29 settembre 2020

Avversità totale. La sacra alleanza contro gli alieni

Fobia 5Stelle. L’intesa trasversale “da salotto” nasce per proteggere da incursioni ”esterne” gli interessi, le ideologie e il potere tuttora agguerrito di chi per decenni ha fatto quadrato attorno al neoliberismo. 

di Barbara Spinelli ( giornalista ed europarlamentare) *

Nonostante la vittoria ottenuta al referendum sul taglio dei parlamentari, il M5S sembra aver pienamente soddisfatto la Sacra Alleanza che da anni spera nella devastazione del movimento fondato da Grillo. La prima Alleanza nacque dopo la sconfitta di Napoleone, nel 1815, e fu presentata da Metternich come il più efficace bastione contro la democrazia, il secolarismo, gli effetti della Rivoluzione francese (anche se Metternich stesso ebbe a definire la coalizione una “clamorosa nullità”).

La Sacra Alleanza del tempo presente nasce per proteggere da incursioni aliene gli interessi, le ideologie e il potere tuttora agguerrito di chi per decenni ha fatto quadrato attorno al neoliberismo e ha guardato con crescente fastidio le sconfessioni che venivano dal suffragio universale, oltre che dalla realtà. Tutti costoro sanno che la crisi (prima dei subprime e poi del Covid) ha messo in luce la “clamorosa nullità” delle ricette neoliberali, e si consolano oggi con le disfatte dei Cinque Stelle alle regionali e comunali.

La Sacra Alleanza contro gli avversari del neo-liberismo e della nuova guerra fredda ha un suo vocabolario, un blocco di luoghi comuni e di insulti automatici. I Cinque stelle sono regolarmente bollati come populisti, ideologici, segretamente sovranisti. Non sono un partito, si dice ancora, ma una mera opinione: sono capaci solo di espirare il loro inconsistente flatus vocis. Quando parlano o criticano o propongono o legiferano, le loro voci sono solitamente liquidate come prodotto di un’ideologia: è l’accusa ricorrente espressa da chi è immerso nell’ideologia fino al collo. (Tanto per fare un esempio sull’uso sempre più vacuo di quest’epiteto: qualche giorno fa un inviato del telegiornale di Mentana ha detto, a proposito dei Palestinesi piantati in asso dall’accordo Israele-Emirati: “È passato il periodo della battaglie ideologiche!” Come se reclamare uno Stato palestinese fosse una delle tante ideologie destinate al macero da chissà quale storia progressista).

Con questo non si vuol affermare che il M5S gode di buona salute, e ha davanti a sé verdi praterie. La sua sconfitta è chiara, la sua incapacità di costruire alleanze è evidente, e se il governo Conte esce rafforzato dalla prova delle regionali e del referendum è perché l’elettorato Cinque Stelle ha con le proprie forze scelto di proteggerlo, con il voto disgiunto o utile: un’operazione voluta dalla base più che dal lacerato gruppo dirigente. Vogliamo solo affermare che fare alleanze territoriali o nazionali è una soluzione solo se Cinque Stelle non si dissolvono completamente nel campo dominato dal Pd. Qui è il dilemma in cui sono oggi impelagati, ed è dilemma serio. Il Pd che dà volentieri lezioni di savoir-vivre ai propri alleati di governo dovrebbe essere più umile, e riconoscere che l’alleanza “strategica” stretta dalle sinistre classiche con gli estremisti del centro che sono i neoliberisti, negli anni ‘70 e ‘80, polverizzò durevolmente l’idea stessa di sinistra. Un modello suicida che il M5S vorrebbe evitare, sia pure in maniera del tutto confusa.

In genere si fa poca attenzione all’attività dei suoi europarlamentari, che in questi anni si sono mostrati tenaci, ben preparati e nelle grandi linee coerenti. Non sono giudicati interessanti, se si esclude il momento in cui hanno permesso con i propri voti l’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Prima ancora che si formasse la coalizione fra 5 Stelle e Pd, gli europarlamentari pentastellati hanno mostrato che le loro preferenze di voto andavano ben più spesso ai Verdi e alle sinistre che alla Lega. Nei loro comportamenti sono paragonabili all’elettorato 5 Stelle: tendono a correggere e riaggiustare, a Bruxelles, quel che a Roma si sfilaccia o si rompe.

Ma non sono perdonati, se non si limitano ad appoggiare i gruppi di centro sulle nomine o sul Recovery Fund e osano emettere qualche idea propria. Per esempio sulla democrazia diretta, che gli eurodeputati Cinque Stelle hanno difeso di frequente a Bruxelles per rendere più credibile e forte la rappresentanza democratica, non per sostituirla. Da questo punto di vista l’uscita di Grillo contro la democrazia rappresentativa è stata non poco nociva.

Altro punto di forza, a Bruxelles: il reddito minimo di cittadinanza, approvato nell’ottobre 2017 da una maggioranza spettacolare (451 voti in favore, 147 contrari, 42 astenuti). Relatrice della risoluzione era l’eurodeputata 5 Stelle Laura Agea. I commentatori invitati nei salotti televisivi tendono a far risalire la svolta europea del Movimento al secondo governo Conte e alle pressioni del Pd. Chi ha visto i deputati 5 Stelle legiferare a Bruxelles, e distinguersi più volte dalla Lega, sa che la notizia è falsa. Una notizia falsa non diventa vera perché nessuno la contraddice.

 Le relazioni europee con la Russia sono un altro tema che vede i Cinque Stelle esprimere idee che indispongono la Sacra Alleanza. La recente risoluzione sull’avvelenamento di Navalny è stato un ennesimo esercizio di riattivazione della guerra fredda, voluto ancora una volta – come nella sbilanciata e sconclusionata risoluzione sulla memoria europea di un anno fa– dai deputati e governanti polacchi. Il Pd ha votato ambedue le risoluzioni, salvo qualche pentimento ex post sulla memoria europea. I 5 Stelle si sono prudentementee fortunatamente astenuti nelle due circostanze.

Non per ultima: la migrazione. Anche qui il PD non ha speciali lezioni da dare. Si accusa legittimamente Di Maio di aver parlato delle navi Ong come di “taxi del mare”, ma si dimentica che il patto della vergogna con la Libia fu negoziato dal ministro Minniti e dal governo Gentiloni. Così come fu concepito da Minniti il codice di comportamento che complica le operazioni di Ricerca e Salvataggio in mare delle navi Ong.

Il buon lavoro svolto in Europa dai Cinque Stelle ha tuttavia poco peso sui dibattiti italiani. Nei salotti del potere i rappresentanti pentastellati continuano a essere trattati come quadrupedi che ancora ignorano l’incedere dei bipedi. Ossessivamente sono chiamati a dirci “cosa faranno da grandi”. Lo chiedono imperiosamente i giornali mainstream, gli estremisti del centro come Renzi o Calenda, il Pd che si muove sul palcoscenico come se non avesse nulla da rimproverarsi nell’evaporare della sinistra italiana. Con supponenza sfoderano il monotono verdetto: “È passato il periodo della battaglie ideologiche!” È passato per tutti tranne che per loro: benvenuti nel deserto del reale!

 * da il fattoquotidiano, 27 settembre 2020

20 settembre 2020

Arriva il Green New Deal all’italiana con il Recovery Fund. Sicuri?

 Il caso della metro 2 di Torino, delle auto elettriche e dei monopattini


di Massimo Marino

Il ministro Costa è sparito. Secondo me lo hanno rapito le Brigate Rosse ma ce lo tengono nascosto.

Per quanto sia un discreto frequentatore degli anfratti più nascosti dei media l’ultima volta che ne ho sentito parlare è stato per una sua eventuale candidatura a presidente della Regione Campania. L’ipotesi era troppo intelligente e Zingaretti, fra un rimbrotto e l’altro ai 5Stelle che sarebbero tiepidi sulle alleanze locali, l’ha subito lasciata cadere. Zingaretti mi ricorda una vecchia battuta di un leader di altri tempi degli ecologisti europei.

 Dobbiamo trovare insieme un leader che vada bene per tutti. Pongo solo una condizione, che sia io.”

(E così, aggiungo io, grazie anche a Zingaretti ci siamo ribeccati De Luca e famiglia con le solite liste-cespuglietto attorno).

Che sia chiaro, il Ministro Costa mi sembra un buon ministro. L’attivismo del Ministero è quasi stupefacente se si pensa ai Ministri degli ultimi 15 anni (Altiero Matteoli dal 2005, Pecoraro dal 2009, Stefania Prestigiacomo dal 2011, Clini dal 2012, Andrea Orlando dal 2014, Gianluca Galletti dal 2016).

In gennaio, con la legge di Bilancio è stato formalmente lanciato il Green New Deal italiano. Nei primi 4 mesi del Conte 2, in era pre-covid ( sett- gennaio ) è stata approvata la Legge sul clima ( un decreto da 450 milioni di euro in tre anni ). Dentro ci sarebbe di tutto: 255 milioni per rottamare auto E3 e vecchi motorini e comprare biciclette o abbonamenti ai bus, 20 milioni ai Comuni per scuolabus elettrici, 40 milioni per corsie preferenziali dei bus, 20 milioni ai commercianti per farsi l’angolo green, 30 milioni per piantare alberi. Il ministro indica il decreto solo come primo pilastro di un edificio (realisticamente direi quattro mattoncini lego) le cui fondamenta sono nella legge di Bilancio, nel Collegato ambientale che dovrebbe affrontare finalmente con rapidità le bonifiche dei siti inquinati che si trascinano da 15 anni, nella legge Salvamare per favorire la raccolta di plastica e altri rifiuti in mare, fiumi,  laghi e spiagge, in Cantiere ambiente per il potenziamento e la velocizzazione degli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico e la salvaguardia del territorio.  Per dare l’idea che si tratta però di risorse davvero scarse la Germania su temi simili (sostenibilità e digitalizzazione )  ha appena stanziato 50 miliardi. Ma riguardano il 2021, non i prossimi 15 anni.

Dopo 8 mesi di rinvii in agosto sono state avviate le consultazioni per il taglio dei sussidi dannosi per l'ambiente (soprattutto quelli al gasolio agricolo e per l'autotrasporto) a seguito anche del rimbrotto della Corte dei conti secondo cui al Governo manca una strategia chiara sul taglio ai sussidi fossili. Si dovrebbe vedere qualche decisione a fine ottobre.

Con la legge di bilancio sarebbero messi a disposizione 33 miliardi diluiti nei prossimi 15 anni a cui si aggiungerebbero altre risorse da Titoli di Stato e Obbligazioni green per il contrasto al cambiamento climatico e la protezione dell’ambiente attraverso Bei, Cdp e sistema bancario. Gli argomenti, ma per il momento sono solo titoli: economia circolare, decarbonizzazione, riduzione delle emissioni, risparmio energetico, sostenibilità ambientale e progetti di carattere innovativo.

Nel Green new deal sono compresi anche contributi alle Regioni. Sono contributi per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, per interventi di viabilità, per la rigenerazione urbana e la riconversione energetica verso fonti rinnovabili. Inoltre, contributi per lo sviluppo di sistemi di trasporto pubblico ecologici (vedremo quali). Si parla in tutto di 5 miliardi e mezzo nel periodo 2021-2034. Tralascio il tema delle abitazioni, su cui interverrò prossimamente. Nell’insieme però, sotto la voce allettante del Green, si tratta di risorse di “quasi” ordinaria amministrazione, pregevoli solo perché nelle legislature precedenti, dove la voce Ambiente arrivava buon’ultima nel Bilancio dello Stato, erano ancora più irrisorie.

Si tratta quindi di voci e contributi di dimensione modesta, diluiti nel corso di parecchi anni, in ogni momento modificabili, in particolare con il NADEF, la Nota di aggiornamento al bilancio che arriva ogni anno verso fine settembre, e naturalmente possono essere rivisti nel caso di eventuali cambi di maggioranza o di Governo.

Davvero si può considerare questo un approccio adeguato all’avvio di un cambio di scenario nella società italiana banalizzando un dibattito in contenuti e cifre modeste e chiamandolo però Green New Deal?  Un dibattito che alla luce delle previste risorse che dovrebbero arrivare nei prossimi anni con il Recovery Fund (209 miliardi), dovrebbe invece avere le gambe e il respiro (i soldi e le idee ) per decollare davvero?

Mi dispiace deludere chi, magari ritenendo come me che il governo attuale sia il migliore possibile del momento, si è fatto però qualche illusione di troppo.

Per primo va notato, con preoccupazione, che fino a qualche tempo fa tutti gli obiettivi previsti o supposti per aggredire la crisi climatica e tutto quanto le gira intorno, venivano datati al 2025 o al 2030. Saltati in modo evidente anche in Italia tutti gli impegni, come ci ricorda la voce inascoltata della giovane Greta Thumberg e dei milioni di giovanissimi comparsi con lei sulla scena degli ultimi 2 anni, oggi ci si riferisce sempre più al 2050, data che per molti scienziati oltre che per i giovani attivisti neoecologisti sembra essere fuori tempo massimo per arrestare la crisi. Triste affermarlo, ma l’unico fattore che ha frenato un po’ i tempi della crisi ambientale negli ultimi anni è stato la comparsa del Covid-19.

Per secondo ci si deve chiedere come si discuterà dell’uso delle risorse del Recovery Fund. Per il momento sottolineo gli argomenti già in vetrina:

1) il rilancio dei cantieri e la semplificazione delle procedure autorizzative. Quali cantieri e quali semplificazioni sarà il centro della battaglia imminente, cioè dopo il voto di metà settembre e spero non si svolga solo fra PD e M5S. Richiederebbe un punto di vista strategico di compatibilità ambientale e di vigilanza sulla spesa che non vede al momento un abbondare di protagonisti seri.

2) i tentativi, già evidenti, di replicare il caso TAV della Val di Susa: cioè l’invenzione di grandi opere, di scarsa o nulla utilità come il TAV, di tempi e di costi incerti come il TAV, che vengono dichiarate, con una opportuna pressione mediatica, assolutamente fondamentali. È il caso, come esempio, del Ponte sul lo stretto di Messina. È preoccupante che su questo approccio pericoloso all’uso delle risorse l’attuale Ministra ai Trasporti, forse la figura più discutibile dell’attuale governo, abbia acconsentito a fare da megafono invece che da dissuasore di sciagurate tentazioni di prenotare il malloppo.  Dunque, il Ministro Costa ed il suo apprezzabile attivismo dovrebbero coniugarsi meglio con un approccio di Conversione ecologica dell’economia e della società, che è l’anima di un progetto di Green new deal. Insomma, se ci sei batti un colpo, ma vero, non per finta.

Faccio solo l’esempio della mobilità, probabilmente il più rilevante e decisivo aspetto della Conversione, sul quale andrebbe finalmente espresso quale è l’obiettivo strategicamente decisivo.

Dobbiamo avere il coraggio di dichiarare che l’automobile, come vettore prevalente della mobilità delle persone è un lussuoso e affascinante rottame del secolo scorso oggi superato, che nel corso dei prossimi 20 anni non possiamo più permetterci di usare come mezzo prevalente per muoversi a nessuna latitudine del pianeta. Tranne che si scelga lucidamente di suicidarsi. Che sia chiaro, nessuna demonizzazione dell’auto: è il mezzo da usare quando è indispensabile (per trasporto di pesi, di bambini e neonati numerosi, di persone con handicap ingestibili, di situazioni di emergenza, di percorsi inusuali). Ma portare a spasso tutte le mattine 900 kg di ferro e plastica per trasportare 1 o 2 persone bruciando petrolio e spargendo polveri sottili in parte da freni e pneumatici oltre che dalla marmitta, non possiamo più permettercelo.  Chiarisco che neppure penso che il suo sostituto possano essere in prevalenza autobus o tram o monopattini a gestione elettrica che, è bene ricordare, vanno tutti a petrolio. Cioè alla fonte c’è sempre prevalentemente un netto consumo di fossili, magari nella forma più conveniente e aggraziata delle auto elettriche o dei simpatici monopattini. Questi ultimi addirittura aumentano, non diminuiscono, i consumi elettrici e quindi prevalentemente di fossili perché difficilmente sono alternativi alle auto ma perlopiù alle biciclette o alle gambe. Per non parlare del problema, da tutti glissato, della gestione entro alcuni anni di milioni di batterie esaurite da rottamare e della scarsità di litio e cobalto.

L’alternativa strategica alle auto sono le reti di metropolitane in tutte le città di grande o media dimensione, in diretto collegamento con le stazioni ferroviarie di traffico locale, regionale o nazionale. Su questi vettori di traffico, insieme a quanto possono essere usate le biciclette e altre forme meno energivore di mobilità, dovrebbe spostarsi almeno l’80% della mobilità, capovolgendo le proporzioni attuali, per attuare un vero percorso di conversione ecologica, che una volta esteso potrebbe competere in alcuni casi persino con il trasporto aereo. L’Italia è indietro in Europa di circa 100 anni e servirebbero urgentemente almeno 1000 km di metropolitana in una trentina di città italiane se si vuole convertire il modello di mobilità del secolo scorso.

*

Tantopiù con la prospettiva delle risorse previste dal Recovery Fund ci aspetteremmo un coro di voci che rivendicano la conversione e invece assistiamo ad episodi deprimenti.

A Torino un monocolore 5Stelle dopo più di quattro anni per arrivare ad un progetto esecutivo ha messo da parte il progetto di metropolitana già presente nelle ipotesi di 15 anni fa che prevedeva una linea 2 estesa di circa 33 km totali ( con eventali biforcazioni agli estremi) i cui poli principali di partenza erano nelle aree di prima cintura di San Mauro-Settimo a nord-est e di Orbassano-Beinasco a sudovest della città (praticamente ormai appendici del capoluogo torinese). E’ stato invece ripreso il vecchio elaborato ridimensionato dopo il 2006 dai quasi monocolore governi PD (per capirsi Castellani, Chiamparino, Fassino) con un percorso a cui si sono tagliate le ali (quelle che invece contano in senso trasportistico) partendo da Rebaudengo, una zona interna alla città che all’epoca con la variante 200 (giustamente cancellata dalla giunta Appendino all’ avvio della legislatura) avrebbe dovuto perlopiù soddisfare qualche costruttore di periferia. Per dare l’idea ancora oggi si prevederebbe a San Mauro (Pescarito) un parcheggio per 5mila auto, a Rebaudengo per 500 !

In nessun paese dell’Europa si sceglierebbe oggi un progetto del genere e tutti hanno imparato da tempo  a progettare e proiettare le linee rapidamente verso l’esterno della città per ovvie ragioni. Il  progetto, nelle diverse versioni, comunque era di fatto finito su un binario morto ( interessava di più la TAV ) e incredibilmente è stato resuscitato solo nel 2015 proprio dai 5Stelle che avevano riaperto in Regione il tema urgente della metro 2 dai banchi dell’opposizione.

Neppure l’aggregato di associazioni e comitatini di vago orientamento ambientalista, riuniti dal 2016 per la primavera (fallita) dei 12 referendum in un coordinamento (Rete Clima), si sono accorti della situazione. Cioè che il più importante progetto di mobilità dell’area torinese del dopoguerra (che si ritiene sia la città più inquinata d’Europa) stava partorendo il topolino chiamato Rebaudengo. Il topolino dovrebbe essere confermato dalla maggioranza 5Stelle in Consiglio Comunale in settembre malgrado che da mesi seppure con grande timidezza e ritardo, 22 sindaci della cintura torinese (compresi in prima linea alcuni 5stelle) abbiano ripetutamente richiesto di riprendere il progetto completo.  Naturalmente si rimanda ad un futuro ( indefinito) il completamento del progetto, ma si tratta di un incerto impegno difficile da mantenere. Fuori dalle risorse in arrivo del Recovery Fund la linea 2 completa non ha un ragionevole futuro. Secondo me ora o mai più. In realtà soltanto una sindaca piddina della cintura torinese sembra forse aver compreso davvero fino in fondo quale occasione storica si stava perdendo e ha alzato lievemente il tono della voce, mi sembra però con scarsi risultati. È da notare che il caso torinese non è comunque isolato. Tutti i progetti di metro che da anni, in certi casi da decenni, vivacchiano in varie città italiane a cominciare da Roma a Palermo, da Torino a Napoli, o procedono in forma ridotta e con scarse risorse o sono di fatto fermi. Insomma, non c’è nulla che faccia pensare nel campo della mobilità pubblica ad un vero progetto di conversione.

In realtà qualcosa si muove ma non è esattamente quello che servirebbe. Si tratta delle auto elettriche.

Non ho mai capito come possano le auto elettriche affascinare qualche ambientalista un po’ distratto una volta verificato che la ricarica avviene per lo più da energia elettrica da fonti fossili, malgrado le promesse e i tentativi falliti di Elon Musk e di altri. Anche qui nessuna demonizzazione: una fettina di auto elettriche, che hanno alcuni pregi innegabili, nella nazione del pianeta con il più alto rapporto auto/abitanti non è certo irrilevante. Di fatto però le auto elettriche sono la risposta delle multinazionali al pericolo che si cambi in modo significativo il vettore della mobilità a favore delle reti metropolitane che sono letteralmente espulse dalla discussione sui media. Le elettriche sono anche un modo per ciucciare, con gli incentivi, un bel po’ di soldi allo Stato. Ma la platea di auto quotidianamente circolanti, di qualunque tipo, deve urgentemente essere ridotta, perché non è più compatibile con la galoppante crisi ambientale. Non vuol dire necessariamente comprarne di meno ma di sicuro usarle molto meno, fra l'altro risparmiando per gli utenti un bel pò di soldi. Non si capisce perché lo Stato possa arrivare a finanziare con i nostri soldi, comprendendo anche i bonus locali, l’acquisto di auto elettriche da parte di una fascia di ceto medio alto, visto che hanno costi nella fascia city car e oltre di almeno 30mila euro, ma spesso sopra i 40mila. Con contributi che in alcuni casi possono superare i 5mila euro e arrivare anche a 10mila. Avallando così la insana convinzione che qualche miliardo di auto elettriche nel mondo ( magari fra 50  anni) siano la risposta alla crisi climatica per la quale ci dicono che i prossimi 10 anni saranno decisivi. Non a caso non c’è nessun segno di flessione significativa nella produzione e consumo di petrolio e fonti fossili. Né in Italia, né in Occidente, ne sull’ intero pianeta.

Proprio Torino, con la sua assenza di rete metro (13 km della linea 1 in tutto! )  è il simbolo di una battaglia persa, forse neppure cominciata. L’ambientalismo un po’ all’acqua di rose, prima di evaporare in mille rivoletti, si è dilettato con le domeniche ecologiche e le targhe alterne. Tuttalpiù abbiamo chiesto le piste ciclabili. Che sono un’ottima cosa e vanno ragionevolmente diffuse ma non sostituiranno mai le 400-450mila auto che tutte le mattine si mettono in movimento nella conurbazione urbana mediamente con 1,5 passeggeri a bordo beatamente rassegnati in coda a chattare al proprio cellulare. Singolare che anche la nostra Appendino, su cui abbiamo riversato grandi speranze, si impegni a inaugurare seminari sull’ auto a guida autonoma, sia sensibile al monopattino diffuso ( che è davvero strafigo da guidare)  ma meno si preoccupi di ascoltare i 22 sindaci, fra i quali in prima linea i pochi ancora in piedi del proprio movimento che la vorrebbero convincere a non fare il più clamoroso errore del suo mandato comunale. Dovrebbe invece forzare e aprire i cantieri a San Mauro e magari ad Orbassano e modificare il progetto Rebaudengo che segna simbolicamente l’omologazione e forse il triste declino della giunta Appendino che a me appare in lento, evidente, esaurimento. Entro qualche giorno, forse qualche settimana, il Consiglio comunale dovrebbe definitivamente approvare un progetto gravemente sbagliato. Speriamo che cambino idea.

Possibile che i due protagonisti principali del momento ( M5S e PD) che hanno a Roma i propri referenti fra loro alleati, che almeno per un po’ risolveranno insieme  il rebus su come  distribuire 209 miliardi fra molte centinaia di diversi progetti, dal ponte sullo stretto in giù, non siano in grado di porre in campo forse il più significativo, anche simbolicamente, progetto di mobilità pubblica del dopoguerra ? Sostenibile, economicamente contenuto (4-5 miliardi) e diluito in 8-10 anni? E che il Ministro dell’Ambiente non sembri neanche sfiorato dal problema?

 foto 1 - il Tracciato della metro 2. In blu quello, in parte finanziato, da Rebaudengo. In verde quello, rinviato, da San Mauro-Pescarito sul quale nasce gran parte del traffico quotidiano. In rosso l’altro tracciato escluso verso Beinasco-Orbassano.

foto 2 - la Renault ZOE, la più economica e venduta fra le city car elettriche nel 2020 (circa 30mila euro preincentivi )

foto 3 - il Monopattino di successo  Xiaomi MI M365PRO elettrico (costo circa 500 euro) con bonus fino al 60%, come per le biciclette.

   Il commento della settimana (3) – 20 settembre 2020