24 gennaio 2012

Bottle Life: il documentario che svela il business dell'acqua della Nestlé

di Roberta Ragni *

L’acqua, fondamentale risorsa del Pianeta, sta rapidamente sparendo. La sua scarsità a livello globale si profila come la maggiore minaccia di crisi ecologica, economica e politica. L’oro blu, bene imprescindibile per la vita umana, è sotto minaccia. Soprattutto perché fa gola alle multinazionali e il suo business ha un valore immenso. Per questo, le più potenti aziende del pianeta si affannano nella corsa alla trasformazione di questa risorsa in bene commerciabile. Anche se questo significa estrazione sregolata e selvaggia dalle falde.
Come sta accadendo in Pakistan, dove i pozzi scavati dalla multinazionale svizzera Nestlé stanno privando la popolazione dell’acqua potabile, che poi rivende a caro prezzo bell’e imbottigliata, la prima acqua “purificata”, cioè acqua di rubinetto trattata con l’aggiunta di minerali, commercializzata nel Paese asiatico. La dura denuncia viene da “Bottled Life”, un film documentario a breve in programma nelle sale svizzere, realizzato dal regista Urs Schnell e dal giornalista Res Gehriger.

“Come si trasforma l'acqua in un business da miliardi di dollari? La risposta sta nelle mani della società svizzera Nestlé”, spiega il trailer. Così, un giornalista di Zurigo inizia a indagare sulla corporation più potente del suo Paese e questo viaggio lo conduce dalla Svizzera dritto dritto verso il Pakistan, dove viene coinvolto in una dura lotta tra cittadini, piccole formiche inermi che cercano di proteggere le loro fonti locali, e un gigante internazionale.
Analizzando il successo del marchio Nestlè “Pure Life” , il più importante al mondo ,"un gioiello nel nostro portafoglio", secondo John Harris, capo di Nestlé Waters, il documentario si addentra nei meandri di un commercio ignobile e sregolato, smascherando i traffici di uno dei più spregiudicati accaparratori d’acqua, insieme a Danone e Coca-cola.

Maude Barlow, ex consulente delle Nazioni Unite responsabile per la questione dell'acqua, spiega che “quando una società come la Nestlé compare dal nulla e dice, Pure Life è la risposta, vi stiamo vendendo l'acqua dei vostri stessi terreni, mentre dai rubinetti non ne esce nemmeno una goccia, o se c’è è imbevibile –il che è ancor più da irresponsabili- non possiamo che definire tutto ciò praticamente un atto criminale".
Ma cosa replica a queste accuse la Nestlé? Mette per iscritto, nero su bianco, in un comunicato diretto al giornale Tages Anzeiger il proprio impegno sul piano sociale: “abbiamo realizzato due impianti di filtraggio che offrono acqua potabile a oltre 10.000 persone a Sheikhupura, in Pakistan con acqua potabile e prevediamo di costruirne un altro per il 2012”. Ma, in realtà, nel frattempo, si è sempre rifiutata di rilasciare interviste e di far visitare gli impianti, come spiegano Schnell e Gehriger.
Eppure, il ritratto dell’azienda che viene fuori dal documentario è in netto contrasto con i valori sbandierati dall’azienda. Così, cocciuto e imperterrito, Gehriger visita un campo profughi in Etiopia dove, nel 2003, Nestlé aveva installato un impianto per il trattamento dell’acqua. Ha così scoperto che, appena due anni dopo dal suo avvio, non ha mai più funzionato correttamente. E la scarsità d'acqua è tornata a farsi sentire. Ma si tratterà sicuramente di una sfortunata coincidenza…

Fatto sta che secondo uno studio dell’United Nations Comitee on Economic, Social and Cultural Rights, oggi in Pakistan, il 44% della popolazione non ha ancora accesso ad acqua potabile e sicura. Percentuale che sale al 76.5% nella popolazione delle aree rurali. Ogni anno, continua lo studio, in Pakistan muoiono più di 200.000 bambini a causa della dissenteria e l’accesso alle proprie falde sotterranee è la sola possibilità per le persone per avere acqua sicura. Insomma, l’acqua è vita, non un bene da cui trarre un indiscriminato profitto, in nome del quale, la Nestlé sta contribuendo al depauperamento delle risorse idriche, inaridendo le locali fonti d'acqua e i pozzi fino a oggi utilizzati per uso domestico e agricolo. Inoltre, l'attuale estrazione dell'acqua condotta dalla Nestlé non è sostenibile: la multinazionale preleva oro blu molto più velocemente di quanto possa essere naturalmente rinnovata, mettendo a grave rischio il diritto all'acqua delle future generazioni.



Per conoscenza, ecco i prodotti commercializzata da Nestlé:

acque minerali: Vera, San Bernardo, San pellegrino, Perrier, Sant’Antonio;
caffè e cacao: Nescafé, Orzoro; cioccolato: Perugina, Nestlè; salumi: Vismara, King’s;
olio: Sasso;
dolci: Smarties, Kit Kat, Galak, Lion, After Eight, Quality Street, Toffee, Polo, Motta, Alemagna;
conserve: Berni;
formaggi: Locatelli;
pasta: Buitoni, Pezzullo;
riso: Curtiriso;
preparati per brodo: Maggi;
surgelati: Surgela, Mare Fresco, La Valle degli orti;
gelati: Motta, Alemagna, Antica Gelateria Del Corso;
cibi per animali: Friskies, Buffet;
cosmetici: L’Oreal


Leggi anche il dossier Actionaid sul business dell'acqua in Pakistan (aprile 2005)

• da www.greenme.it

21 gennaio 2012

CIP6 e tariffe elettriche

di Leonardo Libero

Dal 1° gennaio, in Italia, dove l’elettricità era già una delle più costose al mondo, essa ha subìto un ulteriore rincaro del 4,9%, che secondo l’Autorità per l’Energia è motivato da “persistenti rialzi delle quotazioni petrolifere…., incentivi alle fonti rinnovabili e ….. costi per adeguare i sistemi a rete al nuovo scenario di produzione decentrata e intermittente”.

Una decisione del Governo che i contribuenti, e per loro le associazioni, dovrebbero contestare per i seguenti tre motivi:
a) il 29 aprile prossimo saranno passati vent’anni da quando le tariffe elettriche italiane comprendono un sovrapprezzo, l’A3 - ufficialmente finalizzato "alla promozione di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili" - che in origine era già molto superiore (7%) a tale ultimo rincaro e che nel 2011 è arrivato ad esserne più del doppio (10%) CIP6 e tariffe elettriche ( http://www.fiper.it/htdocs/2003/061103-Xcomm.txt )

b) il gettito di tale sovrapprezzo è stato usato dallo Stato, per circa i due terzi, in modi sostanzialmente opposti al suo scopo dichiarato; il che costituisce una palese presa in giro degli utenti elettrici ed una violazione di una direttiva comunitaria.
c) del recente aumento godranno anche quei furbi produttori di elettricità che da vent’anni lucrano lautamente sulla stortura di cui al punto “b”.

Venti anni fa infatti, alcuni grandi nomi del mondo imprenditoriale italiano, insieme all’Enel, all’epoca monopolista elettrico di Stato, hanno ottenuto che il Governo di allora ( l’Andreotti VII) emanasse in materia di energia una norma che è indulgente definire scorretta e grazie ad essa hanno poi ottenuto, ciascuno, ricavi annuali a sei zeri. E’ quindi a loro, pochi e ben noti, anziché ai milioni di utenti elettrici, già tanto (tar)tassati, che il Governo di oggi avrebbe il dovere morale e civile di pretendere la copertura di quei maggiori costi energetici. Diversamente, esso si dimostrerebbe non migliore degli 11 precedenti governi che, durante vent’anni, hanno tollerato il permanere di quella vergogna nella normativa italiana.

Per coloro che non conoscessero i dettagli del caso, ne espongo qui di seguito la storia e i dati di maggiore rilievo.
Nel 1990, il governo dell’allora Germania Ovest, con grande sensibilità ambientale e preveggenza energetica, aveva imposto un piccolo supplemento sulle tariffe elettriche per investirne il gettito nella promozione delle fonti rinnovabili. E poiché quel gettito è poi stato investito correttamente, la Germania è diventata Paese leader in quel campo ed in particolare nel fotovoltaico, quantunque goda di una radiazione solare media molto inferiore a quella italiana (350.000 i nuovi posti di lavoro là creati nel settore fonti rinnovabili, in gran parte dovuti alla fotovoltaica).
Il 29 aprile 1992 il nostro governo, facendo finta di ispirarsi a quel precedente, attraverso il Comitato Interministeriale Prezzi ha emanato il provvedimento n. 6, col quale ha sì imposto un sovrapprezzo, appunto l’A3, alle tariffe elettriche (di entità quasi doppia di quello tedesco), ma consentendo di sovvenzionare col suo gettito, oltre alle fonti “rinnovabili” vere, anche altre, cosiddette “assimilate”, fra le quali ne sono poi state comprese di molto inquinanti come gli scarti di raffineria petrolifera e i comuni rifiuti. Il fatto, noto come “Affare Cip6”, è stato preso in esame il 6 novembre 2003 dalla Xa Commissione della Camera, che ne aveva previsto l’entità in 60.000 miliardi di Lire (stima risultata poi ottimistica, come vedremo) e il cui Presidente, Bruno Tabacci, l’aveva definito “Una tassa occulta in favore dei petrolieri”.
( http://www.fiper.it/htdocs/2003/061103-Xcomm.txt )

Cosicché il Paese del Sole, dove il gettito di quei sovrapprezzi è stato gestito con grande scorrettezza, oggi produce si e no un settimo dei materiali fotovoltaici che gli occorrono, mentre il resto lo deve importare, a danno della bilancia dei pagamenti ed a sostegno di imprese e occupazione straniere (8,3 miliardi di euro sono usciti dal Paese a quel titolo nel solo 2010).

Il provvedimento CIP6 è inoltre scorretto anche verso la UE. Esso viola infatti una direttiva comunitaria che esclude dalle fonti rinnovabili di energia ciò che non è biodegradabile. Perciò il governo furbetto dell’aprile 1992 lo ha emanato come semplice atto amministrativo, in modo che non ne venisse a conoscenza (non subito, almeno) l’Unione Europea, alla quale i Paesi membri sono tenuti a notificare immediatamente soltanto le nuove Leggi. Uno scopo raggiunto solo temporaneamente, come era del resto prevedibile: l’UE ne è sì venuta a conoscenza solo 11 anni dopo, ma sul tema CIP6 ci ha poi inflitto ben 4 procedure di infrazione, 2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29, oltre ad una lettera di messa in mora, relativa alla prima procedura di infrazione.

Sulle origini dell’ “affare Cip6” fa praticamente testo il libro “Licenziare i padroni ?” (Feltrinelli), uscito all’inizio del 2003 e scritto da Massimo Mucchetti, oggi Vicedirettore “ad personam” del Corriere della Sera, che nessuno ha mai smentito e tanto meno querelato, quantunque egli avesse citato in chiaro, nel libro, sia il peccato che i “peccatori”, come ad esempio in questo brano:
“Tra i primi a muoversi sono la Edison (Gruppo Montedison) e la Sondel (Gruppo Falk) , l'Eni, i petrolieri privati, i Moratti e i Garrone in testa, ansiosi di trasformare un costo - lo smaltimento degli scarti di raffi¬neria - in un ricavo, anzi in una rendita. Più tardi, entrano in partita anche gli ex presidenti della Confindustria Vit¬torio Merloni e Luigi Lucchini. Insomma, molti dei più grandi e dei più potenti fiutano l'affare “.

A fine 2010, i 60.000 miliardi di Lire, circa 30 miliardi di euro , che nel 2003 la Xa Commissione della Camera aveva previsto destinati a finire complessivamente nelle tasche “dei petrolieri” erano già stati largamente superati. I dati certi di fonte GSE (ente istituito nel 2001) indicano infatti che, nel solo periodo 2001-2010, 35,93 miliardi di sono andati a sovvenzionare elettricità prodotta da fonti CIP6 “assimilate”, cioè inquinanti. Ad essi, secondo stime attendibili, devono essere sommati altri circa 8,8 miliardi di euro pagati a quel titolo nei 9 anni precedenti, 1992-2000.

In totale quindi, a tutto il 2010, almeno 44 miliardi di euro - pari a quasi 1,5 volte il “valore” della manovra economica del Governo Monti - sono stati erogati dallo Stato a produttori di elettricità da fonti “sporche”, sottraendoli al gettito dei sovrapprezzi A3 imposti dallo Stato agli utenti elettrici col pretesto della sovvenzione alle fonti rinnovabili.
Le aziende più beneficiate dalle sovvenzioni per tali fonti inquinanti, le “assimilate”, sono state ogni anno all’incirca le stesse. Ad esempio, la loro graduatoria 2010, nella spartizione percentuale di una “torta” da 2.974,7 milioni di euro per quell’anno (contro i 1.139,0 erogati per fonti rinnovabili vere), si trova a pagina 59 (fig. 2,5) della relazione 2011 dell’Autorità per l’Energia ed è questa:
Edison 33,3%, Saras 13,7%, ERG 10,5% , BG Group 8,4%, Rosen Rosignano 7,9%, API 7,0%, E.On 6,i%, Cofely Italia 4,7%, Elettra 3,7%, Termica Celano 3,0%, Altri 1,6%.

12 gennaio 2012

La Mobilità Insostenibile e la Conversione Ecologica della Mobilità

di Massimo Marino *

Il tema della mobilità e del trasporto delle persone, i costi sulle famiglie delle scelte che si fanno, le conseguenze ambientali sul territorio e in generale sul pianeta, vivono nel nostro paese una stagione poco felice: mentre il problema diviene sempre più rilevante, quasi drammatico, il tema scivola nell’indifferenza, appena accompagnata da un dibattito scarno, confuso, addirittura deviante rispetto alla dimensione del tema che, per quanto ci riguarda, assume importanza crescente per chi vuole ragionare sui capisaldi principali di una “conversione ecologica” dell’economia, degli stili di vita, dell’assetto futuro del paese. Anche due recenti ponderosi rapporti affrontano il tema mancando di indicare con chiarezza le priorità: il rapporto LUISS (Scenari e opzioni per una mobilità sostenibile per Roma Capitale - 113 pagine) e quello EUROMOBILITY 2011 ( profilo di 50 città italiane - 53 pagine ).

E’ bene ricordare che il problema coinvolge quattro grandi questioni, raramente tenute tutte insieme in considerazione:

1) Le forme e gli strumenti disponibili per muoversi hanno un peso sempre più rilevante sui costi delle famiglie

2) Le forme e gli strumenti disponibili per muoversi hanno effetti sempre più rilevanti su inquinamento, salute e clima

3) I modi e i tempi per muoversi (per lavoro, studio, altro ) sono influenti sul consumo e uso virtuoso del proprio tempo di vita

4) Le risorse e gli investimenti che si impegnano sono parte rilevante del bilancio dello Stato, quindi condizionano in modo rilevante l’uso delle risorse economiche del paese, hanno effetti decisivi sulle scelte generali delle amministrazioni locali.

La scelta delle priorità con riferimento a queste quattro grandi questioni ( i sistemi di trasporto, le tecnologie scelte, la selezione degli investimenti, il numero di soggetti che ne fruiscono in conseguenza ), determinano il modello sociale di riferimento; dunque il dibattito da aprire riguarda, per noi, i modelli più idonei a favorire la Conversione Ecologica e contrastare la Mobilità Insostenibile.

L’Italia, almeno nell’occidente industrializzato, è di gran lunga il paese con il più folle e incredibile assetto della mobilità, specie per gli individui e le famiglie (tralasciamo qui il problema delle merci); assetto conseguente a decenni di scelte irrazionali e sbagliate, di interessi privati che hanno prevalso e dilagato insieme ad un buon livello di incompetenza o di omertà negli Enti locali e nello Stato in forme diverse coinvolti nella questione. Proviamo a dare qualche numero solo per dare l’idea:

1) L’ Italia è la nazione del mondo (di tutto il mondo) con il più alto rapporto auto/abitanti, ( 61 auto per 100 abitanti contro 46 della media CEE ), più o meno alla pari con gli USA però con una densità abitativa sul territorio molto diversa. A Roma, Latina, Aquila, Potenza, Catania siamo addirittura ad almeno 70 auto/ab. Napoli, Torino, Milano sono al top di auto per km di territorio. Il parco auto circolante è vetusto; Il 60% a Napoli ed il 55% a Catania ha almeno 11 anni di vita.

2) Il costo per il trasporto delle famiglie è di ben 170 mld di euro/anno, di cui meno di 10 mld vanno nella direzione dell’uso di servizi pubblici, 50 mld vanno in tasse allo Stato; con più di 100 mld ci preoccupiamo del benessere delle multinazionali del petrolio, di quello delle società autostradali, delle finanze di Marchionne e soci; quest’ultimo per favorirci stà chiudendo IRISBUS, l’unica azienda italiana che produce autobus.

3) Si calcola, con la dovuta approssimazione, che soltanto in 13 grandi città ci siano 8000 morti/anno a causa degli effetti dell’inquinamento degli autoveicoli. Sono invece sicuri (dati ACI per il 2010) 4090 morti e 302.735 feriti in un anno per incidenti automobilistici, in prevalenza su strade extraurbane ed urbane, in misura minore sulle autostrade; gli incidenti gravi riferiti a treni e mezzi pubblici collettivi sono invece pressocchè irrilevanti.

4) Ci muoviamo quotidianamente nelle città , grandi e piccole, prevalentemente per raggiungere il luogo di lavoro o di studio, percorrendo mediamente 25-35 km al giorno, con ovvie grandi differenze individuali e geografiche. Ma si può indicare con approssimazione che meno del 20% si muove a piedi o in bicicletta, meno del 5% in treno, all’incirca il 15-20% , non di più, in tram o autobus; la maggioranza, almeno il 60%, si muove in auto, in 4 su 5 come conducente ( da solo quasi sempre ) gli altri come passeggeri. Complessivamente il modello di mobilità all’italiana, che non ha eguali in Europa, basato sull’auto con meno di due passeggieri in media, si presenta come il più folle, più costoso, più inquinante, più dispendioso di tempo vitale, senza rivali nei paesi cosiddetti “sviluppati”.

5) Anche il modesto progetto di conversione provvisoria verso i motori a GPL o Metano, per quanto si tratti sempre di bruciare idrocarburi, che almeno dimezzerebbe i costi delle famiglie e abbatterebbe notevolmente le emissioni, non è in realtà mai decollato. I motori a GPL (gas propano liquefatto) esistono da poco dopo la prima guerra mondiale. Negli ultimi anni qualche contributo statale o regionale sulla conversione dei motori o sull’acquisto di auto a metano è sempre stato accolto positivamente ma in realtà il numero di distributori, che probabilmente andrebbe moltiplicato almeno per tre, è totalmente inadeguato, ancor più sui percorsi autostradali dove di fatto il metano neppure si trova. Ne le compagnie petrolifere, ne le società automobilistiche amano particolarmente questa scelta: ci guadagnano di meno e quindi lo considerano un settore di nicchia. Nei mezzi pubblici la sostituzione dei vecchi autobus con il Metano ha trovato singolari resistenze, mentre in alcuni altri paesi si diffondono i bus a Idrogeno, procedendo con crescenti difficoltà a causa della restrizione delle risorse disponibili degli enti locali. Nel breve periodo, in attesa di progettare l’alternativa, la conversione massiccia a gas avrebbe un peso su costi e inquinamento ma malgrado gli incentivi meno di 7 auto su 100 vanno a gas o gpl. Il tema non va per nulla considerato residuale od obsoleto.

6) Sulle auto elettriche e le cosiddette ibride c’è da fare qualche precisazione. Non si sa a che titolo hanno assunto la piena immagine di “mezzi ecologici” ed è difficile trovare una amministrazione comunale nei principali comuni italiani ( centro-destra o centro-sinistra bypartisan) che non abbiano utilizzato un po’ delle (nostre) risorse per appuntarsi al petto qualche decine di “elettriche” a stazionare nelle piazze centrali della città. Anche parecchi “ambientalisti”, senza preoccuparsi dei costi e del numero di utenti , le sostengono in modo acritico. Anche se il rendimento è complessivamente più alto, l’ idea che non inquinino è balzana; intanto non inquinano lì perché la produzione di batterie e di energia elettrica, in parte bruciando ancora i soliti idrocarburi, inquina da un'altra parte. Ma il cosiddetto car-sharing è piccola cosa , comunque mai decollato in Italia. Roma ha al momento 105 elettriche ( per 2,7 milioni di abitanti), Torino 113, Milano 86. Qualche altro centinaio è sparso in giro fra Genova e Palermo. A parte Londra, Parigi e Berlino che sono al top con varie migliaia di elettriche, ad esempio Monaco ne ha 345 (per 841mila abitanti) Bruxelles 227 (per 140mila abitanti). Non si capisce il fascino che il mezzo ha su un ambientalismo all’italiana un po’ sui generis che non si chiede da dove arriva e quanto costa l’energia elettrica che carica le centraline, poche (per fortuna ) e costose, ne quale è la percentuale degli utenti sul totale. Il noto sindaco ambientalista Alemanno, nell’ambito dei programmi per Roma capitale e la candidatura della città per i Giochi Olimpici del 2020 sembra lanciato sulle elettriche: 500.000 euro sono già stati stanziati per l’acquisto di sole 14 elettriche Citroen C-zero ( la Fiat ha altro a cui pensare) ed altre 105 sono previste. Progetti, alcuni davvero strampalati, prevedono risorse non irrilevanti investiti nelle elettriche in varie città italiane, riproponendo comunque l'idea del mezzo individuale per muoversi. A Torino, mentre non più di 4000 persone ha affittato almeno una volta nell'anno una elettrica attraverso il Car-sharing ( cioè almeno il 99% dei torinesi l’ha ignorata) l'Amministrazione aumenta del 50% il costo del biglietto sui mezzi pubblici, non si sa se per assestare i bilanci del comune o rendere più appettibile la parziale privatizzazione prevista delle tre aziende pubbliche della città. In attesa che paesi come Germania, Francia e Inghilterra risolvano i problemi tecnici della mobilità elettrica attraverso le celle ad idrogeno o utilizzando definitivamente le rinnovabili al posto degli idrocarburi per la carica elettrica delle batterie sarebbe forse consigliabile contenere le risorse impegnate in questo settore almeno per qualche anno. Non va dimenticato che al momento l’autonomia delle elettriche è di 130 km (con batterie da 16 KWh) o di 170 km (con batterie più grandi da 30 KWh). Improbabile che, a parte il costo del mezzo, il sistema decolli nei prossimi decenni fra i dieci di milioni di pendolari del nostro paese..

Il risultato di questo modello di mobilità è che paghiamo oggi 1,8 euro per un litro di benzina, passiamo mediamente 15-30 minuti al giorno incolonnati in coda su auto personali, con 1-2 passeggeri a bordo, sulle vie interne o sulle tangenziali delle principali città, e due terzi degli italiani vivono letteralmente in una nuvola di gas e polveri sottili. Con riferimento ai 35 superamenti annui consentiti rispetto al limite di 50 microgrammi /mc di PM10 (polveri sottili), Torino è sopra i 130 superamenti annui ( più di un giorno su tre per tutto l’anno ), Milano e Roma sono appena un po’ sotto, Ancona è arrivata a 141 giorni. La media annuale di PM10 nell'aria che respiriamo è a Torino di 50 mcg/mc seguita da Napoli con 48. A ruota decine di altre città. E se siamo ambientalisti perdiamo il nostro tempo ed energie a discutere di targhe alterne, domeniche ecologiche, allargamenti delle ZTL nei centri cittadini mentre 100 metri più in là succede il finimondo, magari andando allo scontro con le associazioni commercianti che insieme a tanta insensibilità hanno a volte il piccolo argomento a favore che si tratta di iniziative di scarso risultato; dando così un alibi a sindaci e amministrazioni imbelli, che in fin dei conti qualcosa si sta facendo. Gli stessi che però sono impegnati a difendere e prenotare per i prossimi 10-20 anni molte decine di miliardi di euro per costruire un buco di alcune decine di km in Val di Susa, per un ponte che dovrebbe collegare la Calabria alla Sicilia, dare lustro alle nostre metropoli con una decina di grattacieli che ci faranno passare alla storia e approvando centinaia di varianti urbanistiche che aumentano la densità abitativa nelle aree urbane già intasate.

Negli ultimi anni abbiamo quasi completato la rete di base dell’ Alta Velocità ferroviaria con un approccio che coinvolge meno del 10% di chi si sposta nelle medie-lunghe distanze mentre il trasporto pubblico locale stenta a sopravvivere spingendo all’uso dell’auto individuale anche i pochi che per il momento scelgono autobus e treno. Quella minoranza che se lo può permettere però da fine anno ha la possibilità di scegliere sui Freccia Rossa Milano-Roma fra ben quattro classi, con l’ultima (Executive) che vi garantisce anche un menù ideato dal famoso cuoco gourmet Vissani.

LE ALTERNATIVE

Le alternative sono poche, relativamente semplici e neppure nuove; per certi versi è la scoperta dell’acqua calda; con il difetto che contrastano con gli interessi privati e consolidati di alcuni, necessitano di un uso completamente diverso delle risorse e delle priorità, richiedono la cancellazione delle grandi opere e dei grandi progetti che rapinano la gran parte del bilancio dello Stato. Tutto, e tutto insieme, è comunque impossibile fare.

Le alternative si chiamano Reti Metropolitane, Treni ( locali, efficenti, diffusi e puntuali), e infine la Bicicletta.

monorotaia sospesa a Wuppertal (Germania) in funzione nella città dal 1901

1 Con il termine metropolitana si intende un sistema di trasporto collettivo rapido, di massa, a elevata frequenza di corse, circolante in sede propria e senza interferenze ( definito tecnicamente dalle norme UNI 8379 e dalla UITP, Associazione internazionale del Trasporto Pubblico). Di fatto alternativo all’uso dell’auto. Che sia di tipo classico o leggero, sotterraneo, a raso o in sopraelevata, a lievitazione magnetica, tramviario a via preferenziale, la condizione che lo rende un sistema di trasporto efficace e di massa è che sia diffuso a maglie di rete, che si proietti ai sobborghi delle città e si colleghi direttamente ai nodi ferroviari, autostradali, aereoportuali per la mobilità extraurbana di lunga distanza.

L’idea della rete metropolitana è vecchia come il cucco; la prima metropolitana al mondo è stata quella di Londra, The Tube, avviata nel 1863 quando il sindaco dell’epoca, Charles Pearson, stufo del caos insopportabile per le vie del centro anche a causa del viavai tra le varie stazioni ferroviarie della città, fece costruire le prime linee che le collegavano. Fra la seconda metà dell’800 e la seconda metà del 900 il sistema si è sviluppato in decine di nazioni del mondo ed è in piena espansione. Le metropolitane sono costruite in prevalenza a servizio dei maggiori centri urbani e aree metropolitane, ma non c’è nessun motivo che escluda che sistemi di trasporto a rete collettivi non possano anche essere utilizzati in città di molto minori dimensioni, estendendosi verso le città limitrofe, come ibrido ferrovia-metro, spazzando via auto ed altri mezzi inquinanti, pedonalizzando e reinverdendo gran parte dei centri urbani, riducendo costi, tempi e inquinamento. Almeno in parte molte città in paesi di tutte le latitudini del mondo lo hanno fatto o ci stanno provando; tranne l’Italia e pochi altri.











mappa della rete metropolitana di Berlino

Shangai ha 434 km di rete con 12 linee e 273 stazioni , Londra, New York e Tokio hanno estensioni simili, una trentina di città del mondo sono attorno o al di sopra dei 100 km di rete e moltissime sono in costruzione: dall’India, all’Arabia Saudita, a vari paesi dell’Est europeo progettano reti metropolitane. In Italia l’unica “rete” metropolitana di qualche peso è quella di Milano, avviata nel 1964 con 83 km in totale, 3 linee principali e 94 stazioni. Per il resto (Roma, Napoli, Torino ) siamo a piccoli segmenti incompleti di qualche chilometro, siamo fra i 50 e 100 anni in ritardo su molti altri paesi. E i progetti possibili non sono considerate ne emergenza ne priorità.

Praticamente non c’è ne volontà politica ne risorse disponibili; perché…sono impegnate o prenotate dai progetti TAV, Ponte di Messina, Cacciabombardieri ed altre “grandi opere” di questo tipo.E l'auto resta il punto di riferimento principale.

Però l’Italia è un grande costruttore di metropolitane. Ansaldo STS, ( "Trasportation Solutions") sta progettando, realizzando o gestendo, anche con il ruolo di main contractor ( "chiavi in mano"), i sistemi metropolitani di Riad (Arabia Saudita), Copenaghen (Danimarca), Salonicco (Grecia), Birmingam e Manchester (GB), Dublino (Irlanda), Lima (Perù), Taipei (Taiwan). Con qualche spicciolo disponibile, TAV e Ponte permettendo, si occupa anche di qualche km di metro a Roma (linea C), Napoli, Brescia, Genova, Milano (linea 5).


2 Per quanto riguarda l’uso del treno, inteso come mezzo ordinario per il trasporto quotidiano locale, regionale ed interegionale, la situazione è disastrosamente nota. Un sistema di mobilità irrazionale da decenni impegna le risorse sull’auto individuale e le autostrade, che fra l’altro non si comprende perché debbano mantenere un gestione privata che rende un sacco di soldi, per giunta con l’aggiunta di cospicui finanziamenti annuali dello Stato, e dove non si è neanche in grado di rendere il telepass obbligatorio. Impegnando per il futuro gran parte delle risorse, se ci saranno, per TAV e Ponte ne consegue che il sistema ferroviario locale, inteso come mezzo di trasporto adeguatamente collegato alle aree urbane per milioni di utenti, non per una ristretta elite che può permettersi i Frecciarossa, non può che andare in crisi, addirittura con la tendenza alla sua contrazione. L’antieconomicità di varie tratte è semplicemente la conseguenza delle scelte che hanno massacrato la mobilità ferroviaria locale che interessa poco i grandi contractors privati ed i loro collaboratori parastatali. Soltanto rovesciando l’attuale modello di mobilità insostenibile il treno può ridiventare il mezzo prevalente per muoversi nelle medie e lunghe distanze, mentre si è a rischio estinzione se progetti come TAV e Ponte decollassero davvero.

traffico da biciclette nel centro città a Copenaghen (Danimarca )

3 L’uso della bicicletta, come mezzo quotidiano per la mobilità nelle brevi e medie distanze sta esplodendo in tutta Europa e non solo: tre quarti degli abitanti di New York non possiedono un auto e si sono diffusi con successo addirittura i risciò come taxi individuale. In numerose città della Germania si sta abbandonando l’auto, anche a favore della bicicletta. Ad Amburgo, premiata come città verde del 2011, seconda città della Germania dopo Berlino con quasi 2 milioni di abitanti, la bicicletta sta diventando il mezzo principale di trasporto urbano. In Renania-Vestfalia si sta attuando la prima autostrada per bici, lunga 60 km, che collegherà le città di Dortmund e Duisburg. In tutta la Germania ci sono più di 72 milioni di biciclette. L’ uso della bici come mezzo ordinario di movimento in città ( per lavoro e studio) si sta diffondendo in centinaia di città europee e le flotte pubbliche di Bike-sharing si diffondono con migliaia di stazioni di parcheggio che si estendono anche al di fuori delle periferie permettendo il collegamento con i paesi della prima e seconda cintura delle grandi metropoli. Parigi ha una flotta di 20.000 bike e 1800 stazioni di interscambio, Londra più di 6000 con 400 stazioni. Anche Barcellona ha superato le 6000 bike e 400 stazioni. A Copenaghen il 40% degli abitanti usa la bici come mezzo ordinario di spostamento per il lavoro e lo studio.

In Italia il Bike Sharing è circoscritto alle aree centrali di alcune grandi città, ma i numeri sono contenuti, l’uso ha un carattere occasionale, le stazioni di scambio sono al momento troppo poche e scarsamente diffuse verso le periferie. Milano ha circa 1400 bici per l’ affitto e Torino è a circa 500.

Il dato singolare è che il paese europeo che produce più biciclette è proprio l’Italia con 2,4 milioni di bici prodotte all’anno ma che vengono quasi totalmente vendute all’estero. Ne possediamo circa 24 milioni ma le usiamo poco; le piste ciclabili sono ancora poche e soprattutto in gran parte ritagliate ai margini del traffico veicolare che scoraggia l’uso quotidiano e gli spostamenti dei gruppi famigliari e dei bambini. Usiamo la bici per sport e nel tempo libero, pochissimo come mezzo di trasporto quotidiano.

CONCLUSIONI

La mobilità insostenibile è il prodotto di un paese anomalo dove per decenni interessi privati e di pochi hanno travolto e condizionato lo stato e le amministrazioni locali di ogni colore senza alcuna differenza. Dissanguato le risorse nella direzione di scelte irrazionali, producendo ambienti inquinati e insieme l’assuefazione di molti all’idea che non c’è un altro modo di vivere e spostarsi. E’ bene lasciar perdere le piccole battaglie su obiettivi irrilevanti e chiedere azioni di emergenza per il rilancio di metro, treno e bici, azioni essenziali per cominciare a concentrare in direzioni diverse l'attenzione e le risorse sottolineando i dati dell'emergenza.

Bisogna apertamente contrapporre le proposte della Conversione ecologica della Mobilità alla Mobilità Insostenibile. In questo scenario il contrasto alle grandi opere inutili e costose, come la TAV in Val di Susa o il Ponte di Messina, assume un significato strategico che và ben al di là della solidarietà con le popolazioni che dissentono ma permette, insieme a loro, di progettare un paese ed un ambiente diverso dove vivere; per noi, e ancora di più per le generazioni future.

(nella foto iniziale il trambus silenzioso di Bordeaux )