24 dicembre 2013

Siria: la Suora aveva ragione.



Le Nazioni Unite hanno pubblicato il rapporto finale sull’uso di armi chimiche in Siria. L'ha annunciato il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-Moon. Ma il Segretario generale non rende chiaro chi ha usato le armi chimiche. Strano. Un silenzio singolare, dopo che si è arrivati a un pelo dall'intervento militare americano, inglese e francese in Siria, qualche mese fa. 

di Marco Tosatti * 

Le Nazioni Unite hanno pubblicato il rapporto finale sull’uso di armi chimiche in Siria. Qui di seguito riportiamo la notizia come data dall’Ansa: “ (ANSA) - NEW YORK, 13 DIC - Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha presentato all'Assemblea Generale il rapporto finale della missione guidata da Ake Sellstrom, incaricata d'indagare sulle armi chimiche in Siria. "Prendo atto con profonda preoccupazione che gli esperti Onu hanno raccolto prove e informazioni che confermano l'uso di armi chimiche in diverse occasioni e in più siti contro civili e contro obiettivi militari", ha spiegato Ban, condannando tali atti e invocando la fine del conflitto siriano”.  

Il Segretario generale non rende chiaro chi ha usato le armi chimiche. Strano. Siamo arrivati, qualche mese fa, a un centimetro dal’intervento militare americano in Siria perché la “linea rossa” dei gas era stata passata e adesso non si dice chi l’ha passata? Un silenzio singolare. Ma se si legge il rapporto delle Nazioni Unite, si vedrà che in almeno tre occasioni i “ribelli”, - cioè la legione straniera islamica che combatte Damasco con l’appoggio di Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia, Qatar e Gran Bretagna, oltre alla Francia di Hollande, hanno usato armi chimiche contro i soldati e i civili. Come è accaduto a Khan al-Asal, vicino ad Aleppo, con la morte di 25 fra civili e soldati, e il ferimento di altri 110, a marzo 2013; o a Jobar, in agosto; o ad Ashrafiah Sahnaya, lo stesso mese. 

Come aveva suggerito e denunciato madre Marie-Agnes de la Croix, a cui è stato impedito di partecipare al convegno contro la guerra in Siria svoltosi a Londra alla fine di novembre. Perché avrebbe potuto dire delle verità scomode per Washington e Londra,e per i media anglosassoni, pregiudizialmente anti Damasco e allineati con la politica delle monarchie del petrolio e dei loro alleati occidentali.   

* dal blog di Marco Tosatti su La Stampa - 14 dicembre 2013

23 dicembre 2013

Legambiente, presentata Pendolaria 2013: i tagli riducono i passeggeri



Legambiente: "2,9 milioni di pendolari viaggiano in treno. Ma i tagli riducono i passeggeri: nel 2013, 110 mila persone in meno sui treni in Campania e Piemonte. “Un’Italia a due velocità, tra i successi dei Frecciarossa e la crisi dei treni regionali. Ora investire sulle linee pendolari con nuove politiche”

I soliti vecchi treni sono diminuiti, non perché siano stati sostituiti dai nuovi ma perché sono stati tagliati, e quindi quelli rimasti sono sempre più affollati. Per i pendolari il servizio offerto non fa che peggiorare: dal 2009, mentre i passeggeri aumentavano del 17%, le risorse statali per il trasporto regionale si sono ridotte del 25%. Sono quasi 3 milioni le persone che ogni giorno prendono il treno per andare a lavorare o a studiare, più degli elettori alle primarie del PD, eppure di loro non si occupa nessuno. Nonostante i clamorosi tagli alle risorse imposti dalla crisi negli ultimi anni, per la politica nazionale, la questione della mobilità pendolare è chiaramente inesistente.

Il
rapporto Pendolaria 2013 di Legambiente, sulla situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia, è stato presentato a Roma in una conferenza stampa a cui hanno partecipato Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente, Erasmo D’Angelis, sottosegretario alle infrastrutture, Ermete Realacci, presidente della commissione trasporti della Camera e Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia.

“La situazione dei pendolari - ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini – dopo i tagli di questi anni è sempre più grave. Proprio in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando, bisogna occuparsi di un fenomeno sociale di queste dimensioni, perché è anche la crisi ad obbligare tante persone a spostarsi sui mezzo pubblici per risparmiare. Sono 670mila i pendolari lombardi, per esempio, e 560mila quelli del Lazio: su alcune linee è come se ogni mattina si spostassero tutti gli abitanti di una città come Arezzo o Ancona. Per tutta risposta, negli anni sono state ridotte le corse e chiuse anche molte biglietterie nelle stazioni a fronte di aumenti delle tariffe non giustificati da alcun miglioramento. E’ evidente che ci troviamo di fronte a una questione nazionale e a una battaglia di civiltà nell’interesse dei cittadini”.

Complessivamente sono oltre 2milioni e 861mila i passeggeri sul servizio ferroviario regionale. Ma nel 2013 il numero totale dei passeggeri su queste linee, per la prima volta in 10 anni, è calato dell’1,4%. Sono oltre 110mila i viaggiatori in meno in Campania e Piemonte a causa dei tagli al servizio. In Campania, dove sono stati fatti tagli complessivi del 19% al servizio dal 2010 a oggi con punte di meno 50% su alcune linee, i passeggeri si sono ridotti a 310mila contro i 395mila dello scorso anno e i 467mila del 2011. In Piemonte, tagli di quasi il 10% e la cancellazione di 13 linee ferroviarie hanno portato a far scendere i viaggiatori giornalieri dai 236mila dello scorso anno ai 209mila del 2013. Gli ultimi tre anni sono stati il periodo più nero della storia dei trasporti ferroviari locali e per la vita dei pendolari. Nel 2013 molte regioni hanno deciso di tagliare i servizi e di
aumentare il costo dei biglietti. Il prezzo del biglietto in Italia è comunque in media molto più basso rispetto agli altri Paesi europei ma la differenza più forte con Madrid, Lione o Berlino è nella qualità del servizio.

Nel 2009 il totale dei fondi disponibili per i trasporti su gomma e su ferro corrispondeva a circa 6,1 miliardi di euro; nel 2013 questa voce è di poco più di 4,9 miliardi. Poiché il totale necessario per il funzionamento dei trasporti pubblici locali sarebbe di 6,5 miliardi di euro, è evidente che c’è una mancanza di risorse del 25%. Le Regioni, cui spetta il compito più delicato nel garantire la qualità del servizio, non sono state da meno nel trascurare le necessità dei pendolari, e non arrivano in media neanche allo 0,4% del bilancio. Solo la Provincia di Bolzano, nel 2013 concede quasi il 2% di spesa per i pendolari rispetto al proprio bilancio. Gli investimenti arrivano a superare l’1% anche in Valle d’Aosta, Provincia di Trento e Lombardia. In tutte le altre Regioni la spesa è invece del tutto inadeguata; le situazioni più gravi sono in Piemonte, Lazio e Campania dove a fronte di centinaia di migliaia di pendolari non si raggiunge lo 0,3% della spesa rispetto al bilancio.

Sull’autotrasporto invece, sono piovuti dal 2000 al 2013, oltre 5,3 miliardi di euro. Tra fondi diretti e sconti sui pedaggi autostradali, per circa 500 milioni in media l’anno a cui vanno aggiunti 330 milioni di euro già stanziati per il 2014. Impressionante poi lo strabismo nel premiare i cantieri delle grandi opere a scapito della mobilità urbana e pendolare. I finanziamenti da parte dei governi che si sono succeduti in questo decennio, attraverso la legge Obiettivo, hanno premiato per il 71,9% gli investimenti in strade e autostrade. In termini assoluti le infrastrutture stradali sfiorano la quota faraonica di 81 miliardi di euro, contro i 17,8 delle ferrovie e i 13,5 delle metropolitane. Anche le Regioni continuano a scegliere strade e autostrade come investimenti prioritari: queste infatti rappresentano il 60% degli stanziamenti regionali contro il 40% per ferrovie e metropolitane. La regione Emilia-Romagna, ad esempio, sta investendo 180 milioni di euro di risorse pubbliche per la realizzazione dell’autostrada regionale Cispadana.

“Senza un cambiamento nelle politiche e nelle risorse per il trasporto ferroviario – ha sottolineato Zanchini - si aggraveranno i problemi delle città e si allargherà la forbice tra le diverse aree del Paese e tra i servizi, di serie A, B o C. Se nel 2007 i collegamenti Eurostar tra Roma e Milano erano 17 al giorno, nel 2013 sono 52 le corse Frecciarossa, a cui si sommano 14 Italo, con un aumento dell'offerta del 395%. Nello stesso periodo, a Genova i treni che attraversano la città da Voltri a Nervi da 51 sono diventati 35 su una linea percorsa ogni giorno da 25mila pendolari con ulteriori tagli effettuati anche quest’anno: un drammatico meno 31%. Per i treni a lunga percorrenza finanziati con il contributo pubblico (gli Intercity principalmente) tra il 2010 e il 2012 i treni/km percorsi si sono ridotti di oltre il 24%.

L’obiettivo, per Legambiente, è arrivare a 5milioni di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, liberando così le città da auto e inquinamento e migliorando la vita e la mobilità dei cittadini. La riorganizzazione del settore del trasporto pubblico locale e regionale consentirebbe, inoltre, secondo uno studio della Cassa depositi e prestiti, di creare un valore aggiunto pari a 17,5 miliardi e 465mila nuovi posti di lavoro.
Per capire da dove partire, basta prendere in considerazione le richieste dei pendolari: treni nuovi, più numerosi e più veloci e un maggiore coinvolgimento degli utenti. Occorre aumentare i collegamenti sulle 20 principali linee pendolari del Paese, oltre a garantire il servizio su tutte le altre, riorganizzando gli orari in base alle necessità di chi viaggia. Servono treni moderni e più capienti, in particolare nelle aree urbane, e bisogna recuperare il “progetto 1000 treni per i pendolari” lanciato nel 2007 perché l’affollamento dei convogli causa sempre più ritardi per la difficoltà di accesso alle carrozze e di chiusura delle porte. Inoltre, i treni pendolari italiani sono i più lenti d’Europa. La media è di 35,9 km/h sulle linee di collegamento con le grandi città, mentre è di 51 in Spagna, 48,1 in Germania, 46,6 in Francia.

Il 2014 sarà un anno fondamentale per ripensare e migliorare il servizio ferroviario in Italia, scadrà infatti il contratto nazionale di servizio che il ministero delle Infrastrutture ha in corso con Trenitalia per gli intercity e i contratti di servizio in 12 regioni e nelle 2 province autonome e si aprirà una stagione di gare per l’affidamento come da direttive europee.

“La prima scelta indispensabile è quella di abolire la legge Obiettivo - ha concluso Zanchini - perché le ‘grandi opere’ che servono all’Italia sono nelle città. Il 50% della spesa nazionale e regionale per le opere pubbliche deve andare alla realizzazione di nuove linee di metropolitane e del servizio ferroviario pendolare, di tram”.


Le proposte di Legambiente
Per migliorare concretamente la vita dei pendolari, attualmente ostaggio di un servizio sempre più vicino al tracollo, Legambiente chiede al Governo:

1. Certezze per le risorse da parte di governo e Regioni da destinare al servizio: Ministero delle Infrastrutture e Parlamento individuino le risorse necessarie nell’ambito di una politica complessiva dei trasporti, spostando finalmente le risorse della legge Obiettivo dalla strada al ferro. Per le Regioni l’obiettivo dovrebbe essere una spesa pari almeno al 5% del proprio bilancio.
2. Approvare subito la carta dei servizi e dei diritti degli utenti: all’Autorità spetta il compito di definire le condizioni che garantiscono la tutela dei diritti dei cittadini nel processo di liberalizzazione e la qualità del servizio. Una sfida delicata perché occorre attuare una direttiva europea che prevede la liberalizzazione nel settore ferroviario stabilendo ruoli chiari anche nel controllo degli investimenti e dell’offerta.
3. Introdurre una detrazione del 20% per gli abbonamenti al trasporto pubblico locale e ferroviario: uno sconto, cancellato dalla finanziaria del 2010, che allevierebbe le spese delle famiglie.
4. Un’agenzia per la mobilità in ogni regione: bisogna superare l’attuale situazione di confusione di ruoli e responsabilità riguardo ai treni in circolazione. Come negli altri paesi europei deve essere una struttura pubblica, un’agenzia regionale o metropolitana, l’interlocutore di chi viaggia in treno.
5. Un ministero che si occupi del trasporto ferroviario: garantire collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti, è una questione politica nazionale. Chiediamo al ministero delle Infrastrutture di definire gli obiettivi di miglioramento del sistema dei trasporti ferroviari e di aprire un confronto pubblico con regioni, Ferrovie dello Stato, Autorità dei Trasporti, associazioni e imprese.

17 dicembre 2013

18 dicembre 2013

Roma è finita



Un emendamento al decreto "Salva Roma" obbligherebbe il Comune a privatizzare un altro 21% di Acea (l'ex municipalizzata che si occupa di servizi idrico ed energia elettrica) e a mettere sul mercato anche il trasporto pubblico locale e l'igiene urbana. Verrebbe meno una delle prerogative all'esistenza di un ente locale, che è quella di erogare servizi e garantirne l'accesso ai propri cittadini. Il testo all'esame dell'aula. Dal Forum dei movimenti per l'acqua mail bombing sui senatori


di Luca Martinelli *


Anche se non dovesse superare il voto dell'assemblea del Senato, l'emendamento ad hoc dedicato al Comune di Roma (o a Roma Capitale) e approvato ieri in commissione Bilancio resterà un documento esemplare, perché presuppone la scomparsa di una città, cioè la cancellazione delle prerogative di una pubblica amministrazione, che è quella di erogare servizi e garantirne l'accesso ai propri cittadini.

L'emendamento vede come prima firmataria Linda Lanzillotta (senatrice di Scelta civica), già assessore al Bilancio della città di Roma (negli anni Novanta), e in quella veste responsabile della parziale privatizzazione di Acea, la multiutility che si occupa di servizio idrico integrato ed energia elettrica.
Il testo -che emenda la legge definita “Salva Roma”- impone al Comune di Roma,  “contestualmente o successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per il 2014”, di adottare “specifiche delibere volte a:

1) estendere l'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno a tutte le società partecipate direttamente o indirettamente, nonché quelli in materia di assunzioni di personale e di acquisti di beni e servizi;
2) dismettere ulteriori quote di società quotate in borsa limitandosi a mantenere la quota di controllo;
3) operare una ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società da esso partecipate prevedendo, per quelle in perdita, licenziamenti per motivi economici;
4) liberalizzare il servizio di trasporto pubblico locale, raccolta dei rifiuti e spazzamento delle strade;
5) mettere in liquidazione tutte le società partecipate che non abbiano come fine sociale prioritario attività di servizio pubblico”.

Tradotto in un linguaggio corrente, significa che nei prossimi anni il Patto di stabilità -che già blocca gli investimenti e ingessa la capacità di spesa corrente del Comune, e in generale di tutti gli enti locali- limiterebbe la capacità di spesa anche della società controllate, molte delle quali erogano servizi al cittadino.

Significa che il Comune di Roma sarebbe chiamato a scendere dal 51 al 30% nell'azionariato di Acea (società quotata alla Borsa di Milano), realizzando così il disposto dell'articolo 23 bis del decreto Ronchi, quello cancellato con il primo quesito referendario del giugno 2011. La cessione del 21 per cento di Acea l'avrebbe voluta anche Alemanno, scontrandosi però con l'opposizione in consiglio comunale e con il Coordinamento romano per l'acqua pubblica (Crap), che per Acea avrebbe altri progetti, come raccontammo a febbraio 2013 su Altreconomia

Come se non bastasse, l'emendamento obbligherebbe alla privatizzazione (che si continua a chiamare liberalizzazioni...) anche Atac, la società che gestisce il trasporto pubblico locale di Roma, e Ama spa, che pure è una società in house di Roma Capitale.

Paiono dimenticare, i senatori che hanno firmato l'emendamento -oltre a Lanzillotta, Pietro Ichino (Pd), Elisa Bulgarelli, Ornella Bertorotta, Barbara Lezzi e Giovanna Mangili (tutte del M5S) e Silvana Andreina Comaroli (Lega Nord)- che anche il trasporto pubblico locale e il servizio di igiene urbana sono “protetti” dal referendum.

E, infine, senza immaginare politiche di risanamento per le aziende partecipate che presentino bilanci in perdita, le autorizzerebbe a licenziare “per motivi economici” (una giusta causa?) i lavoratori.
Roma è (sarebbe) finita, e con lei anche il resto d'Italia. Perché questo emendamento dimostra che i Comuni -cui Altreconomia dedica un dossier sul numero di dicembre 2013- sono un ente da annichilire, in attesa del colpo del ko.
 
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha promosso una campagna di pressione sui senatori, “Roma non si vende! Ritirare subito l'emendamento Lanzillotta”.

"Un atto gravissimo è accaduto ieri nella Commissione bilancio del Senato, con l'approvazione dell'emendamento con cui si obbliga alla privatizzazione dei servizi pubblici locali di Roma. Un atto che è in palese contrasto con l'esito del referendum del 2011 e con la volontà popolare chiaramente espressa. Un vero e proprio atto di guerra: ai beni comuni, ai diritti dei lavoratori e dei cittadini, ai movimenti sociali e al futuro della città.
Chiediamo con forza a tutte le senatrici e i senatori di votare contro e ritirare questo emendamento.”


 * da www.altreconomia.it ,   18 dicembre 2013

15 dicembre 2013

Lo squilibrio delle pensioni italiane


L'ingiustizia delle pensioni in una tabella (e in una ricerca)

Che il sistema pensionistico italiano sia un coacervo di squilibri e ingiustizie è ormai un fatto noto. Ma una ricerca, ad opera di due economisti di Lavoce.info per conto dell’Università La Sapienza, ha chiarito, dati alla mano, quali sono le fasce di trattamento che prendono più di quanto abbiano dato. In sintesi, Fabrizio e Stefano Patriarca hanno quantificato come al 5% dei pensionati italiani vada più del 16% del totale di spesa in materia di pensioni. Si tratta di 800mila persone (su 16 milioni) che ricevono nei loro assegni ben 43 miliardi (su un totale di 270). Ma scendiamo più nel dettaglio: se prendiamo gli ultimi cinque anni, i nuovi pensionati sono stati 1 milione e 600mila. Su questi, in 717mila hanno assorbito l’80% della spesa (24 miliardi su 31), necessari a pagare trattamenti da 2600 euro al mese in su.

Un altro elemento di squilibro è quello che va tra le pensioni di anzianità (di chi ha avuto una carriera piena, e quindi può ritirarsi prima grazie ai contributi) e quelle di vecchiaia (di chi deve aspettare fino a 70 anni per maturare il diritto a smettere di lavorare). Nel modello elaborato dai due studiosi, si vede come, più l’assegno diventa grosso, più aumenta lo squilibrio tra contributi versati e trattamento ricevuto. Uno squilibrio ovviamente interamente a carico della collettività. L’analisi ha preso in considerazione circa 400mila lavoratori del settore privato, andati in pensione tra il 2008 e il 2012, in media a 58,5 anni, con una pensione in media di 2000 euro lordi. Questo insieme costa al sistema previdenziale 12 miliardi di euro.

Ma è guardando agli squilibri tra le varie fasce di pensione che scopriamo le ingiustizie di questo sistema. Nei calcoli di questa ricerca, più la pensione sale, più troviamo un eccesso rispetto ai contributi versati. E se per chi fino a 1000 euro, la parte eccedente è del 17,5%, già per chi è nella fascia tra 1750 e 1999 euro è del 27,2%. Salendo di importo, sale anche lo squilibrio. Le pensioni più alte, quelle superiori ai 3000 euro al mese, hanno un 34,1% di importo non giustificato dai contributi versati. Lo squilibrio poi si attenua arrivando agli assegni da 5000 euro al mese lordi, per effetto delle aliquote. In totale, il 37% dei trattamenti, quelli più alti (da 2000 euro in su), assorbono il 67% dello squilibrio complessivo. Si tratta di 3,5 miliardi di euro “non giustificati” dai contributi. Questa incidenza è paradossalmente più bassa per le pensioni di vecchiaia e si attesta intorno al 15%. Il motivo è che chi accede a questo tipo di trattamento è in media di cinque anni più anziano, ha un’aspettativa di vita più bassa e incide meno a lungo sul sistema.

In sintesi, la fallacia del sistema è usare risorse enormi per poter sostenere gli assegni di chi accede a trattamenti molto alti (superiori ai 2000 euro) in età relativamente giovane (meno di 60 anni). E non si tratta prevalentemente di lavoro operaio o logorante, perché questi profili, all’interno delle pensioni di anzianità, sono soltanto il 18% del totale. La ricetta per uscirne? Citando i due economisti, è “aggredire il nodo del sistema previdenziale, mettere in campo un’operazione di verità sulla pensioni che scopra i margini per un intervento redistributivo al suo interno, tutelare i più deboli, eliminare iniquità e privilegi”.

da  it.finance.yahoo.com  Speciale Inventa il tuo futuro - 8 dicembre 2013