Un
emendamento al decreto "Salva Roma" obbligherebbe il Comune a
privatizzare un altro 21% di Acea (l'ex municipalizzata che si occupa di servizi idrico
ed energia elettrica) e a mettere sul mercato anche il trasporto pubblico
locale e l'igiene urbana. Verrebbe meno una delle prerogative all'esistenza di
un ente locale, che è quella di erogare servizi e garantirne l'accesso ai
propri cittadini. Il testo all'esame dell'aula. Dal Forum dei movimenti per
l'acqua mail bombing sui senatori
di Luca
Martinelli *
Anche se non
dovesse superare il voto dell'assemblea del Senato, l'emendamento ad hoc
dedicato al Comune di Roma (o a Roma Capitale) e approvato ieri in commissione
Bilancio resterà un documento esemplare, perché presuppone la scomparsa di una
città, cioè la cancellazione delle prerogative di una pubblica amministrazione,
che è quella di erogare servizi e garantirne l'accesso ai propri cittadini.
L'emendamento vede come prima firmataria Linda Lanzillotta (senatrice di Scelta civica), già assessore al Bilancio della città di Roma (negli anni Novanta), e in quella veste responsabile della parziale privatizzazione di Acea, la multiutility che si occupa di servizio idrico integrato ed energia elettrica.
Il testo -che emenda la legge definita “Salva Roma”- impone al Comune di Roma, “contestualmente o successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per il 2014”, di adottare “specifiche delibere volte a:
1) estendere l'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno a tutte le società partecipate direttamente o indirettamente, nonché quelli in materia di assunzioni di personale e di acquisti di beni e servizi;
2) dismettere ulteriori quote di società quotate in borsa limitandosi a mantenere la quota di controllo;
3) operare una ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società da esso partecipate prevedendo, per quelle in perdita, licenziamenti per motivi economici;
4) liberalizzare il servizio di trasporto pubblico locale, raccolta dei rifiuti e spazzamento delle strade;
5) mettere in liquidazione tutte le società partecipate che non abbiano come fine sociale prioritario attività di servizio pubblico”.
Tradotto in un linguaggio corrente, significa che nei prossimi anni il Patto di stabilità -che già blocca gli investimenti e ingessa la capacità di spesa corrente del Comune, e in generale di tutti gli enti locali- limiterebbe la capacità di spesa anche della società controllate, molte delle quali erogano servizi al cittadino.
Significa che il Comune di Roma sarebbe chiamato a scendere dal 51 al 30% nell'azionariato di Acea (società quotata alla Borsa di Milano), realizzando così il disposto dell'articolo 23 bis del decreto Ronchi, quello cancellato con il primo quesito referendario del giugno 2011. La cessione del 21 per cento di Acea l'avrebbe voluta anche Alemanno, scontrandosi però con l'opposizione in consiglio comunale e con il Coordinamento romano per l'acqua pubblica (Crap), che per Acea avrebbe altri progetti, come raccontammo a febbraio 2013 su Altreconomia.
Come se non bastasse, l'emendamento obbligherebbe alla privatizzazione (che si continua a chiamare liberalizzazioni...) anche Atac, la società che gestisce il trasporto pubblico locale di Roma, e Ama spa, che pure è una società in house di Roma Capitale.
Paiono dimenticare, i senatori che hanno firmato l'emendamento -oltre a Lanzillotta, Pietro Ichino (Pd), Elisa Bulgarelli, Ornella Bertorotta, Barbara Lezzi e Giovanna Mangili (tutte del M5S) e Silvana Andreina Comaroli (Lega Nord)- che anche il trasporto pubblico locale e il servizio di igiene urbana sono “protetti” dal referendum.
E, infine, senza immaginare politiche di risanamento per le aziende partecipate che presentino bilanci in perdita, le autorizzerebbe a licenziare “per motivi economici” (una giusta causa?) i lavoratori.
Roma è (sarebbe) finita, e con lei anche il resto d'Italia. Perché questo emendamento dimostra che i Comuni -cui Altreconomia dedica un dossier sul numero di dicembre 2013- sono un ente da annichilire, in attesa del colpo del ko.
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha promosso una campagna di pressione sui senatori, “Roma non si vende! Ritirare subito l'emendamento Lanzillotta”.
"Un atto gravissimo è accaduto ieri nella Commissione bilancio del Senato, con l'approvazione dell'emendamento con cui si obbliga alla privatizzazione dei servizi pubblici locali di Roma. Un atto che è in palese contrasto con l'esito del referendum del 2011 e con la volontà popolare chiaramente espressa. Un vero e proprio atto di guerra: ai beni comuni, ai diritti dei lavoratori e dei cittadini, ai movimenti sociali e al futuro della città.
Chiediamo con forza a tutte le senatrici e i senatori di votare contro e ritirare questo emendamento.”
L'emendamento vede come prima firmataria Linda Lanzillotta (senatrice di Scelta civica), già assessore al Bilancio della città di Roma (negli anni Novanta), e in quella veste responsabile della parziale privatizzazione di Acea, la multiutility che si occupa di servizio idrico integrato ed energia elettrica.
Il testo -che emenda la legge definita “Salva Roma”- impone al Comune di Roma, “contestualmente o successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per il 2014”, di adottare “specifiche delibere volte a:
1) estendere l'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno a tutte le società partecipate direttamente o indirettamente, nonché quelli in materia di assunzioni di personale e di acquisti di beni e servizi;
2) dismettere ulteriori quote di società quotate in borsa limitandosi a mantenere la quota di controllo;
3) operare una ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società da esso partecipate prevedendo, per quelle in perdita, licenziamenti per motivi economici;
4) liberalizzare il servizio di trasporto pubblico locale, raccolta dei rifiuti e spazzamento delle strade;
5) mettere in liquidazione tutte le società partecipate che non abbiano come fine sociale prioritario attività di servizio pubblico”.
Tradotto in un linguaggio corrente, significa che nei prossimi anni il Patto di stabilità -che già blocca gli investimenti e ingessa la capacità di spesa corrente del Comune, e in generale di tutti gli enti locali- limiterebbe la capacità di spesa anche della società controllate, molte delle quali erogano servizi al cittadino.
Significa che il Comune di Roma sarebbe chiamato a scendere dal 51 al 30% nell'azionariato di Acea (società quotata alla Borsa di Milano), realizzando così il disposto dell'articolo 23 bis del decreto Ronchi, quello cancellato con il primo quesito referendario del giugno 2011. La cessione del 21 per cento di Acea l'avrebbe voluta anche Alemanno, scontrandosi però con l'opposizione in consiglio comunale e con il Coordinamento romano per l'acqua pubblica (Crap), che per Acea avrebbe altri progetti, come raccontammo a febbraio 2013 su Altreconomia.
Come se non bastasse, l'emendamento obbligherebbe alla privatizzazione (che si continua a chiamare liberalizzazioni...) anche Atac, la società che gestisce il trasporto pubblico locale di Roma, e Ama spa, che pure è una società in house di Roma Capitale.
Paiono dimenticare, i senatori che hanno firmato l'emendamento -oltre a Lanzillotta, Pietro Ichino (Pd), Elisa Bulgarelli, Ornella Bertorotta, Barbara Lezzi e Giovanna Mangili (tutte del M5S) e Silvana Andreina Comaroli (Lega Nord)- che anche il trasporto pubblico locale e il servizio di igiene urbana sono “protetti” dal referendum.
E, infine, senza immaginare politiche di risanamento per le aziende partecipate che presentino bilanci in perdita, le autorizzerebbe a licenziare “per motivi economici” (una giusta causa?) i lavoratori.
Roma è (sarebbe) finita, e con lei anche il resto d'Italia. Perché questo emendamento dimostra che i Comuni -cui Altreconomia dedica un dossier sul numero di dicembre 2013- sono un ente da annichilire, in attesa del colpo del ko.
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha promosso una campagna di pressione sui senatori, “Roma non si vende! Ritirare subito l'emendamento Lanzillotta”.
"Un atto gravissimo è accaduto ieri nella Commissione bilancio del Senato, con l'approvazione dell'emendamento con cui si obbliga alla privatizzazione dei servizi pubblici locali di Roma. Un atto che è in palese contrasto con l'esito del referendum del 2011 e con la volontà popolare chiaramente espressa. Un vero e proprio atto di guerra: ai beni comuni, ai diritti dei lavoratori e dei cittadini, ai movimenti sociali e al futuro della città.
Chiediamo con forza a tutte le senatrici e i senatori di votare contro e ritirare questo emendamento.”
* da www.altreconomia.it , 18 dicembre 2013
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