27 novembre 2023

In Messico, dove la violenza di genere resta impunita

25 novembre. Domani il corteo, passando per la Glorieta de las mujeres que luchan. Sedici femminicidi al giorno. Solo nell’1% dei casi si arriva a un processo

di   Daniele Nalbone *

Sedici donne uccise, in media, ogni giorno. Oltre 17mila negli ultimi tre anni. Un numero che però arriva a ventimila considerando le donne ancora oggi scomparse e di cui non si hanno notizie. Sono questi i dati dell’Osservatorio nazionale cittadino del femminicidio (OCNF) citati da Gabriela Amores, portavoce dell’Unione nazionale delle avvocate e tra le organizzatrici del Contingente 25N, nel corso di una delle conferenze stampa di avvicinamento alla manifestazione che si è tenuta alcuni giorni fa al Museo delle donne di Città del Messico per denunciare come sia l’impunità una delle cause di questa carneficina: «Solo l’1% dei casi in cui la vittima è una donna ha un vero processo giudiziario e arriva a sentenza» ha denunciato Amores.

Il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, «scenderemo in piazza per chiedere giustizia e sostenere le famiglie delle donne uccise».

Ad aprire il corteo saranno proprio le madri delle vittime. La manifestazione partirà dal Monumento all’indipendenza e, passando dalla Glorieta de las mujeres que luchan, rotonda del Paseo de la Reforma che dal 2021 è un’installazione artistica dedicata alla donne combattenti, arriverà allo Zócalo, di fronte al Palazzo Nazionale, dove più di quattromila sagome – «figlie, sorelle e amiche assassinate» – ricorderanno al governo l’urgenza di affrontare la violenza di genere in Messico.

COME OGNI ANNO, sarà una manifestazione «difficile, per non dire pericolosa, per le decine di migliaia di donne che parteciperanno» ci spiega Silvia Ruiz di Rompe el miedo (Rompere la paura), rete di giornalisti e attivisti dei diritti umani per monitorare le manifestazioni nata nel 2013 in occasione del tragico anniversario del massacro noto come El Halconazo: era il 10 giugno 1971 quando il reparto paramilitare dei Los Halcones (i falchi) uccise 225 studenti che stavano protestando contro il governo allora guidato da Luis Echeverría Álvarez.

«DA NOVE ANNI LA RETE di giornalisti e attivisti dei diritti umani segue i cortei per documentare eventuali provocazioni e aggressioni da parte delle autorità», continua Ruiz, «e anche quest’anno saremo in piazza fin dalla mattina per seguire in tempo reale gli avvenimenti, denunciare incidenti, occuparci della sicurezza dei manifestanti». Per tutta la giornata «documenteremo eventuali attacchi alla marcia e saremo in contatto con le autorità di Città del Messico per denunciare eventuali violazioni da parte degli agenti di polizia». Un fenomeno, questo, che negli anni ha portato la rete a diffondere prima di ogni evento ritenuto a rischio – un corteo così come un appuntamento elettorale – un vero e proprio vademecum per i giornalisti e per gli attivisti dei diritti umani, «i primi a finire nel mirino di chi ha interesse a invisibilizzare le proteste, se non a provocare scontri per poterle poi criminalizzare».

LE RACCOMANDAZIONI per domani sono diverse: «Nessuna deve muoversi da sola; maglie viola o con simboli della protesta e della lotta femminista vanno indossate solo durante il corteo; il telefono deve essere sempre carico; a fine corteo evitare di girare per la città in piccoli gruppi». Perché «quella di domani sarà una giornata di lotta a tutti gli effetti».

Il contrasto alla violenza di genere sarà uno dei principali temi dell’ormai prossima campagna elettorale. A giugno il Messico sarà chiamato a scegliere il successore di Andrés Manuel López Obrador e il partito Movimento rigenerazione nazionale (Morena) ha individuato nell’ex sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, la candidata alla presidenza. La sfida sarà con un’altra donna: la conservatrice Xóchitl Gálvez. A ridosso del 25 novembre, Sheinbaum ha lanciato la sua prima proposta sul tema: una procura ad hoc che si occupi della violenza di genere, «non solo di femminicidi».

La nuova fiscalía «dovrà muoversi fin dal momento della denuncia, ad esempio, per allontanare l’aggressore da casa. Oggi la prima misura preventiva è trovare un luogo sicuro per la donna che denuncia il proprio marito o compagno. Ma non può continuare così. A doversi allontanare deve essere chi aggredisce, non chi è aggredito».

Nella foto: Manifestanti alla "Glorieta de las mujeres que luchan" a Città del Messico

* da Il manifesto - 24 novembre 2023

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La rivoluzione dolce nella casa delle donne in Messico

L'intervista. Sandra Cardona coordina una rete messicana di centri per l'aborto che ha assistito oltre 20mila donne. Ed è recente, dopo la sentenza shock della Corte suprema, l'arrivo di molte statunitensi

  di Daniele Nalbone *

«Basta mandarci una mail. Oppure bussare direttamente alla porta della nostra casa». Unica regola: «Ingresso vietato agli uomini». Le donne che devono abortire «possono venire da sole o accompagnate da madri, sorelle amiche. Ma per gli uomini la casa è inaccessibile». Sandra Cardona ha fondato nel 2016 il gruppo Necesito Abortar (Devo abortire) nella città di Guadalupe, oggi di fatto un quartiere periferico di Monterrey, capitale del Nuevo León.

Nonostante dallo scorso settembre la Corte suprema abbia stabilito che abortire in Messico non è più un crimine, in questo stato al confine con gli Usa l’interruzione di gravidanza è consentita solo in caso di stupro o di rischio per la salute della donna, pena una condanna fino a un anno di carcere. Cinque anni è invece la pena massima stabilita dagli stati di Chihuahua e Tamaulipas, addirittura sei da quello di Sonora.

Al nord del Messico, soltanto in Baja California e Coahuila è possibile oggi interrompere una gravidanza senza incorrere in procedimenti penali.

Tutto ha avuto inizio su Facebook, ci racconta, e l’obiettivo era dare informazioni e assistenza a chi voleva interrompere la propria gravidanza: nemmeno lei si aspettava, in pochi anni, di arrivare ad aiutare oltre ventimila donne.

Soprattutto, mai avrebbe pensato di dover assistere cittadine statunitensi, come avviene da quando il Texas, nel settembre 2021, ha vietato l’aborto e la Corte Suprema, il 24 giugno 2022, ha annullato la storica sentenza Roe vs Wade del 1973 che garantiva l’accesso costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza in tutti i cinquanta stati. La contattiamo a ridosso della giornata del 25 novembre.

Sono tante oggi le donne statunitensi che si stanno rivolgendo a voi?

Da quando abbiamo aperto la “casa”, un luogo in cui venire per abortire farmacologicamente in maniera sicura, lontano dallo stigma sociale che accompagna l’interruzione di gravidanza in un paese come il Messico, capitava in media una volta al mese di essere contattate e aiutare donne statunitensi. Principalmente venivano da noi donne messicane o migranti. Ma negli ultimi due anni il numero è aumentato sensibilmente. Oggi sono almeno cinque o sei le donne che ogni settimana arrivano dagli Stati Uniti qui in Nuevo León.

Non avete paura a operare in luoghi così pericolosi, soprattutto per le donne, come gli stati del Nord del Messico?

Negli ultimi due anni abbiamo iniziato a lavorare addirittura a Ciudad Juárez, al confine col Texas, nonostante i rischi che comporta organizzarsi e soprattutto scendere in strada in quello che è uno dei luoghi più pericolosi al mondo per una donna.

Ma il nostro ruolo oggi ci obbliga a convivere con la paura. Dico convivere perché è impossibile non averne. La cosa che ci ha sorpreso è che le minacce contro le nostre attiviste sono aumentate da quando abbiamo iniziato ad accompagnare le donne statunitensi. Evidentemente questa “apertura” è stata malvista non solo dai gruppi criminali ma anche dagli antiabortisti.

Come funziona l’accesso alla casa di Guadalupe? E quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nella vostra attività?

Dopo averci contattato, prendiamo un appuntamento e si procede con l’aborto: tutto molto semplice. La donna arriva la mattina e nel primo pomeriggio può già tornare a casa. Qui ha tutto il necessario per interrompere la gravidanza in tutta tranquillità.

Nella parte anteriore della casa c’è lo studio in cui si viene ricevute; nella parte posteriore ci sono le stanze con tutto il necessario per rilassarsi, libri, impianto stereo, televisione, divani. La parte più difficile del nostro lavoro è sicuramente fuori dalla casa, nella società.

Qual è il momento invece più bello delle vostre “giornate tipo” nella casa?

Da tanto tempo vorrei realizzare un progetto fotografico per raccogliere i ritratti delle donne che accompagniamo prima e dopo aver abortito. La loro espressione cambia radicalmente. Quando arrivano sono tese, preoccupate, spaventate. Quando escono, sorridono. Poter finalmente avere accesso ai propri diritti cambia la vita. E i loro volti ne sono la prova, ogni giorno.

Siamo ormai alla fine del mandato presidenziale di Andrés Manuel López Obrador. Com’è oggi la situazione in Messico? Qualcosa è cambiato?

La nostra rete sta crescendo ogni giorno di più. Il che ovviamente per noi è un grande risultato ma, al tempo stesso, è una brutta notizia perché significa che oggi abortire in sicurezza è ancora un problema. La desaparición e i femminicidi sono il problema più noto del Messico. Ma la violenza di questa società si mostra ogni giorno in modi meno visibili, negando diritti di base.

Oggi in Messico non si può incriminare nessuna donna per aver abortito. O meglio, non si potrebbe. Città del Messico non è il Messico: lontano dalla capitale la situazione è molto critica. Di fatto, non è cambiato niente, nonostante la sentenza della Corte suprema.

Qual è, in Messico, il valore di una giornata come quella del 25 novembre?

L’importanza che il 25 novembre ha assunto a livello mondiale è un riconoscimento alle donne che lottano ogni giorno per i propri diritti. E non parlo solo delle attiviste. Noi, per restare al nostro caso, accompagniamo casi di violenza sessuale e aiutiamo donne che hanno deciso di abortire. Ma sono loro che stanno affrontando davvero la società.

Rivoluzionario, oggi, in Messico è dire a una mamma e a un papà di volersi separare dal proprio marito perché è violento. Rivoluzionario è comunicare a un’amica la decisione di abortire. A essere rivoluzionaria è una sorella che ti accompagna a farlo.

Mi hanno colpito i disegni e i colori che caratterizzano report, studi e tutto il materiale che avete sul sito per raccontare il vostro lavoro. Perché questa scelta?

Perché qui diamo centralità ai diritti. E i diritti sono vita. E la vita è a colori. Anche in un luogo come il Nord del Messico. Anzi, soprattutto in un luogo come il Nord del Messico.

  * da Il manifesto 26 novembre 2023

22 novembre 2023

Stop alle fonti fossili, la risoluzione del Parlamento Ue in vista della COP28

L'Eurocamera ha formalizzato la sua posizione ufficiale per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Dubai.

La delegazione del Parlamento europeo che parteciperà alla COP28 di Dubai siederà al tavolo presieduto dal sultano Ahmed Al-Jaber con una richiesta ben chiara: la fine di tutte le sovvenzioni dirette e indirette ai combustibili fossili a livello nazionale, Ue e globale “al più presto possibile” e comunque “entro il 2025”.

L’Eurocamera ha approvato ieri una risoluzione per il mandato dei suoi rappresentanti, con 462 voti favorevoli, 134 contrari e 30 astensioni. Nel testo si chiede inoltre di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 e di eliminare gradualmente i combustibili fossili.

I deputati hanno sottolineato l’importanza di proteggere, conservare e ripristinare la biodiversità e desiderano una significativa riduzione dell’impatto climatico e delle emissioni derivanti dal metano e da settori come il trasporto marittimo e aereo internazionale, l’agricoltura e la difesa.

La risoluzione chiede a tutti i Paesi di rafforzare i propri impegni sul clima e di contribuire “con la giusta quota per aumentare i finanziamenti internazionali per il clima”, si legge in una nota (link in basso). Sull’eliminazione dei sussidi per gas, petrolio e carbone, la posizione dell’Eurocamera è simile a quella assunta dal Consiglio europeo lo scorso 17 ottobre, il giorno dopo il vertice tra i ministri dell’Ambiente dei 27.

Anche in quella sede se ne chiedeva lo stop “il più presto possibile”, ammettendo però varie eccezioni. I capi di Stato e di governo fecero riferimento al phasing out soltanto delle fossili “unabated” (ossia quelle le cui emissioni non sono soggette a trattamenti come la cattura della CO2), mentre il Parlamento europeo non ha applicato questa distinzione.

Solitamente l’Unione europea è tra gli attori delle COP con la posizione più ambiziosa, ma quest’anno le difficili mediazioni tra i vari Stati ne hanno annacquato i propositi.

Circa 10 dei 27, tra cui Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia, erano i promotori principali dell’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili.

Italia, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia avevano invece portato proposte più caute, come lo stop graduale solo delle fossili “unabated”, che lasciasse quindi la possibilità di continuare a bruciare carbone, gas e petrolio a patto di catturarne le emissioni risultanti.

Una posizione simile a quella esposta alla pre-COP di ottobre da Al-Jaber, che ha parlato di “a responsible phase down of unabated fossil fuels”, cioè una riduzione graduale dei combustibili fossili “non trattati”. Viste le premesse risulta difficile pensare che da questa COP arrivi la frenata alle fonti sporche che servirebbe.

* Redazione QualEnergia.it  - 22 Novembre 2023

13 novembre 2023

Difficoltà, ritardi, e pochi dati positivi: la green economy italiana non è in salute

 La fotografia arriva dagli Stati Generali della Green Economy che hanno aperto i lavori alla 26 edizione di Ecomondo, in programma a Rimini dal 7 al 10 novembre. La relazione presentata quest'anno evidenzia che la situazione in Italia non è allineata con i nuovi obiettivi europei in termini di decarbonizzazione. Le emissioni di gas serra sono aumentate nel periodo dal 2019 al 2022, e nel 2022 la produzione di energia rinnovabile ha registrato una diminuzione, con un trend che non rispecchia gli obiettivi europei. Buono il livello per il tasso di riciclo dei rifiuti, invece, pur restando positivo, il tasso di utilizzo di materia proveniente dai rifiuti è diminuito. L'Italia occupa inoltre il diciannovesimo posto nell'Ue per le aree protette di terra

La situazione attuale della green economy in Italia presenta sfide e ritardi significativi, con pochi segnali positivi. Il processo di decarbonizzazione non è allineato con i nuovi obiettivi europei, e le emissioni di gas serra sono aumentate nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022. Nel corso del 2022, la produzione di energia rinnovabile è diminuita, evidenziando un divario rispetto agli obiettivi stabiliti a livello europeo.

Tuttavia, va sottolineato che l’Italia ha mantenuto un buon livello di riciclo dei rifiuti, anche se il tasso di utilizzo di materia derivante dai rifiuti, pur positivo, ha registrato una diminuzione. Allo stesso tempo, il paese si posiziona al diciannovesimo posto nell’Unione Europea per quanto riguarda le aree protette di terra.

La fotografia dell’Italia delle green economy è contenuta nella Relazione sullo Stato della Green Economy presentata in apertura degli Stati Generali della Green Economy 2023, il summit verde organizzato dal Consiglio Nazionale della Green Economy, composto da 68 organizzazioni di imprese, in collaborazione con il MASE e la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. dedicato quest’anno a “L’economia di domani: una green economy decarbonizzata, circolare e rigenerativa”.

“Un maggiore impegno nelle misure per la transizione ecologica all’economia di domani – ha detto Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – potrebbe contribuire in modo decisivo al rilancio dell’economia italiana, a promuovere innovazioni e investimenti. Dalle semplificazioni ad un quadro normativo più certo per la decarbonizzazione, da una riduzione dei costi energetici con un più forte sviluppo delle fonti rinnovabili, più economiche e più sicure alla penetrazione elettrica, da un rafforzamento della circolarità della nostra economia, ad un rafforzamento delle filiere industriali nazionali della transizione, potremmo promuovere il rilancio dell’economia italiana che invece, senza nuove prospettive, sta entrando in una fase di preoccupante stagnazione”.

L’Italia della green economy

  • Clima e Energia – Dal 2015 al 2022 le emissioni nette di gas serra sono state ridotte solo del 4% e dal 2019 al 2022 sono aumentate del 2%. La riduzione delle emissioni in atto nella prima parte del 2023 – per ragioni climatiche e di rallentamento dell’economia – non basta ad allinearci con l’accelerazione richiesta dai target europei. Nel 2022 l’energia rinnovabile è diminuita dal 21 del 2021 al 19% del fabbisogno: il trend è molto lontano dal target del 40% al 2030. Nel 2022 le rinnovabili elettriche sono calate dal 41% del 2021 al 35,6% della richiesta. Nel 2022 sono stati installati 3 GW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche: in aumento rispetto alla media molto bassa degli ultimi anni, ma con l’aumento in corso, l’Italia è ancora ben lontana dai 10/12 di GW annui di nuove rinnovabili che servirebbero per mettersi al passo con i target europei al 2030 e in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei: nel 2022, infatti, la Francia ha installato 5 GW, la Polonia 6 GW, la Spagna 9 GW e la Germania 11 GW di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici. Nei trasporti, settore cruciale e particolarmente ostico per la decarbonizzazione in Italia, nel 2022 sono aumentati di circa il 5% i consumi energetici e le emissioni di gas serra.
  • Economia circolare – La produttività delle risorse nel 2022 è ancora fra le migliori nell’UE, al 3,3 euro di PIL per Kg di risorsa consumata, ma è in calo rispetto ai 3,5 del 2019. La percentuale del riciclo di tutti i rifiuti nel 2020 è stata ad un buon livello: del 72 %, a fronte di una media europea del 58%. Nel 2021 il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo è stato pari al 18,4%, un buon livello rispetto alla media europea, ma di diminuzione rispetto al 2020. Si segnalano, infine, nel 2023 rilevanti difficoltà nel mercato di alcune materie prime seconde, in particolare di quelle plastiche.
  • Capitale naturale – Benché l’Italia sia ricca di biodiversità, tutela nel complesso solo il 21,4% del proprio territorio e il 6,9% del proprio mare, valori inferiori alla media della UE del 26,4% e del 12,1%. Per le aree protette a terra siamo al 19°posto nella Ue. Il monitoraggio ha evidenziato uno stato di conservazione sfavorevole del 54% della flora, del 53% della fauna e l’89% degli habitat terrestri tutelati dalla Direttiva Habitat.
  • Mobilità – Anche se le nuove auto immatricolate sono calate del 10% rispetto al 2021, il tasso di motorizzazione è cresciuto a 683 auto ogni 1.000 abitanti: quelle a benzina e diesel rappresentano ancora l’86% del totale. Le auto full-electric immatricolate al 30 giugno 2023 sono state solo 32.000 in tutto, 7.900 in più rispetto allo stesso periodo del 2022: valori ancora molto bassi rispetto agli altri Paesi europei.

Tutti i benefici economici di un’economia green decarbonizzata circolare e rigenerativa

Ha scritto l’Agenzia Internazionale dell’Energia nel suo ultimo World Energy Outlook 2023: “Le azioni chiave necessarie per ridurre le emissioni fino al 2030 sono ampiamente conosciute e nella maggior parte dei casi molto convenienti”. 

L’attuazione in Italia del pacchetto europeo “Fit for 55” per la decarbonizzazione al 2030 comporterebbe, in 10 anni, maggiori costi cumulati di 136,7 miliardi, generando un aumento del valore aggiunto di ben 689,1 miliardi e un risparmio di costi, per il solo settore energia, di ben 66 miliardi con maggiori entrate per lo Stato di ben 529,5 miliardi. L’attuazione delle misure europee per l‘economia circolare consentirebbe all’Italia, al 2030, di risparmiare 82,5 miliardi di materiali importati, di aumentare di 4 miliardi il valore delle attività di riciclo dei rifiuti e di ridurre i costi dello smaltimento di rifiuti in discarica di 7,3 miliardi. Si è molto polemizzato in Italia con l’iniziativa europea della Nature Restoration Law: iniziativa che può essere migliorata evitando l’errore di sottovalutare i benefici economici del ripristino degli ecosistemi. L’Italia, rispetto alla media europea, dovrebbe sostenere minori costi per il ripristino degli ecosistemi sia rispetto al PIL, sia per abitante, avendo una quota relativamente più bassa della media europea di ecosistemi in condizioni non buone. L’Italia avrebbe benefici di circa 2,4 miliardi dal ripristino degli ecosistemi con costi di 261 milioni, con benefici circa 9 volte i costi sostenuti.

Qui la presentazione della Relazione 2023

Qui la Relazione sullo stato della Green Economy 2023

da Redazione econews.it -  7 Novembre 2023

 

2 novembre 2023

Con la legge di bilancio prosegue la demolizione della sanità pubblica. Sempre più soldi a privati e grandi case farmaceutiche

di Mauro Del Corno * 

Dopo aver ridotto i fondi per la sanità, il governo Meloni introduce con la legge di Bilancio altre misure per “picconare” il servizio sanitario nazionale pubblico. La legge di Bilancio ha alzato la dotazione per sanità di soli 3 miliardi (di cui 2,3 destinati al rinnovo dei contratti collettivi di settore) portandola a 136 miliardi. Ma l’incremento non tiene il passo con l’inflazione e segna una diminuzione della spesa in rapporto al PilTra le altre novità ci sono disposizioni per aumentare i fondi che possono essere usati per acquistare servizi dalla sanità privata, e una misura che sopprime gli inventivi alle farmacie per la vendita di farmaci generici (identici a quelli di “marca” con brevetto scaduto ma meno cari), a vantaggio delle grandi case farmaceutiche e a svantaggio di conti pubblici e tasche dei cittadini.

L’articolo 45 prevede la possibilità di alzare la cifra pagata per gli straordinari di medici del servizio pubblico al fine di ridurre le liste di attesa. Ma i medici del SSN hanno già spiegato che il punto non è quanto vengono pagati gli straordinari ma che mancano le persone per farli (e la manovra non prevede nessun piano di nuove assunzioni). A questo punto però l’articolo 46 introduce una seconda opzione, quella di rivolgersi a strutture private, e prevede un incremento di fondi a questo scopo (123 milioni nel 2024, 368 milioni nel 2025 e ben 490 milioni nel 2026). Il risultato sarà insomma quello di spingere sempre più persone verso medici e strutture private che assorbiranno al quasi totalità dei fondi stanziati per alleggerire le liste di attesa. Nell’articolo successivo, il 47, ecco un altro regalino ai privati. In sostanza le regioni che fanno maggiormente ricorso a strutture private non subiranno più nessuna penalizzazione, a differenza di quanto accadeva prima in base a un criterio di “appropriatezza”.

La manovra riformula poi quello che va ai farmacisti come percentuale o quota fissa dalla vendita di medicinali (art.44). La novità più significativa è che viene meno l’incentivo di 28 centesimi a confezione per la vendita di farmaci generici equivalenti. In questo modo, anche per prodotti il cui brevetto è scaduto, la convenienza per chi vende è quella di piazzare il farmaco con il prezzo più alto. quasi sempre quello originale. Nel complesso si vede insomma come prosegua inesorabile l’opera di progressivo smantellamento della sanità pubblica. Un’operazione in cui si sono cimentati con maggiore o minor ardore, governi di tutti i colori. E ancora un’operazione particolarmente subdola perché mai ufficialmente dichiarata ma perseguita con trucchetti come l’impossibilità di fare un esame o una visita con il Ssn in tempi compatibili con le patologie. Forse anche per questo sinora accolta con una certa passività dall’opinione pubblica. A dare il la fu l’allora presidente del Consiglio Mario Monti che nel novembre 2012 affermò “Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento (ossia non pubbliche, ndr)”.

Il processo di riduzione delle risorse inizia qualche anno prima ma si intensifica nel decennio successivo. Come ricostruito dalla fondazione Gimbe, che parla di una “sanità in rotta verso il baratro”, tra il 2010 e il 2019 vengono tolti alla sanità pubblica 37 miliardi di euro. Solo nel quinquennio 2010 – 2015 vengono meno 25 miliardi allo scopo di migliorare i conti pubblici. Sono anni in cui si susseguono il quarto governo Berlusconi, il governo Monti, il governo Letta ed infine l’esecutivo Renzi. Altri 12 miliardi sono decurtati tra il 2015 e 2019 dai governi Renzi, Gentiloni e Conte 1. Nello stesso decennio i posti letto in ospedale si riducono da 410 a 350 ogni 100mila abitanti. I posti in terapia intensiva diventano la metà di quelli della Germania. Con lo scoppio della pandemia i fondi tornano brevemente a salire, in due anni aumentano di 11 miliardi che però servono ovviamente per le maggiori spese causate dall’emergenza e dunque non comportano alcun miglioramento strutturale del servizio. Messo da parte il Covid si ricomincia a stringere la cinghia. Oggi la spesa per la sanità pubblica vale in Italia il 6,6% del Pil, al di sotto della media Ocse e 4 punti percentuali in meno rispetto alla Germania. I medici di base a disposizione della popolazione sono 6,8 ogni 10mila abitanti e in continuo calo e al di sotto della media Ue.

* da FQ  - 2 novembre 2023

 

 

1 novembre 2023

La rapina del mondo e la destra climatica

di Guglielmo Ragozzino *

Gli scienziati avvertono che il tetto di riscaldamento climatico di 1,5° C rischia di essere sfondato a breve. Ma non ci sono buone aspettative per la Cop 28 a Dubai (30/11-10/12). Le lobby del fossile e della chimica si fanno scudo con il negazionismo climatico, con l’Italia in prima fila.

A Dubai, città spettacolo degli UAE, Emirati arabi uniti, è in preparazione la Cop 28, che si svolgerà tra il 30 novembre e il 10 dicembre. Il presidente designato è un maggiorente locale, un principe, H.E. Dr. Sultan Ahmed Al Jaber, che preannuncia così l’avvenimento. “Alla Cop 21 nel 2015 il mondo convenne di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C in confronto ai livelli preindustriali, per il 2050. La scienza ci dice che per mantenere l’impegno, tali emissioni devono dimezzarsi per il 2030. Abbiamo solo sette anni per raggiungere il risultato. Cop 28 nell’ UAE è la prima occasione per ripensare, riavviare, rimettere a fuoco l’agenda”.

Il pessimismo diffuso che circonda attualmente il pianeta obbliga a prevedere che il principe, dr. Sultan Ahmed Al Jaber, sia generosamente ottimista. Le prospettive da lui auspicate sono irraggiungibili e questo esito è sicuro dopo la riunione di Bruxelles del 17 ottobre che doveva decidere la linea di condotta dell’Unione europea a Dubai, un mese più tardi. Naturalmente potrebbe sempre verificarsi un capovolgimento nelle scelte degli europei e di conseguenza dell’intero Cop 28.

Se vivremo abbastanza, se scamperemo alle guerre in corso e a quelle che sembrano imminenti, potremo brindare al nuovo assetto della Terra i cui Capi hanno infine deciso per il meglio di tutti: non fare guerre ma provvedere, tutti insieme, ai comuni, ben noti, problemi ambientali: riscaldamento, alluvioni, incendi, siccità.

Le previsioni per Cop 28

Ma stiamo ai fatti, cioè alle dichiarazioni ufficiali dei potenti. Nella sua riunione del 17 ottobre il Consiglio dell’Unione europea ha sollecitato Cop 28 ad agire sul clima. Dopo aver elencato i mali del clima attuale, siccità e inondazioni, incendi e ondate di calore che colpiscono “comunità di ogni continente nel contesto di livelli record di emissioni di Gas Serra”, si passa ad elencare le soluzioni. In questo quadro “sottolinea il bisogno assai urgente di rafforzare la risposta globale all’emergenza climatica, con una significativa accelerazione alle riduzioni di emissioni a Effetto Serra da parte di tutti i paesi e azione di adattamento e sviluppo sostenibile come l’unica via per fronteggiare il cambiamento climatico e assicurare migliori standard di vita e prosperità per le popolazioni di ogni parte del mondo nonché la protezione di natura ed ecosistemi”. Belle parole: non si indica però chi debba “rafforzare la risposta globale”, “fronteggiare il cambiamento climatico”, “assicurare prosperità e protezione di natura ed ecosistemi”.

Gli europei hanno molte incertezze, per dirla benevolmente. Dopo aver lodato, come consuetudine, i risultati raggiunti dall’Ipcc (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) con il suo sesto ciclo di valutazione, il discorso si fa concreto. I contributi decisi da ciascuna nazione, presi tutti insieme, “non sono per niente sufficienti a rispettare il tetto di 1,5°C” prima della fine del 21° secolo, anche se scelte di adattamento e il riscaldamento a circa 1,5°C di mitigazione fossero comunque praticabili. Per buon peso, si aggiunge il resoconto del rapporto annuale sul clima decennale dell’Organizzazione Metereologica Mondiale: con una probabilità del 66%, la media annuale della temperatura globale tra 2023 e 2027 sarà maggiore dell’1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, per almeno un anno. La conclusione è che per limitare il riscaldamento a circa 1,5°C rispetto al tempo preindustriale si richiedono emissioni globali che raggiungano il massimo prima del 2025 e si riducano per il 43% entro il 2030 e del 60% prima del 2035, confrontando le emissioni a quelle del 2019. Una buona raccolta di speranze molto ardite.

Discussioni accese a Bruxelles sul come e sul perché

La discussione al vertice dell’Unione Europea è stata assai più accesa di quanto non mostrino gli accomodanti, diplomatici comunicati. C’è per esempio la ministra spagnola per la transizione ecologica Teresa Ribera che stando al quotidiano francese Le Monde (18 ottobre 2023, Virginie Malingre) la spiega così: “Certi rari” governi tra cui Varsavia, Budapest, Sofia, Zagabria e Roma “non volevano causare confusione”. C’è da pensare che essi puntassero “a un nuovo obiettivo. I ventisette hanno deciso di non sostenere a Dubai “l’uscita senza condizioni” dai combustibili fossili… Senza giudicare necessaria una data precisa, gli Europei propongono secondo loro un picco di consumi durante il decennio corrente”. Discussione accanita – complessa secondo il giornale – tra due blocchi: ci sono, tra gli uni, Francia, Germania, Paesi Bassi che, come le Ong, si battono per uscire senza condizioni da tutti i combustibili fossili”. Contro, un gruppo di pari forza di paesi tra cui Ungheria, Polonia, Italia, Malta che suggeriscono di non mettere in difficoltà i paesi (anche nell’Unione europea) per i quali l’energia fossile è ancora vitale. Per esempio c’è la Polonia, capofila dei paesi dipendenti dal carbonio – nel suo caso è il carbone sul serio – che non accetta di mettere in calendario la discussione sulla transizione ecologica “vera e propria”.

Prima di tornare brevemente sulla mancata data di calendario sull’uscita dal “fossile” vorremmo mettere in evidenza la posizione di Roma nella discussione generale nell’Unione europea. Il primo pensiero è ovvio: Roma si schiera, anzi prende il comando delle destre europee dichiarate, Varsavia, Budapest, ecc. L’aspetto “politico” è di certo presente, ma non va trascurato un altro elemento, economico e sociale. Intorno alla diatriba “fossile no; fossile no, ma tra un po’”, vi sono aspetti decisivi dell’economia e della società, con i quali Roma è in grave ritardo; più ancora, Roma è dipendente dal sistema industriale italiano, dominato dalla finanza, che soprattutto è la falda, il cappuccio, che copre, dovunque siano orginati, i capitali del nostro paese e che comprendono le Fabbriche, la Borsa, i Giornali; e tutto il resto.

Per evitare di perdere tempo con qualche filosofia della società, argomento superiore alle nostre forze, ci limitiamo a toccare il tema dei prodotti chimici che fanno parte molto intensa della nostra vita attuale.

Le lobby della chimica (e della salute)

Avviene che nella stessa pagina Plànete di Le Monde c’è un articolo ancor più lungo di quello di Malingre. Qui c’è perfino una gran foto di Ursula von der Leyen alle prime armi di presidente della Commissione (2019). Gli autori dello scritto sono Stéphane Foucart e Stéphane Mandard. Come mai – si chiedono i giornalisti – l’Unione Europea non riesce a indicare una data per discutere nel quarto trimestre del 2023 dei prodotti chimici? E rispondono che si tratta di certo di una vittoria delle lobby dell’industria contro la salute e l’ambiente. Vengono anche fatti due nomi di lobbisti e delle relative industrie; nomi che vengono in mente a tutti – esperti o inesperti – dei misteri della Chimica europea. Sono Bayer e Basf, con un codazzo di altri grandi nomi. La scienza si batte con coraggio e dedizione dentro e fuori certi istituti, importantissimi e poco conosciuti al grande pubblico, come Reach oppure Echa (l’uno, Reach, essendo il Sistema di registrazione, valutazione (évaluation in francese) e autorizzazione dei prodotti chimici; l’altro, Echa, Agenzia europea dei prodotti chimici: politico il primo consesso, tecnico-scientifico il secondo; per quest’ultimo (secondo l’ufficio statistico Eurostat) il 74% dei prodotti chimici sono dannosi per la salute o l’ambiente, mentre il 18% sono classificati come cancerosi. 

“Vale la pena, vale la pena o no?” 

Ma basta! con il citare le brutte cose. Parliamo invece del bello della vita, i soldi. Cambiare i prodotti chimici attuali con altri più rispettosi della salute e del buon senso potrebbe far raggiungere un vantaggio in termini monetari, per mancate spese di salute (mancata salute, cure mediche, ecc.) calcolabile tra gli 11 e i 31 miliardi di euro l’anno, sempre secondo affidabili esperti. Un bel divario, che certo dipende dall’occasione di chimica pulita che rimane nei sogni. Più concreto è l’introito mancato con la trasformazione industriale che eviti decisamente la chimica pericolosa, trasformando processi e prodotti. La perdita di guadagno (entrate) viene calcolata tra 0,9 miliardi di euro e 2,7 miliardi. Vale la pena di fare questo scambio?

“Vale la pena, vale la pena o no?”, diceva la canzone di Paolo Pietrangeli. Una canzone che ha per titolo: Era sui quarant’anni. (Era sui quarant’anni e non se ne era accorto)

Ma possiamo noi aspettare altri quarant’anni per decidere il Che fare?

* da sbilanciamoci.info - 23 Ottobre 2023