggio prossimo misureranno
bene la febbre dell’Europa e credo molto più del solito saranno sentite
direttamente connesse con i nostri problemi nazionali e perché no personali. Mai
come in questi ultimi mesi larga parta delle popolazioni dei 28 membri della UE
hanno compreso che loro e i loro paesi sono in libertà vigilata per quanto
innocenti: perché banche, finanzieri, partiti e lobbisti del passato hanno
svuotato le loro casseforti, oggi chiedono anche il pagamento degli interessi,
domani renderanno ardua la sopravvivenza di molti in modo irrimediabile. Perché
ci lasciano in regalo un pianeta in pessimo stato ed una insopportabile
condizione di precarietà per molti.
In
fin dei conti non è una burocrazia europea, malgrado i suoi 30mila funzionari,
che ci affama per sua volontà e che va abbattuta, così come è un miraggio
quello dei fautori di una Europa unita che si muove con fervore per il
benessere di 510 milioni di europei. Gli ideologhi dell’una e dell’altra guerra
di religione sono un po’ dei superficialoni che non ce la contano giusta. Per
questo non mi affascinano gli sponsorizzatori degli euroexit che vogliono
disfare l’Europa così come gli adulatori dell’ Europa politica unita e federata
che non ci sarà mai. Riconosco il possibile e utile ruolo di una unità europea
contro le guerre, per la salvezza dal cambiamento climatico e per invertire la
tendenza allo sviluppo degli armamenti nel mondo, in particolare quelli
nucleari. Realisticamente però per avere questi risultati dobbiamo provare a rovesciare il funzionamento dell’Europa
come un calzino. L’Euroexit o gli Stati Uniti d’Europa non sono, per questo
secolo, all’ordine del giorno. Smettiamo di parlarne.
A
Bruxelles c’è solo una concentrazione fisica e organizzativa di un insieme di
forze sociali, economiche e finanziarie diffuse (multinazionali appunto) che
hanno molte facce e che di comune hanno un unico obiettivo, quello di mantenere
l’egemonia delle élite che si sono consolidate nel secolo scorso, in
particolare dopo l’assestamento provvisorio seguito alla fine della Seconda
guerra mondiale e successivamente dopo il crollo di uno dei due blocchi. Il
bipolarismo “ideologico” fra est e ovest non ha avuto neanche 80 anni di storia
ma gli è seguito, contro ogni aspettativa, un moltiplicarsi di focolai di
guerra localizzata invece di una prevista e auspicata era di pace.
Se
si contano i votanti alle elezioni del Parlamento europeo, che nella forma
attuale ha meno di 40 anni, si nota che, malgrado il sistema di tipo proporzionale,
difficilmente si raggiunge il 50% degli elettori. Nel 2014 i voti validi sono
stati circa il 40%.
E’
noto che le due aree politiche egemoni nel secolo scorso, i socialdemocratici (laburisti,
socialisti, democratici etc. cioè oggi
la S&D con 187 seggi ) e i
popolari ( democristiani, popolari, conservatori etc cioè il PPE con 218 seggi ) sostenuti oggi nella triplice alleanza anche
dai liberali ( moderati di centro ipereuropeisti cioè l’ALDE con 68 seggi ) sono in costante calo in tutte le previsioni
riguardanti maggio 2019. Attualmente rappresentano la maggioranza con 476 seggi
su 750. Sono loro che eleggono il Presidente della Commissione (oggi Jean
Claude Juncker).
In
molti paesi popolari e socialdemocratici (con i diversi nomi locali) hanno così
avvicinato le loro posizioni convergendo verso un disastroso moderatismo di
centro da far quasi sparire i partiti di centro moderato storici che
hanno quindi sempre meno ragioni di esistere ( ad esempio in Italia un partito di
centro formalmente non esiste più ). Ho chiamato questa convergenza “la palude
di centro” che vede diventare praticamente priva di significato la
classificazione storica di destra-centro-sinistra e discutibile quella di
centrodestra e centrosinistra.
Naturalmente
in situazioni particolari, o dove prevalgono sistemi elettorali fortemente
bipolari il fenomeno della palude è “mascherato” nei numeri ma molto meno nei
programmi di fatto. In altre situazioni locali particolari si formano
coalizioni di governo sin- sin ( es. attuale il Portogallo o quella minoritaria
in Spagna dei Socialisti con il sostegno esterno di Podemos e di vari
autonomisti) . I diversi protagonisti poi, negli otto gruppi europei, spesso aderiscono
a gruppi diversi. Nel parlamento europeo
all’opposizione si trovano 5 gruppi: i conservatori dell’ECR con 73 seggi, il gruppo della sinistra ( GUE con 52 seggi), i Verdi ( GE
con 52 seggi) l’EFDD ( euroscettici
di cui fa parte il M5S e l’UKIP inglese con 43
seggi), e il gruppetto ENL ( di estrema destra, formatosi nella
seconda fase della legislatura con Le Pen e Salvini e alcuni transfughi con 34
seggi) . Considerata la fuoriuscita della Gran Bretagna il numero di seggi
totali si abbasserà da 750 a 705 ( circa il 6% in meno che porterà ad una
maggioranza necessaria di 353 seggi) . Non è chiara la sopravvivenza dell’EFDD
ed è stata annunciata dal M5Stelle la nascita di un nuovo gruppo ( che richiede
almeno 25 eletti di almeno 7 paesi diversi ) con caratteristiche “popolari ed ecologiste”
nel nuovo parlamento. Obiettivo che vedo di difficile realizzazione senza i Grünen e quindi ad oggi
molto improbabile. E ancora più mi sembra difficile che possa diventare
determinante per la formazione di una nuova maggioranza. Per quanto se ne parli
l’insieme di gruppi affrettatamente considerati un tutt’uno ( estrema destra,
sovranisti-nazionalisti, leghisti, populisti) sebbene abbiano in comune
l’arroccamento nazionale, e spesso un approccio xenofobo verso gli immigrati (
anche dove non ci sono) non mi sembrano
uniti e nelle condizioni di stravolgere in quanto tali la maggioranza attuale.
Non governeranno nulla. Certo si stima che il triunvirato PPE-SD-ALDE mantenga
la maggioranza, sebbene più risicata, perdendo 40-80 seggi ( alcuni prevedono
addirittura 100) cioè fino al 20% dei
propri seggi, ma non tutti a favore delle destre nazionalpopuliste.
UNA NUOVA EUROPA: LE COLONNE
Di
una nuova Europa molti parlano da anni ma concretamente nessuno dice come sarebbe e come si fa a
farla. Perché comporta una nuova alleanza sociale, una nuova idea di futuro,
una nuova etica della politica.
Preso
atto che non sono all’ordine del giorno né la dissoluzione, ne una completa
unione politica, ne è auspicabile l’abbandono di un'unica moneta (di cui non si
vedono i vantaggi), proviamo qui a indicare le quattro colonne principali ( La Povertà, L’Ambiente, La Corruzione, I Migranti ) e poi tre possibili
protagonisti ( Podemos in Spagna,
M5Stelle in Italia, Grünen in Germania per immaginare
un possibile tentativo di costruire una nuova Europa.
1)
LA POVERTA’
Nei
28 paesi della EU (510 milioni di abitanti) si stimano 78,5 mil. di persone che
“ vivono stentatamente”, soggetti a “ privazioni
sociali e materiali”. Eurostat indica che 113 milioni di europei “versano in condizioni di
povertà o di esclusione sociale”. In Italia sono circa 10 milioni di persone e
di queste un po’ più di 5 milioni sono “in povertà assoluta”. L’Italia sta al fondo della graduatoria della
povertà insieme a Grecia , Bulgaria e Irlanda ma anche Francia, Spagna,
Danimarca sono al di sotto della media. La cancellazione della povertà
dovrebbe essere il primo obiettivo di una nuova Europa: il superamento
delle politiche di austerità e il rilancio di politiche espansive e di crescita
non sono sufficienti, non sono idonee, stante la crisi ambientale non sono accettabili
in alcuni settori. In aggiunta l’inarrestabile sviluppo dell’automazione
pone limiti oggettivi alla piena occupazione.
E’ inevitabile quindi che lo scontro vero si sposti anche sulla redistribuzione
graduale della ricchezza che c’è, sulla selezione dei settori e delle attività
sostenibili, su un riequilibrio fra il dilagare della privatizzazione di tutto (tranne
i debiti) e un nuovo ruolo da ridare allo Stato in alcuni settori economici
fondamentali. Soprattutto in una fase di transizione diventa quindi
inevitabile la necessità di un reddito di sopravvivenza (o di cittadinanza,
di base, di inclusione, di garanzia .. o
come lo si voglia chiamare) sufficente per
chi non è strutturalmente o in modo contingente in grado di sopravvivere con un
minimo di dignità. Inevitabilmente, stante il grado di indebitamento (pubblico,
delle imprese, delle famiglie ) si tratta di riequilibrare e ripulire in
senso etico ( ad esempio radendo al suolo le cosche mafiose) le forme di
accumulo della ricchezza sociale. Il ripristino, capovolgendo tutto quindi, della missione
Robin Hood. Chi oppone e si contrappone a forme di reddito di sopravvivenza con
la sola riproposizione della ricerca e offerta di lavoro o addirittura di sovvenzioni
(pubbliche ) alle imprese (private) sventolando
“la crescita” (intesa senza limiti e senza selezione settoriale ) come la
soluzione di tutto, è culturalmente un venditore di favole e, nella pratica
politica, un bell’imbroglione.
2) L’AMBIENTE
Vari
rapporti, l’ultimo quello dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, ci hanno
avvisato che tutto il mondo si muove ad un passo che non ci consentirà di
raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi di COP21 del 2015 e
dall’Agenda Onu 2030 sul clima. Nel mondo gli investimenti totali combinati
sull’efficienza energetica e le energie rinnovabili sono diminuiti del 3% nel
2017, quelli diretti nelle fonti rinnovabili, che rappresentano i due terzi
della spesa per la produzione di energia elettrica, sono addirittura calati del
7%. Incredibile che gli investimenti delle imprese di proprietà statale ( co-promotori
delle COP !) siano rimaste più legate a petrolio e gas e alla produzione di
energia termica di quanto non lo siano state varie imprese private che
intravedono nel nuovo anche notevoli profitti. Le multinazionali dell’energia (
gas, petrolio, carbone) ed a loro collegate quelle dell’auto, della mobilità,
delle assicurazioni, invece fanno muro
nel mantenere il modello di consumi basato sui fossili mentre le fonti
rinnovabili attraggono risorse insufficienti pur essendo spesso competitive.
Abbiamo addirittura segnali di inversioni
di tendenza, ad esempio la ripresa dell’aumento delle emissioni di CO2. Un
recente rapporto di scienziati promosso dalla Università di Hong Kong afferma
fra l’altro che i tassi di cambiamento climatico osservati nel bacino del
Mediterraneo superano le tendenze globali per la maggior parte delle
variabili e sono stati fino ad oggi sottostimati.
In
Italia gli ultimi governi possono essere considerati fra i peggiori in questo
campo. La situazione è di stasi totale dal
2011 (governo Berlusconi IV) come ricordano i rapporti dell’Enea: per il quarto anno
consecutivo, la quota di Rinnovabili sui
consumi finali non aumenta, continua ad oscillare intorno al 17,5% del 2015 e
potrebbe anche ridursi. Si ricordi il referendum sulle trivelle in mare e la
posizione assunta dal governo del PD.
Anche la fuoriuscita dal nucleare è dubbia e procede comunque a rilento.
Nell’area UE sono ancora in funzione 128 centrali, sempre più obsolete, 185
nell’intera Europa e 15 sarebbero in costruzione. Noi abbiamo archiviato il problema
come se non ci fosse più. Persino in Germania ci sono ancora 8 impianti in
funzione ed è anche molto elevata la quota di produzione di energia elettrica
da carbone.
Negli ultimi 10 anni è evidente l’indebolimento e poi la crisi dei
vecchi movimenti politici ambientalisti nati 30 anni fa in vari paesi e se ne pagano i risultati,
malgrado che i temi ecologici siano sempre più diffusi in tutta Europa. La mancanza
di un ecologismo più attrezzato e radicale sembra sempre più evidente a molti ed
anche la forte sensibilità dei 5Stelle su questi temi non sta producendo ad
oggi i risultati che ci si aspettava.
La
necessità di uscire dal modello di mobilità basato sull’auto non è oggi all’ordine
del giorno neanche di molti gruppi ambientalisti che trascurano l’urgenza di
sviluppare nuovi modelli di servizio pubblico collettivi e le reti
metropolitane in particolare, una delle “grandi opere diffuse“ che dovremmo
rivendicare. Al massimo si avalla il lancio delle auto elettriche, che oggi
vanno a petrolio o a carbone, e che lasciano inalterato gran parte del
problema. L’Italia ha il record mondiale di auto circolanti per abitante.
3)
LA CORRUZIONE
La
corruzione è un fenomeno diffuso in tutto il mondo ed è particolarmente
devastante quando coinvolge il mondo della politica, della pubblica
amministrazione e della giustizia, per le conseguenze che può provocare a
cominciare dall’uso improprio di enormi ricchezze fino a modificare la
connotazione e la direzione di sviluppo di un governo o di un’intera nazione.
La corruzione, con caratteristiche diverse si è diffusa in molte parti
dell’Europa. In Francia in questi giorni è rinata l’attenzione sul caso Sarkozy
e il possibile finanziamento della sua campagna elettorale da parte di Gheddafi
e successivamente i suoi tentativi di corruzione dei giudici. In Spagna in
maggio il governo Rajoy è definitivamente crollato per il caso Gurtel. Si
tratta di 28 condanne, in realtà per una sequenza infinita di scandali arrivati
fino al segretario di Rajoy condannato a 30 anni di carcere. In Germania i casi
di politici corrotti sono pochi ma molti casi si presentano nella pubblica
amministrazione e fra i magistrati e in genere portano all’allontanamento
definitivo da qualunque ruolo pubblico.
In Italia è noto che dopo l’illusione
che agli inizi degli anni ’90 con l’operato di Mani Pulite si fosse sgonfiata
la corruzione dilagata nei partiti si è dovuto prendere atto addirittura del notevole aggravamento della situazione.
La corruzione sembra dilagata in vari ambiti della politica nazionale ma
soprattutto in ambito locale. Solo nel 2017 Transparency International Italia
ha contato 776 casi di corruzione riportati dai media, diffusi per lo più in
Lombardia (111 casi), Sicilia (102) e Lazio (101). Si corrompe negli appalti
(151 casi) e nel settore pubblico (130 segnalazioni), ma soprattutto in
politica (187 casi). Con l’esclusione dei grillini non si nota alcuna
particolare differenza fra gli altri tre partiti più consistenti del paese in
cui i casi di corruzione e reati contigui sono solo direttamente proporzionali
al livello di potere esercitato. L’onestà non va di moda per niente. L’Italia è
ufficialmente il paese più corrotto in Europa alla pari con Grecia, Bulgaria,
Romania. Se può consolare siamo all’incirca al 60° posto fra 175 nazioni del
mondo come grado di corruzione.
Si è parlato molto del caso Mafia Capitale ma
chi ricorda i casi dell’Expo con Primo Greganti o lo scandalo del Mose di
Venezia non finito e in ritardo di 11 anni ma già costato più di 5 miliardi?
Quanti italiani hanno compreso la reale gravità e i veri costi del caso delle
ecoballe di Napoli durante la gestione Bassolino agli inizi del 2000, problema
ancora aperto e per il quale tutti continuiamo a pagare? Molti processi non
terminati, numerosi casi andati in prescrizione. Anche molti casi archiviati e
piene assoluzioni. C’è anche una terra di mezzo in cui non è chiaro dove inizia
il reato e finisce il comportamento etico improprio.
Condanne pochissime e irrilevanti. La corruzione sottrae al
circuito naturale delle risorse e della ricchezza decine di miliardi ogni anno
e non è impossibile debellarla. Con la legge Severino del 2012 sono stati fatti
alcuni progressi, tra cui l’approvazione di nuove norme sugli appalti e l’attivazione
dell’Anac per prevenire e garantire un migliore funzionamento delle
amministrazioni pubbliche.
4) I MIGRANTI
Si
valuta che in questa fase storica 70 milioni di persone almeno siano in
movimento e in fuga dal loro paese originario in cerca di una nuova
collocazione definitiva o provvisoria. Le ragioni sono diverse: la guerra per
le risorse, il clima, i fondamentalismi religiosi, la corruzione dei governi,
lo scontro fra etnie. O anche semplicemente il desiderio di trovare condizioni
di vita meno disagiate. Che i paesi dell’Occidente con il colonialismo, il
neocolonialismo, la rapina delle terre e delle risorse abbiano grandi
responsabilità non c’è dubbio. Ma anche le guerre di religione, ad esempio
quelle interne all’islam o la corruzione diffusa di molti governanti
dell’Africa e dell’Asia hanno contribuito ad una situazione che con la fine del
bipolarismo della guerra fredda ha aperto il vaso di Pandora facendone uscire
tutti i mali di cui era malato il pianeta. Inevitabile che una parte dell’onda
colpisca l’Europa.
Sul
tema dei migranti è molto facile dividersi e costruire muri o schieramenti
dietro i quali in genere non c’è un’idea valida davvero in grado di gestire un
problema epocale di particolare complessità. Quello che accomuna i due fronti
fra i quali dovremmo schierarci (razzisti e antirazzisti ) è la sottolineatura
di metà del problema e la consapevole o inconsapevole rimozione dell’altra
metà. Per i malati di xenofobia, che non albergano solo nei paesi
dell’occidente come molti credono, “l’invasione” dei migranti (che in alcune
zone neppure ci sono) mette a repentaglio il nostro ( loro) stile di vita,
sottrae risorse ai residenti, provoca generica diffidenza e a volte rischi alla
nostra sicurezza personale. La soluzione è quindi costruire muri e cacciarli
tutti. In questa opinione non c’è spazio per logiche di umanità, convivenza o
almeno tolleranza.
Gli
antirazzisti invece rifiutano qualunque critica e sostengono l’accoglienza, la
totale apertura a qualunque tipo di immigrazione per ragioni “umanitarie”,
rimuovono come inesistente qualunque obiezione alle logiche di incondizionata
apertura, che è ovviamente considerata razzista. Nel rimuovere tutti gli
argomenti dei “razzisti” e tutti gli aspetti negativi ed anche i drammi che una
immigrazione di tipo irregolare, clandestino, non regolato e non controllato (
o come volete chiamarlo) provoca agli uni ( i migranti) e agli altri ( i
locali), fanno un pessimo servizio alla loro causa.
Naturalmente
sto estremizzando le posizioni e solo piccole minoranze pongono in questo modo
lo scontro politico. Ma in assenza di esplicite indicazioni di soluzioni
ragionevoli se si spinge tutti a schierarsi su questi estremi e questi argomenti non c’è dubbio che le posizioni xenofobe si
faranno sempre più strada. E infatti è quanto avviene in mezza Europa dove xenofobi,
sovranisti, populisti di destra etc.., acquistano uno spazio consistente e
devastante, che proprio non meritano, nelle istituzioni locali e nazionali. Che
si debba cambiare strada e avviare percorsi di regolarizzazione e controllo delle
ondate migratorie (che non cesseranno) che si debba investire ingenti risorse,
nel nostro caso con il coinvolgimento dell’intera Europa, che si debba
garantire maggiore sicurezza ed anche il rispetto delle regole e delle leggi
della nostra società, deve andare insieme con l’educare tutti alla accoglienza
e alla convivenza. Questa è l’unica strada che ha un senso percorrere. E
bisogna sostenerla e percorrerla al più presto prima che si costruiscano troppi
muri che poi è difficile abbattere.
UNA NUOVA EUROPA: I PROTAGONISTI
Sono
convinto che oggi non esista in Europa un partito o movimento politico che
abbia i requisiti, l’elaborazione, la leadership, la consistenza, la capacità
di egemonia sugli altri soggetti politici, un potenziale consenso elettorale tale
da immaginare che possa da solo rovesciare l’Europa “delle banche, della
finanza, dell’austerità, dei corrotti, dei petrolieri e degli armamenti, degli
indifferenti e delle lobby”. È quindi necessario che quello che c’è di decente
lo si conosca e, abbandonando presunzione e sufficienza gli si dia rilevanza,
si trovino le strade per alleanze trasversali e impegni comuni. Si coltivi quindi una cultura della lotta
alla povertà, della cura del pianeta, della ostilità aperta alle pratiche
corruttive, della gestione dell’epocale problema delle migrazioni. Questi sono i requisiti necessari e sufficienti
per una Nuova Europa.
Proviamo
ad analizzare quindi alcuni dei principali possibili protagonisti di questo
cambiamento, le loro virtù e i loro limiti.
Podemos (Spagna)
In
parte Podemos nasce dallo spirito delle mobilitazioni giovanili del 2011 (Movimento
15M ) ma è un ristretto gruppo di giovani docenti della Università Complutense
di Madrid che prepara il primo congresso del novembre 2014 con l’obiettivo di democratizzare le istituzioni spagnole,
tentare di occupare la centralità della scena politica con una radicale critica
dei partiti della sinistra esistenti ed un approccio e linguaggio trasversale
che vorrebbe rivolgersi anche a più ampi settori sociali. Al centro i temi
del lavoro e del salario minimo, della crisi ambientale, del diritto alla casa,
ma anche la critica frontale alla casta
della politica. Podemos infatti ha
fondato il suo rapido successo sulla sua connotazione “anticasta” più che sull’
orientamento a sinistra, ottenendo consenso in chi non si riconosceva nei
partiti “di regime”, nell’astensionismo, tra i giovani che hanno animato i
movimenti degli Indignados. L’esordio avviene alle elezioni europee del maggio
2014, con l’8% e 5 eletti ed il successo maggiore con le elezioni politiche del
dicembre del 2015: 5 milioni di voti con il 20,6% e 69 dei 350 seggi al
Congresso dei deputati, solo due punti in meno dei socialisti in caduta libera.
Però con il Parlamento più frammentato della storia spagnola con almeno 10
diversi gruppi fra i quali compare Ciudadanos, movimento di destra moderata
fortemente anticasta e contro la corruzione ( 14% e 40 seggi). L’instabilità
del governo conservatore porta a nuove elezioni nel giugno 2015 dove Podemos ,
con l’obiettivo di superare il PSOE o addirittura tendere al primo posto si
allea con Izquerdia Unida, vecchia coalizione di sinistra radicale, e altri
gruppi di area ambientalista e autonomista. Il risultato è una sostanziale
sconfitta con un milione di voti in meno invece che in più, e senza alcuna
inversione alla frammentazione di forze precedente. Anche nelle elezioni
comunali del maggio 2015 Podemos conquista alcune città di rilievo ma la
clamorosa conquista di Barcellona (Ada Colau) e Madrid (Manuela Carmena) è il
risultato di una coalizione di forze diverse e nessuna delle due sindache
elette fa diretto riferimento al partito di Iglesias.
Anche
il nuovo governo conservatore di minoranza che si forma non regge alla ondata
di scandali e condanne del Partito Popolare e nel giugno 2018, per evitare
altre elezioni anticipate, nasce un nuovo governo di forte minoranza del nuovo
leader socialista Sanchez (80 seggi su 350) che si regge sul sostegno esterno
di Podemos e di alcuni gruppi autonomisti e indipendentisti. Il programma del governo è fortemente
condizionato da Podemos e viene considerato forse il più radicale in Europa
degli ultimi decenni. Con i suoi 500mila iscritti, con un congresso di
5mila persone che dura 4 giorni, dove votano in rete in almeno 150mila, Podemos
è uno dei pochi e rilevanti esperimenti di nuove forme di democrazia nel mondo.
Tuttavia Podemos non ha catalizzato e risolto la grande frammentazione sociale
del paese, ha annebbiato poi la sua connotazione di centro radicale, vive la
contraddizione fra una larga organizzazione di base orizzontale e una
verticalizzazione estrema della leadership (Iglesias e un comitato di 60 membri
pressoché tutti maschi ). Inoltre non sembra aver proceduto nell’ambizioso
progetto di costruire una rete europea di alternativa. Se si guarda a contenuti e programmi sono evidenti le tante somiglianze
con quelli del M5Stelle delle origini. Ma sono evidenti anche alcune
differenze di peso. Dopo il rischiosissimo esperimento in corso di appoggio al
governo socialista di Sanchez, siglato qualche giorno fa dalla Finanziaria 2019
e che dovrebbe durare fino al 2021, la scadenza delle Europee di maggio 2019
chiarirà se il rischio paga o no. L’ostilità calunniosa dei media spagnoli
verso Podemos, e verso Iglesias in particolare, ha le stesse caratteristiche e
la stessa durezza riservata da anni a Grillo ed al M5Stelle italiano. Le
ragioni sono ovvie.
E’
un fatto che al momento Ciudadanos è diventato il primo partito nei sondaggi (
22%) e riemergono dal fondo i socialisti. Podemos, ritornato ad essere la
quarta forza, sembra di fatto in una situazione di stallo. In Spagna comunque può
ancora succedere di tutto.
M5Stelle (Italia)
Con
la parziale presa di distanze di Grillo, la scomparsa di Casaleggio e altri, la
nomina di un leader unico (capo del movimento, capo dei gruppi in parlamento di
fatto, ed anche ministro e vicepresidente del governo ), con la necessità di
stendere un “contratto” di compromesso per governare, è evidente che il
M5Stelle è entrato in una fase nuova estremamente complessa. Gli obiettivi
proposti e stesi nel contratto sono di grande rilievo, tali da segnare davvero
una svolta di cambiamento e di grande significato per tutto lo scenario europeo
se venissero davvero perseguiti. Accanto ce ne sono altri posti dalla Lega, alcuni dei quali potrebbero diventare
inconciliabili con le stesse tesi di fondo su cui è nato il M5Stelle.
La
guerra civile a bassa intensità che a mio parere è in corso nel paese vede
praticamente gran parte del sistema dei media schierato con la vecchia
politica, i vecchi partiti e soprattutto le vecchie élite che hanno ben salde
in mano tutte le leve principali del paese ma non hanno più il controllo
subalterno degli elettori. È una guerra senza scrupoli, che nel panorama
europeo non ha molti precedenti e mi pare
che si stia accentuando e non preveda prigionieri. Ho sostenuto più volte dal
2013 che, con strumenti democratici e non, non sarebbe mai stato permesso al
M5Stelle di governare il paese e ne sono oggi ancora più convinto. Vincere le
elezioni, essere il primo partito, costruire una momentanea maggioranza
parlamentare, governare alcune città di rilievo non vuol dire affatto avere il
controllo dello stato né aver costruito l’alternativa per la quale
probabilmente non basteranno questi 5 anni di legislatura. “Lo stato siamo noi”
espressione di qualcuno dopo il voto del 4 marzo è un ovvio entusiasmo che
denota grande ingenuità, ed anche eccessiva superficialità di molti esponenti
anche di rilievo del movimento.
Il
M5Stelle, non so quanto consapevolmente, ha consolidato positivamente una
stabile collocazione di centro radicale potenzialmente capace di essere in
grado di frammentare la vecchia alleanza sociale che governa stabilmente
l’Italia da 30 anni alternando periodicamente coalizioni di centrodestra e centrosinistra.
E’ la “palude di centro “che ha demolito fino a cinque anni fa qualunque
ipotesi di cambiamento. Per la prima volta una forza politica ha messo al
centro i destini di quei 10 milioni di italiani che sono ai limiti della
sopravvivenza, ha ridato una voce alla crisi ambientale che non aveva più
padrini di rilievo, ha mantenuto una coerente opposizione a tutte le forme di
privilegio, alle cosche mafiose, alle forme di clientelismo senza limiti diventate
normali in tante amministrazioni
locali. Con molta difficoltà e non pochi errori sta tentando di praticare
soluzioni accettabili alla crisi data dalle ondate di migranti senza farsi
annichilire dallo scontro su razzismo e antirazzismo. Non stupisce che il
movimento dei 5Stelle sia accusato di essere subordinato troppo alla destra
leghista da alcuni e di essere pericolosamente simile alla sinistra dei
comunisti da altri. E naturalmente essere accusato di incapacità, inesperienza,
stalinismo dai media che costantemente lo lavorano ai fianchi (destro e
sinistro). Incredibilmente anche accusandolo di essere in fin dei conti uguale
agli altri (che è la calunnia più singolare).
È evidente che la struttura organizzativa dei post grillini non è
adeguata al livello di scontro, la presenza sul territorio è minima,
circoscritta a piccoli gruppi e spesso ridotta alla mobilitazione da volantinaggio
nei momenti elettorali. Non esistono campagne e iniziative di affiliazione, il
dibattito interno non ha sedi ufficiali e accessibili a tutti e le forme di
consultazione in rete non sono ad oggi un vero strumento di confronto e decisione.
Gli aderenti si dice siano meno di 150 mila e i votanti attivi su Roussou
difficilmente superano i 20-30mila, cioè meno di un terzo della rete attiva di
Podemos. Se è vero che in guerra bisogna mettersi l’elmetto non sempre la
testuggine può essere l’unico strumento per vincere.
I Grünen (Germania)
I
Verdi tedeschi, nati verso la fine degli anni’70, in parte da reduci
positivamente invecchiati del ’68, e soprattutto dai gruppi che si opponevano
allo sviluppo delle centrali nucleari, con i loro 40 anni di vita, con tre
generazioni di leader superate abbastanza bene, sono una presenza consolidata
ma pochissimo conosciuta fuori dal paese. I Grünen
superano l’8% nel 1987 ( dopo Chernobyl ), e uniscono varie componenti diverse dell’Est e dell’Ovest dopo
l’unione delle due Germanie. Solo nel 1994 i Verdi ritornano stabilmente sopra
lo sbarramento del 5% ottenendo il 7,4 % e nel 1998 con il 6,7% e 47 deputati
formano l’alleanza con i Socialdemocratici. Il leader Joschka Fischer diviene ministro
degli Esteri e con Jürgen Trittin come ministro dell’Energia nel 2000 viene
approvato un piano ventennale di fuoriuscita dall’energia nucleare. La
coalizione rosso-verde è confermata nel 2002 quando i Grünen salgono all’8,6%. Sono gli anni in cui i temi ambientalisti
assumono grande rilievo nel paese per certi versi con risultati stabilmente
mantenuti anche negli anni successivi quando la coalizione si arresta per la
crisi dell’SPD. Nel 2005 infatti nasce la
Große Koalition fra CDU e SPD guidata dalla Merkel.
Mentre
nelle elezioni europee i verdi tedeschi superano quasi sempre il 10%, già nel
primo decennio del secolo partiti o partitini verdi sono nati anche in molti
paesi europei ma per quanto l’egemonia dei tedeschi sia evidente e formalmente
si formi un “partito europeo” e forme di
confronto periodico anche internazionale le
caratteristiche dei verdi tedeschi restano molto particolari e decisamente “
nazionali”. La loro volontà di avere una influenza all’estero sembra
circoscritta all’ambito delle scadenze elettorali europee.
Nel
triennio 2009-2011, dopo la crisi economica scoppiata nel 2008, una specie di
“triennio verde” si manifesta nel mondo.
Nel 2009 i Grünen appaiono per mesi il primo partito
tedesco nei sondaggi e hanno un notevole successo alle elezioni di Berlino. In
Francia Europe-Ecologie ottiene un ottimo risultato alle europee ( circa il 16%
alla pari con i socialisti) e l’anno dopo ottiene 255 eletti nelle elezioni
regionali. In Colombia e poi in Brasile un candidato dei verdi arriva al
ballottaggio alle elezioni presidenziali. I verdi emergono perfino in Australia.
Però nei verdi tedeschi si fa strada un nuovo approccio, con qualche problema
interno, che ha similitudini con l’idea del contratto recente dei grillini, secondo
il quale i Verdi assumono di fatto una posizione di centro nel panorama del
paese ( che recentemente alcuni hanno chiamato “popolare”), dove alle consuete
posizioni ecologiste si affiancano sempre più l’insieme delle tematiche
sociali, dal salario minimo al caro-affitti e alla tutela delle fasce più
deboli. Con anche una particolare attenzione alla difesa dei migranti ed al
rifiuto delle posizioni xenofobe ma attenti anche alle problematiche della
sicurezza fino a richieste in alcuni casi di potenziamento delle forze
dell’ordine compresi gruppi speciali a difesa del terrorismo ma non solo (Il
recente caso del successo in Baviera su queste posizioni ne è un esempio). A gennaio 2018 è stata rinnovata e ringiovanita senza
grandi tensioni la leadership nazionale che da 10 anni era rappresentata dal
turco tedesco Cem Ozdemir e da Claudia Roth. I due nuovi portavoce sono il
pragmatico Robert Habeck, di 49 anni ma già considerato un leader di rilievo
nazionale e Annalena Baerbock, di 37 anni molto attenta al tema della coesione
sociale nella società tedesca, praticamente sottratto alla Spd.
Ponendosi
“al centro” della scena e presentando minuziose e articolate proposte di
governo a tutti gli interlocutori, in alcuni lander i Verdi hanno costituito governi
anche con la CDU con ottimi risultati: Recente il caso dell’Assia, l’importante
regione di Francoforte dove i Verdi hanno quasi raddoppiato i voti e confermato
la coalizione uscente con la CDU. Attualmente i
Verdi governano in nove regioni con alleanze variabili: fra queste con Spd e
Linke nella città-Stato di Berlino, con CDU e Fdp nello Schleswig-Holstein, con
la CDU in Baden-Württemberg, con la Spd ad Amburgo. E dopo il fallimento delle
trattative nazionali con la Cdu/Csu e i liberali della Fdp i sondaggi nazionali
danno ai Verdi quasi il doppio dei voti, sopra la Spd e l’ AFD e a pochi punti
dal partito della Merkel.
CONCLUSIONI
Sono
convinto che le quattro colonne indicate siano i capisaldi decisivi per
qualunque riflessione e azione che si ponga l’obiettivo di costruire i primi
passaggi di una nuova Europa. Molte sovrastrutture ideologiche che ci portiamo
dietro dal secolo scorso sono rottami culturali inutilizzabili e in parte un
vero ostacolo per il cambiamento.
I tre gruppi
nazionali indicati, con quelli che a loro possono ispirarsi, mi sembrano quelli
più interessanti e più avanti nel tentativo di immaginare un diverso destino del
pianeta o perlomeno dell’Europa. Sinceramente non ne vedo altri. Non è casuale
che Podemos, il M5Stelle e i Grünen, in forme diverse e con un diverso peso, siano
comunque tutti coinvolti o vicini alla responsabilità di governare un paese.
Non si tratta cioè di piccoli gruppi minoritari. Hanno
parecchi punti in comune e alcune differenze rilevanti e ognuno di loro ha
limiti evidenti. Il loro destino è
incerto ma credo che dovrebbe interessarci tutti. Nel prossimo Parlamento
europeo, come in quello passato, probabilmente e sciaguratamente si collocheranno
in schieramenti diversi cioè in tre gruppi diversi, nessuno dei quali
però, almeno da quanto si prevede fino ad oggi, si rafforzerà. Ma quel
movimento di liberazione che oggi si aggira per l’Europa solo come uno spettro
quasi invisibile, che è necessario e urgente rendere visibile per una nuova
Europa, deve esprimere e sollecitare una cultura e le ragioni di una speranza,
vedendone i germogli lì dove sono prima che immaginare improbabili
schieramenti e convergenze.
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