28 febbraio 2017

Il petrolio mondiale vale il PIL del 70% degli Stati al mondo


di Giovanni Pivetta *
Il PIL mondiale del petrolio, non conosce crisi, e si attesta ogni anno sui 3.000 bilioni di $, il che supera il PIL di oltre 131 Stati su 196 del Pianeta e il tutto senza contare i bilioni di barili di petrolio stoccati quali riserve auree, ininterrottamente integrate, in ogni Paese del mondo.  
                                                                                                         
“Per produrre gli alimenti di cui ci nutriamo ricorriamo a concimi e pesticidi derivati dal petrolio; quasi tutti i materiali da costruzione che usiamo – cemento, plastiche eccetera – sono derivati dai combustibili fossili, così come la stragrande maggioranza dei farmaci con cui ci curiamo; gli abiti che indossiamo sono, in massima parte, realizzati con fibre sintetiche petrolchimiche; trasporti, riscaldamento, energia elettrica e illuminazione dipendono quasi totalmente dai combustibili fossili. Abbiamo costruito un’intera civiltà sulla riesumazione dei depositi del Carbonifero.”
Jeremy Rifkin


Quanti Stati ci sono nel mondo?

Gli Stati del mondo sono 206, di cui 196 riconosciuti sovrani. Sono considerati solo gli Stati indipendenti e non quelli membri di federazioni. Gli Stati riconosciuti sovrani a livello internazionale sono 196 di cui 193 sono Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

« Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace che accettino gli obblighi dello Statuto delle Nazioni Unite e che, a giudizio dell’Organizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo. […] »


Osservatori permanenti all’ONU
– la Città del Vaticano (intrattiene relazioni bilaterali con 180 paesi attraverso la Santa Sede) e lo Stato di Palestina (riconosciuto da 120 paesi attraverso l’Autorità Nazionale Palestinese).


Stati riconosciuti parzialmente dagli Stati membri dell’ONU
Abcasia (riconosciuta da 6 stati membri ONU: la Russia, il Nicaragua, il Venezuela, Nauru, Vanuatu e Tuvalu); Cipro del Nord (riconosciuto solo dalla Turchia); Kosovo (riconosciuto da 115 stati membri ONU più Taiwan e il Sovrano Militare Ordine di Malta); Ossezia del Sud (riconosciuta da 5 stati membri ONU: la Russia, il Nicaragua, il Venezuela, Nauru e Tuvalu); Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (riconosciuta da 84 stati membri ONU).

Stati senza nessun riconoscimento degli Stati membri dell’ONU
Repubblica Popolare di Doneck (riconosciuta solo dall’Ossezia del Sud); Repubblica Popolare di Lugansk (riconosciuta solo dall’Ossezia del Sud); Nagorno Karabakh (riconosciuto solo da Abcasia, Ossezia del Sud e Transnistria); Somaliland; Transnistria (riconosciuta solo da Abcasia ed Ossezia del Sud).

Gli Stati al mondo per PIL (nominale) in Bilioni di $

Per PILProdotto interno lordo si intende il valore di tutti i prodotti finiti e servizi prodotti in uno stato in un dato anno. Per PIL nominale si intende che le stime si basano sui valori di mercato correnti, convertiti al dollaro statunitense al tasso di cambio ufficiale. Si veda il confronto tra PIL nominale e PIL (PPA) la valutazione in base al potere di acquisto per ogni stato del mondo.

Wikipedia, aggrega i dati provenienti da 3 fonti come il Fondo Monetario Internazionale la Banca Mondiale e la CIA cioè la Central Intelligence Agency statunitense – in dati sono espressi in bilioni di $ (un bilione è comunemente letto come “mille miliardi” mentre negli Negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone, come in altri dove è in uso la scala corta, lo si definisce trillion).


L’economia mondiale in mano a 10 Stati (65%) al mondo

I dati stimati si riferiscono all’anno 2013-14 e la fonte più aggiornata presa in esame è il Fondo Monetario Internazionale:
Il PIL mondiale è 77.301 bilioni di $.
Il PIL di 131 Stati su 196 (dal 66 al 196 posto) è di 2.172 bilioni di $.
Il PIL dei primi 10 Stati al mondo è di 50.598 bilioni di $.


Il PIL mondiale del petrolio

La produzione petrolifera è in aumento in quasi tutto il mondo e per i prossimi anni la situazione non sembra destinata a cambiare.


La produzione mondiale di petrolio
Nel 2014 la produzione mondiale era di 93.097.000 barili al giorno, in crescita rispetto ai 90.904.000 barili del 2013 ed oggi sempre in crescita andrà a sfiorare i 100.000.000.

I primi 10 produttori di petrolio al mondo:
1) Stati Uniti – 2) Russia – 3) Arabia Saudita – 4) Canada – 5) Cina
6) Emirati Arabi Uniti – 7) Iran – 8) Iraq – 9) Brasile – 10) Messico.

Bisogna osservare che i primi 5 Paesi fanno quasi il 40% della produzione mondiale di petrolio. E che Gli Stati Uniti, dal 2014, hanno sorpassato l’Arabia Saudita e la Russia diventando il primo produttore di petrolio al mondo, con una crescita record dovuta al petrolio non convenzionale estratto con la tecnica del fracking.


Migliaia le fuoriuscite da ‘fracking’ gas e petrolio in Usa:
uno Studio della Duke University rileva oltre 6.600 perdite in 10 anni in 4 Stati e smentisce i dati dell’Environmental Protection Agency (Epa), l’equivalente del nostro ministero dell’Ambiente, che indicava per lo stesso periodo non più di 457 perdite.

Stiamo parlando – come riporta in un’agenzia del 22 febbraio l’Ansa – del “fracking” (o fratturazione idraulica) consiste nell'”iniezione” di enormi volumi di acqua, sabbia e sostanze chimiche nel sottosuolo per fratturare le rocce – per effetto della pressione – ed estrarre così petrolio e gas. Un metodo che ha sollevato timori, ad esempio nei confronti delle sostanze chimiche, che possono inquinare le falde acquifere.


L’oro si chiama shale oil – dal 2011 al 2013, gli Stati Uniti (sotto la presidenza Obama) hanno investito circa duemila miliardi di dollari per sviluppare nuova capacità produttiva di petrolio e gas. È stato il ciclo d’investimenti più massiccio della storia. 


La “bolla” galleggiante del prezzo del petrolio


La quotazione del barile di petrolio (159 litri o 42 galloni):
Tra il 2007 e il 2014, i prezzi del petrolio si sono attestati in media sopra i 100 dollari a causa di tensioni geopolitiche. Questo prezzo elevato del petrolio ha creato enormi incentivi per investire in nuove tecniche di produzione che, a loro volta, hanno favorito il diffondersi di tecniche di perforazione più efficaci, che hanno aumentato la produzione.

Dal luglio 2014, con il rientro in gioco dell’Iran, (accordo sul nucleare e allentamento delle sanzioni economiche) e con il boom della produzione mondiale sospinto dalla strategia dell’OPEC (il cartello controlla circa l’80% delle riserve mondiali di greggio e quasi metà di quelle di gas naturale), il prezzo è stato fatto “precipitare fino ai 27 dollari al barile per mettere fuori mercato i produttori non-Opec e lo shale oil americano. 


Dal gennaio del 2016 ad oggi il prezzo al barile del petrolio è oscillato tra i 50 e i 60 dollari.


Il petrolio mondiale è il PIL del 70% degli Stati al mondo

La crescita della domanda globale di petrolio non subisce rallentamenti, per quanto riguarda il settore della raffinazione, negli ultimi quattro anni la capacità di raffinazione mondiale è cresciuta a dismisura e il costo per l’estrazione è sceso anche nel caso dello shale oil.


Il PIL mondiale del petrolio si attesta sui 3.000 bilioni di $, il che supera ampiamente il PIL di oltre 131 Stati su 196 del Pianeta e il tutto senza contare i bilioni di barili di petrolio stoccati quali riserve auree in ogni Paese del mondo, che ogni anno vengono integrate.


Come affermò il ministro del petrolio saudita dal 1962 al 1986, Ahmed Zaki Yamani “L’età della pietra non è finita per mancanze di pietre e l’età del petrolio non finirà per il prosciugamento dei pozzi” e la geopolitica del petrolio cambia l’ordine mondiale.


“La Terza rivoluzione industriale ci offre la speranza di poter raggiungere una nuova era sostenibile post carbonio, evitando la catastrofe del cambiamento climatico. Disponiamo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, e delle linee guida per renderlo possibile. Ora la questione è essere disposti a riconoscere le opportunità economiche che ci attendono e trovare la determinazione per coglierle in tempo.”


*  da  www.habitami.it    27 febbraio 2017

27 febbraio 2017

I mille giorni del governo Renzi e il «molto» che è stato fatto per le rinnovabili in Italia



Greenpeace, Legambiente e Wwf al governo: "Quali sono i suoi piani e le strategie dopo l’Accordo di Parigi?"

«La questione ambientale, legata alla sostenibilità e alla green economy, è sempre più centrale nel mondo. Durante i mille giorni abbiamo fatto molto per questo settore ma ne abbiamo parlato poco». 

Mentre Matteo Renzi è volato fino in California per tornare a parlare di green economy è l’associazione Italia solare – che riunisce operatori e possessori di impianti fotovoltaici in Italia – a ricordare in cosa consiste quel «molto» rivendicato dall’ex premier.

«Con il governo Renzi – osservano da Italia solare – il fotovoltaico ha toccato i minimi storici degli ultimi anni e non solo per immobilismo o indifferenza ma per una serie di interventi che appaiono deliberatamente contro il fotovoltaico, le altre rinnovabili e l’efficienza energetica. Appena insediato, nel 2014, è stato emanato il Decreto Spalmaincentivi, che ha tagliato retroattivamente gli incentivi agli impianti di potenza superiore ai 200 kWp. Moltissime aziende, a causa delle impreviste minori entrate, si sono trovate in grande difficoltà, soprattutto coi pagamenti delle rate dei finanziamenti. Nel 2015 ha preso forma un altro provvedimento scandalosamente contro il fotovoltaico e l’efficienza energetica: la riforma delle tariffe elettriche che, come risulta dagli stessi documenti dell’Autorità per l’Energia, causa aumenti delle bollette del 10-30% per 17 milioni di famiglie, in particolare per le meno abbienti. Una riforma che incentiva lo spreco energetico, contro ogni principio di buon senso e pure in antitesi con le raccomandazioni comunitarie. Nel 2016 sono stati tolti gli impianti fotovoltaici dalla lista degli interventi che possono beneficiare dei certificati bianchi, che rappresentavano gli unici aiuti per chi non poteva usufruire, a causa di un basso reddito, della detrazione fiscale. Inoltre durante il governo Renzi più volte i Sistemi di Distribuzione Chiusi (SDC), che permettono di sfruttare al meglio gli impianti fotovoltaici rendendoli utilizzabili da più utenti, sono stati bocciati. Dire che il governo Renzi ha aiutato il fotovoltaico è falso. In ogni caso si può sempre cambiare idea e ne saremmo tutti felici».
Nel frattempo, a chiamare in causa l’operato dell’attuale governo guidato da Paolo Gentiloni sono tre delle principali associazioni ambientaliste presenti in Italia – Greenpeace, Legambiente e Wwf –, che rivolgono oggi una lettera aperta al presidente del Consiglio, ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, nonché ai governatori delle regioni.
Gli ambientalisti chiedono come mai  «il governo italiano, violando gli impegni assunti con il recepimento della Direttiva comunitaria Offshore (con il Dlgs n. 145/2016), si rifiuti ancora oggi di prevedere una programmazione delle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi da sottoporre a Valutazione Ambientale Strategica, mentre procede  ad aprire Valutazione di Impatto Ambientale sulle singole istanze per permessi di ricerca offshore, che rappresentano la categoria più numerosa tra le procedure oggi aperte (37,5% con 6 istanze su 16; seguono 3 per autostrade, 2 per impianti idroelettrici, 2 per reti ad alta tensione, 2 per porti, 1 per aeroporti)».
Inoltre, nella lettera aperta le tre associazioni ambientaliste chiedono al governo Gentiloni di:
  1. riparare al danno fatto dal Governo Renzi, con la raffazzonata modifica contenuta nella Legge di Stabilità 2016 di una delle poche disposizioni positive del decreto Sblocca Italia, che all’articolo 38, comma 1 bis (cancellato improvvidamente per esigenze strumentali pre-referandarie) prevedeva la redazione di “Piani delle aree”, fortemente voluti dalle Regioni e dai Comuni, per le attività di estrazione degli idrocarburi;
  2. dare finalmente concreta attuazione a quanto previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 145/2016 di recepimento della Direttiva europea “Offshore”, che prevede sia garantita la partecipazione pubblica tramite alle procedure di valutazione ambientale strategica su piani e programmi, per valutare organicamente e cumulativamente i possibili effetti sull’ambiente delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, nell’interesse delle popolazioni e degli enti locali;
  3. discutere pubblicamente, impostare e dare concreta attuazione al più presto a una nuova Strategia nazionale energetico/climatica richiesta dopo l’Accordo di Parigi che punti convintamente sulle fonti rinnovabili, sul risparmio e l’efficienza energetica, chiudendo al più presto il capitolo delle fonti non rinnovabili più inquinanti.
«L’Italia è un Paese refrattario alla pianificazione degli interventi in campo energetico, con un  Governo – chiosano le associazioni – che rischia di porsi al di fuori dall’Europa e degli impegni assunti su scala internazionale, e continua a dare carta bianca alle aziende petrolifere (in primis Eni e Edison), a interessi industriali ad alto rischio ambientale, senza un disegno unitario. Greenpeace, Legambiente e Wwf chiedono, appoggiando le analoghe richieste della rete dei comitati No Triv, un segnale positivo dal governo Gentiloni, un atto concreto che dimostri che l’Italia vuole davvero essere uno dei Paesi più avanzati al mondo».
  da greenreport.it, 24 febbraio 2017