di Massimo Marino
Alcuni appuntamenti di
rilievo, almeno per i contenuti quantomai attuali, tutti attinenti alla
crescita impossibile ed alla crisi ambientale probabile, si sono svolti di
recente nell’arco di pochi giorni. Scarsa eco sui media, troppo impegnati a
partecipare alla guerra civile a bassa intensità in corso nel nostro paese ed a
difendere le ragioni, poche e difficili da trovare, per salvare i vecchi
partiti e la vecchia Europa politica che rischiano di andare a picco, a meno
che non si trovino i protagonisti per cambiargli radicalmente i connotati e
avvicinarli ai cittadini.
A Prato la 18a conferenza “L’Economia della Felicità” con la presenza di Helena Norberg Hodge, Serge
Latouche, e ( in video) Vandana Shiva, più una decina di altri relatori e
facilitatori nei 7 work shop del primo giorno, ha riproposto la chiave di
lettura “ decrescitista”, filone particolare e punto di vista ormai quasi
ventennale nella cultura dell’ecologismo internazionale. Presenti anche due
parlamentari del M5Stelle, unici politici presenti e fruttuosamente
partecipanti alla discussione. Ottima organizzazione, clima e ambiente
gradevole grazie all’impegno di Gloria Germani e gli altri, e alcuni spunti di
rilievo che alla fine riemergono alla luce dovunque ci si giri per chi ha
voglia di riflettere, confrontarsi, e magari anche agire.
Il primo spunto riguarda
la centralità sempre maggiore che assume lo
strapotere dei media ( carta, tv, rete) nel farsi gendarme, sempre più
armato e belligerante, dello status quo. Il tema è delicato e le insidie dietro
l’angolo perché a chi denuncia il ruolo servile dei media verso le élite nostrane
ed europee si risponde in modo ipocrita con
l’argomento della libertà di stampa.
Interessante la
testimonianza di Claudia Benatti, ex giornalista di Repubblica, evasa dal
giornale qualche anno fa per riprendere la piena libertà di parola. Negli
stessi giorni della conferenza mi aveva colpito il lungo intervento di
Travaglio “ Tutte le balle che scrivono i giornali”
(2 ore in video ) che analizza una decina di fatti degli ultimi mesi attraverso
la lettura di centinaia di titoli o brani selezionati, svelando l’opera di
disinformazione, falsificazione ma soprattutto la volontà di confondere di una decina di testate italiane ( non ci
sono differenze di rilievo fra quelli considerati di destra e quelli di sinistra
). Non il solito intervento punzecchiante di Travaglio ma un impressionante e
documentatissima esposizione di falsificazioni a cui siamo quotidianamente sottoposti,
che lo si voglia o no. Dove singoli episodi che provocano anche ilarità sono
sommersi alla fine da una angosciante sensazione di oppressione. Emerge il
permanere della supremazia della carta stampata che poi mette in circolo le
notizie via TV e via rete e social (un po’ smentendo le previsioni di
Casaleggio sulla fine imminente dei media tradizionali).
Gli editori
si contano ormai sulle dita di una mano e sono anche imprenditori, costruttori,
gestori di reti di trasporto o catene alimentari, con nel mucchio anche la
cosiddetta rete pubblica occupata da 20 anni da due partiti, e tutti usano i media per consolidare interessi e
alleanze. Il problema della qualità dell’informazione neppure esiste. Una guardia nazionale armata
che opera in prima linea per impedire e diffamare qualunque progetto di
cambiamento.
Il secondo spunto che mi
ha fatto riflettere è stato l’intervento di Piero Bevilacqua, docente alla
Sapienza di Roma, non solo per averci ricordato come la globalizzazione mette
in concorrenza tra loro operai e precari dei Paesi ricchi e di quelli poveri,
dando fiato così anche a forme di razzismo diffuso, ma come la nefasta cultura della competizione su
tutto emerge già in alcune aree della scuola primaria e dell’istruzione, che si
cerca di trasformare in semplice retrovia del lavoro e del precariato. Come esempio
vale la cosiddetta “buona scuola” del precedente governo dove si è sottratto in
media 300 ore all’apprendimento culturale e scientifico con l’alternanza
scuola-lavoro, avvio gratuito all’apprendistato, su cui sono diffuse opinioni
molto diverse, ma di solito priva di qualunque valore di apprendimento. Quello
della scuola, dove gli abbandoni in Italia sono da anni rilevanti, è un enorme osservatorio
sul futuro di quelli che io chiamo “generazione cento” e altri generazione Z,
cioè i nati dagli inizi del 2000, i primi che vivranno in pieno l’impatto dei
cambiamenti climatici, della crisi del lavoro conseguente al fallimento della
globalizzazione, del disfacimento in atto di numerosi stati-nazione, dei limiti
strutturali e insuperabili della crescita, del flusso di migranti che è appena
agli inizi sul pianeta. Ed è singolare che in genere al
normale cittadino oggi è impedito di capire come funziona la scuola dove
studiano i propri figli e tanto meno di poterne discutere o partecipare.
A Roma, in una sala della Camera
dei deputati si è svolto l’undicesimo appuntamento di “Parole guerriere, seminari
rivoluzionari” incontri promossi da più di un anno da
esponenti noti del M5Stelle, in particolare Roberto Fico e Dalila Nesci. Titolo
di questo seminario: “Quale cultura per quale cambiamento”. I seminari sono
un’iniziativa rivolta esplicitamente alle forze intellettuali interessate a
dare contributi e in qualche modo partecipare al percorso di cambiamento
promosso dal M5Stelle. Relatori a questo incontro fra gli altri Marco Guzzi,
sofisticato filosofo cattolico e conduttore radiofonico, Maria Rita Parsi, nota
psicologa e giornalista e il ministro della cultura Alberto Bonisoli. I
seminari, molto partecipati e soprattutto parecchio seguiti in streaming o su
YouTube con molte migliaia di accessi (
40mila contatti in poche ore l’ultimo) sono probabilmente il più frequentato se
non l’unico appuntamento permanente di incontro dell’universo grillino, in
particolare di quello romano dove si incrociano le più diverse esperienze e
culture in qualche modo coniugabili con il progetto di cambiamento dei 5Stelle.
Il M5S sarà pesantemente
sotto attacco nei prossimi sei mesi con l’obiettivo
di far assolutamente cadere il governo prima delle elezioni Europee di maggio.
Alcune stime calcolano che i due gruppi principali al PE ( PSE e PPE cioè
Socialisti e Popolari) potrebbero perdere anche il 30% o più dei seggi attuali.
Dopo maggio il terremoto politico potrebbe essere tale da rendere impervio per
chiunque provocare una crisi italiana. Malgrado la novità di Podemos la
sinistra radicale in Europa è in pezzi in particolare a causa di giudizi molto
divergenti al suo interno sul governo greco e su Tsipras. La Lega e i suoi
omologhi europei fanno meno paura di quanto sembri perché in fin dei conti sono
i figli illegittimi dell’era della globalizzazione e ben tollerati da alcune
componenti del potere economico e finanziario. Mentre i 5Stelle non hanno
omologhi nel resto dell’Europa ma vengono visti come un virus pericoloso, ben
di più dei cosiddetti populisti, specie sui temi ambientali e sociali. Sono gli
unici dove inevitabilmente si incrociano le idee della conversione ecologica,
del contrasto alla precarietà sociale ed una ancora confusa idea di
rottamazione e rinascita della attuale Europa. Questioni meno spettacolari ma
ben più pesanti della crisi europea sulla gestione dei migranti dove a fatica i
5stelle riescono a sottrarsi alla polarizzazione fra razzisti e antirazzisti,
tentando invece la strada stretta della chiusura alla immigrazione clandestina
e della regolamentazione dei flussi coniugata con tolleranza e convivenza. I
seminari rivoluzionari di Roma lanciano messaggi positivi e interessanti ma non
è affatto detto che siano in grado di avere una qualche influenza significativa
sulla conduzione della difficile alleanza contrattuale di governo.
A Bruxelles si è svolta la prima conferenza post-crescita (Post-Growth
Conference) per sfidare il pensiero economico delle
istituzioni europee, preceduta da un appello
sottoscritto da più di 250 accademici europei tradotto in venti lingue. L’obiettivo è quello
di esplorare le possibilità di un’economia post-crescita in Europa. Organizzata da vari esponenti
di almeno cinque gruppi parlamentari europei, da vari enti, sindacati e ong,
afferma fra l’altro che se le tendenze
attuali continueranno, l’Europa smetterà di crescere entro un decennio. Al
momento dietro il paravento dell’austerity si tenta di rimandare la crisi con
l’imposizione di regole aggressive e antipopolari. Demolendo le normative
ambientali, prolungando l’orario di lavoro e riducendo le protezioni sociali. Come
risultato si frammenta la società europea, si crea instabilità economica e si mina
la democrazia proiettandoci in una guerra civile a bassa intensità, con Grecia
e Italia fra i primi scenari di manovra. Per il momento la crisi dà spazio a
forze chiamate populiste o sovraniste ma che hanno prevalenti connotazioni
xenofobe, indifferenti alla crisi ecologica e prive di una propria elaborazione
sui modelli di sviluppo possibili. Superando il palliativo del
nazionalismo-sovranismo, unica alternativa è di tentare di risolvere i problemi
sociali all’interno delle nazioni europee non richiedendo solo più crescita ma con
una più equa distribuzione del reddito e
della ricchezza che già abbiamo
avendo cura di garantire una vera sostenibilità delle scelte che si promuovono.
L’appello propone fra l’altro di istituire un Ministero per la transizione
economica in ogni stato membro.
*
C’è qualcosa in comune
fra appuntamenti tanto diversi?
La globalizzazione, oggi
sotto accusa da più parti, proposta come soluzione ai problemi di sopravvivenza
dei popoli si è mostrata in tutta la sua finta narrazione di modernizzazione
svelandosi per quello che è: un efficace
strumento di arricchimento per pochi e dilapidamento delle preziose risorse
naturali del pianeta. Sembra lontana qualsiasi ipotesi di uscita “a
sinistra”, ne in Europa ne tantomeno al di fuori. Perché non c’è nessuna
sinistra in vista nel mondo che coniughi seriamente crisi ambientale, crisi
sociale e crisi morale della politica. Personaggi alla Corbyn in GB o Sanders in USA sono anziane figure di
passaggio che percepiscono che potrebbe esserci un'altra via d’uscita dalla
crisi. Podemos, costantemente sotto attacco dei media più o meno come i
grillini nostrani, sembra aver già
esaurito l’originaria spinta di innovazione anche se resta un protagonista di
rilievo nel suo ambito nazionale. L’azione europea di Varufakis si muove al
momento rigorosamente verso ristrette élite politiche radicaleggianti. Sarà
interessante vedere se la strana coppia De Magistris-Pizzarotti, referenti
italiani, sopravviveranno alla frammentazione già in corso verso la scadenza
europea di maggio. In campo ambientalista è tramontata da tempo qualunque
ipotesi di “internazionale dell’ecologismo” dopo un breve periodo di illusioni
fra il 2009 e il 2011 a seguito della crisi mondiale del 2008. In Baviera nei
prossimi giorni e nei sondaggi nazionali è’ previsto un qualche successo dei Grünen
tedeschi che hanno però da tempo rinunciato a svolgere un ruolo od essere un
riferimento in campo europeo e tantomeno internazionale.
Conservatori e
Socialdemocrazia nelle diverse accezioni in giro per il pianeta sembrano
archiviati, almeno come poli attrattivi per il prossimo decennio di questo
secolo. E’ probabile che nel nuovo Parlamento Europeo non ci sarà una
maggioranza secondo gli schemi tradizionali o rispecchiando la Grosse Koalition
tedesca (compromesso fra Popolari e Socialisti). Almeno momentaneamente entrano
in scena forze nazionaliste e xenofobe, però con notevoli differenze fra loro.
A parte il fondamentalismo religioso dilagato in più aree del pianeta, che è
stato disperso nella sua forma terrorista stanziale ma non è affatto scomparso.
Di fatto è in atto una
strisciante e confusa guerra civile nel pianeta, che ha alla base la
sopravvivenza economica e alimentare e la crisi ambientale e che comprende in
questo momento anche 32 guerre vere e proprie in ambito locale ( un vero
tripudio per i costruttori di armi), che accentua il processo di migrazione di
interi popoli. Ci sono 70 milioni di persone nel mondo oggi che sono alla
ricerca di una nuova destinazione per sopravvivere.
Il percorso ormai quasi
decennale del M5Stelle italiano, del tutto diverso da quello dei cosiddetti
populisti, potrebbe essere classificato come quello di un movimento di
liberazione nazionale se fosse meno fragile e avesse una maggiore coscienza di sé.
Non trova comunque omologhi né alleati nel resto dell’Europa ma indica un
percorso che altri potrebbero e dovrebbero affiancare o seguire. I movimenti
dell’ecologismo, diffusissimi in tutto il pianeta, possono salvare il nostro futuro
se sono in grado di rinnovarsi e di contare occupando il centro dello scenario
politico. E’ possibile se superano la vecchia politica ambientalista e assumono
in sé in modo radicale anche l’idea del rinnovamento della politica come
strumento del popolo e non delle élite e la rimessa in discussione delle
disuguaglianze e della precarietà economica.
8 ottobre 2018
8 ottobre 2018
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