31 luglio 2021

Trivelle: L’arbitrato internazionale su “Ombrina mare” verso la conclusione

Ambiente. L'arbitrato è iniziato nel 2017 e c'è la Rockhopper che accusa l'Italia di presunte violazioni all'Energy Charter Treaty (Ect). Il trattato, entrato in vigore nel 1998, prevede la protezione di "investimenti stranieri" in campo energetico, e la risoluzione di conflitti fra investitori e Paesi ospitanti


di Serena Giannico *

La compagnia Rockhopper Exploration ha annunciato ai propri investitori che l’arbitrato internazionale contro l’Italia in merito alla questione “Ombrina mare” si concluderà in questo mese, a luglio. La società britannica, con sede a Salisbury, nel Wiltshire, nel Regno Unito, prevede di ricevere compensi elevati dovuti alla mancata realizzazione, in Abruzzo, di una piattaforma petrolifera e di pozzi offshore, a pochi chilometri dalle spiagge della Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti.

Il progetto “Ombrina mare” prevedeva anche lo stazionamento, sul posto, di una Fpso, nave desolforante altamente inquinante, la cui fiaccola, sempre accesa, brucia-idrogeno solforato: essa sarebbe stata attiva 24 ore al giorno, tutti i giorni. Tutto è stato bloccato da una strenua lotta ecologista e da una decisa sollevazione popolare. “In una conferenza agli investitori – spiega Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice e attivista abruzzese che lavora e vive negli Usa – Sam Moody, ceo Rockhopper, stima i costi sostenuti in circa 40-50 milioni di dollari, e i mancati profitti in circa 200-300 milioni di dollari”.

L’arbitrato è iniziato nel 2017 e c’è la Rockhopper che accusa l’Italia di presunte violazioni all’Energy Charter Treaty (Ect). Il trattato, entrato in vigore nel 1998, prevede la protezione di “investimenti stranieri” in campo energetico, e la risoluzione di conflitti fra investitori e Paesi ospitanti. “Nei decenni passati – fa presente D’Orsogna – l’Ect e’ stato fortemente criticato da organizzazioni non governative europee per essere troppo favorevole alle multinazionali oil & gas, e per fare troppo poco per difendere residenti, consumatori e ambiente. “Ombrina” – aggiunge – non fa eccezione. Il triumvirato che compone l’arbitrato è stato finora poco trasparente e non ha coinvolto la gente d’Abruzzo che ha eroicamente difeso e protetto i propri mari dall’ecomostro”.

Ma chi sono i tre giuristi coinvolti? Il presidente è Klaus Reichert, tedesco-irlandese. Insieme a lui c’è un arbitro nominato dalla Rockhopper, Charles Poncet, svizzero, e uno dal Governo italiano, Pierre-Marie Dupuy, francese. “Nessuno di loro – spiega D’Orsogna – ha sentito l’esigenza di visitare i luoghi dove “Ombrina” sarebbe dovuta sorgere, di sentirne la storia e di capire l’immenso movimento popolare che l’ha contestata e fermata. Evidentemente per loro, e per Rockhopper, “Ombrina” e l’Abruzzo sono concetti astratti legati al business. Dei tre – prosegue la ricercatrice – il più pro-petrolio è Poncet, ex dirigente della Cms, mega società composta da 4.000 avvocati specializzata in supporto legale alle ditte oil and gas in tutto il mondo. Al momento delle sue dimissioni da Cms per dedicarsi agli arbitrati internazionali, nel 2017, Poncet ha dichiarato di farlo perché c’erano “troppi” conflitti di interesse. Tutto questo non ispira fiducia di imparzialità”.

Denuncia D’Orsogna: “Secondo la Corporate Europe Observatory, non-profit europea che sottolinea spesso la mancanza di neutralità dell’Ect, quando Poncet è stato selezionato dalla Rockhopper gli investitori hanno esultato dicendo che con lui vincere sarebbe sarebbe stata “una passeggiata nel parco”. Non sappiamo che linea difensiva l’Italia abbia preso, – evidenzia – ma certo è che nel 2014, quando Rockhopper ha acquistato “Ombrina mare”, avrebbe dovuto essere pienamente consapevole dei rischi economici associati e del quadro legislativo in perenne mutazione. Dopotutto c’era già stata la legge del 2010 che aveva fermato l’iniziativa. Un investimento è sempre un rischio e investire, come ha fatto Rockhopper, con un intero popolo contrario, è un rischio grande. Può andar bene, può andar male. È la regola numero uno dell’investire. Se la multinazionale ha perso soldi con “Ombrina” non è colpa dell’Italia. È perché si è stupidamente ostinata a perseguire trivelle che nessuno voleva, producendo impatti ambientali superficiali e pieni di errori, ignorando la vox populi. Bastava leggere la stampa locale, i tanti blog e anche solo… affacciarsi in Abruzzo per rendersi conto che “Ombrina” si profilava come pessimo affare”.

“Comunque vada a finire – conclude D’Orsogna – resta la soddisfazione di aver protetto i nostri mari, la nostra dignità, e di aver dato una lezione di democrazia, anche al misterioso triumvirato. Non siamo (ancora!) diventati distretto minerario e questo non ha prezzo”.

* da il manifesto - 4 luglio 2021

24 luglio 2021

G20 di Napoli, sfuma il miracolo: il carbone non esce di scena

 Il vertice. Il ministro Cingolani: accordo su 58 punti ma ammette la resa sui 2 principali: uscita dal fossile e riscaldamento entro + 1,5 gradi

di Marinella Correggia *

I paesi responsabili di oltre l’80% delle emissioni di gas climalteranti, riuniti a Napoli nel G20 Ambiente, clima ed energia, hanno negoziato fino all’ultimo, trovando poi un accordo su 58 articoli mentre, ha precisato una nota del ministero della transizione ecologica, «i due punti su cui solo India e Cina non concordano nella formulazione, sono stati spostati al livello dei Capi di Stato». I due punti sono quello relativo al contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi al 2030 e sulla chiusura delle centrali a carbone nel 2025. Poco prima in conferenza stampa il ministro Roberto Cingolani aveva parlato di cinque paesi dissidenti. Anche Russia e Cina si sono impegnate a eliminare gradualmente la produzione di energia dal carbone.

IL MINISTRO HA precisato che «nessuno dei G20 ha messo in dubbio gli accordi sul clima di Parigi. Ma il messaggio che arriva alla Cop26 è che paesi come Usa, Europa, Giappone e Canada vogliono fare di più, accelerare. Altri economicamente non ce la fanno, e preferirebbero ribadire quanto scritto nell’Accordo di Parigi». Per alcuni membri del G20, ha spiegato, la fuoriuscita dal carbone e l’accelerazione sugli 1,5 gradi comporta una messa in discussione troppo drastica del modello economico fortemente basato sui fossili. E dal quale, aggiungiamo noi, le economie dei membri più «virtuosi» del G20 – Ue, Usa, Canada – dipendono moltissimo.

CINGOLANI HA SOSTENUTO che se «quattro mesi fa diversi paesi non volevano neppure sentire parlare di questi argomenti, mentre ora hanno firmato» è perché c’è stata una maturazione culturale, «una curva di apprendimento passata anche attraverso le catastrofi»: si riferisce a quelle che hanno toccato in modo inedito, con le inondazioni, la stessa Europa. Evidentemente, gli eventi estremi che da decenni colpiscono paesi e popolazioni ben meno responsabili della crisi climatica, toccano meno il cuore dei potenti.

Il ministro ha promesso: «Noi entro dieci anni dobbiamo fare il grosso del lavoro che ci deve portare nel 2050 a decarbonizzare, è una questione di accelerazione nel passaggio alle energie pulite». Punti del documento finale riguardano l’allineamento dei flussi finanziari agli impegni dell’Accordo di Parigi, il sostegno all’adattamento e alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, gli strumenti di finanza verde che dovranno essere compatibili con la road map di Parigi 2015, la condivisione delle migliori pratiche tecnologiche, il ruolo della ricerca, sviluppo e innovazione che dovranno introdurre, ha spiegato Cingolani, una «transizione epocale» nei settori industriali più pesanti per il clima – e questo riguarda i paesi fortemente manifatturieri. Ovviamente fanno parte dell’orizzonte soluzioni che molti ambientalisti ritengono false, come la cattura e lo stoccaggio della CO2.

DUE ALLEGATI SI SONO soffermati sulla povertà energetica e sulla sicurezza energetica – dove le disuguaglianze fra paesi e classi sono flagranti. L’Accordo di Parigi prevede in effetti un fondo da 100 milioni di dollari per i paesi rispetto ai quali c’è uno storico debito e climatico, ,a si tratterà di vedere quanto e come. Occorrerà verificare anche la partita dei sussidi ai combustibili fossili (una montagna di oltre 3,3 trilioni di dollari da parte dei G20, dal 2015 al 2019): l’impegno di Pittsburg del 2009 chiede di eliminarli.

UN SUCCESSO, IL G20 TEMATICO? Maria Grazia Midulla, del Wwf e coordinatrice del gruppo Clima, biodiversità e transizione ecologica del Civil20 (la società civile) dice a caldo: «Aspettiamo di vedere i punti approvati. Ma è certo che davanti a milioni di persone vittime degli impatti dei cambiamenti climatici, i politici debbano andare più veloci».

Alla domanda sulla partita del gas nel futuro dell’Italia, il ministro è stato brusco: «Dobbiamo decarbonizzare, uscire dal fossile. Più aumentiamo le rinnovabili, più occorre garantire stabilità di rete, che oggi si fa con il gas, poi migliorerà la tecnologia degli accumulatori – adesso tre volte più costosa rispetto al gas. Se non li avremo, metteremo il gas. Non vogliamo il gas? Non accenderemo il condizionatore perché avremo il black-out».

E il giacimento del risparmio energetico?

* da il manifesto -24 luglio 2021

23 luglio 2021

Tutti i numeri della grande piaga del caporalato

 Agricoltura. L’European House Ambrosetti stima circa 80 distretti agricoli gestiti da «caporali» con oltre 400 mila operai coinvolti (l’80% stranieri), a 25 - 30 euro per12 ore di lavoro

 

di Alessandro Monti*

Presente nell’edilizia e nei trasporti, nella logistica e nei servizi di cura, l’intermediazione illegale di manodopera si è radicata con particolare virulenza e pervasività nelle attività agroalimentari caratterizzate da rapporti di lavoro di breve durata in luoghi isolati dai centri abitati, in grado di sfuggire ai controlli.

Il documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sul fenomeno del «caporalato» in agricoltura condotta dalle Commissioni Riunite Lavoro e Agricoltura della Camera dei Deputati (Doc. XVII, n.9) sottolinea la gravità di un fenomeno parte integrante della rete criminale delle agromafie e l’urgenza di una più decisa azione di contrasto e di prevenzione. pdf qui 

Pressati dalla concorrenza internazionale e dall’incertezza delle «aste a doppio ribasso», per rendersi più competitive e accrescere i profitti, anziché puntare sull’innovazione tecnologica, numerose aziende agricole hanno preferito comprimere al massimo i costi del lavoro attraverso il ricorso a forme criminose di reclutamento e organizzazione della manodopera.

Lo sfruttamento lavorativo avviene su persone in stato di bisogno costrette ad accettare condizioni di vita degradanti che il Covid ha peggiorato. I trattamenti vessatori e umilianti ai quali sono sottoposte provocano completa dipendenza dai caporali: una vera e propria servitù, fino a casi di schiavitù per i provenienti da operazioni di tratta di esseri umani.

La normativa vigente offre importanti strumenti di contrasto. Il Parlamento ha in gran parte rispettato le convenzioni internazionali sui diritti umani e le Direttive europee che obbligano gli Stati a legiferare contro il commercio di esseri umani e le varie forme di coercizione lavorativa.

Le modifiche apportate al Codice Penale nel 2016 dalla legge 199, con l’ampliamento degli strumenti investigativi, l’aggravamento delle pene per i caporali, le sanzioni a carico dei datori di lavoro coinvolti e le confische in caso condanna (art. 603 bis) sono risultati efficaci anche se non risolutive. Hanno consentito di moltiplicare gli accessi ispettivi (5.806 nel 2019) e le sospensioni di attività imprenditoriali illecite.

Dai dati sulle operazione di polizia giudiziaria svolte dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Lavoro emerge come nel 2019 siano state denunciate 324 persone, di cui 99 in stato di arresto, con 1488 lavoratori coinvolti, di cui 751 in nero. Ma andrebbe meglio se si attivassero apposite task force con l’ausilio di droni.

Gli esiti della politica di prevenzione sono deludenti. Si registra il persistere di una tipologia di tratta finalizzata alla cattura di operai da impiegare forzatamente nelle filiere agroalimentari e il diffondersi del caporalato in quasi tutto il territorio nazionale con il sistematico sfruttamento di migranti extracomunitari privi di permesso di soggiorno, e la sempre più frequente presenza di criminalità organizzata.

L’European House Ambrosetti stima in almeno 80 i distretti agricoli gestiti da “caporali” con oltre 400 mila operai coinvolti (l’80% stranieri), pagati 25 – 30 euro al giorno per 12 ore di lavoro.

La «Rete di lavoro agricolo di qualità» non ha avuto il successo sperato. Istituita sin dal 2014 presso l’Inps, valorizza le aziende che impiegano manodopera con modalità trasparenti e conformi alle leggi sul lavoro sottraendole alla vigilanza ispettiva. Alla fine di gennaio 2021 però gli iscritti alla Rete erano appena 4506 su un potenziale di 120 mila aziende e oltre 200 mila coltivatori.

Il suo rilancio richiederebbe di aprire le «Sezioni territoriali della Rete» in grado di assicurare ai lavoratori adeguati servizi alloggiativi e di trasporto e offrire sedi di incontro tra domanda e offerta di lavoro favorendo l’emersione di «lavoro nero» e «lavoro grigio» alla base delle pratiche commerciali sleali vietate dalla Direttiva Europea 633 del 2019.

Resta cruciale il ruolo etico dei consumatori che dovrebbero preferire i prodotti delle imprese virtuose aderenti alla Rete che operano in regime di legalità richiedendo alle catene di distribuzione commerciale di indicare nelle etichette il prezzo di origine pagato al produttore per evidenziare il peso delle successive intermediazioni.

Il Governo punta sulle «azioni prioritarie» che il Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-22) prevede per le aree più critiche. Ma il vero deterrente potrebbe rivelarsi l’introduzione della «Clausola sociale di condizionalità» nella nuova disciplina della Politica Agricola Comunitaria (Pac). Prevista in un emendamento approvato dal Parlamento europeo il 23 ottobre 2020: la clausola stabilisce che i sostanziosi contributi europei possano essere concessi e mantenuti solo ad aziende in linea con i contratti collettivi di lavoro e la normativa nazionale ed europea.

È da augurarsi che l’intreccio di interventi pubblici e comportamenti individuali sensibili al rispetto dei diritti umani e della dignità della persona sia proficuo, in grado di incidere profondamente su una piaga sociale inaccettabile per una comunità civile.

* Ordinario di Teoria e politica dello sviluppo, Camerino

da il manifesto - 23 luglio 2021

Il Reddito di cittadinanza si può cambiare: ecco come va potenziato

Il bilancio Caritas. Ha funzionato e i suoi difetti sono comuni a tutti i paesi Ocse. L’Italia era all’ultimo posto per aiuti ai poveri: ora è possibile renderlo più efficace

di Domenico De Masi *

Mentre i media continuano a confondere le idee sul Reddito di cittadinanza, studiosi attenti e studi accurati si sforzano di fare chiarezza. Il risultato più recente di questi sforzi è offerto dalle 487 pagine del rapporto Lotta alla povertà. Imparare dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di cittadinanza, appena pubblicato dalla Caritas, organismo pastorale della Conferenza Episcopale. Con dovizia di dati, offre un aiuto prezioso a coloro che intendono informarsi su chi ha ricevuto il Rdc, come è stata organizzata la rete del welfare locale, quali sono stati i percorsi di inclusione sociale e lavorativa, quali nodi di attuazione sono stati messi in luce dalla sua applicazione. Due capitoli sono dedicati al rapporto tra il Rdc e i beneficiari dei servizi della Caritas; altri due al reddito minimo così come adottato nei Paesi Ocse e al Rdc in una prospettiva comparata. Tre capitoli sono dedicati alle misure emergenziali attuate per fronteggiare il Covid. I due capitoli finali sono dedicati alle proposte per il riordino del Rdc e all’impegno della Caritas in questo senso.

Sono stato così puntiglioso sui contenuti del Rapporto per sottolineare quante cose si dovrebbero sapere prima di chiedere un referendum per abolire una misura che – secondo le parole del responsabile delle politiche sociali della Caritas – “punta a favorire l’autonomia e lo sviluppo integrale delle persone sostenendole dal punto di vista sociale e lavorativo”. È una misura che coinvolge problemi complessi, molto difficili da analizzare e risolvere perché intersecano la politica, l’economia e la sociologia, ma che vanno affrontati scientificamente se si vogliono evitare conseguenze sociali ancora più irreparabili. Mi limito qui solo a un paio tra i tanti argomenti affrontati dal Rapporto Caritas. Premessa: si parla di Rdc includendovi la Pensione di cittadinanza (Pdc).

Il Paese più avaro   Un capitolo compara il nostro Rdc con il reddito minimo in vigore nei Paesi Ocse. Obiettivo del reddito minimo è la target efficiency, la capacità di raggiungere le fasce più deboli di popolazione. In media, nei 37 Paesi Ocse, l’11% della popolazione in età lavorativa è a rischio povertà mentre in Italia è il 15%. Se si considerano i soli disoccupati, sale al 30% nell’Ocse e al 59% in Italia. Come si cautelano i cittadini contro questo rischio? Quelli che lavorano e guadagnano a sufficienza pagano contributi sociali che, in caso di perdita del lavoro, permettono loro di ricevere aiuti (pensione, Cig, indennità di malattia, ecc.). Agli altri, lo Stato assicura sussidi assistenziali come il reddito minimo a cui spesso ne vengono affiancati altri per i figli piccoli, l’affitto, la disabilità, ecc.

Tutti i 37 Paesi dell’Ocse prevedevano già molto prima dell’Italia trasferimenti simili al nostro Reddito di cittadinanza. Oggi i trasferimenti sociali di tipo non contributivo, rispetto al totale dei trasferimenti, rappresentano l’82% in Danimarca, il 71% in Irlanda, il 60% in Germania e il 51% in Francia. In Italia non superano il 38%. Insieme al Portogallo siamo il Paese più ingiusto sulla ripartizione dei trasferimenti: nel 2018, mentre il 43% di tutti i sussidi erogati alla popolazione in età lavorativa è andato al 20% più agiato sotto forma di cassa integrazione, pensioni anticipate, pre-pensionamenti, ecc., solo l’8% è arrivato al quintile di reddito più basso.

Fin quando c’era il Rei, l’Italia era al 37° posto (cioè all’ultimo) tra tutti i Paesi dell’Ocse per ammontare di sussidi erogati ai suoi poveri; con il Rdc siamo passati al 33° posto. Questo piazzamento è vergognoso se si considera da una parte l’annoso ritardo con cui è stato attivato il Rdc e l’esiguità dell’importo, dall’altra che il nostro è l’ottavo Paese al mondo per Pil e che, nell’ultimo decennio, i 6 milioni di italiani più ricchi, nonostante la crisi, hanno visto aumentare del 72% il loro patrimonio. Eppure, quando si discuteva se introdurre il Rdc, un coro che andava da Salvini al cardinale Bassetti, presidente della Cei, piagnucolò che non si sapeva dove prendere i soldi.

Un bilancio    Il Rdc ha poco più di due anni. Nel 2020 vi erano in Italia 26 milioni di nuclei familiari di cui il 91,4% non pativa povertà (dati Istat e Inps). Il resto versava in uno stato di povertà assoluta (2 milioni, il 7,7%) o povertà relativa (5,5 milioni). Le famiglie che hanno ricevuto il Rdc sono state 1,58 milioni, il 4,7%, con oscillazioni che vanno dallo 0,2% a Bolzano al 12,2% in Campania. Nel 17% dei nuclei percettori vi sono disabili; nel 29% ci sono minori.

L’importo medio è stato di 584 euro. Basta per uscire dalla povertà assoluta? Secondo il Rapporto, “malgrado un tasso di copertura non molto elevato, il Rdc ha avuto un effetto significativo sulla povertà e sulla diseguaglianza”. La percentuale delle famiglie in povertà assoluta è diminuita di 1,7 punti e quella delle famiglie in povertà relativa di 1,3 punti, mentre l’Indice di Gini è migliorato dallo 0.334 allo 0.326. Il 57% di quanti hanno ricevuto il Rdc sono usciti dalla povertà. Non è poco.

Il welfare    Come ho detto, la povertà è un capitolo socio-economico molto complesso. Chi denunzia con livore o si scandalizza dei difetti riscontrati in questi due anni o gioca una sua partita elettorale sulla pelle dei poveri o dimostra la propria ignoranza della materia. Il welfare, di cui il Rdc fa parte, non è un’invenzione di comunisti o socialdemocratici. Lo impose il “cancelliere di ferro” Otto von Bismarck, odiato dai socialisti, come astuta risposta alle sfide della società industriale e alle istanze religiose per arginare le rivendicazioni sindacali, la lotta di classe e le spinte rivoluzionarie. Avversare il welfare da parte dei ricchi significa essere imprudenti; sostenere che nei Paesi capitalisti la povertà si combatte con la crescita significa non aver capito come mai in ricche nazioni come gli Usa crescano sia la ricchezza che il numero degli indigenti.

L’adozione del Rei prima e del Rdc dopo va considerata come un test per individuare i problemi e risolverli. Due di questi, prevedibili ma solo ora quantificabili, consistono nel fatto che un certo numero di poveri non lo ha percepito mentre un certo numero di percettori del sussidio non lo meritava. Questa anomalia, presente in tutti i Paesi, è scontata ma va circoscritta il più possibile.

Gli ingenui   Su 100 famiglie, 6,9 sono povere. Di queste, 3,9 (il 56%) non hanno percepito il Rdc perché non ne conoscevano l’esistenza o non sono riuscite a sbrigare le pratiche necessarie, o perché non hanno saputo calcolare bene il loro grado di povertà, soprattutto se possessori di mobili e immobili. Ma come mai è così difficile raggiungere i poveri meritevoli del sussidio? Prendiamo il caso limite: i barboni. Nei 158 Comuni dove si è cercato di individuarli, sono risultati in circa 60.000 quindi è probabile che in tutto il Paese siano almeno il quadruplo (negli Stati Uniti sono 532.000 e in Germania 337.000). Il Rapporto riferisce che il 45% dei nuclei assistiti dalla Caritas non ha percepito il Rdc perché neppure sapeva che esistesse, o credeva di non averne i requisiti, o aveva difficoltà nel presentare la domanda, o mancava di un sufficiente supporto e orientamento. Se tutte le forze di sinistra, tutti i sindacati e tutti gli uomini di buona volontà che dicono di battersi per la giustizia sociale, se tutte le associazioni caritatevoli e filantropiche che procurano minestre calde ai barboni, avessero accompagnato i poveri di loro conoscenza nell’itinerario burocratico che conduce al sussidio statale, molte decine di migliaia di senzatetto avrebbero sostituito la dipendenza poco dignitosa dalla carità aleatoria con il diritto civile alla sopravvivenza riconosciuta e assicurata dallo Stato.

Comunque la difficoltà di intercettare si riscontra in tutti i Paesi. In Germania il sussidio Alg II ha impiegato 15 anni per raggiungere 15 milioni di poveri, il 60% dei potenziali destinatari. Tutto sommato l’Italia è in una situazione migliore, nonostante abbia Centri per l’Impiego di gran lunga più sgangherati. Già nel primo mese di erogazione, da noi si contava più di mezzo milione di nuclei beneficiari, diventati 1,13 milioni nel marzo 2021.

I “furbi”   Il caso opposto è quello dei percettori del sussidio che non lo meritano. Anche questo fenomeno si riscontra in tutti i Paesi Ocse, ma in Italia rappresenta il grande cavallo di battaglia dei nemici del Rdc. Se si usasse lo stesso criterio anche per il sistema fiscale, si dovrebbe passare all’abolizione delle tasse dal momento che ci sono i furboni che le evadono. La caccia a questi furbetti del Rdc è diventato il piatto forte dei talk show. Come abbiamo visto, su 100 nuclei, 4,7 hanno percepito il Rdc. Di questi, l’1,7% non possedeva i requisiti per meritarlo. Questo 1,7 equivale al 36% di tutti i nuclei che hanno percepito il reddito. La percentuale aumenta nei nuclei di piccole dimensioni; nel Nord si ferma al 29% ma nel Mezzogiorno arriva al 40%.Cristiano Gori, responsabile scientifico del Rapporto, riconosce “l’importanza di avere una misura di contrasto della povertà ben finanziata nel nostro Paese. Un obiettivo per il quale Caritas Italiana si è sempre impegnata e che – per decenni – è sembrato irraggiungibile”. Dopo 70 anni di incuria, questi due anni di sperimentazione erano indispensabili, altrimenti oggi i tempi non sarebbero maturi per un riordino della materia, finalmente capace di saldare il debito tra lo Stato e i suoi cittadini meno fortunati.

* da ilfattoquotidiano.it -23 luglio 2021