30 ottobre 2015

COP 21: firmato l'appello di cardinali, patriarchi e vescovi di tutto il mondo



Cardinali, Patriarchi e Vescovi di tutto il mondo, rappresentanti le istanze continentali delle Conferenze episcopali nazionali, riuniti il 26 ottobre, in conferenza stampa presso la Sala Stampa Vaticana, hanno siglato un appello rivolto a quanti negoziano la COP 21 a Parigi, invitandoli a lavorare per l'approvazione di un accordo sul clima. Ecco le conclusioni:

In rappresentanza della Chiesa cattolica dei cinque continenti, noi Cardinali, Patriarchi e Vescovi ci siamo riuniti per volere del segretario di Stato della Santa Sede per esprimere, da parte nostra e per conto delle persone che abbiamo a cuore, la speranza diffusa che dai negoziati della COP 21 di Parigi emerga un accordo sul clima giusto e giuridicamente vincolante. Avanziamo una proposta politica su dieci punti, formulata sulla base dell’esperienza concreta delle persone attraverso i vari continenti e associando i cambiamenti climatici all’ingiustizia e all’esclusione sociale dei più poveri e dei più vulnerabili dei nostri cittadini. 

Cambiamenti climatici: sfide ed opportunità
Nella sua lettera enciclica, Laudato Si’ (LS), rivolta ad “ogni persona che abita questo pianeta” (LS 3), Papa Francesco afferma che “i cambiamenti climatici costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità” (LS 25). Il clima è un bene comune, condiviso, che appartiene a tutti e destinato a tutti (LS 23). L’ambiente naturale è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti (LS 95).
Credenti o non, siamo d’accordo oggi che la terra è essenzialmente un’eredità comune, i cui frutti sono destinati a beneficio di tutti. Per i credenti, questa diventa una questione di fedeltà al Creatore, in quanto Dio ha creato il mondo per tutti. Quindi ogni approccio ecologico deve incorporare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei poveri e dei diseredati (LS 93).
Il danno al clima e all’ambiente ha enormi ripercussioni. Il problema sorto a seguito della vertiginosa accelerazione del cambiamento climatico è globale nei suoi effetti e ci sfida a ridefinire le nostre nozioni di crescita e progresso. Rappresenta una questione di stile di vita. A causa delle sue dimensioni e della sua natura globale, l’impatto del clima ci obbliga a trovare una soluzione che sia consensuale e ci invita ad una solidarietà universale, “intergenerazionale” ed “intragenerazionale” (LS 13, 14, 162).
Il Papa definisce il mondo come “la nostra casa comune”. Pertanto, nell’amministrarla, dobbiamo tener presente il degrado umano e sociale, che è conseguenza di un ambiente danneggiato. Chiediamo un approccio ecologico integrale, chiediamo giustizia sociale da porre al centro dell’attenzione “per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri“ (LS 49). 

Lo sviluppo sostenibile deve includere i poveri 
Mentre si lamenta il forte impatto del rapido cambiamento climatico sui livelli del mare, sui fenomeni atmosferici estremi, sul deterioramento degli ecosistemi e sulla perdita della biodiversità, la Chiesa è anche testimone di come il cambiamento climatico stia avendo effetti sulle comunità ed i popoli più vulnerabili, soprattutto a loro svantaggio. Papa Francesco richiama la nostra attenzione sulle conseguenze irreparabili di cambiamenti climatici incontrollati in molti paesi in via di sviluppo in tutto il mondo. Inoltre, nel suo discorso alle Nazioni Unite Papa ha detto che l’abuso e la distruzione dell’ambiente sono accompagnati anche da un processo inarrestabile di esclusione.

Leader coraggiosi alla ricerca di accordi vincolanti
Costruire e mantenere una casa comune sostenibile richiede una leadership politica coraggiosa e creativa. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti e assicuri la protezione degli ecosistemi (LS 53).
Prove scientifiche attendibili rivelano che l’accelerazione del cambiamento climatico è in gran parte dovuta all’attività umana sfrenata, che lavora su un modello particolare di progresso e di sviluppo. L’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili è la prima responsabile. Il Papa ed altri leader religiosi, sensibili al danno causato, fanno appello ad una drastica riduzione delle emissioni di biossido di carbonio e di altri gas tossici.
Ci uniamo al Santo Padre nell’implorare un grande passo avanti a Parigi, per un accordo globale e generatore di un vero cambiamento sostenuto da tutti, basati su principi di solidarietà, di giustizia e di partecipazione. Questo accordo deve porre il bene comune innanzi agli interessi nazionali. È essenziale anche che i negoziati si concludano con un accordo vincolante che protegga la nostra casa comune e tutti i suoi abitanti. 

Noi, Cardinali, Patriarchi e Vescovi, lanciamo un invito generale e avanziamo dieci proposte politiche specifiche. Chiediamo alla COP 21 di stringere un accordo internazionale per limitare l’aumento della temperatura globale entro i parametri attualmente proposti all’interno della comunità scientifica mondiale al fine di evitare impatti climatici catastrofici, soprattutto sulle comunità più povere e vulnerabili. Siamo d’accordo sul fatto che esiste una responsabilità comune, ma anche differenziata di tutte le nazioni. Vari paesi hanno raggiunto differenti stadi in materia di sviluppo. La necessità di lavorare insieme per uno sforzo comune è imperativa.

Le nostre 10 proposte:
1.     tenere a mente non solo le dimensioni tecniche, ma soprattutto quelle etiche e morali dei cambiamenti climatici, di cui all’articolo 3 della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
2.     accettare che il clima e l’atmosfera sono beni comuni globali appartenenti a tutti e destinati a tutti.
3.     adottare un accordo globale equo, generatore di un vero cambiamento e giuridicamente vincolante sulla base della nostra visione del mondo che riconosce la necessità di vivere in armonia con la natura e di garantire il rispetto dei diritti umani per tutti, compresi quelli dei popoli indigeni, delle donne, dei giovani e dei lavoratori.
4.     mantenere l’aumento della temperatura globale e di fissare un obiettivo per la completa decarbonizzazione entro la metà del secolo, al fine di proteggere le comunità che in prima linea soffrono gli impatti dei cambiamenti climatici, come quelle nelle isole del Pacifico e nelle regioni costiere.
  • garantendo che la soglia della temperatura sia sancita in un accordo globale giuridicamente vincolante, con impegni ambiziosi di attenuazione ed azioni da parte di tutti i paesi che tengano pienamente conto delle loro responsabilità comuni ma differenziate e delle loro rispettive capacità (CBDRRC), sulla base di principi di equità, responsabilità storiche e sul diritto allo sviluppo sostenibile.
  • per assicurare che le riduzioni delle emissioni dei governi siano in linea con l’obiettivo della decarbonizzazione, i governi devono svolgere dei riesami periodici degli impegni presi e dell’ambizione Affinché questi controlli vadano a buon fine, devono avere basi scientifiche, devono seguire il principio dell’equità e devono essere obbligatori.
1.     generare nuovi modelli di sviluppo e stili di vita che siano compatibili con il clima, affrontare la disuguaglianza e portare le persone ad uscire dalla povertà. Fondamentale per questo è porre fine all’era dei combustibili fossili, eliminandone gradualmente le emissioni, comprese le emissioni provenienti da militari, aerei e marittimi, e fornendo a tutti l’accesso affidabile e sicuro alle energie rinnovabili, a prezzi accessibili.
2.     garantire l’accesso delle persone all’acqua e alla terra per sistemi alimentari sostenibili e resistenti al clima, che privilegino le soluzioni in favore delle persone piuttosto che dei profitti.
3.     garantire, a tutti i livelli del processo decisionale, l’inclusione e la partecipazione dei più poveri, dei più vulnerabili e dei più fortemente influenzati.
4.     garantire che l’accordo 2015 offra un approccio di adattamento che risponda adeguatamente ai bisogni immediati delle comunità più vulnerabili e che si basi sulle alternative locali.
5.     riconoscere che le esigenze di adattamento sono condizionate dal successo delle misure di attenuazione adottate. I responsabili del cambiamento climatico hanno l’onere di assistere i più vulnerabili nell’adattarsi e nel gestire le perdite e i danni e nel condividere la tecnologia e il know-how necessari.
6.     fornire roadmap chiare su come i paesi faranno fronte alla fornitura di impegni finanziari prevedibili, coerenti ed aggiuntivi, garantendo un finanziamento equilibrato delle azioni di attenuazione e delle esigenze di adattamento. 

Tutto questo richiederebbe una seria consapevolezza e educazione ecologica (LS 202-215).

Preghiera per la Terra
Dio dell’amore, insegnaci a prenderci cura di questo mondo, che è la nostra casa comune. Ispira i leader di governo quando si riuniranno a Parigi per ascoltare con attenzione il grido della terra e il grido dei poveri ad essere uniti nel cuore e nella mente nel rispondere con coraggio alla ricerca del bene comune e alla protezione del bellissimo giardino terrestre che hai creato per noi, per tutti i nostri fratelli e sorelle, per tutte le generazioni a venire. Amen

da unimondo.org - fonte: Focsiv.it – 27 ottobre 2015

24 ottobre 2015

10 motivi per cui il patto sul clima sarà una corazzata Potëmkin



Una analisi della bozza di trattato globale (da rinnovabili.it )


Così la coalizione ambientalista che protesterà alla COP 21 analizza il testo diffuso dall’ONU che sarà la base del negoziato ONU sul clima


Il testo base dell’accordo globale sul clima, diffuso dalle Nazioni Unite il 5 ottobre, è inaccettabile. Lo dice chiaro e tondo Maxime Combes, economista e membro di Attac France, organizzazione che insieme a 350.org ha promosso l’appello contro i crimini climatici.


I due presidenti e facilitatori del negoziato, Ahmed Djoghlaf e Dan Reifsnyder, hanno rilasciato il documento 15 giorni dopo l’ultima sessione negoziale di Bonn, preparatoria alla COP 21. Il testo, 10 pagine, è suddiviso in 26 capitoli: molto più breve, dunque, delle bozze circolate dopo la COP 20 di Lima, tutte intorno alle 80 pagine. Secondo Combes, un accordo basato su di esso metterebbe in grave pericolo l’umanità, poiché non scioglierebbe i grandi nodi che da anni bloccano l’azione dei governi sul riscaldamento globale. L’economista e attivista ha spiegato il perché in 10 punti.


 1. I target nazionali di riduzione delle emissioni non fanno parte del negoziato

«Per quanto incredibile possa sembrare – scrive Maxime Combes – gli obiettivi di riduzione delle emissioni dopo il 2020 che gli Stati erano invitati a rendere pubblici prima della COP 21 non fanno parte delle questioni oggetto di negoziato. Tali obiettivi, oggi non vincolanti e in gran parte inadeguati, non saranno rivisti al rialzo a seguito dei negoziati». La somma di tutte queste promesse è molto distante dall’obiettivo dei 2 °C di aumento massimo della temperatura media globale entro il 2100. Secondo tre differenti studi, il termometro salirà di 2,7-3,5 °C. Lo scarto fra gli obiettivi e le promesse non sarà oggetto delle trattative: verranno solo discussi i metodi (spesso molto diversi) che ciascuno Stato ha adottato per calcolare il proprio impegno sul clima. In pratica, spiega Combes, «si negozia il contenitore, non il contenuto».

 2. Verranno ignorati tutti gli avvertimenti dell’IPCC

«L’articolo 3 di questa bozza è emblematico dell’inconsistenza dell’intero testo», afferma l’economista. I climatologi hanno chiaramente previsto che nel breve, medio e lungo termine, una riduzione delle emissioni globali del 40-70% entro il 2050 per mantenere l’aumento di temperature inferiore ai 2 °C. Hanno anche raccomandato di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2020, per poi ridurle a 44 Gt CO2eq l’anno entro il 2020, 40 Gt entro il 2025 e 35 Gt entro il 2030. Nessuno di questi obiettivi a breve e medio termine è menzionato nel testo. I risultati e le raccomandazioni dell’IPCC vengono dunque ignorati.

Inoltre, gli Stati sono semplicemente “invitati” a formulare obiettivi a lungo termine. Per quanto riguarda quelli a breve e medio termine, la trattativa in seno alla COP 21 dovrà stabilire se li “devono” o li “dovrebbero” raggiungere. E qui il condizionale è pesantissimo.

3. Un debole e incerto meccanismo di revisione

Data l’emergenza climatica, gli Stati membri dell’UNFCCC dovrebbero essere obbligati a tenere sotto controllo i loro obiettivi di riduzione delle emissioni grazie ad un meccanismo vincolante di revisione. Ma questa, all’interno della bozza finale, è soltanto una possibilità, che fra l’altro incontra diverse resistenze. Alcuni propongono revisioni dopo 5 anni, ma gli Stati Uniti spingono per allungare i tempi a 10 anni.

4. Combustibili fossili mai menzionati

Nelle 10 pagine del testo che dovrebbe organizzare una politica internazionale contro il cambiamento climatico, i combustibili fossili non sono mai citati. «Riuscite a immaginare una conferenza internazionale sul cancro del polmone – ironizza Maxime Combes – il cui documento finale non menziona il consumo di tabacco?». Almeno, nelle versioni precedenti, l’economista è convinto che si prendeva in considerazione l’idea di ridurre i sussidi alle fonti inquinanti.

Il settore riceverà quest’anno, secondo il Fondo Monetario Internazionale, oltre 5.300 miliardi di dollari in sussidi diretti e indiretti.

5. Nessun finanziamento adeguato

L’impegno assunto a Copenaghen nel 2009 prevedeva di sbloccare 100 miliardi di dollari entro il 2020 per sostenere i Paesi e le popolazioni più povere. Ma non vi sono vincoli nelle 10 pagine diffuse dall’ONU: dopo 6 anni, tutto è nuovamente demandato al negoziato. Questo perché i Paesi più ricchi si rifiutano di porre obiettivi vincolanti e puntano tutto su altre fonti di finanziamento, a partire dal settore privato. Non vi è, infine, alcuna tabella di marcia che indichi come gli impegni finanziari degli Stati proseguiranno dopo il 2020.

6. Graziati aviazione e trasporto navale

L’aviazione e il settore del trasporto marittimo contano ciascuno per il 2% delle emissioni globali (senza considerare navi e aerei militari). Storicamente, questi due settori non sono coperti dagli obiettivi di riduzione nazionali stabiliti nel quadro dei negoziati internazionali. Eppure, i gas serra in questi due comparti potrebbero aumentare del 250% entro il 2050 in uno scenario business as usual. Tuttavia, il testo non menziona un loro contributo alla riduzione del riscaldamento globale.

 7. Nessun piano per lo sviluppo delle rinnovabili

In una nota pubblicata nel 2011, l’IPCC ha dichiarato che “quasi l’80% dell’approvvigionamento energetico mondiale potrebbe essere fornita da fonti rinnovabili entro la metà di questo secolo, se lo sforzo fosse sostenuto da adeguate politiche adeguate”. Nel testo uscito il 5 ottobre, però, non si parla di energie rinnovabili. Nel frattempo, l’organo di conciliazione (DSB – Dispute Settlement Body) dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) ha fatto a pezzi diversi piani nazionali e regionali per il sostegno delle energie rinnovabili. Motivo? Vanno contro le regole del commercio internazionale.

8. Diritti umani, sociali e politici citati “en passant

Il paragrafo sul rispetto dei diritti umani, civili e politici è una dichiarazione di intenti senza vincoli che compare nell’introduzione all’accordo. Su questo punto l’analisi di Maxime Combes è lapidaria: «Pensavi che la conferenza di Parigi potesse essere un passo importante nel contesto di una transizione energetica globale basata sulla giustizia sociale, i diritti umani e la sovranità alimentare? Svegliati».

9. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite ne esce indebolita

Redatta e adottata nel 1992 a Rio de Janeiro, la Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici si basa su una serie di principi che garantiscono criteri di giustizia tra i diversi Paesi e le diverse popolazioni del mondo. Non sono tutti ugualmente responsabili per la crisi climatica e non hanno gli stessi mezzi per farvi fronte. Questa realtà fa parte del principio della responsabilità comune ma differenziata. Questo principio, in gran parte annacquato nel tempo, è riproposto nella bozza di accordo per la COP 21: l’articolo 2 si limita ad affermare che il testo «riflette» tale principio.

10. Restano in piedi tutte le idee più pericolose

Rimane in piedi il concetto di «emissioni nette zero», segnalato dal testo come target a lungo termine. Se assomiglia al costrutto «emissioni zero», è tuttavia molto diverso. Il primo, infatti, è una completa distorsione del secondo. Invece di richiedere riduzioni reali delle emissioni, si permette di compensarle tramite interventi tecnologici, dalla cattura e stoccaggio del carbonio alla riforestazione, sistemi con utilità dubbia e spesso sovrastimata.

17 ottobre 2015

Una società tutta a energia rinnovabile


L’articolo Svezia, primo paese libero dal petrolio ha suscitato moltissime attenzioni. Torniamo sul tema con un intervento di Giorgio Nebbia

( Giorgio Nebbia su comune-info.net )


È quanto mai difficile sapere che cosa succederà nei prossimi anni, nell’economia, nell’energia, nell’ambiente, ma qualche ipotesi sui possibili eventi futuri è pur utile fare. Un esercizio di questo genere è stato pubblicato di recente col titolo: “Energia rinnovabile al 100 per cento per tutti”. Le previsioni sono estese al 2050 per una popolazione mondiale di nove miliardi e mezzo di persone, con una drastica diminuzione dei consumi dei combustibili fossili, responsabili dei mutamenti climatici, senza energia nucleare, con consumi totali di energia più o meno uguali a quelli attuali derivati prevalentemente da fonti rinnovabili: l’energia solare come fonte di calore e di elettricità, l’energia del vento e quella geotermica come fonti di elettricità, l’energia idroelettrica, la biomassa come fonte di calore e di prodotti industriali.

Nel mondo la richiesta di energia è ripartita in parti più o meno uguale fra i settori dei trasporti, delle città e delle famiglie, e dei vari processi industriali. I trasporti di persone e merci su strada e ferrovia, in teoria, potrebbero anche essere alimentati soltanto con l‘elettricità. Cominciano a fare qualche passo le proposte di autoveicoli elettrici, ma la sostituzione di oltre un miliardo di automobili e camion a benzina o gasolio con altrettanti elettrici richiederebbe la soluzione di molti problemi. Attualmente ogni autoveicolo porta con se, in un serbatoio, una riserva di combustibile che consente di percorrere centinaia di chilometri. Un autoveicolo elettrico può portare con se l’elettricità soltanto immagazzinata in batterie di accumulatori; oggi quelle più progredite, a ioni di litio, assicurano l’autonomia del veicolo soltanto, al massimo, per poche centinaia di chilometri prima della ricarica con altra elettricità. La transizione “elettrica” richiederebbe, quindi, una grande quantità di litio, un elemento relativamente raro in natura, e milioni di stazioni di “rifornimento” di elettricità.

Alcuni mezzi di trasporto, quelli aerei e navali, possono muoversi soltanto con carburanti liquidi e occorrerebbe produrre su larga scala nuovi biocarburanti ottenibili da sottoprodotti agricoli e forestali. Le famiglie e i servizi urbani richiedono energia sia sotto forma di elettricità sia sotto forma di calore; in via di principio, sarebbe possibile riscaldare d’inverno, con impianti elettrici, le abitazioni, gli uffici, i negozi, in città alimentate dall’elettricità prodotta sul posto dal Sole o dal vento o dal calore geotermico del sottosuolo.

Un terzo dei consumi mondiali di energia viene richiesto dalle industrie che fabbricano, con diversissimi cicli produttivi, gli innumerevoli prodotti che usiamo. L’acciaio, che oggi viene prodotto in ragione di circa un miliardo e mezzo di tonnellate all’anno, può essere ottenuto con processi elettrici; lo stesso vale per altri metalli strategici come alluminio e magnesio.

Anche in una società basata su fonti energetiche rinnovabili sarebbe necessario ricorrere ancora ad una certa quantità di combustibili fossili come carbone, petrolio o metano, difficilmente sostituibili con la biomassa. Questo vale per la produzione di cemento, circa quattro miliardi di tonnellate all’anno, che richiede calore ad alta temperatura. I grandi prodotti di base dell’industria chimica come l’acido solforico, l’ammoniaca e i fosfati, essenziali per la produzione di concimi, potrebbero essere fabbricati con processi elettrici.

Più complicato fare a meno di idrocarburi per l’industria delle sintesi chimiche da cui derivano materie plastiche, ma anche coloranti, prodotti farmaceutici e molti altri. Se proprio volessimo correre con la fantasia si potrebbe pensare di ottenere idrocarburi dalla reazione fra l’idrogeno elettrolitico e l’anidride carbonica, portandola via dall’atmosfera dove si è accumulata in questi decenni, col che si farebbe anche diminuire in parte la concentrazione del principale gas responsabile dei cambiamenti climatici. Con l’energia elettrica rinnovabile sarebbe anche possibile ottenere nuova acqua dolce per dissalazione di quella marina.

I lettori avranno notato che non ho parlato di soldi; la ipotizzata transizione alle fonti rinnovabili offrirebbe elettricità e calore a costi superiori a quelli attuali, ma stimolerebbe anche nuove attività produttive, creerebbe posti di lavoro ed eviterebbe i costi che le società umane dovranno pagare se continuano i peggioramenti del clima. E non ho neanche parlato di come e dove ottenere su larga scala energia da fonti rinnovabili: se nella società ipotizzata per il 2050 un terzo dell’energia globale fosse ottenuta con pannelli fotovoltaici, questi dovrebbero estendersi su una superficie tre volte quella dell’Italia. D’altra parte ci sono in Asia e Africa grandi zone desertiche e non coltivate e abitate che potrebbero essere coperte di pannelli solari o centrali eoliche. Addirittura qualcuno ha scritto (centodieci anni fa!) che, con l’uso del Sole, “i paesi tropicali avrebbero accesso allo sviluppo e la civiltà ritornerebbe così nei paesi in cui è nata”.

Questo sogno potrebbe svanire perché, per sostituire gli attuali combustibili fossili, inquinanti e a rischio di esaurimento, sarebbe necessario produrre elettricità in quantità dieci e più volte superiori a quella odierna, che ammonta a circa 20.000 miliardi di chilowattore all’anno, e gli impianti che utilizzano il Sole, il vento o il moto delle acque potrebbero anch’essi provocare gravi alterazioni ambientali. Anche se non 100-per-100 rinnovabili, le società future dovranno comunque fare un ricorso crescente a fonti di energia diverse dalle attuali, ciò che significa innovazioni, nuove imprese, nuova occupazione e, se si opererà con saggezza e lungimiranza, alla fine anche un ambiente migliore. Auguri, Terra.

 13 ottobre 2015 pubblicato anche sulla Gazzetta del Mezzogiorno.