27 novembre 2023

In Messico, dove la violenza di genere resta impunita

25 novembre. Domani il corteo, passando per la Glorieta de las mujeres que luchan. Sedici femminicidi al giorno. Solo nell’1% dei casi si arriva a un processo

di   Daniele Nalbone *

Sedici donne uccise, in media, ogni giorno. Oltre 17mila negli ultimi tre anni. Un numero che però arriva a ventimila considerando le donne ancora oggi scomparse e di cui non si hanno notizie. Sono questi i dati dell’Osservatorio nazionale cittadino del femminicidio (OCNF) citati da Gabriela Amores, portavoce dell’Unione nazionale delle avvocate e tra le organizzatrici del Contingente 25N, nel corso di una delle conferenze stampa di avvicinamento alla manifestazione che si è tenuta alcuni giorni fa al Museo delle donne di Città del Messico per denunciare come sia l’impunità una delle cause di questa carneficina: «Solo l’1% dei casi in cui la vittima è una donna ha un vero processo giudiziario e arriva a sentenza» ha denunciato Amores.

Il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, «scenderemo in piazza per chiedere giustizia e sostenere le famiglie delle donne uccise».

Ad aprire il corteo saranno proprio le madri delle vittime. La manifestazione partirà dal Monumento all’indipendenza e, passando dalla Glorieta de las mujeres que luchan, rotonda del Paseo de la Reforma che dal 2021 è un’installazione artistica dedicata alla donne combattenti, arriverà allo Zócalo, di fronte al Palazzo Nazionale, dove più di quattromila sagome – «figlie, sorelle e amiche assassinate» – ricorderanno al governo l’urgenza di affrontare la violenza di genere in Messico.

COME OGNI ANNO, sarà una manifestazione «difficile, per non dire pericolosa, per le decine di migliaia di donne che parteciperanno» ci spiega Silvia Ruiz di Rompe el miedo (Rompere la paura), rete di giornalisti e attivisti dei diritti umani per monitorare le manifestazioni nata nel 2013 in occasione del tragico anniversario del massacro noto come El Halconazo: era il 10 giugno 1971 quando il reparto paramilitare dei Los Halcones (i falchi) uccise 225 studenti che stavano protestando contro il governo allora guidato da Luis Echeverría Álvarez.

«DA NOVE ANNI LA RETE di giornalisti e attivisti dei diritti umani segue i cortei per documentare eventuali provocazioni e aggressioni da parte delle autorità», continua Ruiz, «e anche quest’anno saremo in piazza fin dalla mattina per seguire in tempo reale gli avvenimenti, denunciare incidenti, occuparci della sicurezza dei manifestanti». Per tutta la giornata «documenteremo eventuali attacchi alla marcia e saremo in contatto con le autorità di Città del Messico per denunciare eventuali violazioni da parte degli agenti di polizia». Un fenomeno, questo, che negli anni ha portato la rete a diffondere prima di ogni evento ritenuto a rischio – un corteo così come un appuntamento elettorale – un vero e proprio vademecum per i giornalisti e per gli attivisti dei diritti umani, «i primi a finire nel mirino di chi ha interesse a invisibilizzare le proteste, se non a provocare scontri per poterle poi criminalizzare».

LE RACCOMANDAZIONI per domani sono diverse: «Nessuna deve muoversi da sola; maglie viola o con simboli della protesta e della lotta femminista vanno indossate solo durante il corteo; il telefono deve essere sempre carico; a fine corteo evitare di girare per la città in piccoli gruppi». Perché «quella di domani sarà una giornata di lotta a tutti gli effetti».

Il contrasto alla violenza di genere sarà uno dei principali temi dell’ormai prossima campagna elettorale. A giugno il Messico sarà chiamato a scegliere il successore di Andrés Manuel López Obrador e il partito Movimento rigenerazione nazionale (Morena) ha individuato nell’ex sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, la candidata alla presidenza. La sfida sarà con un’altra donna: la conservatrice Xóchitl Gálvez. A ridosso del 25 novembre, Sheinbaum ha lanciato la sua prima proposta sul tema: una procura ad hoc che si occupi della violenza di genere, «non solo di femminicidi».

La nuova fiscalía «dovrà muoversi fin dal momento della denuncia, ad esempio, per allontanare l’aggressore da casa. Oggi la prima misura preventiva è trovare un luogo sicuro per la donna che denuncia il proprio marito o compagno. Ma non può continuare così. A doversi allontanare deve essere chi aggredisce, non chi è aggredito».

Nella foto: Manifestanti alla "Glorieta de las mujeres que luchan" a Città del Messico

* da Il manifesto - 24 novembre 2023

=

La rivoluzione dolce nella casa delle donne in Messico

L'intervista. Sandra Cardona coordina una rete messicana di centri per l'aborto che ha assistito oltre 20mila donne. Ed è recente, dopo la sentenza shock della Corte suprema, l'arrivo di molte statunitensi

  di Daniele Nalbone *

«Basta mandarci una mail. Oppure bussare direttamente alla porta della nostra casa». Unica regola: «Ingresso vietato agli uomini». Le donne che devono abortire «possono venire da sole o accompagnate da madri, sorelle amiche. Ma per gli uomini la casa è inaccessibile». Sandra Cardona ha fondato nel 2016 il gruppo Necesito Abortar (Devo abortire) nella città di Guadalupe, oggi di fatto un quartiere periferico di Monterrey, capitale del Nuevo León.

Nonostante dallo scorso settembre la Corte suprema abbia stabilito che abortire in Messico non è più un crimine, in questo stato al confine con gli Usa l’interruzione di gravidanza è consentita solo in caso di stupro o di rischio per la salute della donna, pena una condanna fino a un anno di carcere. Cinque anni è invece la pena massima stabilita dagli stati di Chihuahua e Tamaulipas, addirittura sei da quello di Sonora.

Al nord del Messico, soltanto in Baja California e Coahuila è possibile oggi interrompere una gravidanza senza incorrere in procedimenti penali.

Tutto ha avuto inizio su Facebook, ci racconta, e l’obiettivo era dare informazioni e assistenza a chi voleva interrompere la propria gravidanza: nemmeno lei si aspettava, in pochi anni, di arrivare ad aiutare oltre ventimila donne.

Soprattutto, mai avrebbe pensato di dover assistere cittadine statunitensi, come avviene da quando il Texas, nel settembre 2021, ha vietato l’aborto e la Corte Suprema, il 24 giugno 2022, ha annullato la storica sentenza Roe vs Wade del 1973 che garantiva l’accesso costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza in tutti i cinquanta stati. La contattiamo a ridosso della giornata del 25 novembre.

Sono tante oggi le donne statunitensi che si stanno rivolgendo a voi?

Da quando abbiamo aperto la “casa”, un luogo in cui venire per abortire farmacologicamente in maniera sicura, lontano dallo stigma sociale che accompagna l’interruzione di gravidanza in un paese come il Messico, capitava in media una volta al mese di essere contattate e aiutare donne statunitensi. Principalmente venivano da noi donne messicane o migranti. Ma negli ultimi due anni il numero è aumentato sensibilmente. Oggi sono almeno cinque o sei le donne che ogni settimana arrivano dagli Stati Uniti qui in Nuevo León.

Non avete paura a operare in luoghi così pericolosi, soprattutto per le donne, come gli stati del Nord del Messico?

Negli ultimi due anni abbiamo iniziato a lavorare addirittura a Ciudad Juárez, al confine col Texas, nonostante i rischi che comporta organizzarsi e soprattutto scendere in strada in quello che è uno dei luoghi più pericolosi al mondo per una donna.

Ma il nostro ruolo oggi ci obbliga a convivere con la paura. Dico convivere perché è impossibile non averne. La cosa che ci ha sorpreso è che le minacce contro le nostre attiviste sono aumentate da quando abbiamo iniziato ad accompagnare le donne statunitensi. Evidentemente questa “apertura” è stata malvista non solo dai gruppi criminali ma anche dagli antiabortisti.

Come funziona l’accesso alla casa di Guadalupe? E quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nella vostra attività?

Dopo averci contattato, prendiamo un appuntamento e si procede con l’aborto: tutto molto semplice. La donna arriva la mattina e nel primo pomeriggio può già tornare a casa. Qui ha tutto il necessario per interrompere la gravidanza in tutta tranquillità.

Nella parte anteriore della casa c’è lo studio in cui si viene ricevute; nella parte posteriore ci sono le stanze con tutto il necessario per rilassarsi, libri, impianto stereo, televisione, divani. La parte più difficile del nostro lavoro è sicuramente fuori dalla casa, nella società.

Qual è il momento invece più bello delle vostre “giornate tipo” nella casa?

Da tanto tempo vorrei realizzare un progetto fotografico per raccogliere i ritratti delle donne che accompagniamo prima e dopo aver abortito. La loro espressione cambia radicalmente. Quando arrivano sono tese, preoccupate, spaventate. Quando escono, sorridono. Poter finalmente avere accesso ai propri diritti cambia la vita. E i loro volti ne sono la prova, ogni giorno.

Siamo ormai alla fine del mandato presidenziale di Andrés Manuel López Obrador. Com’è oggi la situazione in Messico? Qualcosa è cambiato?

La nostra rete sta crescendo ogni giorno di più. Il che ovviamente per noi è un grande risultato ma, al tempo stesso, è una brutta notizia perché significa che oggi abortire in sicurezza è ancora un problema. La desaparición e i femminicidi sono il problema più noto del Messico. Ma la violenza di questa società si mostra ogni giorno in modi meno visibili, negando diritti di base.

Oggi in Messico non si può incriminare nessuna donna per aver abortito. O meglio, non si potrebbe. Città del Messico non è il Messico: lontano dalla capitale la situazione è molto critica. Di fatto, non è cambiato niente, nonostante la sentenza della Corte suprema.

Qual è, in Messico, il valore di una giornata come quella del 25 novembre?

L’importanza che il 25 novembre ha assunto a livello mondiale è un riconoscimento alle donne che lottano ogni giorno per i propri diritti. E non parlo solo delle attiviste. Noi, per restare al nostro caso, accompagniamo casi di violenza sessuale e aiutiamo donne che hanno deciso di abortire. Ma sono loro che stanno affrontando davvero la società.

Rivoluzionario, oggi, in Messico è dire a una mamma e a un papà di volersi separare dal proprio marito perché è violento. Rivoluzionario è comunicare a un’amica la decisione di abortire. A essere rivoluzionaria è una sorella che ti accompagna a farlo.

Mi hanno colpito i disegni e i colori che caratterizzano report, studi e tutto il materiale che avete sul sito per raccontare il vostro lavoro. Perché questa scelta?

Perché qui diamo centralità ai diritti. E i diritti sono vita. E la vita è a colori. Anche in un luogo come il Nord del Messico. Anzi, soprattutto in un luogo come il Nord del Messico.

  * da Il manifesto 26 novembre 2023

Nessun commento:

Posta un commento