27 febbraio 2016

Wendell Berry: La strada dell’ignoranza


( edizioni Lindau, Torino 2015 
Recensione di Andrea Colombo )  *


Wendell Berry è uno strano scrittore contadino. Abituato a ragionare di sementi, terre da arare e concimi, ha tuttavia l’aspetto del raffinato professore universitario. Dice di sé: «Ho coltivato da scrittore e scritto da agricoltore». La casa editrice Lindau ha mandato alle stampe un libro che contiene il succo della sua filosofia: una raccolta di saggi intitolata La strada dell’ignoranza. Leggendolo, si scopre che il suo è un pensiero con solide basi nella tradizione statunitense, da Jefferson a Thoreau. Si definisce infatti un «autentico patriota» e difende i valori rurali di un’America in via d’estinzione. Il suo ecologismo radicale non ha nulla a che fare con gli slogan modaioli dei patiti del web. Berry non usa neanche il telefono, figurarsi internet. Allo stesso tempo non è un reazionario che vorrebbe restaurare un mondo scomparso. È al contrario, come molti americani, un pragmatico che intende salvare la terra dall’autodistruzione, attraverso metodi semplici, partendo dal basso, riformando prima di tutto la propria vita. E così ha fatto: nel 1964 ha lasciato New York e, messa tra parentesi una brillante carriera universitaria, si è trapiantato con la moglie in una fattoria del Kentucky, in un paesino battezzato pascalianamente Port Royal. 


Oggi, a 81 anni, è visto come il profeta della decrescita felice. Dapprima solitario combattente contro le multinazionali e l’industrializzazione selvaggia, nascosto nella profonda campagna americana, si è ritrovato poi in ideale compagnia con i tanti ecologisti che negli ultimi decenni hanno lottato per la salvaguardia del pianeta. E così sono arrivati i riconoscimenti e la fama (non richiesta): nel 2013 è stato premiato da Obama con la National Humanities Medal; il suo manifesto, «mangiare è un atto agricolo», ha ispirato innumerevoli iniziative e movimenti, fra cui Slow Food; due settimane fa la National Book Critics Circle Awards, il Nobel statunitense per la letteratura, ha annunciato che gli consegnerà il premio alla carriera. Come se non bastasse Robert Redford sta girando un film documentario su di lui. Eppure non è una star: è rimasto restio a concedere interviste o apparire in tv, preferisce la musica dei ruscelli e dei boschi al chiasso delle metropoli e al clamore dei mass media. Il suo pensiero è a tratti apocalittico. Denuncia infatti un progresso che, credendosi illimitato, ha creato deforestazioni e deserti, anche spirituali. Berry paragona la devastazione dell’agricoltura statunitense all’Olocausto: «Le comunità rurali, le economie e gli stili di vita americani che prosperavano nel 1945, e che, pur imperfetti, erano pieni di promesse per un autentico insediamento umano nella nostra terra, sono ormai state di fatto spazzate via come le comunità ebraiche della Polonia: i mezzi di distruzione forse non sono stati così vistosamente spietati, ma si sono dimostrati altrettanto efficaci». 


Che fare dunque? Per evitare di perseguire a tutti i costi una crescita smisurata che ormai equivale all’autodistruzione, Berry è certo che se l’uomo ritorna alla terra, cioè al fondamento dell’esistenza, non tutto è perduto. Prodotti locali venduti a chilometro zero, rispetto delle aree verdi, limitazione dei grandi centri commerciali, sono solo alcune fra le ricette che propone e che potrebbero rivoluzionare il nostro modo di produrre, consumare e pensare. Per cambiare rotta ci vuole «una ribellione pacifica», fondata su una filosofia «agrarianista», che «nasce dai campi, dai boschi e dai torrenti». Non si tratta di un romantico e idilliaco ritorno alla natura: avendo ampia esperienza di lavoro nei campi, Berry sa che molte insidie e difficoltà si celano in un creato non sempre amico dell’uomo. Ma se non si rispetta l’ambiente, per Berry tutto è perduto, anche il benessere apparente delle città. Da questa visione sono scaturiti diversi romanzi, come Un posto al mondo e Hannah Coulter, saghe famigliari che richiamano la grande narrativa degli scrittori del Sud come William Faulkner. Ambientati a Port William, che altro non è se non un nome di fantasia dato alla sua Port Royal, vogliono dimostrare che un altro mondo è possibile, e che, cambiando i modelli produttivi e di consumo, si può ancora non solo salvare la terra, ma recuperare un sano spirito di comunità e di identità locale.


* da La Stampa 7 febbraio 2016

10 febbraio 2016

Jobs act e la dignità del lavoro



di Vincenzo Martino *

Sono passati ormai due anni dal decreto Poletti, primo capitolo del Jobs Act con il quale è stato liberalizzato il ricorso ai contratti a tempo determinato. Da allora il diritto del lavoro italiano è stato riscritto e completamente destrutturato. In attuazione della legge delega n. 183/2014, sono stati emanati dal governo ben otto decreti legislativi delegati, con i quali tra l’altro:

- è stato pressoché abolito l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori per gli assunti con contratto a tutele crescenti (cioè tutti gli assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015), i quali non potranno praticamente mai essere reintegrati nel loro posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo;

- è stato introdotta in molti casi la possibilità di demansionare il dipendente;

- è stato legittimato il controllo a distanza sugli strumenti di lavoro, prevedendo anche l’utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti.

Le norme su demansionamento e controlli a distanza si applicano non solo ai nuovi assunti, ma a tutti e da subito. Non si può certo dire, dunque, che il governo Renzi non abbia fatto le riforme. Il problema è: come le riforme sono state fatte? Gli obiettivi propagandati dal governo erano quelli di creare nuova occupazione e di combattere il precariato. Quanto al primo obiettivo, i dati ci dicono che, al formidabile aumento di potere attribuito al datore di lavoro, non si è accompagnato un significativo aumento dell’occupazione complessiva.

E dire che il governo è stato generosissimo con le imprese, regalando incentivi a pioggia. La decontribuzione è già stata peraltro ridotta: quando cesserà del tutto l’effetto boomerang sarà inevitabile. Quelle ingenti risorse potevano dunque essere meglio impiegate. Anche il secondo obiettivo, quello di limitare il ricorso a forme di lavoro precario, sembra essere destinato ad un flop clamoroso. Già il contratto a tutele crescenti, per come è strutturato, costituisce esso stesso una sorta di ossimoro negoziale: è un contratto stabile e precario nello stesso tempo.
Ma i dati confermano nel contempo la tenuta delle assunzioni a termine e l’esplosione del lavoro accessorio, forma estrema di precariato. Se a ciò si aggiunge la scarsità di risorse destinate agli ammortizzatori sociali, si può tranquillamente affermare che la flexsecurity in salsa nostrana è ben lontana dai modelli nord europei ai quali si è finto di ispirarsi. 

Preso atto della gravità dell’attacco ai diritti dei lavoratori, la Cgil non si limita a protestare, ma finalmente formula una propria autonoma proposta di nuovo Statuto del lavoro.
Si tratta di una proposta molto complessa e ambiziosa, composta di ben 95 articoli (qui il testo integrale) destinata a divenire una proposta di legge di iniziativa popolare dopo la consultazione di cinque milioni di iscritti, ai quali in queste settimane viene richiesto il mandato per sostenerla anche con specifici quesiti referendari. Il testo, molto articolato anche perché vuol dare una risposta all’altezza dei tempi, si compone di tre parti.
Il titolo I sancisce diritti dei lavoratori a portata universale, configurabili in gran parte come diritti di cittadinanza, che valgono per tutti a prescindere dalla natura subordinata, parasubordinata ovvero autonoma del rapporto. Si tratta di norme tendenzialmente precettive, che garantiscono il diritto ad un lavoro dignitoso; ad un compenso equo e proporzionato; a condizioni ambientali sicure; al riposo ed alla conciliazione tra vita professionale e familiare; alla non discriminazione ed alle pari opportunità tra generi; alla riservatezza ed all’informazione; a forme di tutela assistenziale e pensionistica; ed altri diritti ancora.
Nel titolo II, destinato al diritto sindacale, si affronta finalmente la storica questione della piena attuazione dell’art. 39, seconda parte, della Costituzione, al fine di restituire centralità ed effettività alla rappresentanza sindacale e nel contempo di garantire l’efficacia generale (erga omnes) della contrattazione collettiva.
Nel titolo III , infine, si ripristinano i diritti cancellati o ridotti in questi anni, a cominciare dall’apparato sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo, nella cui disciplina riacquista piena centralità la reintegrazione nel posto di lavoro.
Un progetto ambizioso e di lungo respiro, dunque, che speriamo abbia le gambe per marciare. Ci sarà certo chi dirà che si vuole ritornare al passato: ma è indice di modernità togliere i diritti, incentivare la precarietà e l’insicurezza, dare il via libera ad ogni possibile abuso da parte delle imprese? Ed inoltre: è servito a qualcosa?

* Avvocato giuslavorista, vice-presidente di AGI, Avvocati Giuslavoristi Italiani. Da numerosi anni opera a Torino in difesa dei diritti dei lavoratori.

di Area pro labour (Giuristi per il lavoro ) - 10 febbraio 2016

8 febbraio 2016

Energia, l’Italia è sulla strada più sporca. “Tanto carbone, crollo delle rinnovabili”



Avevamo raggiunto livelli elevatissimi di energia pulita, piazzandoci dietro la Germania per energia solare. Poi il taglio dei fondi che vengono dirottati sull'industria fossile (13 miliardi secondo il FMI) ha fatto crollare le nuove installazioni del 92%. Denunce di ambientalisti ed esperti: "Regalo agli inquinatori che costa 60mila posti di lavoro"


L’Italia ha smesso di scommettere sulle rinnovabili per proteggere l’industria del carbone. Ecco perché il 2016 sarà – ancora – l’anno dell’energia sporca”. Nonostante i recenti – ma non vincolanti – accordi presi al summit sul clima di Parigi, Legambiente sottolinea come l’Italia voglia spostare il suo cuore energetico sempre più verso le energie fossili. A perderci, anche secondo il presidente dell’associazione Italia Solare Paolo Rocco Viscontini, le fonti green, visto che “il governo ha confermato i tagli degli incentivi alle rinnovabili ma non alle energie sporche”. Tanto che “nella legge di Stabilità, tre miliardi sono destinati a sussidi alle fossili, nello specifico sussidi all’autotrasporto per i consumi di benzina”, racconta il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini. Risultato immediato, il calo degli italiani che hanno scelto solare o eolico perché “gli impianti sono meno convenienti – prosegue Zanchini – e se le scelte del governo non cambieranno, l’energia green è destina a diminuire ancora”.

Crollo del 92% delle installazioni di rinnovabili”
Che il mondo dell’energia pulita in Italia stia boccheggiando, lo provano i dati. “Negli ultimi due anni, ovvero dallo stop agli incentivi, si è avuto un crollo del 92% degli impianti”, precisa il vicepresidente di Legambiente. Limitandosi al solare, nel 2013-2014 sono stati installati 1.800 MW contro i 13.000 MW del biennio precedente”, racconta Stefano Robotti , financial business advisors a Ernst & Young. Un mercato in decrescita, quello delle rinnovabili. Eppure non si può certo dire che il Belpaese non avesse raggiunto risultati, con l’aiuto degli incentivi. L’Italia, infatti, per energia installata, in Europa è seconda solo alla Germania, senza contare che nel 2014 le rinnovabili hanno garantito più del 38% dei consumi elettrici nazionali. Per avere un quadro del cambiamento che aveva portato il Conto Energia, ovvero il programma di incentivazioni, nel rapporto di fine anno del Gestore dei servizi energetici si sottolinea come nel 2014 “gli impianti incentivati con il Conto Energia rappresentano il 95% del totale.

FMI: “L’Italia dà 13,2 miliardi di dollari alle fossili”
Ma visti i risultati e il numero di adesioni, perché smettere di scommettere sull’energia green? “Il problema è che il successo delle rinnovabili ha causato la crisi delle vecchie e inquinanti centrali termoelettriche, portando alla chiusura di decine di impianti. Enel, per esempio, negli ultimi anni ha smantellato 23 centrali”, racconta il vicepresidente di Legambiente. Un boom, quello delle fonti green, che ha spiazzato “non solo le vecchie centrali ma anche i nuovissimi cicli combinati a gas, passando dalle oltre 4.000 ore di funzionamento medio all’anno a 1.000-1.500, dando luogo a una crisi generalizzata del settore termoelettrico”, precisa Stefano Robotti . “Quando ha capito che il problema economico dei grandi gruppi energetici era dato dal successo del solare, il governo è corso ai ripari togliendo gli incentivi alle rinnovabili e approvando quelli per petrolio, carbone e gas – conferma il presidente di Italia Solare – Così, invece di sfruttare positivamente il successo dell’energia pulita, si sta tentando di salvare il vecchio sistema di centrali da fonti fossili”. Dati alla mano, e al netto dello stop degli incentivi alle rinnovabili, non si può certo dire che l’Italia non stia fortemente finanziando le energie “sporche”,con sussidi di varia natura, dai finanziamenti diretti a progetti di fonti fossili agli esoneri di tasse e accise. Secondo l’ultimo studio del FMI infatti, il Belpaese è nono in Europa per finanziamenti alle fossili, per una spesa di 13,2 miliardi di dollari (in crescita rispetto ai 12,8 del 2013).

Alex Sorokin: “Persi 60mila posti di lavoro”
Ma cosa è cambiato nella vita di famiglie e aziende che scelgono il solare? Quando c’erano gli incentivi era possibile installare un pannello e l’energia prodotta era comprata dalla rete pubblica “a una tariffa maggiorata”, spiega Alex Sorokin, direttore di Interenergy srl, società di ingegneria che opera nel settore energetico internazionale. Questo rendeva l’energia green con veniente . “Oggi il cittadino che produce energia pulita – continua Sorokin – può beneficiare di agevolazioni fiscali molto meno ‘stimolanti’”. È stato proprio abolire questo meccanismo, secondo il vicepresidente di Legambiente, a portare al “crollo delle rinnovabili”. Eppure le soluzioni ci sarebbero visto che, a detta dei tecnici, “eliminando le molte inefficienze nel sistema, come le agevolazioni a favore del fossile, e creando un quadro normativo più favorevole – racconta il direttore di Interenergy – sarebbe possibile realizzare la transizione verso le rinnovabili senza aumentare i costi energetici per il cittadino”. Che sia colpa del taglio degli incentivi o meno, il mondo green in Italia appare in crisi, tanto da aver portato “alla perdita di 60mila posti di lavoro , l’equivalente dell’intera Fiat”, conclude Sorokin . “In pochi anni le scelte dei governi Monti e Renzi sono riuscite ad annientare l’intero settore – conferma il presidente di Italia Solare – distruggendo migliaia di aziende”. E mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel rivendica con orgoglio i cittadini che producono energia pulita, “per Matteo Renzi – conclude il vicepresidente di Legambiente – i 700mila impianti solari in Italia sembrano essere un problema”.

* da ilfattoquotidiano.it - 8 febbraio 2016

1 febbraio 2016

Grave emergenza siccità in Etiopia



L'allarme lanciato dalla FAO e Save the Children: servono fondi immediati

Il fenomeno meteorologico El Ninolegato al riscaldamento straordinario delle acque superficiali degli oceani e che condiziona il meteo e il clima globale – sta causando una delle peggiori e lunghe siccità nella storia dell’Etiopia che, a sua volta, sta distruggendo i raccolti e decimando il bestiame. La peggiore da almeno 30 anni. Oltre 10 milioni di etiopi (su una popolazione totale di 94 milioni) si sono ritrovati a vivere in una condizione d’insicurezza alimentare grave.

La denuncia è arrivata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) che, parallelamente, ha presentato un piano d’intervento per far fronte all’emergenza per proteggere gli allevamenti e ristabilire la produzione agricola nel Paese del Corno d’Africa. Servono circa 50 milioni di dollari per far ripartire la produzione agricola che dovrebbe assistere 1,8 milioni di lavoratori. Ma non è che l’inizio del percorso.

Secondo Save the Children, al momento si tratta della crisi umanitaria con il più alto livello di emergenza al mondo, insieme alla guerra in Siria, come spiega il direttore della ONG, John Graham: «Questa è finora la peggiore risposta da parte della comunità internazionale che ho mai visto. Ci sono molte crisi profonde là fuori, di sicuro la situazione in Siria e la crisi dei migranti, che catalizzano l’attenzione.» Secondo Graham è indispensabile che la comunità internazionale aumenti immediatamente i finanziamenti per raggiungere l’obiettivo di 1,4 miliardi di dollari, coperti finora solo per meno di un terzo della somma.
350 mila nuove nascite sono previste nei prossimi sei mesi, con enormi rischi per i neonati e per le madri. 

( da  www.lindro.it -  video tratto dal canale YouTube di Reuters )